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UAC TurboTrain: un nome un programma

UAC TurboTrain

C’è stato un periodo tra gli anni Settanta e Ottanta in cui la dicitura Turbo compariva su qualsiasi oggetto, elettrodomestici, auto, moto, utensili, barche etc. Questa parola di 5 lettere era sinonimo prestazioni al top. C’erano il Turbostar, la Y10 Turbo, l’asciugacapelli Turbo e la Thema Turbo che andava meglio della 8.32.

– ricordo sbloccato –
– oggi ci sono le macchine elettriche turbo senza il turbo, qualcosa dev’essere andato storto ma amen –

In quel periodo con la parola turbo si intendeva quella magica chiocciola metallica con all’interno una doppia girante che pompando aria ad alta pressione poteva risvegliare anche il più bolso dei motori. Tra l’altro la fata turbina la trovate spiegata benissimo in un completissimo articolo su Rollingsteel ed è protagonista anche su DI BRUTTO Volume Zero. Ah non ce lo avete? Bhe potete rimediare accaparrandovi una copia della stilosissima versione pocket.

Ma il turbo, anzi la turbina di cui vogliamo parlare oggi non è la stella degli anni ’80 ma viene da molto più lontano ed è il vero e proprio motore a turbina a gas. Nato durante la Seconda guerra mondiale grazie al genio di Frank Whittle, questo tipo di propulsore negli anni ’60 sembrava essere il futuro dei trasporti a tutto tondo e molte case automobilistiche vi si cimentarono tra cui GM, Chrysler con l’esperimento fallimentare della Turbine Car, Rover, Renault e anche la Fiat si mostrò interessata. Addirittura la Lotus pensò bene di portarlo in F1 e Indycar e la BRM tentò di conquistarci Le Mans.

Perché allora oggi non ci troviamo sotto il sedere dei jet a quattro ruote? Perché tra le altre cose, anche se aveva peso e ingombri ridotti e riusciva a tirar fuori una buona dose di cavalli, a causa dell’impiego di leghe speciali per la costruzione i costi erano molto più alti; non era stato messo in conto che le turbine erano più adatte a operare su mezzi a regime costante come barche e aerei e non sulle auto, con i loro continui cambi di regime (che ne affossavano l’efficienza). Inoltre, il motore a turbina ha il brutto vizio di consumare come una belva e, di conseguenza, di emettere grossi quantitativi di emissioni nocive il che non è proprio il massimo in una società sempre più eco-friendly. Fu così che salvo sporadici casi la moda del motore a turbina sulle auto tramontò con gli anni ’70.

Puro ferro sovietico 

Ma come abbiamo detto questo motore andava benissimo per tutt’altro tipo di mezzi tanto è vero che conquistò il comparto navale e aereo (ed elicotteristico) ma non disdegnò quello ferroviario. Fra gli anni ’60 e gli ’80, i vari uffici tecnici disseminati tra i vari paesi tentarono, senza grande successo, di infilarne qualcuna sotto (o sopra) a qualche treno. Lo stesso prototipo del TGV montava turbine a gas, per poi adottare una più convenzionale e conveniente trazione elettrica nei modelli di serie.

Il progetto che esaminiamo oggi non è a questi livelli di ignoranza indomita, che al riguardo i russi erano maestri. Comunque, come stiamo per dimostrare, nemmeno gli statunitensi sono mai stati troppo sani di mente.

Ecco il momento preferito di chi scrive, quello in cui in un mondo green, carbon-free, silenzioso, tech e dio sa cosa si evoca dal passato un QUALCOS’ALTRO che è tutto tranne che green e tech, nonostante sia un treno, che ad oggi è il mezzo di trasporto più ecologico e democratico che esista, dopo la bicicletta e, in pole position, le scarpe.

Generalmente, a un treno si richiede tutto il contrario di ciò che può offrire una turbina. Quest’ultima è un’invenzione eccezionale: nella teoria dovrebbe offrire un rendimento molto migliore rispetto alle macchine alternative, nella pratica lo stesso varia molto in funzione delle dimensioni. Per farla breve, più le dimensioni della turbina sono contenute, più per far quadrare le leggi della termodinamica che ne regolano inflessibilmente il funzionamento bisogna aumentare il regime di rotazione. Il caso border-line sono le microturbine ad aria compressa dei trapani (che non sono trapani, sono frese) da dentista, che raggiungono i 500.000 giri/min

ripetete con me: mezzo milione di giri al minuto

dall’altra parte quelle giganti a gas tra un po’ americano russo delle centrali elettriche che ruotano, a seconda della fase della corrente prodotta, a 3000 o 3600 giri al minuto. Però, più aumenti il regime di rotazione e più diventa un casino mettere d’accordo la termodinamica con la meccanica, perché aumentano gli attriti e quindi i materiali vanno in crisi e i lubrificanti pure.

Insomma, se devi spostare una nave o tenere in aria un aereo con 200 persone a bordo ancora ne vale la pena, ma se devi smuovere un treno, dove le perdite energetiche sono ridotte al minimo, l’attrito ruota-rotaia è molto contenuto e ti “bastano” un paio di migliaia di kilowatt, allora diventa una complicazione eccessiva, senza contare il rumore e il discorso affidabilità, non trascurabile. Una locomotiva durante la sua vita percorre qualche milione di chilometri, contando che resta in giro quasi h24 e sette giorni su sette a velocità medie sostenute.

Dove si ritiene sconveniente l’energia elettrica si affida il compito a qualche diesel di qualche decina di litri di cilindrata. (Il problema dei treni elettrici è il costo della linea aerea). Di recente hanno cominciato a circolare esempi di treni a batterie. Dubito li vedrete mai su RollingSteel. Dubito anche siano abbastanza affidabili da circolare ancora fra 40 anni, ma magari mi sbaglio.

Ah il futuro!

Ora, immaginate: siamo negli anni ’60 in America e il treno sembra ancora avere un solido futuro come mezzo di trasporto a lungo raggio. Gli unici jet che esistono sono il Boeing 707 e il De Havilland Comet, quest’ultimo più o meno una catacomba con le ali per motivazioni legate alla fatica del metallo, ne parleremo a tempo debito. I vertici della Chesapeake & Ohio Railroad decidono che serve un nuovo treno per i servizi veloci. Ora, c’è da dire che gli americani non mancano mai di iniziativa, ma talvolta peccano di fantasia. Ogni tanto hanno un che di cinese nell’istinto di scopiazzare, e questo progetto non fa eccezione. Infatti, quando viene chiesto ai progettisti della C&O di ideare un treno veloce, leggero ed efficiente, dapprima si guardano per cercare di capire il significato dell’ultimo termine, sconosciuto nell’inglese americano, e poi mettono il naso su un progetto spagnolo che pareva avesse riscosso tanto di quel successo.

Questi diavoli di spagnoli pure li sanno fare i treni. È quando fanno le ferrovie che combinano di quei castroni assurdi. Pensiamo al disastro di Santiago de Compostela: a causa della mancata installazione di un segnalatore elettronico sul tracciato, i sistemi di bordo del treno non segnalarono al macchinista (che stava sì parlando al cellulare, ma viaggiava rispettando le regole, contrariamente a quanto riportato da diversi giornalisti ignoranti distratti) il cambio di limite di velocità da 200 a 80 km/h; quando vide la curva ebbe appena il tempo di inserire il freno di emergenza e dire “Carajo!” che il disastro era combinato.

Due TALGO 730 in doppia composizione, identici a quello del disastro

Quello che interessava agli americani era il sistema Talgo, ovvero convogli articolati che si caratterizzano per carrozze molto più corte e basse del normale, dotate di un solo asse per carrello, quest’ultimo condiviso tra vetture adiacenti.

Dall’immagine qui sopra si intravede il meccanismo di assetto variabile passivo (tipo il Pendolino, ma meno studiato)

Il risparmio di peso rispetto alla tipica carrozza tradizionale (ognuna con i suoi due carrelli a due assi) è notevole. Di fatto, il TurboTrain che stiamo per analizzare è un Talgo americano, e si vede: il suo peso di 170 tonnellate in ferrovia non è niente, contando che è relativo a 7 vetture (il nostro ETR 400, aka Frecciarossa 1000, ne pesa oltre 500). Non fosse che almeno i cinesi sono bravi a copiare, mentre invece gli americani copiano e ci riescono pure male (tutti avevamo in classe quel tizio soprannominato LaserJet che a ogni verifica allungava il collo a brontosauro, per poi accorgersi alla consegna che il test a scelta multipla era differenziato per file).

Perché diciamo questo? Perché il TurboTrain non aveva in comune col suo parente spagnolo il confort, aspetto un tantino fondamentale per un treno passeggeri. In altre parole, se i Talgo erano e sono tutt’ora dei comodissimi treni a lungo raggio (contate che la Spagna è grandina e per percorrerla tutta ci vuole tempo, per cui i treni più recenti oltre alle cuccette hanno pure docce e telefono fisso) la loro imitazione americana, nonostante (o a causa di) un complesso sistema di sospensioni pneumatiche, era famosa per rappresentare un rischio concreto per l’integrità della cervicale dei passeggeri.

Ora, io capisco tutto, ma perfino le più malfamate carrozze Piano Ribassato circolanti per il nostro povero stivale hanno delle sospensioni tutto sommato decenti; i binari sono praticamente orizzontali e senza buche, diosanto, bisogna impegnarsi a fare un treno con le sospensioni troppo rigide, ma tant’è. Andiamo avanti.

lo spostapoveri per eccellenza il Piano Ribassato, incubo di ogni pendolare

Una fregatura dei cosiddetti “treni articolati” a composizione fissa (un po’ come tutti gli AV moderni, o i Rock/Pop/etc.) è che la lunghezza non si può adattare in funzione della quantità di gente che si prevede ci viaggerà sopra. Tale difetto si estende anche al nostro TurboTrain.

Dal momento che le vetture hanno i carrelli in comune e non si possono sganciare senza sollevare tutto quanto, l’unica soluzione è far circolare due treni accoppiati, ogni tanto una doppia di Minuetti la vedete in giro, ma, guardandola bene, converrete che avere il convoglio diviso rigidamente in due significa che:

1) il capotreno sta o davanti o dietro

2) ci vuole un altro cristo che stia nella cabina del treno dietro a controllare che non salti niente per aria.

Come hanno risolto il problema gli americani? Adottando una soluzione già vista su qualche automotrice: mettere due porte sul muso, in questo caso carenate in maniera vagamente aerodinamica, non dissimile dai successivi Intercity delle ferrovie olandesi. Ovviamente c’era il problema, se davanti ci sono le porte, di dove infilare la cabina di guida. Invece di confinare il macchinista in mezzo metro quadro, stile ALn668, si preferì metterla SOPRA TUTTO, in stile Boeing 747 o, più realisticamente, visto che il 747 non era ancora nato, copiat ispirata ai nostri ETR 250 e 300.

Conseguenza: visibilità sacrificata. Vedi le cime degli alberi, e basta

Si ottenne così un design della serie “la forma segue la funzione”, espressione questa utilizzata dai designer per giustificare l’esistenza di oggetti che esteticamente fanno cagare lasciano a desiderare. Infatti caso strano, salta fuori ogni volta che si parla della Citroen Ami (quella nuova, ma anche quella vecchia), dell’Audi A2 o della Multipla, club al quale comunque ci sentiamo di dire che questo treno appartiene di diritto.

– il nasone rosso si apriva a metà per aprire così un passaggio in caso di doppia composizione –

Al tempo era previsto che il treno fosse dotato, come d’usanza, di motori a nafta per ogni vettura di testa posizionati ai lati del corridoio, adibiti all’utilizzo come generatori per alimentare i motori elettrici di trazione. Con questa configurazione il treno non riscuote grande considerazione e cade nel dimenticatoio per alcuni anni. La cosa divertente è che qualche pazzo scatenato deciderà di ripescarlo e renderlo ancora più fuori di testa.

A metà degli anni ’60 avvengono due miracoli. Il primo è che il governo federale investe del denaro nelle ferrovie, che è un po’ come se in Italia qualcuno investisse nella ricerca: fantascienza pura. Non solo, investe danari su un programma ferroviario ad alta velocità. Asimov gli fa un baffo. Fino ad allora, salvo qualche caffettiera da record, i treni americani avevano toccato al massimo i 140 all’ora. L’altro miracolo è l’acquisto dei brevetti da parte del colosso United Aircraft Company, di cui fa parte, fra l’altro, la Sikorsky, fra i pionieri dell’elicottero, e la Pratt & Whitney.

Prontamente ricevuta la consegna di portare avanti il progetto, alla Sikorsky pensano che loro col diesel non hanno esperienza (“mica ci chiamiamo Junkers”), però ne hanno tanta con le turbine. In questa maniera non c’è neanche bisogno di scroccare motori in giro. Le turbine PT6, un modello piccolino, pratico e largamente utilizzato su piccoli aerei turboelica ed elicotteri, possono far risparmiare spazio, peso e dare anche qualche soddisfazione velocistica rispetto al naftone. In effetti si trattava di un’unità all’ultimo grido che, con opportuni aggiornamenti, a tutt’oggi è in produzione e propelle moderni ferri più o meno del Dio.

un esempio a caso

La trasmissione, interamente meccanica, nella sua semplicità è qualcosa di geniale. I motori trasferiscono la loro potenza (400-500 kW cadauno a seconda della versione, un po’ meno spinti dei modelli aeronautici) direttamente alle ruote, senza cambi di velocità o altri dispositivi. Ciò è possibile perché l’albero motore non trasmette direttamente la coppia all’utilizzatore, come nei turboelica; è invece presente, analogamente a quanto accade nei motori di alcuni elicotteri, un secondo albero messo in movimento da una turbina, la quale riceve i gas di scarico dal motore vero e proprio. L’albero motore e l’albero di trasmissione possono così ruotare a velocità angolari diverse, eliminando di fatto la necessità di un innesto a frizione, un giunto idraulico, un cambio di velocità di qualche sorta o qualsiasi altro dispositivo tra il motore e le ruote che aggiunga peso e complichi la costruzione.

Potremmo andare avanti per ore. Costruzione delle casse di ispirazione aeronautica con pannelli in lega di alluminio, linea aerodinamica, doppia trazione simmetrica che consente la reversibilità del convoglio al capolinea, assetto variabile: tutta roba che sui nostri ETR e sugli Shinkansen giapponesi si era già vista o era in corso di sviluppo, ma che negli Stati Uniti era pura fantascienza.

Lo vedete che se vi impegnate i treni li sapete fare anche voi (patacco TURBO +200cv)

Insomma, i presupposti di questo progetto sembrano abbastanza folli da finire nel dimenticatoio per l’eternità, come del resto tutti gli altri esempi di treni a turbina che conosciamo (quelli russi, il primo prototipo del TGV…). Però ci troviamo anche in un’epoca in cui con la parola “turbo” succedeva quello che succede oggi con “green”, ziokan. Ebbene, questi riuscirono a sfruttare commercialmente la cosa a loro favore e a mettere sulle rotaie il prototipo.

Quest’ultimo viene prodotto nientepopòdimenoche dalla George Pullman, celebre costruttore delle più lussuose carrozze ferroviarie statunitensi (come quelle del magico Orient Express), nonché di filobus (proprio per questo che i pullman si chiamano pullman. Un po’ come qualsiasi falciatrice italiana si chiama BCS anche se è Pasquali o Goldoni). Per dovere di cronaca c’è da dire che il sig. Pullman non occupa invece un posto felice nella storia americana per come pagava gli operai. Pare che sia stato sepolto in una bara di piombo annegata nel cemento per impedire che qualcuno ne vandalizzasse la salma. Pensate che luna dovevano avere questi. Oggi è di proprietà di Bombardier (l’azienda, non il cadavere).

la motrice in produzione, si nota il passaggio della porta anteriore

Il comfort delle carrozze-letto Pullman (le prime al mondo) era ben distante dall’handling del nostro turbotreno, delle cui sospensioni si lamentarono i giornalisti fin dal primo viaggio poiché rigide e “scattose” nei movimenti. Il sistema di assetto variabile passivo, che non abbiamo ancora menzionato, era ottenuto tramite attuatori a vite senza fine che andavano a regolare l’altezza da terra di ogni sospensione. Fa venire un po’ i brividi che tutta quella massa a quella velocità fosse affidata a due vitoni tipo quelli che servono ad ancorare i cessi al pavimento. Se non altro, a favore dei passeggeri vanno comode poltrone reclinabili, luci di lettura, servizio catering e aria condizionata.

Il 20 dicembre 1967 il suppostone stabilisce quello che tutt’ora è il record di velocità per mezzi su rotaia a turbina, aiutata dal fatto che non capita spesso che qualcuno si svegli la mattina e provi a batterlo. Con quello che costa il gas poi. Raggiunge i 274,9 km/h su quello che è il tracciato degli attuali servizi Acela. La Penn Central Railroad gradisce e decide di noleggiare due unità del nuovo mezzo, di cui una è il prototipo di cui sopra, con velocità commerciale 240 km/h, equipaggiate tra l’altro per viaggiare anche con corrente elettrica da terza rotaia a 600V per le manovre in stazione centrale a New York. La follia diventa realtà.

Un esemplare dell’Amtrak che si lascia alle spalle New Haven. Forse la livrea meglio riuscita.

Negli Stati Uniti i due treni rimangono in servizio fino al ’76 e radiati nell’80. La ragione per una vita così breve risiede nell’affidabilità, un po’ approssimativa. Un po’ migliore, ma non di tanto, fu il successo ottenuto in Canada da parte delle altre 5 unità prodotte. Durante il viaggio inaugurale senza passeggeri per la Canadian Railways uno di questi travolge un TIR bloccato a un passaggio a livello e ne esce praticamente illeso. Direte: “ma va’?”. Tenete però conto che questo treno pesa circa un terzo rispetto a uno tradizionale di pari capacità, e quindi l’esito di un “crash test” con un camion da 300 quintali è tutt’altro che scontato; non ci sono feriti e il mezzo tornerà in servizio la settimana successiva.

Il treno incidentato e una parte del rimorchio centrato

Nel 1978 gli esemplari delle ferrovie canadesi vengono venduti alla privata Via Rail, sono loro che li hanno ridipinti di giallo (spero che almeno fosse in offerta il colore, poi ci lamentiamo noi dello schema XMPR). Lateralmente l’estetica è anche gradevole.

Proprio a causa di tutti questi passaggi a livello la velocità commerciale viene limitata a 95 miglia orarie (153 km/h). Quanto questa decisione sia figlia di una reale necessità e quanto invece si tratti di una scelta politica non ci è dato saperlo, fatto sta che non è un aiuto nell’affermazione dell’immagine del nuovo treno. Il freddo fa il resto. Il treno era stato progettato un bel po’ più a sud del Canada e durante il primo inverno si verificano diversi inconvenienti tecnici, come il congelamento dei pattini di frenatura, cosa che scredita ulteriormente la sua immagine.

Un progetto troppo visionario e avanzato rischia di finire nel dimenticatoio per la seconda e ultima volta; dopo un paio d’anni le CN paiono intenzionate a incubettare i 5 convogli e mettersi l’anima in pace. Non andrà così, o almeno non subito. Nel 1971 i 5 convogli di 7 vetture vennero trasformati in 3 da 9, con un inevitabile calo prestazionale. Coi pezzi avanzati vengono assemblati due convogli da 4 poi venduti ad Amtrak, salvo poi che uno di essi verrà gentilmente divelto da un merci e si salverà solo una vettura motorizzata di testa. Quest’ultima giacerà abbandonata per dei mesi fino a che la corrispondente di uno dei convogli ancora operativi deciderà di prendere fuoco, altro brutto difetto dei mezzi a turbina, la quale ha da invidiare al motore diesel la sicurezza, se non altro.

Con il nome commerciale “Turbo”, che in origine doveva fare intendere uno stacco netto col passato, i tre treni superstiti delle Canadian vanno avanti e indietro tra Toronto e Montreal, dal 1978 in poi per la privata Via Rail.

Nel 1979 un altro convoglio diventa “flambé” e viene confinato al deposito per anni. È nel 1982 che la breve vita dell’unico treno a turbina che abbia mai svolto servizio regolare giungerà così alla fine, per effetto anche della crisi petrolifera. Cornuto e mazziato per l’affidabilità, in realtà non si è dimostrato più soggetto a guasti dei mezzi con motori diesel che lo rimpiazzeranno nei servizi rapidi. Servizi rapidi che in ogni caso riscuotevano sempre meno interesse, con l’ormai consolidata concorrenza spietata degli aerei, rendendo sempre meno conveniente investirvi i milioni. In ogni caso la manutenzione era onerosa, e se in origine questi treni dovevano essere più economici nel normale per la loro gestione, in quanto molto leggeri, finirono per diventare lentamente un incubo. Siamo però sicuri che per gli appassionati di ferrovie canadesi e americani si sia trattato di un sogno splendido. In paesi dove il trasporto di passeggeri via rotaia è quasi morto, c’è ancora più di qualche bel ricordo. Dopotutto, proprio in Canada nel 1922 ha circolato la prima locomotiva a gasolio in servizio regolare di cui si abbia notizia.

1968-1982 R.I.P.

Articolo del 1 Giugno 2023 / a cura di Francesco Menara

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  • OS

    Io con la cabina sopra al muso ho solo guidato il VT601, 3.000 CV tedeschi, ma la visibilità non era un problema a parte l’arrivo delle stazioni di testa

  • Pierantonio Cattaneo

    Piacevole la lettura di questo articolo, con curiose notizie di contorno, e la passione rinforzata dall’ironia. La penultima foto è il classico esempio di avanguardia che sbuca dalla natura, il bel romanticismo del “futuro passato”

  • Antonio Falzoni

    “È nel 1982 che la breve vita dell’unico treno a turbina che abbia mai svolto servizio regolare giungerà così alla fine,”: in realtà le SNCF hanno utilizzato regolarmente tra il 1969 e il 2004 i loro ETG e RTG.

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