La guerra è un brutto affare si sa, lo stiamo vivendo anche oggi. Vorremmo che non ce ne fossero, ma siamo uomini e purtroppo, a quanto pare, fa parte della nostra natura, dalla notte dei tempi, distruggersi gli uni con gli altri per accaparrarsi risorse e potere. Ci fu chi come Sun Tzu, generale e filosofo cinese di 2500 anni fa, che la interpretò come un’arte scrivendo il saggio “L’arte della Guerra”, un vero e proprio manuale dove affrontava punto per punto le varie fasi e come condurre una campagna vittoriosa. Secondo lui, grossa importanza per il successo la aveva la parte strategica, fondamentale per pianificare un attacco che non sia fine a se stesso e che portasse alla vittoria con il massimo guadagno e le minime perdite (in mezzi e uomini).
Quindi come si vince una guerra? Principalmente bisogna far sì che il nemico non abbia a disposizione più armi, munizioni e mezzi di sostentamento di noi. Per questo bisogna agire in modo che gli vengano tagliate le gambe (non letteralmente eh!) distruggendo la base della piramide manufatturiera: le fabbriche produttrici di materie prime e le linee di rifornimento. Senza di queste tutto si ferma o va a rilento dandoci un vantaggio non da poco.
Il problema è che, se il nemico non è uno stupido, questi obiettivi sono sempre ben lontani dalla linea del fronte e soprattutto ben protetti. Neanche si può pensare di puntarli direttamente conquistando, a caro prezzo, un pezzo di terra alla volta e rischiando di essere poi chiusi in una tenaglia difensiva.
Se non ci si può arrivare via terra, e ovviamente neanche dal mare, nell’era moderna, l’unica via possibile rimane il cielo. Solo da li si può impostare una efficace offensiva mirata a minare le potenzialità del nemico. È per questo che sono stati creati i così detti bombardieri strategici, aerei in grado di portare mooolto lontano un grosso carico di bombe, colpire l’obiettivo facendo più danni possibile e tornare indietro (se si è fortunati) per fare un altro giro di giostra aprendo così una facile via di passaggio alle truppe di terra.
La teoria del bombardamento strategico che dati i suoi effetti avrebbe, secondo alcuni, ridotto i conflitti alla durata di pochi giorni fu affrontata per la prima volta da un italiano, tale Giulio Douhet, che pubblicò nel 1921 il saggio intitolato “Il dominio dell’aria”. Un libro che ebbe un certo successo all’estero ma in patria restò praticamente lettera morta (ricordate qualche bombardiere pesante italiano per caso a parte il semisconosciuto Piaggio P108 fatto in appena 24 esemplari?). Pensate che Billy Mitchell, il padre della moderna USAF, prese spunto proprio dal libro di Douhet per creare la forza aerea statunitense che oggi conosciamo.
Seppur molto valida però, questa teoria tra i vari governi dell’epoca ebbe poco seguito anche perché almeno fino al 1939 pochi, o quasi, si sarebbero aspettati quello che stava per succedere. Quindi tutti si erano concentrati con miope, ed ottimistica, visione del futuro su altri progetti e altri concetti di attacco e difesa (vogliamo parlare della linea Maginot?).
Agli albori della guerra, in pratica l’unica nazione che aveva in linea un bombardiere pesante strategico erano gli Stati Uniti con il loro B-17 e fu una vera fortuna. Tra l’altro la famosissima fortezza volante era uno dei pochi progetti miracolosamente scampati ai vari tagli dei fondi agli armamenti dei governi precedenti.
La cosa più incredibile non era che, all’inizio del conflitto, nessuna nazione europea non avesse qualcosa di simile pronto, ma che la stessa Germania, ovvero colei che attaccava, non annoverasse nelle file della Luftwaffe un aereo del genere. Eppure, le sortite e i relativi successi degli Zeppelin durante la Prima guerra mondiale qualcosa avrebbero dovuto insegnare. Quindi cosa, per nostra fortuna, è andato storto?
Beh sveliamo subito una cosa: non è che i tedeschi, nel progettare il riarmo, non avessero pensato a costruire un bombardiere a lungo raggio, anzi ne progettarono anche più di uno, ma poi dato che all’interno del Reichsluftfahrtministerium (per gli amici RLM) “erano tutti professori”, per compiacere chi era al potere e le sue idee strampalate, le cose sono andate un po’ a ramengo.
Ma andiamo per gradi. All’inizio degli anni 30 a capo dell’RLM c’era un tale che conosceva bene il suo mestiere ed era uno dei maggiori fautori dei bombardieri strategici, il suo nome era Walter Wefer.
Nel 1934, in vista di una futura guerra di conquista, deliberò un programma (denominato non ufficialmente Ural bomber) che prevedeva la costruzione di un bombardiere capace di poter arrivare con il suo carico di bombe tranquillamente in Inghilterra o al di là degli Urali, cosa previdente data l’intenzione neanche molto velata di Hitler di andare a pestare la cacca dove non si deve…
Alla fine Wefer riuscì a convincere sia Göring che Milch della necessità di creare dei bombardieri pesanti a lungo raggio e di conseguenza, a cinque anni dallo scoppio delle ostilità, fu emesso un bando con i requisiti per un nuovo bombardiere quadrimotore che avrebbe dovuto superare il miglior bombardiere pesante dell’epoca: quel condominio volante che rispondeva al nome di Tupolev TB-3.
Secondo queste specifiche, l’aereo avrebbe dovuto essere un monoplano quadrimotore con carrello di atterraggio retrattile e capace di portare 2,5 tonnellate di bombe su Londra o al di là di Mosca.
All’inizio vennero interpellate sia la Jumo che la Dornier che presentarono già nel 1936 rispettivamente il Ju89 e il DO-19, due quadrimotori che promettevano bene e di certo destinati al successo, ma il destino ci mise lo zampino (abbiam fatto pure la rima).
Nel 1936 Wefer muore in un incidente aereo e al suo posto gli succede Albert Kesselring (sostenitore dei bombardieri bimotore) che non aveva la lungimiranza del suo predecessore, spalleggiato da Ernst Udet (fan sfegatato del bombardamento in picchiata) e da Erhard Milch, proprio alla vigilia della guerra questi misero fine al progetto Ural Bomber destinando di fatto alla pressa sia il Ju89 che il DO-19 e buonanotte ai suonatori. Lo Junkers Ju89 fu poi rivisto e corretto e diede vita al Ju90, aereo di linea di discreto livello.
Per convincere il pingue e candido feldmaresciallo Hermann Göring a cancellare il programma, Kesselring e i suoi amici esposero ognuno le proprie convinzioni con Milch che buttò sul tavolo il fatto che una flotta di bombardieri pesanti sarebbe stata molto onerosa e soprattutto avrebbe tolto risorse preziose alla produzione di bombardieri tattici e a medio raggio, che più si confacevano all’idea di guerra lampo con i paesi limitrofi.
Ma un bombardiere, seppur più piccolo, comunque serviva e fu per questo che nel 1936 l’ex Ural Bomber fu riesumato con un nuovo nome: Bomber A. La nuova richiesta prevedeva un bombardiere bimotore in grado di raggiungere una velocità massima in quota di 540 km/h, di trasportare 2.000 kg di bombe fino a un raggio di 1.600 km o, in alternativa, 1.000 kg di bombe fino a 2.900 km. Nel complesso si trattava di una specifica che richiedeva un aereo più veloce di qualsiasi caccia dell’epoca e di superare, con un margine considerevole, qualsiasi bombardiere allora in servizio.
A rispondere a fu la Heinkel Flugzeugwerke che ravanando nei suoi cassetti rispolverò il progetto 1041 denominandolo He 177. Lo sviluppo venne affidato al capo progettista Siegfried Guenther (coadiuvato dal fratello Walter) in team con l’ingegnere Heinrich Hertel (già progettista dell’He-111).
Per rispettare i parametri richiesti si calcolò che il nuovo aereo avrebbe avuto bisogno di un paio di motori da almeno 2000 cv l’uno. Facile a dirsi, meno a farsi. All’epoca nessun motore disponibile poteva offrire tanta potenza. Ma alla Heinkel non pettinavano mica le bambole e sapevano di avere già una soluzione.
Circa un paio di anni prima avevano infatti sfornato il prototipo di un bombardiere (medio) veloce, l’He-119, un aereo fuori di testa per l’epoca. Con un’apertura alare di 16 metri con ali semiellittiche a gabbiano rovesciato questo aeroplano era stato progettato per battere ogni record di velocità. L’affusolatissima fusoliera dalla sezione ovale e lunga 14 metri, non aveva sporgenze ed era stata disegnata in modo di ridurre al massimo la resistenza aerodinamica. La cabina di pilotaggio completamente vetrata era posta subito dietro l’elica che era una e frontale ed azionata da un albero di trasmissione che attraversava la cabina passando in mezzo ai due piloti (!) collegato ad un nuovo super motore che si trovava al centro dell’aereo: il Db-606. Dietro di esso c’era un vano per un operatore radio e un altro in grado di ospitare fino a 1000 kg di bombe.
Il pezzo forte dell’aereo era il motore. Fatto fare appositamente dalla Daimler, il Db-606 nasceva accoppiando due Db-601 (si, proprio il motore del Messerschmitt Bf.109) creando così un 24 cilindri disposti a W rovesciata con cilindrata totale di 67.86 litri. Pesava a secco 1480 kg e sviluppava nella prima versione 2350 cv. Questo mostro permetteva all’He-119 di raggiungere i 595 Km/h con tutta la zavorra di 1000 kg di bombe. Un risultato eccezionale per quei tempi ma che non fu sufficiente a farlo andare oltre lo stadio di prototipo. La scarsa visibilità per i piloti e soprattutto la mancanza di armamento difensivo (e la quasi impossibilità di installarvelo) ne decretarono la cancellazione.
L’idea di gemellare due motori per avere più potenza non era certo una novità. Anche stavolta è una trovata orgogliosamente made in italy (ma quanto eravamo bravi?) grazie a quel gran pezzo del FIAT AS6 che equipaggiava quella meraviglia del Macchi MC 72. Soluzione che poi ritroveremo nel Bristol “Ajeje” Brabazon e in versione turboelica in quel dinosauro che è il Tu-95 Bear e in quel coso brutto ma adorabile che risponde al nome di Fairey Gannet.
Ma basta divagare e torniamo al nostro He 177 denominato nel frattempo ufficialmente Greif (grifone). Per i motori fu ricontattata quindi la Daimler chiedendogli qualche altro paio di Db-606 e intorno a questi si cominciò a disegnare quello che doveva diventare l’unico bombardiere strategico della Germania nazista.
Memori dei promettenti risultati dell’He-119, anche per il 177 il team perseguì la strada della massima efficienza aerodinamica e ne venne fuori uno snello bombardiere lungo 20,44 metri e con un’apertura alare di 31,44 metri. I due motori, che poi erano quattro, trovarono il loro posto in un paio di gondole alari situate molto vicino alla fusoliera (per migliorare i flussi ad alta velocità) e spingevano un paio di enormi eliche quadripala di circa 4 metri di diametro. L’equipaggio era di 5/6 persone e la velocità massima stimata era di 540 km/h (510 di crociera) con un’autonomia di 3700 km e tangenza a 9800 metri.
L’affusolata cabina totalmente vetrata poteva ospitare il pilota, il bombardiere l’operatore radio e l’addetto alle torrette remote. Il posto di pilotaggio prevedeva, come consuetudine nei bombardieri tedeschi, un’unica barra di comando che poteva essere spostata a destra o a sinistra per passare i comandi all’addetto al puntamento in caso di necessità.
Per raffronto un B-17 era lungo 22,66 metri ed aveva un’apertura alare di 31,62 metri ed era significativamente più lento, 462 km/h di velocità massima e circa 300 km/h di crociera, ma dalla sua però poteva contare su un’autonomia di 5500 km e una tangenza di poco superiore (10850 metri), valore raggiunto grazie all’adozione di nuovi motori dotati di turbocompressore azionato dai gas di scarico, vero asso nella manica dei bombardieri USAAF che così potevano volare più in alto dei caccia nemici e, nel limite del possibile, al riparo della Flak.
Per ridurre il peso e la resistenza aerodinamica e quindi guadagnare in velocità, l’armamento difensivo ipotizzato consisteva in tre torrette a controllo remoto (due nella gondola ventrale e una sulla fusoliera subito dietro la cabina) più una postazione di coda servita da un mitragliere che disponeva di un micidiale cannoncino MG 151 da 20mm (mentre le torrette avevano una coppia di MG 131 da 13mm). Il B-17, sempre a titolo di raffronto, invece poteva contare su ben 13 Browning cal .50 e svariate migliaia di proiettili.
Un altro accorgimento in fase di progetto fu l’uso di un sistema di raffreddamento di tipo evaporativo al posto dei classici radiatori. In questo innovativo sistema il refrigerante viene pressurizzato, aumentandone così il punto di ebollizione. Quando una volta surriscaldatasi lasciava il motore, questo entrava in un’area di espansione dove la pressione diminuiva e si trasformava in vapore che si sarebbe poi raffreddato scorrendo attraverso i tubi che correvano lungo il rivestimento esterno della fusoliera e delle ali. Praticamente lo stesso funzionamento del condizionatore che avete appeso fuori dalla finestra ma più in grande. Tuttavia, dopo le prime prove ci si rese conto che questo sistema non riusciva a smaltire l’enorme quantità di calore generata dalle due coppie di motori e si tornò quindi ad un più classico sistema di radiatori anulari posti dietro le eliche, aumentando però il peso e peggiorando l’aerodinamica.
Nel 1937 gli uomini della Heinkel presentarono il progetto agli alti papaveri dell’RLM, contenti del fatto che il loro aereo soddisfaceva (almeno in teoria) tutti requisiti richiesti. Peccato per loro che a quel tempo l’RLM era comandato da Ernst Udet.
Udet, asso della Prima guerra mondiale, fu secondo solo a Manfred von Richthofen, volò con Göring e come già detto era un fautore del bombardamento in picchiata. Il successo di questo tipo di bombardamento era dovuto principalmente ad un fatto: gli strumenti di puntamento tedeschi erano alquanto scarsi. Quindi spesso e volentieri il bombardamento classico era meno efficace di quello in picchiata svolto da piccoli e maneggevoli aerei che potevano meglio indirizzare i loro ordigni e che una volta a momenti ci procurano una causa che i direttore doveva vendersi anche il gatto.
Udet prese il progetto, lo studiò per bene, si complimentò pure con gli ingegneri e poi tra lo stupore generale disse: “Bene siete stati bravi, ma adesso voglio che sia capace di fare anche bombardamenti in picchiata!”. In pratica voleva un super Ju-87 Stuka!
Gli uomini della Heinkel rimasero esterrefatti, chiesero gentilmente se li stavano prendendo per il culo la cosa appena sentita fosse una burla ma, a quanto pare, la richiesta era seria. Immaginate di dover dare l’agilità di una Catheram ad un 190-48 con rimorchio eccezionale. Praticamente una pretesa che non stava né in cielo né in terra (in effetti vedremo che l’aereo stava più in terra che in cielo).
Nonostante ciò, oramai erano in ballo e quindi dovevano ballare. Si rimisero al tavolo di disegno e riprogettarono la struttura rinforzandola dove serviva. Ma se aggiungi metallo il peso aumenta, quindi devi spremere di più i motori per avere le stesse prestazioni. Motori che berranno di più e avranno bisogno di serbatoi più grandi che però pesano di più (e che serviranno anche a recuperare il raggio di azione che si è ristretto) e via in un circolo vizioso senza uscita.
Tanto dissero e tanto fecero che comunque ci riuscirono e nel Novembre del 1939 cominciò la via crucis il primo prototipo dell’He 177 era pronto a spiccare il volo. Rispetto al progetto iniziale la cellula era stata rinforzata, le torrette telecomandate furono sostituite da postazioni più classiche (e pesanti) aggiungendone una a metà coda (con una singola MG 131) per un ulteriore membro dell’equipaggio. Il carrello, per sopperire al maggior carico, prima composto da una sola gamba per ala ora era diventato doppio. Aveva una conformazione particolare perché lo spazio disponibile nell’ala era davvero esiguo e un classico carrello con ruote gemellate non ci sarebbe entrato. Composto da due elementi separati con uno che si ritraeva verso l’interno e uno verso l’esterno, non faceva altro che aumentare la complessità dell’aereo (e vai altri kg sulla bilancia). Già che ci siete metteteci come ciliegiona pure una cabina con corazzature varie dai 7 ai 10 mm.
L’aereo denunciava al decollo un peso di 13720 kg a vuoto e quasi 24000 a pieno carico (16300 e 29700 il B-17 a cui però non era richiesto di tuffarsi in picchiata…) e non era certo leggero e agile come uno Stuka. Il primo volo non fu propriamente un successo. Durò solo 12 minuti dopo i quali i motori cominciarono a surriscaldarsi e per evitare di fare la fine del pollo in rosticceria l’equipaggio fu costretto all’atterraggio ben prima del previsto.
Rientrato in fabbrica, furono modificati i pannelli di coda aumentandone la superficie del 20% ma durante il volo di prova insorsero dei fenomeni di flutter e l’aereo si sbriciolò in aria come una crostatina nello zaino di uno studente delle medie.
Durante altri collaudi il quarto prototipo, mentre veniva sottoposto a test di stabilità sul baltico, non riuscì a recuperare da una prova di bombardamento in immersione e si immerse letteralmente in acqua stile cormorano in picchiata.
Nel 1941 (a guerra oramai iniziata) ancora non si vedeva la luce, il quinto prototipo precipitò durante un attacco simulato a bassa quota per l’incendio di entrambi i motori. Tutti questi incidenti non facevano ben sperare e tra gli equipaggi già l’aereo cominciava ad avere una certa nomea.
Durante i test della versione aggiornata si registrò una velocità massima di 460 km/h, ben al di sotto di quanto previsto, e per questo dal sesto prototipo furono montati motori Db-606 con potenza portata a 2700cv cadauno.
Con la prosecuzione dei test ci si rese conto che far picchiare un velivolo del peso dell’He 177 non era una barzelletta. Arrivati in quota si doveva rallentare al massimo quindi, una volta cambiato l’assetto di volo, si doveva impostare la picchiata con estrema delicatezza. Ancora più critica era fase di richiamo che doveva essere eseguita con la massima dolcezza altrimenti ci si ritrovava stampati a caldo sulla dura superficie terrestre/marina. Nonostante tutti questi accorgimenti, lo sforzo al quale era sottoposto il bombardiere era così elevato da far saltare i rivetti dei rivestimenti.
Ma se bene o male la struttura reggeva allo sforzo, il problema più grande rimaneva lo smaltimento del calore dei motori. Per dare una forma aerodinamicamente efficace, erano stati inseriti in delle carenature aderenti come la tuta in latex di Miss Dronio, con il risultato che al loro interno si raggiungevano temperature infernali. In più per risparmiare peso non era stata prevista nessuna paratia parafiamma. Questo comportava che tutti i vari trafilaggi di olio e carburante si accumulassero in fondo alla gondola proprio a ridosso degli scarichi centrali ed ecco qui che il barbecue era servito. La posizione dei motori, poco visibile dalla cabina, ritardava ulteriormente l’accorgersi di un incendio e quindi l’intervento per poter fare qualcosa o perlomeno salvarsi.
Come se non fosse abbastanza, a dare ulteriori grattacapi ai progettisti della Heinkel c’erano le continue lamentele da parte del personale di terra. Sotto accusa soprattutto l’eccessiva complessità dell’aereo. Anche per semplici interventi la complicata e difficoltosa manutenzione faceva perdere tempo prezioso. Per cambiare una delle enormi ruote del carrello ad esempio ci volevano più di due ore (in un hangar tranquillo e con tutti i pezzi a disposizione) e non parliamo di una revisione sul campo dei motori.
Il lotto iniziale di 35 velivoli di pre-produzione fu impiegato in un’ampia varietà di prove e, sebbene il bombardiere fosse ancora considerato pericoloso a causa dei numerosi casi di incendio ai motori tanto che venne soprannominato “lo zippo della Luftwaffe” o “bara fiammeggiante” per la facilità con cui prendeva fuoco, la maggior parte dei piloti espresse opinioni favorevoli riguardo alle qualità di manovrabilità e alle prestazioni generali.
Sebbene l’affidabilità dell’aereo era a livello “decolla e prega”, visti i terribili risultati dei bombardamenti alleati sul suolo tedesco Göring era sempre più conscio della cazzata fatta dello sbaglio di non dotarsi prima dello scoppio delle ostilità di un adeguato numero di bombardieri strategici e pretese la consegna degli He 177 per poter attaccare la flotta britannica ma le continue modifiche richieste non facevano altro che rallentare la produzione e nel Giugno del 1943 appena 130 aerei erano stati costruiti mentre l’aviazione alleata poteva contare nello stesso periodo su almeno 3500 B-17 (senza contare i B-24 e gli inglesi Avro Lancaster).
I primi esemplari, dati i noti problemi, furono impiegati invece che nel bombardamento come trasporti nel ponte aereo per Stalingrado. Dovettero essere equipaggiati con serbatoi ausiliari riducendone ulteriormente le capacità di carico. Furono effettuate solo tredici missioni dove 7 He 177 (con la media di uno al giorno) andarono perduti non certo per colpa del nemico, portando la percentuale ad un preoccupante 14% di aerei caduti. Durante questi voli si notò inoltre che le ali si deformavano e quindi la struttura dovette essere ulteriormente rinforzata aggiungendo altro peso.
Chiusa la parentesi Stalingrado gli He 177 tornarono al loro ruolo originario e vennero schierati sul fronte occidentale per attaccare i convogli navali britannici. Per queste operazioni i bombardieri furono modificati, di nuovo, per poter sganciare le nuove bombe radio guidate, Henschel Hs 293 e Ruhrstahl 1400 “Fritz X”. Purtroppo però i risultati furono sotto le aspettative, in un raid su 46 bombe sganciate solo 2 andarono a segno, inoltre per evitare di far prendere fuoco alla baracca gli equipaggi dovevano volare lentamente senza sfruttare al massimo i motori, diventando così facile preda della caccia alleata. Su 25 aerei decollati 7 non tornarono a casa. Per questo le successive missioni vennero svolte di notte quando era più difficile l’intercettazione.
Piccola “wunderparentesi”. La Ruhrstahl 1400 o Fritz X, creata da Mac Kramer presso l’industria bellica e siderurgica Ruhrstahl AG, era una (quasi) convenzionale bomba a caduta che poteva essere radioguidata cambiando la posizione delle sue 4 alette mobili. Aveva una testata perforante contenente ben 300kg di esplosivo. Veniva sganciata ad una quota di 5000-7000 metri con un angolo di 80° (contro i 300-3500 metri e 60°delle bombe standard). L’altitudine e il peso di 1400 kg le facevano raggiungere un altissima velocità e dato che come ben sapete E=1/2mv^2, capirete pure che ben poche corazze potevano resisterle. Grazie a dei razzi in coda che facevano da riferimento, la bomba poteva venir guidata con una certa precisione fino all’obbiettivo. Dato che risentiva molto delle condizioni climatiche la bomba fu sviluppata presso una apposita base nei pressi di Foggia dove il clima permetteva ottima visibilità anche ad alta quota. Vittima illustre di queste bombe fu la nostra corazzata Roma quando il 9 Settembre 1943, un giorno dopo il disastroso armistizio, era stato dato ordine dal comando tedesco che tutte le navi italiane che provavano a fuggire dovevano rientrare o essere affondate. La Roma fu intercettata tra l’isola dell’Asinara e lo stretto delle bocche di Bonifacio. Una squadriglia di Do-217 armati con le Fritz X partì dalle coste francesi e attaccò il convoglio. Un primo attacco andò a vuoto, ma poi bastarono 2 bombe. La prima perforò da parte a parte la nave a poppa esplodendo sott’acqua e mettendo fuori uso caldaie e danneggiando seriamente gli organi di movimento. La seconda colpì a prora verso la seconda torre, arrivò fino alla santabarbara dove esplose e fece saltare tutto in aria. La potenza dell’esplosione fu devastante, la nave si inclinò e da li a poco colò a picco.
L’Hs-293 invece fu quella che più si avvicina ai moderni missili. Concepita all’inizio degli anni 40 dall’ingegnere Herbert Wagner quando la tecnologia missilistica era ancora agli albori, questa era una bomba planante antinave con una carica di esplosivo da 500 kg e sotto l’involucro contenete la carica e il sistema di trasmissione nascondeva un piccolo motore a razzo capace di una spinta di 600 kg che le faceva raggiungere fino a 900 km/h e percorrere una distanza di 12 miglia. A differenza della Fritz X non aveva una testata perforante, la bomba veniva sganciata da un’altitudine di circa 1000 metri a distanza di sicurezza dalla contraerea della nave e guidata sul bersaglio tramite un piccolo joystick. Il bombardiere la indirizzava seguendo il bagliore dello scarico come riferimento visivo. Il missile utilizzava un sistema innovativo noto come collegamento Kehl-Strasbourg che si basava sul contatto radio tra bomba e aereo. Come tutte le Wunderwaffe anche queste non sortirono l’effetto sperato, grazie allo spionaggio e allo studio di quelle inesplose gli alleati misero presto a punto delle contromisure atte a disturbare il segnale e riuscirono anche a prenderne il controllo deviandole dall’obiettivo.
Dal Gennaio al Maggio del 1944 Hitler lanciò l’operazione Steinbock (stambecco), un disperato tentativo di bombardare l’Inghilterra meridionale per poter fiaccare le difese alleate. In questa operazione tra i vari bombardieri furono utilizzati 41 He 177 su una forza totale di 46 aeroplani.
In una sola missione ben 14 He 177 presero il volo, o almeno ci provarono, tutti appena usciti dalla fabbrica. Uno non è proprio decollato per colpa di una foratura in fase di rullaggio ad uno dei massicci pneumatici. Otto di quelli che sono riusciti a partire sono stati costretti ad abbandonare rapidamente i loro attacchi e tornare alla base a causa di incendi o surriscaldamento del motore. E questi erano tutti aerei nuovi! Alla fine, le perdite ammontarono a 12 bombardieri (su 41).
Dopo la fallimentare operazione Steinbock e l’inasprirsi dei combattimenti sul fronte orientale, nell’estate del 1944 venne formata una nuova unità denominata KG1 di stanza a Kaliningrad e forte di 90 He 177. La situazione logistica e delle infrastrutture era piuttosto problematica. Le linee di rifornimento di materiali erano spesso malridotte dai continui bombardamenti e le risorse di carburante, per un aereo a cui ne serviva parecchio, erano sempre più scarse. Il primo attacco compiuto da questa unità avvenne contro lo snodo ferroviario di Velikie Luki che si trovava a duecento chilometri da Mosca. Attaccarono 87 bombardieri in formazioni a V composte da 25 – 30 He 177. Questa volta i problemi ai motori furono minimi e le perdite ridotte. Ma fu un fuoco (ehm) di paglia.
Per contrastare le offensive dell’Armata Rossa agli He 177 toccò essere impiegati anche come velivoli da attacco al suolo (sigh!) contro le colonne corazzate russe. In questa versione la postazione di coda fu modificata montando una torretta girevole con 2 cannoncini da 30mm MK101 o quattro Mg 131. Ma i tedeschi non si erano resi conto che utilizzare un velivolo di quelle dimensioni secondo questa modalità di impiego era un grosso errore e nel solo primo giorno di attività 10 velivoli sui 40 inviati in missione non tornarono alla base. Le operazioni degli He 177 sul fronte orientale si conclusero nell’agosto del 1944 quando il KG1 fu spostato di nuovo in territorio tedesco. Fondamentalmente la causa del ritiro fu la scarsità di carburante avio che in quel periodo si manifestò in tutta la sua gravità . Il consumo mensile dei soli 400 (teorici) He 177 in forza alla Luftwaffe al settembre 1943 si sarebbe attestato sulle 14400 tonnellate di benzina per appena sei incursioni, quando la produzione mensile si assestava a malapena sulle 16000 tonnellate.
Questo pose fine alla storia dell’unico bombardiere strategico tedesco, reo di essere arrivato tardi e di aver dovuto sottostare a insulse richieste da parte dei soliti miopi comandanti (come altri validi progetti affossati durante la guerra). Forse era anche troppo innovativo per l’epoca tanto è vero che qualche prototipo, voluto a inizio 1945 da Hitler per bombardare Londra, denominato He 177/B dotato di 4 motori DB 603 in gondole separate aveva risolto quasi totalmente i problemi di affidabilità, ma per nostra fortuna la guerra volgeva al termine e non ci fu tempo di impiegarlo.
Alla fine del conflitto erano stati prodotti circa 1200 He177 in tutte le sue varianti, anche se di operativi pare ce ne furono al massimo 200. Praticamente niente in confronto ai 12730 B-17, 18500 B-24 e 7377 Avro Lancaster prodotti. Di He 177 se ne persero più per guasti ai motori che per azioni di combattimento dimostrandosi più letale per i suoi equipaggi che per gli obiettivi che avrebbe dovuto colpire. Quelli che si salvarono dall’autocombustione o dai bombardamenti furono requisiti e studiati dagli alleati che lo trovarono molto interessante ma anche problematico e alla fine tutti gli esemplari furono distrutti per riciclare il prezioso metallo di cui erano fatti.
Interessante articolo su di un aereo che nelle sue tante vicissitudini progettuali ben incarna come a volte l’antagonista maggiore non sia il Nemico ma l’ignoranza abissale di chi, pur affatto competente, deteneva il potere di assumere decisioni errate.
Il Greif aveva pero’ un suo fascino.
Ma il Do 19 sembra o no il fratello brutto dello Short Stirling?
Ottimo articolo, approfondito e ironico. La foto del B 17 con i motori in linea Allison una vera chicca! complimenti.
interessantissimo! come sempre. Bravi!
Bellissimo articolo che dimostra notevole competenza.
L’efficacia del bombardamento strategico è messa in dubbio dalla maggior parte degli storici militari, soprattutto in rapporto alle perdite subite. La focalizzazione della Luftwaffe sul bombardamento tattico in stretto coordinamento con le truppe di terra aveva contribuito grandemente ai risultati dei primi anni di guerra.
Per il resto la storia dello sviluppo dell’aereo è molto interessante.
Ahhhh i Tedeski sono pure dei progettisti capaci eh; quello che li frega é la loro contorta filosofia progettuale.
Riasumibile piû o meno in ció “perché fare un oggetto con 10 pezzi semplici ed economici quando lo puoi fare con 150 pezzi cari come LIRADDIO e funziona benissimo?” (finché funziona)
Solo la assurda complicatezza dei loro mezzi meccanici mette in serio dubbio il loro funziomamento peró funzionavano, evidentemente avevano scambiato il costruire i mezzi da guerra come una competizione a chi lo ha piû complicato invece che piû grosso!
Bel servizio, peccato non contempla il proseguo del progetto HE 177B, culminato nell’ HE 274, utilizzato dalla Arme de l’air, fino al 1953 per ricerche ad alta quota.
Guardando l’ultima foto dell’articolo, non riesco a ignorare una leggera somiglianza nelle proporzioni con il B-52 che nacque in casa Boeing meno di 10 anni dopo… Che gli yankees, come al solito, abbiano preso spunto da idee altrui ?