DISCLAIMER: visto che alcuni hanno iniziato a farlo notare, il riferimento del titolo è limitato ai motori a BENZINA, lasciate stare i motori diesel navali.
———–
A volte, sempre più spesso a dire il vero, per trovare qualche figata meccanica made in Italy, ci tocca andare a scomodare epoche dimenticate. Duole dirlo ma è così, ci siamo persi per strada e oggi continuiamo a vivere di glorie ed eccellenze che, quando va bene sono completamente scomparse (e quindi godono dell’onore dei nostalgici) mentre quando va male sono agonizzanti sotto a promesse e comunicati stampa che odorano di vaselina. Mentre quindi vi eatate un po’ di food, drinkando un cocktailz sharando qualche posts, beccatevi ‘sta storia che vi farà sentire orgogliosi di essere italiani e, la speranza è quella, vi farà anche un po’ incazzare pensando alla desolazione socioculturale che ci circonda, dannato capitalismo neoliberista.
Per introdurre il glorioso pezzo di ferro di cui parleremo oggi dobbiamo tornare brevemente ai tempi della Coppa Schneider che se non sapete di cosa stia parlando, potrete rimediare tranquillamente cliccando QUI, ci vediamo dopo.
Per tutti gli altri e i fan più accaniti di RS che non si perdono un articolo nemmeno per sfiga, procediamo.
La prossima edizione della Coppa Schneider è quella del 1931 e dopo le batoste degli ultimi anni gli italiani sono decisi come non mai a riprendersi l’ambito trofeo e a far vedere al mondo la superiorità dell’alato prodotto italico e il valore dei suoi ardimentosi aviatori (ricordiamo che c’era già il Duce al governo, dimostrare il proprio valore era fondamentale, specialmente nei confronti degli inglesi). Era il giugno del 1931 quando a Desenzano, davanti agli occhi increduli dei giovani piloti del Reparto Alta Velocità (il famoso RAV), fece la sua apparizione il micidiale Macchi MC.72, l’idrocorsa progettato da Mario Castoldi (ma MC. stava per Macchi Castoldi) che avrebbe dovuto sfidare e asfaltare gli inglesi grazie al suo possente motore, il Fiat Aviazione Spinto 6, AS.6 per gli amici, progettato dall’ingegner Zerbi.
Bello, sinuoso, affilato, potente in ogni suo dettaglio, il Macchi MC.72 sarà il cerbero alato contro cui si scontreranno tutte le certezze e speranze degli italiani. Bello oltre ogni limite e pericoloso come la vita vissuta, quest’aereo mise la parola fine alle vicende di diversi allievi del RAV, tra cui Giovanni Monti (già calciatore del Padova) e Stanislao Bellini. La leggenda vuole che, mentre l’aeroplano di Bellini esplodeva in volo in una nuvola di metallo, legno e sangue, Mario Castoldi, che stava assistendo alla scena, si mise a gridare “no! Il mio apparecchio, il mio apparecchio!!”, creatore straziato nel vedere la sua meraviglia sbriciolarsi portandosi dietro la vita di uno dei migliori velocisti dell’epoca.
«Valoroso capitano aviatore, pilota ardito ed abilissimo, incontrava gloriosa morte durante un tentativo per toccare le più alte velocità. Desenzano sul Garda, 10 settembre 1931.
— Bollettino Ufficiale Aeronautico 24 ottobre 1931
Dopo Bellini erano rimasti solo due piloti con il passaggio sul 72, Ariosto Neri e Francesco Agello. Il primo di questi due andò perduto martedì 6 settembre 1932 a bordo di un Fiat CR.20, inabissatosi nel lago dopo una manovra forse un po’ troppo ardita, non tanto per Ariosto ma per l’aereo sicuramente. Rimaneva solo Agello a confrontarsi con il temibile settantadue e il suo possente motore Fiat AS.6, un piccolo Davide contro un Golia che sputava lingue di fuoco dalle sue 24 marmitte.
Il Fiat AS.6, un bel problema.
Sì perché se il Macchi era un ottimo apparecchio, il problema era il motore attorno cui l’aereo era stato costruito. Per riuscire infatti a battere gli inglesi, il Ministero dell’Aria aveva ordinato alla Fiat la costruzione di un’unità capace di almeno 2.300CV per un peso massimo di 840kg e un consumo di carburante non superiore ai 250 grammi/ora per CV. Siccome fino a quel momento il massimo raggiunto era il Fiat AS.5 da circa 1000 CV (montato sull’idrocorsa Fiat C.29), si capisce in fretta che l’operazione non era proprio immediata.
Mettiamoci quindi nei panni degli ingegneri Fiat dell’epoca: per aumentare la potenza di un motore, di solito puoi
- aumentare la cilindrata
- aumentare il massimo numero di giri
- aumentare la pressione media effettiva (p.m.e.) in camera di scoppio
- aumentare il rapporto di compressione
La prima è la più ovvia (chiedete agli americani) ma presenta la controindicazione di aumentare peso, consumo e dimensioni del motore (continuate a chiedere agli americani). La seconda ha un limite immediato: le estremità dell’elica – che si avvita nell’aria e non la spinge indietro – non possono superare la barriera del suono, pena la sua entrata in cavitazione e totale perdita della sua efficienza. Per aumentare la p.m.e. si può usare un compressore, il quale però assorbe a sua volta potenza e esige un carburante idoneo alle nuove condizioni termodinamiche del motore, il quale avrà bisogno di nuovi e migliori materiali per resistere alle sollecitazioni date dal nuovo carburante. Lo stesso vale per il rapporto di compressione, il cui aumento richiede che le componenti meccaniche del motore siano pronte a sopportare le rinnovate sollecitazioni date dalla maggiore pressione.
Era proprio grazie ad una migliore tecnica e disponibilità metallurgica che gli inglesi, già nel 1929, riuscivano a tirare fuori 1.900 CV dai V12 Rolls Royce R, che giravano con una p.m.e. di 1,1 atm (contro lo 0,35 dei primi Fiat AS.6) e un rapporto di compressione di ben 10.1, il tutto senza grossi problemi di sorta. Se all’inizio pensò di potenziare il vecchio caro Fiat AS.5 con un compressore centrifugo e di aumentarne il rapporto di compressione, l’ing. Tranquillo Zerbi (a capo del team di motoristi Fiat) si rese conto piuttosto in fretta che quel motore non avrebbe mai raggiunto la potenza richiesta.
Per riuscire quindi nell’impresa l’inge. Zerbi, decise di adeguarsi alla filosofia dettata da Guglielmo di Occam.
«Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora.»
“È inutile fare con più ciò che si può fare con meno”, detto, fatto: in un impeto di genialità degno degli sceneggiatori di Boris, Zerbi decise di unire in tandem (uno dietro all’altro n.d.r.) due motori Fiat AS.5 da circa 1000 CV, ciascuno dei quali azionante un’elica, dando così vita ad un grosso 24 cilindri a V di 60° con doppio albero a camme in testa, 4 valvole per cilindro, compressore centrifugo e azionante due eliche controrotanti. I motori erano indipendenti nel loro funzionamento e quello posteriore azionava l’elica anteriore attraverso un albero lungo 1,77 metri che passava all’interno dell’albero del motore anteriore (lungo 1, 334 metri) il quale invece azionava l’elica posteriore. La cilindrata totale superava i 50 litri (24 cilindri con un alesaggio di 138mm e una corsa di 140mm) e nello spazio compreso fra i due V12 (di fatti sarebbe più giusto indicarlo come un bimotore) trovava posto un complesso riduttore (la cui rottura portò all’incidente che permetteva alle due eliche di girare contemporaneamente allo stesso numero di giri ma in senso contrario.
NEL 1931. Nel 1931 l’Italia si inventava una soluzione che ancora oggi i Tupolev Tu.92 Bear utilizzano.
Le due eliche controrotanti coassiali misero subito in mostra grandi pregi, su tutto il totale annullamento della coppia motore – problema piuttosto fastidioso in decollo, ricordo ancora le sberle dell’istruttore sulla coscia “pedale, pedale, pedale!”. Oltre a questo, il loro rendimento si mostrò maggiore di quello della somma di due eliche singole, consentendo così di contenere il loro diametro in soli 2,59 metri, limitando gli spruzzi d’acqua e anzi consentendo di tenere l’aeroplano più basso sugli scarponi (= più aerodinamico). Questi purtroppo furono però i primi pregi di un motore che, visto anche l’azzardo del progetto, non tardò a presentare il conto: all’inizio si resero necessari dei nuovi cuscinetti per l’asse cavo esterno e un nuovo compressore centrifugo, la cui girante ruotava a 17.000 giri al minuto (asportando circa 250 CV) per una sovrapressione di 0,45 bar, poi alzati a 19.000 in fase di caccia al record.
– Nella vista posteriore del motore si notano i due carburatori doppio corpo pronti per dar da mangiare al compressore. Sotto di questo ci sono le pompe benzina e i due magneti di accensione della Magneti Marelli di Bologna –
Altri guai arrivarono dalla frizione che separava l’albero motore da quello del compressore, la quale -una volta innestata- faceva saltare i denti del pignone di collegamento. Problema risolto dimensionando opportunamente il pignone. Poi c’erano le valvole, che il motore tendeva a bruciare senza pietà: i tecnici Fiat testarono circa 1000 valvole diverse utilizzando 10 diversi tipi di acciaio prima di trovare una soluzione che resistesse al calore e allo stress. Ulteriori problemi derivarono dalla scarsa qualità delle benzine di cui l’Italia disponeva, che non permettevano di salire troppo con il rapporto di compressione, dando vita a fastidiosi fenomeni di detonazione (gli inglesi utilizzavano miscele cosiddette “fredde”, migliori di quelle italiane e più resistenti alla detonazione); la questione si risolse aggiungendo Piombo Tetraetile nella benzina, aumentandone il numero di Ottano e rendendola meno soggetta a detonazione. Il corretto raffreddamento del motore richiedeva superfici radianti sparse su praticamente tutto l’aeroplano (erano radiatori superficiali di tipo Curtiss), comprese le ali e i montanti di supporto dei galleggianti i quali ospitavano il carburante e quattro filtri dell’olio. Insomma, ci furono parecchie gatte da pelare con questo signor motore ma sicuramente il problema peggiore fu quello dei ritorni di fiamma, che ritardò di parecchi anni lo sviluppo di questo prodigio di tecnica e coraggio.
Oh fammi un bang!
Ammettilo, quanto ti piacerebbe avere una macchina che sfiamma dalla marmitta ad ogni cambio marcia? Lo so, è una figata, ma se i ritorni di fiamma ti si presentano su un aeroplano costruito in alluminio e legno (i galleggianti erano di compensato) la faccenda diventa pericolosa. I ritorni di fiamma danno vita a vibrazioni e contraccolpi – stiamo parlando di un motore lungo 3,6 metri e pesante 930 kg – che possono mettere in seria crisi la struttura dell’aereo con il concreto rischio che questo vada in pezzi. Con il pilota dentro.
Ci vollero tutto il 1931 e buona parte del 1932, quasi 18 mesi e una marea di esperimenti – di cui alcuni con tutti i condotti di carburante in tubi trasparenti per capire cosa diavolo succedeva – per rendersi conto che a piena potenza il Fiat AS.6 consumava più carburante di quanto ne potesse affluire alle vaschette dei carburatori. Queste quindi si svuotavano, impoverendo la miscela prima e lasciando il motore senza benzina poi. Vennero così riprogettati i quattro carburatori, i maledetti ritorni di fiamma scomparvero e il motore fu in grado di arrivare ad erogare un massimo di 3.100 CV a 3.300 giri al minuto. Mai, mai, nessun altro motore italiano è riuscito a generare tanta rabbiosa potenza.
Fu un’impresa eroica, frutto del lavoro di uomini veri. Una storia di meccanica ed eroismo, di notti insonni e di brutte pugnette ma, una volta messo a punto il motore, l’Italia finalmente potè riconquistare quel record che inseguiva da anni. Toccò a Francesco Agello e al suo incredibile manico portare in volo il Macchi MC.72 e far segnare una velocità massima di 711,462 km/h, record tutt’ora imbattuto. Nessun idrovolante con motore a pistoni ha mai volato più veloce del MC.72 di Agello nel 1934. Mai.
NOTA FINALE: In molti si domandano come sia possibile che, sviluppato l’AS.6 e il MC.72, l’Italia si presentò alla festa del 1939 con dei modesti Fiat CR.42 o, ancora, come mai tutti i motori che equipaggiarono la strepitosa “Serie 5” dei caccia italiani utilizzava motori costruiti su licenza Daimler (erano dei DB 601 e 605 ribadgiati Alfa Romeo).
– Motore Alfa Romeo RA1000 ovvero un Daimler-Benz DB 601 costruito a Milano –
La questione è complessa e ancora oggetto di studi: intanto bisogna dire che un aereo e un motore da combattimento non hanno nulla a che spartire con un aereo e un motore da record. Per quanto bello, l’MC.72 non possedeva assolutamente le doti di agilità o manovrabilità che in un combattimento separano la vita dalla morte. Idem per i motori: un propulsore da record, per quanto veloce, non può garantire l’affidabilità che si richiede ad un aereo da combattimento e non ha capacità ad alta quota (d’altronde non era richiesta) e utilizza benzine speciali difficilmente disponibili in grandi quantità. Inoltre il Fiat AS.6, per quanto affascinante e ingegneristicamente avanzato, non era assolutamente questo prodigio di termodinamica, gli ultimi Rolls Royce R sviluppavano una potenza simile nel 70% della cilindrata e con la metà dei cilindri.
A questo infine si aggiungono alcune scelte politiche prese da Mussolini in persona; la Regia Aeronautica decise di adottare in via esclusiva a partire dal 1933 motori radiali raffreddati ad aria, giustificando questa scelta con la loro maggiore semplicità costruttiva e d’impiego e con la minore vulnerabilità rispetto a quella dei motori in linea raffreddati ad acqua (se colpito da un proiettile un motore stellare può funzionare anche con uno o più cilindri fuori uso, uno raffreddato a liquido no). L’esperienza italiana verso questi tipi di motori tuttavia era molto limitata e nel 1934 le principali case motoristiche nazionali si affrettarono a chiedere le licenze di produzione di motori che venivano già costruiti all’estero. La Fiat all’inizio ottenne dalla Pratt & Whitney la licenza del Twin Wasp e quella dell’Hornet ma, a causa delle sanzioni seguite alla guerra d’Etiopia del 1935, questa fornitura si interruppe obbligando la Regia Aeronautica a fare ricorso ai motori tedeschi Daimler-Benz DB 601.
Sono passati oramai 90 anni da quel 1931 e nel frattempo la cultura meccanica su cui l’Italia ha piantato le fondamenta e di cui ancora va fiera (quando a qualche ufficio marketing fa comodo) è andata a putt allo sfascio: gli istituti tecnici sono vuoti, ritrovi per gente di Serie B, per poveri provincialotti troppo poco fichi per frequentare i borghesi licei del centro città. Non sappiamo come andrà nel futuro, vedendo l’aria che tira e le nuove generazioni, forse male, ma dal canto nostro possiamo solo aspettare e sperare, con il cuore sporco di grasso e una passione per la meccanica dura a morire.
Segnaliamo infine che gli idrocorsa e un Fiat AS.6 (più decine di altri aeroplani da pelle d’oca, Spillone compreso) sono conservati presso il museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, fateci un giretto, non ve ne pentirete.
Cioè sostieni che in Italia non si sia mai fatto un motore navale?
Sostengo che basterebbe leggere l’articolo, nemmeno tutto eh, bastano le prime tre righe
Bell’articolo di approfondimento su di un aereo che adoro e che appena posso vado a vedere al museo di Vigna di Valle. Sono curioso su dove hai trovato tutti i riferimenti per l’articolo visto che nemmeno al museo ci sono tutte queste informazioni sull’aereo che espongono. Grazie!
nessuna menzione di Mr. Banks?
Quoto Ardosav,,!
Amore in volo
(un omaggio per l’ing. Castoldi , Zerbi e Macchi”.
Per la loro stupenda creatura “MC72”)
Fisso lo sguardo,
sulla tua lunga, rossa fusoliera,
entro in stallo e vado fuori fase.
Due motori che si amano
han procreato la bellezza
di ventiquattro cilindri
e i cavalli son talmente tanti
che al posto delle pecore
nelle notti insonni contandoli
serenamente potrei addormentarmi.
Sbordo per un attimo
sulle tue lunghe ali
un breve volo in acqua
e mi rituffo nel cielo,
in alto quanto basta
per non recare danni.
Discendo delicatamente
le tue lunghe esili gambe
e sosto sereno, galleggiando
sui grandi e sicuri stivali.
Flavio Trevisani@.
(tutti i diritti riservati)
28/05/2019
Eroi e luoghi dimenticati
In questo luogo sperduto e remoto sorge un casello, dimenticato dalle genti,
dalla storia e quasi dalla memoria.
Esiste anche un suo fratello, ed è a giusta distanza, tre chilometri esatti perché è abbastanza.
Abbastanza per calcolare la velocità dei lampi nel cielo quasi cent’anni fa.
Persone motivate si inoltravano fin quassù, per intercettare nel cielo blu i nostri eroi.
Agello, Bernardi Monti Dal Molin, ferrarin ed altri ancora, che con coraggio,
hanno rischiato e dato la vita con orgoglio e sempre in vantaggio.
Per noi e la nostra storia, per farci sentire un po’ fieri ed eroi.
A Desenzano, sul lago blu simile ad un letto infinito, spiccavano il volo ,
per poi in questi luoghi e in questo cielo, raggiungere l’estremo.
Cinquecento, seicento e ancora, ancora. Fino all’infinito, fino ad essere degli allori insignito.
Quei settecento nove chilometri all’ora, che tutt’oggi con un motore a pistoni nessuno ha superato ancora.
per voi eterno è ancora l’onore e la gloria, di quel giorno in cui ci avete regalato, un record mai violato.
Flavio Trevisani. 18/05/2018. (Manerba del Garda
Dedicato a tutti gli avieri del reparto alta velocità di Desenzano.1928/1934
E per mio nonno (Trevisani Giuseppe) maresciallo fotografo dell’aereonautica,
prima militare, e una volta congedato come dipendente civile al 6° stormo di Ghedi. dal 1924 al 1971
.
Top..
Approfondite e parlate del Motore Aeronautico Fiat AS 8 dell’Ing. Zerbi a 16 Cilindri.
Carissimo Direttore,
Un articolo bellissimo che per imprese e bellezza del motore e dei suoi eroi, mi ha fatto divagare sull’ altrettanto stupefacente Savoia Marchetti S55X pilotato da un tale G. Marconi.. sarebbe affascinante leggere un articolo su quel ferro così maschio degno di questa rubrica. Cordiali saluti!!
Bell’articolo ! Grazie.
Ciao a tutti. Bellissimo articolo, come sempre.
Segnalo solo che le eliche aeronautiche non vanno mai in cavitazione.
Questo fenomeno avviene solo nelle eliche navali, dove in zone a bassa pressione il fluido evapora generando bolle di vapore.
In generale le eliche per aerei non possono superare la velocità del suono perché vengono a crearsi delle onde di pressione (onde di shock) nelle sezioni di passaggio da regime subsonico a supersonico.
Saluti da un ingegnere giovane, ma di vecchia scuola 🙂
E finalmente, l’AS6 è tornato a ruggire. Ed io c’ero! Bell’articolo.
Fffantastico!!! Sono felice ci sia qualcuno serio anche in Italia. Sono stat a Bracciano ad agosto.