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Martin General WB-57f, 60 anni tra le nuvole, anzi molto molto più in alto

Quando si parla di limiti, mi viene automatico pensare a quegli strumenti matematici il cui calcolo permette di studiare il comportamento delle funzioni nell’intorno di un punto o all’infinito.

Ho provato migliaia di volte a capirli quando frequentavo l’ITIS ma era una tragedia, non mi entravano proprio nella zucca, anche perché quando si cominciava a parlare di seni (e coseni), la mia mente di adolescente in piena tempesta ormonale vagava per ben più rosee e morbide colline. Di conseguenza il voto in pagella era ben lontano dalla sufficienza.

Calcoliamo ora Il limite tendente ad infinito della Funzione di Fappening...

Ma la parola limite può avere molti altri significati, quindi lasciamo la matematica a chi è capace di comprenderla e concentriamoci su quanto è scritto nel vocabolario alla voce limite:

Valore dal quale risulta condizionata l’entità o l’estensione di un’attività, di un’azione, di un comportamento, di una prestazione o di una proprietà caratteristica.

Ovvero un qualcosa oltre il quale non è possibile andare (almeno in teoria). Sapete perché l’uomo a differenza degli altri esseri viventi si è evoluto e sviluppato arrivando a dominare (e rovinare) il mondo a lui circostante? Perché ha sempre voluto superare i propri limiti.

Parliamoci chiaro: a una scimmia non frega un cazzo niente di vedere fin dove può arrampicarsi, come ad uno gnu non viene in mente di fare a gara col ghepardo per vedere chi va più veloce. Gli altri animali della terra, saggiamente, hanno trovato il loro status quo: mangiano, dormono, trombano si riproducono e vivono felici! Che altro devono fare? Perché complicarsi la vita?

 

Cazz! Ho dimenticato di ordinare Di Brutto!!!

Ma l’uomo no. Evidentemente si annoiava o comunque in lui c’è sempre stato un innato spirito di competizione. Così, già molti millenni fa volle capire fin dove poteva scagliare una lancia, quanti mammuth poteva caricare senza morire schiacciato o quanta strada riusciva a fare nel minor tempo possibile prima di cadere a terra esausto. Ogni volta che quel limite veniva raggiunto, invece di essere una barriera invalicabile, diventava un punto di partenza da superare al prossimo tentativo. Questa voglia di andare sempre oltre ci ha portato al presente e, fateci caso, permea il nostro quotidiano. Cerchiamo sempre di superare i nostri limiti, per essere migliori di qualcuno o per dimostrare qualcosa all’umanità.

Tra i vari limiti scoperti e superati dall’uomo ce n’è uno molto particolare, che per molto tempo ha tenuto in scacco i novelli Icaro.

Sapete cosa è il limite di Armstrong? No, non è quanti boccali di birra poteva tracannare il buon Neil prima di trovarsi ad amoreggiare col water, ma è qualcosa di molto più serio.

Il limite di Armstrong, che prende il nome da Harry George Armstrong, fondatore del Dipartimento di Medicina Spaziale dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti, è il punto nello spazio in cui l’acqua bolle alla temperatura corporea, ovvero 37 °C.  E sapete dove si trova questo punto? Tranquilli è più facile che trovare il punto G di una donna.

Vi basta arrivare ad un’altitudine che va dai 18.900 ai 19.350 metri (dai 60.000 ai 62.000 piedi per i feticisti). C’è un piccolo problema però: a questa quota la pressione atmosferica è così bassa (6.3 kPa) che i fluidi corporei esposti all’aria come la saliva, le lacrime, quelli che inumidiscono i polmoni (ma non il sangue) cominciano a bollire.

Ecco cosa accade ad un recipiente pieno di acqua alla pressione di 6.3 kPa a 37 °C di temperatura

Ma perché succede questo? Il motivo è lo stesso che rende il caffè fatto in alta montagna è una ciofeca. Dal libro delle medie abbiamo imparato che un liquido passa allo stato gassoso (evaporazione) quando le molecole che lo compongono hanno abbastanza energia cinetica da rompere i legami che le tengono unite. Per capire meglio la questione bisogna introdurre il concetto di “tensione di vapore saturo”.

Perché un liquido vada in ebollizione molti pensano che basti riscaldarlo fino ad una temperatura specifica, che ad esempio per l’acqua è 100 °C. Tutto corretto, ma ci stiamo dimenticando una cosa fondamentale, ovvero che l’acqua bolle si a 100 °C ma solo a livello del mare! Quindi il punto di ebollizione di un liquido è determinato, oltre che dalla temperatura, anche dalla pressione.

All’interno di un sistema chiuso quando il liquido evapora (e ciò avviene a qualsiasi temperatura) le particelle di vapore, quindi gas, vanno a saturare la parte di aria sopra il liquido fino a che la  pressione generata fa da “tappo” alle altre molecole che vogliono “fuggire”.

Questa pressione che preme sulla superficie del liquido è appunto la tensione di vapore. Quando la tensione di vapore raggiunge la pressione totale del gas sulla superficie del liquido, questo bolle. Quindi se la pressione diminuisce, il “tappo” di vapore diventa più debole, le particelle con meno energia cinetica (quindi a temperatura più bassa) riescono a fuggire e il liquido bolle a una temperatura minore.

Si vabbè ma la storia del caffè? Allora, dovete sapere che per la corretta estrazione di un buon caffè, l’acqua che attraversa i chicchi che avete sapientemente macinato, deve avere una temperatura compresa tra i 90 e i 96 °C. A questa temperatura infatti il caffè rilascia tutte le sostanze aromatiche che fanno la distinzione tra un buon caffè e una sciacquatura di piatti. Se andate in alta montagna dove la pressione è molto più bassa di quella a livello del mare, l’acqua all’interno della caffettiera, una volta riscaldata, bollirà si ma ad una temperatura sensibilmente inferiore, impedendo quindi al caffè di potersi esprimere al meglio.  Per curiosità vi allego uno schemino semplice semplice che vi indica la temperatura di ebollizione dell’acqua a seconda dell’altitudine.

Torniamo a noi. Fin da quando i fratelli Wright spiccarono il primo volo con il loro trabiccolo aereo nel lontano 17 Dicembre 1903, per chiunque volasse gli obiettivi erano tre: farlo nel modo più veloce possibile, farlo per più tempo possibile e arrivare il più in alto possibile. Se i primi due erano più o meno alla portata degli aviatori, il terzo si scontrava con la resistenza del corpo umano. Da subito infatti, ci rese conto che per affrontare determinate quote c’era bisogno di nuovi ausili tecnici che aiutassero a respirare e a ripararsi dalle gelide temperature di quelle altitudini.

Già nel 1938 l’evoluzione della tecnologia permise al Colonnello Mario Pezzi, a bordo del suo Caproni Ca 161bis opportunamente modificato, di raggiungere la strabiliante quota di 17.083 metri, stabilendo il record ancora oggi imbattuto di altitudine per un aereo con motore a pistoni.

Ne ho viste di simili in alcune SPA

I primi esperimenti  sulla pressurizzazione partirono da vari tipi di cabine pressurizzate, come quella dell’aereo sperimentale Junkers Ju49. Ma una cabina è pesante e il peso è nemico di tutto ciò che voglia volare.

 

No, non è il batiscafo di Jules Verne ma la cabina del Ju 49

Verso la fine degli anni Trenta si scoprì che, per superare la quota critica del limite di Armstrong senza appesantire troppo il velivolo, bastava vestire il pilota con una tutina pressurizzata molto chic, che gli impediva di diventare una pentola a pressione umana.

Se all’inizio poteva essere vista come una sfida o un mero esperimento scientifico, presto fu chiaro che volare più in alto possibile aveva i suoi vantaggi strategici: uno dei tanti, probabilmente il più apprezzato, è che da lassù si può spiare cosa succede succede di sotto e senza nemmeno essere visti.

Cartolina da 70000 piedi, chi indovina l'aereo vince una bambolina!

Appurato che superare i 18000 metri è fattibile anche senza prendere il brevetto da astronauta, vediamo quali sono i mezzi per farlo. Non basta un Cessna, un Piper e nemmeno dirottare un 737, perché le quote oltre i 60.000 piedi sono appannaggio di pochissimi aerei. Quali? Alcuni sono sicuro che li conosciate a memoria, come l’SR-71 Blackbird, l’U2, l’F-104, il Mig -25 – il record per aerei a reazione è ancora suo di 37.650 m – 123.523,62 piedi!!! – o il Concorde, che poteva volare a 16.700 metri e che grazie alla pressurizzazione della cabina evitava ai passeggeri di indossare la poco pratica tutasalvalavitaBeghelli.  Ma tutti questi aerei sono ormai parcheggiati nei musei (o quasi).

Tipica fauna che si incontra a centomila e passa piedi:  SR-71, Mig-25 e Felix Baumgartner che scende a comprare le sigarette

Dopo tutto questo preambolo veniamo al protagonista dell’articolo di oggi. Ci credereste se vi dicessi che, seppur più raro delle palle di drago, esiste un aereo (in verità ne esistono tre) che riesce a volare a quasi 70.000 piedi, e che oltretutto lo fa quasi ininterrottamente da circa 60 anni?

Credeteci, perhé il Martin General WB-57f Canberra è un vero highlander dei cieli!

Per parlare di questo splendido, e semisconosciuto ai più, velivolo, bisogna fare un salto indietro nel tempo, più o meno agli anni Cinquanta. La Guerra di Corea era appena scoppiata e l’USAF aveva bisogno di un nuovo aereo da interdizione per sostituire i vecchi Douglas A26 Invaders che accusavano il peso degli anni. Così pubblicò il bando per un bombardiere tattico con velocità massima di 630 mph (1.020 km/h), che potesse volare a 40.000 piedi (12.190 m) e avesse una portata di 1.150 miglia (1.850 km). La piena capacità per tutte le stagioni e il ruolo secondario di ricognitore dovevano essere inclusi nel progetto.

Per velocizzare la pratica si esaminarono solo aerei già pronti. I contendenti erano: Martin XB-51, B-45 Tornado e AJ Savage. Insolitamente per un concorso per la difesa USA, vennero presi in considerazione anche prodotti stranieri, tra cui il canadese Avro Canada CF-100 Canuck e il nuovo British English Electric Canberra. Alla fine delle valutazioni fu l’inglese a vincere, con il suo nome che omaggiava il Commonwealth e la capitale Australiana (avete sempre creduto che fosse Sidney la capitale del regno dei canguri eh?). Ma visto che le linee produttive britanniche non ce la facevano a stare dietro alla domanda americana, la Martin chiese e ottenne il permesso di costruire il B-57 su licenza.

Fun fact one: Il 21 febbraio 1951, per essere valutato dall’USAF, un Canberra B.2 britannico pilotato da Roland Beamont divenne il primo jet a effettuare un volo senza scalo e senza rifornimento attraverso l’Oceano Atlantico.

Dato che il Camberra originale nasceva come aereo da ricognizione ed era privo di potenziale offensivo, venne subito modificato su richiesta dell’USAF. In particolare fu dotato di otto mitragliatrici Browning M3 (e in seguito quattro cannoni automatici M39 da 20 mm), mentre l’originale cabina disassata e “a bolla” fu radicalmente rivista e sostituita da una “in stile caccia” che migliorava la visibilità del pilota. Le altre modifiche riguardavano una stiva di bombardamento “rotante” che migliorava il tempo di spiegamento e la precisione delle bombe, gli aerofreni migliorati, quattro punti di attacco aggiuntivi sulle ali e l’aggiunta di un sistema di allarme radar. In questa configurazione prese il nome di B57b (bomber) e fu prodotto in circa 200 esemplari, comprese alcune varianti e prototipi con sistemi di interdizione notturna o altri tipi di armamenti, tra cui un minigun Gatling che spuntava da sotto la pancia.

 

B57-b modificato dall'USAF, si nota il nuovo cockpit e la loschissima livrea nera e rossa che fa molto Batmobile (quella vera)

Ma la fretta è cattiva consigliera e presto l’USAF scoprì che come aereo da supporto ravvicinato il B-57b non era del tutto adatto. Appena possibile lo sostituì con quel bagaglio dell’ F-100 Super Sabre. Cosa farsene ora dei B-57?

Il caso volle che nel 1952 venisse finanziato dal Wright Air Development Center lo studio per un aereo da ricognizione a turbogetto, con un raggio di 2000 miglia nautiche e capace di operare ad altitudini di 65.000 piedi (quota che oggi raggiunge pure un F-22, ma parliamo di 70 anni fa). Non era richiesto armamento né velocità supersonica e il B-57 cascava a fagiolo. Il progetto fu realizzato in gran segreto. Era noto come Weapon System MX-2147 e il nome in codice era Aquila Pelata (Bald Eagle).

Fun fact two: nel 1957 un Canberra equipaggiato con un paio di motori a razzo Napier Double Scorpion stabilì il record mondiale di altitudine salendo fino a 70310 piedi (21430 m).

Partendo dalla struttura base del B-57b vennero introdotte modifiche sostanziose. La più appariscente è senz’altro l’allungamento dell’ala fino ad arrivare a 106 piedi complessivi. Anche la corda dell’ala è stata aumentata, il che, combinato con la maggiore lunghezza, le ha conferito una capacità di portanza molto elevata.

Il secondo passo fu la sostituzione dei motori Wright J-65 con un paio di Pratt & Withney J-57 per una spinta totale di 20.000 libbre, circa 6.000 libbre in più rispetto ai due J-65 precedentemente installati. Altre modifiche includevano la rimozione di tutti i serbatoi di carburante dalla fusoliera e il loro spostamento nelle ali. Via tutto l’armamento difensivo e il sistema di sgancio bombe, oramai inutili, per far posto alle apparecchiature avioniche. Lo stabilizzatore orizzontale fu modificato nel tipo a incidenza variabile e furono aggiunti spoiler fuoribordo per assistere gli alettoni nel controllo dell’asse di rollio.

L’aereo fu sottoposto ad un ulteriore cura dimagrante che dott. Nosaradan scansate proprio. Le ali vennero costruite usando pannelli a nido d’ape e, per evitare il peso dei rivetti, vennero assemblate con una colla speciale. Il loro rivestimento è una pelle di cipolla, ma d’alluminio, così fina che se ci sputate sopra con forza rischiate di bucarla. Grazie a queste modifiche un RB-57d – questa la nuova nomenclatura dell’aereo – al decollo pesava poco più di un B-57 standard, nonostante i nuovi motori e le ali notevolmente più grandi.

le due versioni a confronto

Rispetto al predecessore per staccarsi da terra era sufficiente solo il 50% della potenza del motore e una corsa di appena 600 metri. Salendo con un inclinazione di 25-30 gradi, gli RB-57D potevano raggiungere i 50.000 piedi in soli 15 minuti. L’altitudine di crociera era di 65.000 piedi e i piloti indossavano ovviamente tute pressurizzate. Inoltre era molto “risparmioso”: con oltre 200 galloni in meno rispetto a un B-57 di serie, il Canberra poteva stare in aria circa sette ore rispetto alle quattro della precedente versione.

Ma se farlo decollare era uno scherzo, metterlo a terra dopo una missione non lo era affatto, poiché la grande ala risultava avere sempre molta portanza (stesso problema che poi ebbe anche l’U2). Anche con i motori al minimo si era sempre troppo veloci per l’atterraggio. Non bastavano spoiler, flap, carrelli, ancore e bestemmie dei piloti a rallentarlo. Per effettuare la manovra bisognava effettuare una serie di piccoli stalli, cercando di far toccare terra all’aereo ad una velocità consona a fermarsi entro il limite della pista che sembrava sempre troppo corta.

Dal 1956 l’RB-57d operò parecchie missioni in tutto il mondo come osservatore strategico per conto dell’USAF e delle agenzie governative. Ma nel 1964, un po’ perché arrivò quel gran figo dell’U2 (no, non Bono Vox), un po’ perché la struttura dell’ala – progettata per 500 ore di volo – dopo anni di missioni dava inizio a cedimenti antieconomici da riparare, l’RB-57d sembrava destinato al ragno meccanico… sembrava.

Era buono anche per andare a  funghi

Nel 1963 la General Dynamics aveva il contratto per la manutenzione dei Canberra, quando fu presentata dall’aereonautica militare la richiesta per un ricognitore d’alta quota con prestazioni migliori del RB-57d. Lupus in fabula!

Come diceva un certo Lavoiser: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Alla General Dynamics presero questa cosa alla lettera. Raccattarono un paio di aerei che marcivano in attesa della pressa (erano il 52-1589 e il 53-3864), li smontarono e ricostruirono praticamente da zero secondo le nuove necessità. Le ali divennero ancora più grandi arrivando alla lunghezza record di 122 piedi (20 più di quelle di un U2). Lo stabilizzatore verticale fu ingrandito fino a 19 piedi raddoppiandone l’area, modifica resasi necessaria per il controllo dell’imbardata ad altitudini molto elevate (fino a 80.000 piedi). Il muso venne allungato per ospitare nuovi radar e sensori (ora assomigliava molto ad un Avro CF-100 Canuk sotto steroidi).

 

Quanto le facciamo grandi le ali?

Ovviamente venne pompato DI BRUTTO anche il reparto motoristico. Via i vetusti turbogetti J-57 e diamo il benvenuto a due grossi e nuovissimi turbofan Pratt & Withney TF33-P-11 da 16000 libbre di spinta cadauno, che permettono una velocità di oltre 750 km/h. Questi motori, i primi turbofan prodotti dalla Pratt &Withney, a differenza dei vecchi turbogetto erano molto più efficienti ed erano gli stessi che (in versioni potenziate e in maggior numero) equipaggiavano i Boeing 707 e Douglas Dc-8. Larghissimo e bassissimo, visto frontalmente fa davvero impressione, con i due ventoloni ai lati che quasi fanno sparire la cellula centrale. Quando è a terra le ali sono così lunghe che si flettono e a momenti toccano terra alle estremità. Si dice che la notte passando vicino agli aerei parcheggiati si sentano i gemiti dei rivetti di tenuta delle travi alari. Il suo peso al decollo di appena 72000 libbre, in volo lo rende agile come una ballerina.

L'assetto ribassato SPAX era di serie

Ma già che siamo in argomento, potevamo privarvi di un bel PIPPONE TECNOLOGICO® sulla differenza tra turbogetto e turboventola?

Anche se i primi embrionali esperimenti di motore a reazione risalgono agli inizi del XX° secolo grazie al progettista rumeno Henri Coanda, per vedere i primi motori turbojet come li intendiamo oggi bisogna saltare agli anni Quaranta, quando presero forma le idee di Campini (per il Caproni-Campini C.C.2), poi quelle di Frank Whittle, che diedero vita al de Havilland Goblin, un motore a reazione a flusso centrifugo, e infine quelle di Anselm Franz che sviluppò il Jumo 004, cioè il primo motore turbogetto a flusso assiale.

In un turbogetto, una presa d’aria dirige il flusso in un compressore che attraverso varie turbine (stadi) aumenta la pressione e la temperatura del flusso d’aria, che viene quindi immesso nella camera di combustione, dove mischiato al carburante viene acceso. Dopo la combustione, il gas ad alta temperatura e ad alta pressione viene accelerato ed espanso nella parte posteriore della turbina detta a bassa pressione, dando spinta. In soldoni, i turbogetto ottengono tutta la loro energia dai gas di scarico.

I turbogetti hanno un flusso di bypass pari a zero (ovvero nessun flusso “freddo” attorno al nucleo) e diventano efficienti solo a velocità supersoniche. A bassa velocità, invec,e rendono poco e bevono come una mandria di gnu dopo la migrazione, specialmente nella versione con postbruciatore, riconoscibile dall’apposito patacco che Rollingsteel fornisce in esclusiva ai vari produttori di turbine. 

Il  turbofan è una variante moderna del turbogetto e si differenzia da questo principalmente per il fatto che al disegno iniziale viene integrata una ventola intubata sul primo stadio del motore, il cui flusso non partecipa interamente al processo di combustione. Al posto di un solo albero motore, può avere due o tre alberi concentrici, generalmente controrotanti e azionanti organi diversi. La ventola crea due flussi distinti, uno indicabile come “freddo”, rappresentato dal flusso che attraversa la sola ventola ed uno “caldo”, che attraversa l’intera serie componenti, per poi eventualmente ricongiungersi con il flusso freddo nella sezione finale del motore, ovvero nell’ugello di scarico. Questi due flussi possono essere espulsi separatamente o dopo un opportuno processo di mixing, dando vita a due diverse configurazioni possibili di turbofan: turbofan a flussi separati e turbofan a flussi associati.

schema di un turbogetto (in basso anche con postbruciatore)
Schema di un turbofan

I turbofan sono in genere suddivisi in due categorie: rapporto di bypass basso e rapporto di bypass alto, come illustrato sopra. Il rapporto di bypass (indicato dalla sigla BPR) si riferisce al rapporto tra l’aria in ingresso che passa attraverso i condotti perimetrali rispetto all’aria in ingresso che passa attraverso il centro. In un turboventola a bypass basso, solo una piccola quantità di aria passa attraverso i condotti e la ventola ha un diametro molto piccolo. In uno ad alto bypass, invece, la ventola è molto più grande per poter così immettere un volume d’aria più grande. Il turbofan a bypass basso è più compatto, ma il turbofan a bypass alto può produrre una spinta molto maggiore, è più efficiente in termini di consumo di carburante e molto più silenzioso, di contro è parecchio più ingombrante.

Questo detto in parole spicce, se volete sapere vita morte e miracoli di questo tipo di motori non potete perdervi i fantastici video fatti dal nostro Direttore sul canale Youtube di Rollingsteel

Fine PIPPONE TECNOLOGICO®

Se i due grossi motoroni non bastavano, il nuovo WB-57f all’occorrenza poteva diventare anche un quadrimotore. Infatti a seconda della missione veniva dotato di due turbojet Pratt & Whitney J60 montati in appositi pod subalari. Questi motori ausiliari servivano come booster in quota, non erano dotati di motorini di avviamento e dovevano essere quindi avviati mentre l’aereo era in volo. Ad altitudini superiori a 40.000 piedi, i J60 generavano circa 6600 libbre di spinta supplementari e aumentavano l’altitudine massima raggiungibile dall’WB-57F di ulteriori 2.000 o 3.000 piedi.

Il WB-57f in versione quadrimotore

Il WB-57f fu dotato di tutta la più sofisticata tecnologia disponibile, tra cui fotocamere capaci di contare i peli del culo a una formica da 10000 metri d’altezza, videocamere ad infrarossi, radar, scanner e chi più ne ha più ne metta. Sotto le sue ali, su appositi supporti e oltre ai due motori booster, possono essere installati sensori di ogni tipo. Per le varie attrezzature dove prima venivano stivate pillole di democrazia da qualche centinaio di libbre, è stato creato uno scomparto centrale amovibile (se volete vederne tutti i segreti cliccate qui).

Anche se ufficiosamente assegnati al Weather Reconnaissance Wing per missioni di tipo meteorologico, i 19 esemplari costruiti vennero ampiamente, e proficuamente, usati come spioni dal governo americano e non (su richiesta infatti venivano noleggiati ad altri governi “amici”) almeno fino al 1974, quando un certo SR-71 e compagnia li dirottarono sulla via del pensionamento… almeno in teoria.

Quando già intravedevano la ben meritata pensione, due di questi aerei vennero “adottati” dalla NASA per i suoi programmi speciali. La NASA infatti non si preoccupa solo di spedire suppostoni TURBOPOMPATI nello spazio, ma anche di monitorare tempeste e uragani, studiare densità e spessore delle nubi, seguire le eclissi e campionare tutto ciò che aleggia nei vari strati dell’atmosfera (polveri, particelle radioattive, madonne…).

Per questo nel tempo ha messo su una discreta flotta: un 747SP (Sport Production) con telescopio incorporato, un U2 che ha ribattezzato ER2, qualche drone GlobalHawk e appunto i vecchi WB-57f. l’ER-2 e il drone Global Hawk, volano anche più alti del vecchio Canberra e offrono una portata e una durata di volo maggiori. Ma il Canberra può trasportare tre volte il carico utile dell’ER-2 e più di quattro volte quello del Global Hawk. Tale capacità consente al WB-57f di trasportare più di due dozzine di strumenti, distribuiti sul muso, nell’ampio vano di carico, nei ripostigli delle ali e nei pod montati sotto di queste. Il Canberra è anche l’unico dei tre velivoli da ricerca in grado di trasportare un membro dell’equipaggio sul sedile posteriore per azionare gli strumenti e trasmettere i dati a una squadra a terra togliendo al pilota ogni incombenza estranea al volo.

Una parte della speciale flotta della NASA, i suppostoni per andare nello spazio sono in un capannone a parte.

Ma i WB57-f non si sono occupati solo di cose scientifiche, si sono infatti prestati anche ad operazioni molto più underground. Sono stati infatti segnalati più di qualche volta nei cieli dell’Afghanistan. Che ci facevano li? Di certo non analizzavano i granelli delle tempeste di sabbia.

Bisogna fare una premessa. Se ci ragionate, il nemico numero uno della tecnologia è la tecnologia stessa. Come questa avanza, tutto quello che c’era prima diventa obsoleto e spesso inutile. In Afghanistan per esempio, sotto la bandiera a stelle e strisce operavano mezzi molto diversi tra loro, truppe a terra (motorizzate e non), A-10 (BRRRRT), F-15, F-16 e i nuovissimi F-22 nei cieli. Un bel mix eterogeneo e la cosa brutta era che ognuno comunicava con il proprio protocollo. Gli F-16 più recenti utilizzano una versione del Link 16 e quelli precedenti un’altra. Anche gli A-10 e gli F-15 utilizzano ciascuno diverse edizioni di Link 16 che non sono sempre compatibili. Gli F-22 sono i peggiori, utilizzando l’Intra-Flight Data Link che gli consente di connettersi solo ad altri F-22. Aggiungeteci l’esercito, la marina e i marines, non dimentichiamo anche i militari alleati, e avremo una Babele di segnali, con i rischi connessi sul non capire una minchia niente sugli ordini inviati e il serio rischio di farsi sparare addosso dai propri compagni. Come risolvere il problema? Bhe facile! Da bravi americani gli statunitensi risolsero tutto usando la pancetta o come la chiamano loro: bacon.

Bella croccante!

Ovviamente non stiamo parlando dell’untuoso e saporito salume ma del ben più sofisticato BACN, un traduttore radio ad altissima tecnologia progettato per collegare praticamente qualsiasi caccia, bombardiere, aereo spia e radio di terra a… praticamente qualsiasi altro caccia, bombardiere, aereo spia e radio terrestre. In fase sperimentale durante le prime fasi del conflitto, i Wb-57f sono stati dotati del BACN e, volando ad alta quota sulle zone di guerra ben al sicuro dalle minacce che provenientei da terra, hanno permesso lo sviluppo di questa interfaccia che riceveva, rielaborava e ritrasmetteva i segnali, permettendo a tutte le truppe alleate di poter parlare tra di loro evitando qualche disastro.

Proprio grazie a queste sue capacità e alla sua versatilità, la NASA non solo si tiene stretti i suoi vecchi WB-57f, ma ne ha ripescato un terzo che dormiva sotto il sole nel boneyard Davis-Monthan dell’Arizona: il 63-13295. Per rimetterlo in sesto è stato effettuato un vero e proprio restauro Frankenstein styl,e utilizzando componenti cannibalizzati da due aerei gemelli e altri pezzi presi da mezzi a cui non servivano più.

Le ali sono state ricostruite per l’80%, il cablaggio e l’impianto idraulico sono stati rifatti da zero. Furono trovati un paio di motori in buono stato da poter rendere efficienti e il carrello di atterraggio principale fu modificato utilizzando pneumatici, ruote e freni di un F-15 (gli pneumatici però sono quelli dell’A-4). Poi, i sedili eiettabili McDonnell Escapac, oramai vecchi e insicuri, furono sostituiti da un paio di Aces II dell’F-16 dato che le guide di montaggio erano compatibili.

Dopo un restauro durato tre anni il terzo WB-57f ha raggiunto i suoi due fratellini nella base NASA del Johnson Space Center (JSC) a Houston Texas. Come i tre draghi di Danerys Targaryen anche questi sono gli ultimi della loro specie, volano praticamente dalla notte dei tempi (1963) e probabilmente sono gli aerei più vecchi ancora in uso operativo (se calcoliamo che il progetto dell’U2/R2 è più recente rispetto al Canberra originario). Forse non ci sarà mai un sostituto per loro e per questo speriamo che possano ancora solcare i cieli per molto, molto tempo.

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Questa spettacolare fotografia mostra il lancio dello space shuttle Atlantis il 9 settembre 2006. Non è stata fatta dallo spazio, ma da un WB-57 della NASA. Anche se può operare oltre 60.000 piedi (18 km) questa foto è stata probabilmente scattata a un'altitudine inferiore. (credit by NASA)
Articolo del 12 Novembre 2024 / a cura di Roberto Orsini

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  • Gabriele

    La cartolina da 70.000 piedi è per caso a cura di un certo Dragon Lady? Ho vinto la bambolina?

    • ROBERTO ORSINI

      Troppo facile, vogliamo il numero di identificazione

      • Paulo

        TR-1A

        80-1070

        😛
        🙂

  • Simon Reds

    Bell’articolo! nel link sotto, sono riuscito ad entrare in possesso di una rara immagine d’archivio raffigurante un rappresentante dell’USAF apprendere che il Camberra originale “era privo di potenziale offensivo”.

    https://upload.forumfree.net/i/fc11747216/ma-legale-sta-cosa.jpg

  • Andrea

    Ma il buon caproni cosa faceva bruciare nei cilindri a quell’altezza?

    • Paolo

      Beh, niente di trascendentale. Il motore era un Piaggio P.XI da 750 CV alimentato a benzina a 87 ottani. L’aereo era stato alleggerito, e cone biplano aveva di per sé un basso carico alare.

  • Tommaso Palazzo

    Bellissimo articolo!

  • Paolo

    Ottimo video, come sempre. Grazie.

    Tre osservazioni:

    1. Il B-57B non era un CAS come lo intendiamo oggi, né tanto meno un COIN, anche se in Vietnam fu usato come tale. Era piuttosto un IDS, capostipite della linea F-105 / F-111 / TSR.2 / Tornado. Era semplice, robusto e affidabile, di pilotaggio facile e sicuro (al contrario dello scorbutico F-100), e i piloti lo apprezzarono molto.

    2. “Per tutte le stagioni” suppongo voglia dire “ognitempo”. Il B-57B era privo di radar e quindi non era un vero e proprio ognitempo, anche se durante i monsoni se la cavava meglio di altre macchine più sofisticate.

    3. “Bald Eagle” è l’aquila calva o aquila dal cappuccio bianco, che figura nello Stemma degli Stati Uniti nonché in “Bianca e Bernie nella terra dei canguri”.

    • ROBERTO ORSINI

      Giuste osservazioni , ovviamente il per “tutte le stagioni” e “aquila pelata” sono modi scanzonati per dire quello hai precisato

  • Samuele

    Articolo molto interessante, foto spettacolari! Continuate così!

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