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McDonnel Douglas MD-80, il mitico “Ottantone”

Gli anni ’80 sono stati un periodo fotonico: i ragazzi andavano a scuola con lo zaino Invicta rosso-blu, alle elementari si giocava con il Crystal Ball che per i polmoni equivaleva a fumare l’uranio, alle feste si giocava a Twister o al Pirata Pop-up (dovevi inserire le spade nella botte e ad una certa schizzava verso l’alto e dovevi stare attento ai denti), si imparava a leggere l’ora sugli orologi Flik-Flak, nelle buste delle patatine si trovavano le manine appiccicose (poi era tua mamma a darti un cinquina quando rimanevano attaccate al soffitto), non c’era la PlayStation ma si giocava rigorosamente con il Commodore 64 (che spacca il culo al PC come è risaputo), in TV si aspettava Bim Bum Bam o i cartoni animati con le sigle di Cristina D’Avena (che continuo a seguire su Instagram per motivi che non vi sto qui a raccontare), per non parlare dell’Uomo Tigre o di Mazinga (troppi ricordi!), se eri fortunato possedevi un Nintendo Game-Boy (con il quale abbiamo poi imparato a truccare le centraline dei motorini), le bambine giocavano con le Polly Pocket e i maschietti con le Micro Machine, per non parlare dei Mini-Pony (Gianluca dai cazzo!). Un discorso a parte lo meriterebbe la musica: in Inghilterra erano tornati alla ribalta i Queen grazie al Live Aid e i Pink Floyd tentavano di far affondare Venezia, negli USA spopolavano band cafone e dure come Mӧtley Crüe, che hanno fatto più danni della Seconda Guerra Mondiale, e i Guns ‘n’ Roses, che con un solo album sono riusciti a cambiare la storia della musica hard rock, c’erano inoltre band capellone come i Bon Jovi o i Van Halen. Anche in Italia ci si difendeva bene con gruppi del calibro dei Righeira (quelli di “Vamos a la playa” per intenderci). Ma questa è un’altra storia…

Questa è infatti la storia di un ragazzino che è nato nel Lazio ma che per motivi di lavoro (del padre, altrimenti sarebbe una storia di sfruttamento minorile) deve andare spesso da Roma ad Olbia, dove stanno costruendo la “Costa Smeralda”: un’accozzaglia di spazi sul mare adibiti ai ricconi equipaggiati di yatch, elicotteri, SUV né sportivi né utili, Lamborghini e in questo rombante 2020 anche di Covid-19. A distanza di circa trent’anni mi sento confidente di affermare che la passione per l’aeronautica di quel ragazzino (‘na volta) nasca proprio dalla costruzione della “Costa Smeralda”. È proprio su quei voli Fiumicino – Olbia and back che io (alias “quel ragazzino”) mi appassionavo di aeronautica mentre le mie orecchie venivano violentate da quei motori Pratt & Whitney, il cui logo è ben incollato sulla mia scrivania in memoria dei giorni che furono, che spingevano in volo quel Ferro del Dio di cui parleremo oggi. Dovete sapere che quella tratta, poco frequentata all’epoca, era percorsa da una compagnia oggi scomparsa che si chiamava prima Alisarda e successivamente Meridiana, di proprietà dello stesso uomo che stava costruendo la suddetta Costa Smeralda.

Qual era il ferro su cui si volava? L’Ottantone ovviamente e, siccome ero un bambino alto circa mezzo metro a quell’epoca, mi era permesso entrare in cabina (eh già, negli anni ’80 non c’era ancora stato l’11 Settembre e non si sapeva nulla di un certo Osama Bin Laden, anche se qualche altro problema c’era stato…) per scoprire i segreti del pilotaggio di un aereo così figo. In pratica, ho avuto il culo la fortuna di godermi da molto vicino quel rombo di motori, accompagnato dal puzzo di cherosene e dal male alle orecchie (e che male!), rombo che mi è rimasto dentro tanto da farmi diventare quello che sono oggi (motorista aeronautico, n.d.r.).

Allacciate le cinture, non toccate il culo alle hostess e preparatevi al decollo perché oggi noi di RS vi portiamo nel magico mondo dell’MD-80 detto anche Mad Dog (letteralmente “cane pazzo”)!

A proposito, da dove arriva quel soprannome? Dovete sapere che l’MD-80 aveva l’elevatore (cioè la superficie mobile orizzontale posizionata sulla coda del velivolo, quella che rende possibile il momento di beccheggio) diviso in due parti (elevatore destro e sinistro) montati su uno strabiliante impennaggio a “T” (NOTA: l’impennaggio a “T” è come il pesce-ratto di Fantozzi e Filini, può piacere o non piacere, sappiate che a me piace). Inoltre, questa superficie mobile non era controllata direttamente dal pilota che governava invece direttamente delle control tab: in pratica il pilota poteva muovere soltanto le alette più piccole e, grazie a quel movimento, le forze aerodinamiche che si generavano facevano muovere gli elevatori. Tutta questa complicazione serviva per ridurre al minimo lo sforzo del pilota, visto che non c’era una servo-assistenza dei comandi: questa è old school baby! Il risultato era che gli elevatori erano completamente liberi di muoversi quando l’aereo era a terra e poteva accadere che, in certe condizioni di vento, uno dei due fosse sollevato mentre l’altro rimaneva abbassato, esattamente come apparirebbe un cagnone che ha un orecchio a punta alzato e l’altro abbassato, un Mad Dog appunto.

Insomma, la vera finezza sta nel fatto che le superfici di controllo volavano per reazione aerodinamica. Quando facevi le prove agli alettoni con il sinistra-destra della cloche, non muovevi gli alettoni bensì le alette attuatrici, che a loro volta, per reazione aerodinamica, muovevano gli alettoni veri e propri. Questo sistema era talmente ignorante che per limitare l’escursione del timone (che era l’unica superficie attuata idraulicamente) alle alte velocità c’era una forchettina a V spinta dall’aria che entrava in un tubicino alla radice della deriva. Insomma più andavi veloce, più il timone veniva limitato: “Rudder travel limitator”. (nota aggiunta a seguito di un commento sul gruppo fb)

Ma come mi nasce l’Ottantone? Facciamo un salto indietro. Mentre Hendrix violentava e poi bruciava la sua Stratocaster rosa che aveva dipinto a mano (di cui ho potuto vedere un frammento al Metropolitan di NYC) durante il festival di Monterrey del 1967, veniva lanciato il progetto DC-9 grazie alla fusione della Douglas Aircraft e della McDonnel Aircraft Corporation. L’obiettivo era semplice: costruire il miglior aereo per le rotte a corto e medio raggio (un gioco da ragazzi insomma). Per ottenere il risultato si partì dalla scelta dei motori e si puntò sui migliori in commercio a quell’epoca: due Pratt & Whitney JT8D (gli stessi che montava la Fiat Stilo il Boeing 727, quello con tre motori per intenderci e da cui scomparve per sempre DB Cooper).

Dopodiché i tecnici pensarono di costruire un velivolo con impennaggio a “T” in modo da poter mettere i motori sulla coda e avere così un’ala molto ma molto efficiente dal punto di vista aerodinamico. Inoltre, in questo modo era possibile ridurre il rischio di incendio (il combustibile sugli aerei è stivato all’interno dall’ala) e avere vantaggi in termini di comfort acustico (a ripensarci mi chiedo: “pensa se li avessero montati in modo convenzionale?” perché quello che ricordo maggiormente, come avrete capito dall’introduzione e se non l’avete capito fatevi vedere da uno bravo, era il rumore assordante specialmente durante il decollo quando i motori erano spinti al massimo, della serie “F1 V12 scansate!”). Ed ecco a voi la solita chicca by RS: potrete constatare da voi stessi che molti aerei russi hanno una configurazione simile per poter atterrare anche su piste non preparate evitando danni ai motori (che in questo modo si trovano in posizione elevata) dovuta all’ingestione di terra, pietre e di tutte quelle schifezze che si possono trovare su un a pista non asfaltata.

– Tupolev Tu-334 in decollo cattivo al MAKS 2007 –

Questa soluzione presenta anche dei piccolissimi svantaggi con i quali i tecnici si scontrarono (ma piccoli piccoli eh): una coppia di motori in coda richiede un impennaggio a “T” (come per il DC-9 appunto) o comunque dei piani orizzontali più alti rispetto ad un velivolo convenzionale… peccato che così facendo si rischia di incorrere nel pericolosissimo fenomeno del Deep Stall (letteralmente “stallo profondo”: così profondo che manco su PornHub riuscirete a trovare qualcosa di simile). Inoltre, i motori posti dietro l’ala sono soggetti ad ingoiare pezzi di ghiaccio che si staccano dall’ala stessa (eh si, sulle ali spesso si forma ghiaccio). Tornando allo stallo, che cos’è? In pratica, quando un flusso di aria avvolge l’ala con un certo angolo di attacco si crea una portanza che contrasta la forza di gravità e una resistenza che contrasta l’avanzamento. Tutto chiaro? La portanza sale fino ad un angolo critico (circa 15°/20°), passato il quale il flusso sul dorso dell’ala si stacca: la portanza diminuisce mentre la resistenza aumenta (e mo’ so’ cazzi!). In un aereo con impennaggio a “T” questo fenomeno è accentuato dal fatto che l’impennaggio di coda (che è più alto rispetto all’ala) viene messo fuori uso dal flusso perturbato che si stacca dall’ala e non consente di poter ridurre lo stallo con movimenti di beccheggio. Inoltre, come se non bastasse, essendo i motori montati in coda, le turbolenze che si generano dovute a questi flussi “sporchi” potrebbero spegnerli: dalla padella alla brace insomma! Stiamo parlando di un difettuccio che è presente su un aereo di linea che ha il compito di portare (possibilmente sane e salve) le persone in vacanza o ad una riunione di lavoro. Furono quindi studiati dei sistemi computerizzati (tra cui l’autobrake e altre perle), che per l’epoca risultavano fantascientifici, per permettere al pilota di prevenire questo fenomeno e di portare a casa la pellaccia sua e dei passeggeri (tutti totalmente ignari del fenomeno del Deep Stall: è ormai risaputo che quello che conta davvero durante un viaggio aereo è la qualità delle noccioline gratis).

– dispense universitarie circa il deep stall, non vi raccontiamo mica delle ciozze –

Finora però abbiamo parlato del DC-9, che ebbe un grandissimo successo commerciale e diventò uno degli aerei commerciali più venduti di sempre contendendosi il primo posto con ferri del calibro del Boeing 737. Tuttavia, sul finire degli anni ’70 si decise che ci voleva qualcosa di più e, dopo diverse versioni del DC-9, si puntò sull’apportare delle modifiche più spinte a questo velivolo. In quegli anni infatti, con il boom economico che si andava via via delineando, sulle tratte brevi c’erano sempre più persone che volavano ed erano necessari più posti e più comfort a bordo. Siccome si stava entrando nei mitici ’80, il progetto prese il nome di “DC-9 Super 80” (che sembra il nome di una discoteca di Riccione) che poi fu ribattezzato semplicemente “MD-80”. Veniva quindi abbandonata la vecchia sigla DC (le iniziali di “Douglas Commercial”) in favore di MD (cioè “McDonnel Douglas”).

– se hai mai visto un DC-9 della ATI da vivo sei uno di noi –

Rispetto alla versione più grande del DC-9 (il DC-9-50), l’MD-80 presentava un ragguardevole allungamento della fusoliera: si passava da 139 a 172 passeggeri, che su un volo civile equivale a molti soldini guadagnati in più. Allungare la fusoliera richiedeva un aumento dell’apertura alare. Fu studiato inoltre un nuovo profilo alare più efficiente. Aumento di dimensioni e carico vuol dire più potenza richiesta e quindi si passò all’utilizzo di motori più potenti. In poche parole, l’MD-80 non è altro che una sorta di DC-9 sotto steroidi! Tali motori, i P&WC JT8D-200, risultavano meno rumorosi (ahahah) rispetto a quelli del DC-9 ed erano in grado di consumare meno (tuttavia, si trattava sempre di svariate secchiate di cherosene all’ora).

– ve le diamo noi le scie chimiche –

Da quel momento in poi, l’MD-80 ha letteralmente oscurato i cieli: tutte le compagnie lo volevano (alzi la mano chi della generazione ‘70/’80/’90 non ha mai volato su questo ferro, se non l’avete fatto significa che non avete mai preso un aereo) e ne furono create svariate versioni che non vale nemmeno la pena di elencare altrimenti faremmo notte. Vi diciamo soltanto che l’ultima versione commercializzata fu l’MD-95 che però non entrò mai in servizio con questo nome. Infatti, la McDonnel Douglas nel 1997 si fuse con la Boeing e l’Ottantone fu ribattezzato “Boeing 717”. A me mette tristezza, perché risulta un po’ come fanno oggi le case automobilistiche che prendono un’auto, le cambiano il logo e ne fanno sette versioni: da barbone, da barbone ma con stile, sportiva, sportiva ma non troppo, business, lusso, extra lusso ma talmente lussuosa che non te la puoi permettere.

– molto più bello del 737 –

Come è facile immaginare la Boeing si trovò quindi con due galli nello stesso pollaio: il Boeing 717 (alias MD-80) e il Boeing 737, un po’ come la McLaren quando si trovò con Hamilton e Alonso (tanto per non scomodare Senna e Prost) nello stesso box e decise che uno dei due doveva partire. Ahinoi, l’Ottantone era ormai troppo vecchio e il mondo non poteva permettersi di perdere una parte di foresta amazzonica ad ogni accensione. Inoltre, la Boeing era impegnata nella lotta che continua ormai da anni con l’Airbus A320 e non poteva permettersi la cannibalizzazione del mercato del 737 da parte del 717. Morale della favola, nel 2005 la Boeing decise di mandare in pensione l’MD-80 bloccandone la produzione, un ferro di importanza storica: basti pensare che Alitalia volle celebrarne l’ultimo volo (era il 12 Dicembre 2012) facendo accompagnare il velivolo con marche I-DATI addirittura dalle Frecce Tricolori!

– foto per gentile concessione di Alessandro Barbarini, direttamente dal gruppo Facebook ufficiale di Rollingsteel

Per chiudere, voglio lasciarvi con qualche lacrimuccia e qualche numero alla Loris Batacchi per far capire la grandezza di questo mezzo tutt’oggi amato dagli appassionati (un po’ meno amato dagli ambientalisti). Tra DC-9, MD-80 e Boeing 717 furono prodotti 2.438 aerei (NOTA: parliamo di un’epoca in cui non esistevano i voli low cost che consentono di spostare le masse da una parte all’altra del pianeta, intasando i musei e i luoghi d’interesse di mezzo mondo di gente che non capisce una sega di quello che sta guardando, ma anche questa è un’altra storia). Si tratta quindi del terzo aereo più prodotto di sempre, dietro soltanto all’evergreen Boeing 737 (in produzione dal 1967) e all’Airbus A320 (in produzione dal 1987). Con quanto detto finora, a mio avviso, l’MD-80 si merita pienamente l’appellativo di Ferro del Dio.

Testo di Matteo Viscogliosi, il nostro infiltrato nel mondo dell’aviazione moderna
Articolo del 9 Ottobre 2020 / a cura di Il direttore

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  • Davide

    ciao Direttore, bell’articolo as usual…

    io tanto tanto tempo, diciamo 30 anni fà (non avevo 20 anni) ho preso un Super80 da Verona a Catania per visitare la base di Sigonella con il Club Frecce Tricolori e sinceramente non ricordo il rumore ma quello che ricordo benissimo è l’incredibile accelerazione anche dopo il decollo con una rampa di salita impressionante. Ero tra le prime file e mi sono voltato a guardare di quanti metri fossero di sotto i passeggeri delle ultime file. Sembrava di essere appesi a un gancio che ci tirava sù, tutto questo è durato fino a quando non hanno ridotto la potenza TOGA….peccato. Vero che allora potevi fare tutto il baccano che volevi perchè i vicini di casa degli aeroporti ancora non si lamentavano….

  • enrico

    Sempre articoli interessantissimi, pero’ se ti sedevi nelle prime file al decollo non sentivi nessun rumore, Grazie

  • Lorenzo Rss

    Grande direttore, ma la storia, o meglio il report, del Volo 216 Alaska Airlines lo ha mai letto? Meriterebbe una citazione perché coinvolge proprio il famoso timone a T… E i piloti se si leggono le trascrizioni provarono di tutto per salvare l’aereo.

    • Lorenzo Rss

      Volevo scrivere volo 261…

  • Andrea P.

    Hai scordato di dire che c’era una tendina (inutile) che divideva i fumatori (davanti) dai non fumatori (in coda). E se avevi un posto non fumatore e volevi fumare, ti facevano sedere sui jumpseat in coda, insieme alle hostess. E ti godevi 120 decibel di rumore. Che ti avrebbero spinto a non fumare. (Ho preso molte volte sia Meridiana sia Alitalia – e fumavo.)

  • Matteo

    Mitico il Super-80 ATI, lo prendevo con la famiglia per andare in vacanza in Sardegna (Linate – Alghero).

  • Francesco

    Articolo super interessante. Quell’aereo lo preso, purtroppo senza mai decollare, al museo di Volandia.

    Hai citato i motori in alto per non aspirare schifezze, ti consiglio di guardare su YouTube il video di Sam Chui e il 737 che atterra sulla pista sterrata: è sicuramente un vecchio modello (forse un -300) dove i motori sono stati equipaggiati con piccoli tubi metallici alimentati dal compressore che sparano aria in avanti verso il basso, per far sì che i detriti vengano allontanati dall’ingresso del motore.

  • Pierantonio

    Da notare nella terza foto, quella con la livrea “Alisarda”, dietro all’aereo l’insegna della fabbrica “BONFIGLIOLI RIDUTTORI” in stile “LAMBORGHINI”. I motoriduttori che ci sono in ogni angolo di tutte le fabbriche di tutti i tipi di tutti i tempi

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