È il 1955, alla radio suona Learnin’ The Blues di Frank Sinatra e a ottobre apre il Salone di Parigi. Ci sono tante novità, alcune molto belle, ma nessuna che dica qualcosa di nuovo, di rivoluzionario.
A parte la Citroën DS.
La DS, tra le tante innovazioni, porta il sistema di sospensioni idropneumatiche, di cui abbiamo ampiamente discusso qualche settimana fa qui. Queste sospensioni sono assurde, sembra di guidare su un tappeto d’aria. Alex ne resta colpito.
Alex? Chi è Alex?
Alexander Eric Moulton, Alex per gli amici, è un ingegnere di 35 anni, a cui sta particolarmente a cuore la questione delle sospensioni. Durante la guerra faceva aerei alla Bristol, poi è entrato nel vecchio business di famiglia, parti in gomma per sospensioni ferroviarie. Ma ad Alex piacciono le auto.
Alex sperimenta cose strane con la gomma ed è amico di Alexander Arnold Constantine Issigonis (Alec), un certo designer che finirà per progettare una certa Austin Mini. Nel 1955 debutta la Citroën DS e Alec viene assunto nella British Motor Corporation (BMC). Nel 1956 l’azienda di famiglia di Alex viene assorbita dalla Avon e nello stesso anno ad Alec viene assegnato il compito di progettare la Mini. Alec chiede ad Alex di fargli le sospensioni.
Per la Mini ci sono poco tempo e pochi soldi, quindi la scelta ricade su dei coni di gomma.
Per la ADO16 (ovvero la Austin/Morris 1100), invece, c’è più tempo e ci sono due sterline in più. Due di numero.
Così nel 1962 arrivano le sospensioni Hydrolastic, sviluppate dal nostro Alex in collaborazione con Dunlop, un sistema simile alle idropneumatiche Citroën, solo… un po’ semplificato. Un po’ tanto semplificato.
Una sospensione convenzionale è costituita da molla + ammortizzatore.
La molla, nelle idropneumatiche Citroën, viene sostituita da una camera chiusa contenente azoto, mentre nelle Hydrolastic BMC c’è il nostro amato cono di gomma (elemento B nella foto sopra).
L’ammortizzatore è un cilindro nel sistema Citroën, una valvola (F nella foto) in quello BMC. Di simile c’è l’idea di interconnettere l’olio (che è olio nel sistema Citroën, mentre è una specie di liquido antigelo in quello BMC) tra le sospensioni anteriori e posteriori, così da ottenere un effetto auto-livellante quando si incontrano delle asperità.
Le idropneumatiche francesi hanno una complessa gestione idraulica fatta di attuatori, riserve, pompe, casini, un gourmet di raffinatezze idrauliche da ristorante stellato, mentre le Hydrolastic inglesi… sono più una sagra della porchetta.
Tra una sospensione e l’altra c’è solo un tubo. Fatevelo bastare.
Il sistema funziona, il comfort di marcia diventa un vanto di questi modelli e, per il principio che ciò che non c’è non si rompe, risulta pure affidabile. Innocenti porta in Italia le Austin (Morris) 1100 sotto forma di Innocenti IM3, IM3S, I4, I5 (porta in Italia il concetto perché Innocenti aveva la licenza per costruire qui da noi queste geniali macchinette). Le Hydrolastic arrivano sulla Mini nel ’64, anch’essa importata in Italia dalla Innocenti, poi sulle Austin 1800, le Maxi e le 3-Litre.
Nel 1973 il sistema si evolve, perde i coni di gomma ed acquista un punto di somiglianza in più con quello Citroën: ora, a svolgere il ruolo della molla, c’è una camera sigillata contenente azoto. Sono nate le Hydragas!
Peccato che arrivando agli anni Settanta arriva anche la fusione tra BMC e Leyland, con la serie di disastri che ne consegue. Le sospensioni Hydragas, come le Hydrolastic, sono prodotte dalla Dunlop (meno male) e sono interconnesse tra avantreno e retrotreno. Il nuovo sistema appare sulla Austin Allegro, importata nel Belpaese dalla Innocenti col nome di Regent.
La Allegro è un po’ cruda, la successiva Princess sta in strada un po’ meglio. Anche Ambassador e Maxi adottano questo sistema. Le Hydragas sono più costose da produrre rispetto a un classico molla-ammortizzatore ma non sono male, anzi, sono molto confortevoli, almeno finché la gomma è nuova e tutto l’azoto è dove deve essere. Il problema, in quegli anni, è il resto della macchina.
Nel 1975 la Leyland è sull’orlo della bancarotta e la nuova top di gamma (Rover SD1) deve montare sospensioni più economiche, così come le nuove medie (Austin Maestro e Montego). Si opta per i classici MacPherson.
Voi penserete che quindi anche la nuova piccola di gamma debba perdere le costose Hydragas ed adottare un sano MacPherson. Sbagliato! Siccome i soldi sono così pochi, non si possono usare per stravolgere il progetto della Mini, quindi si chiama Giovanni Muciaccia, si fa una sessione di Art Attack, un po’ di Mini qui, un po’ di Allegro lì ed ecco che nel 1980 nasce la Metro.
Siccome i tubi che collegano le sospensioni avanti-dietro sono troppo costosi, vengono eliminati. Peccato che fossero l’unico vantaggio delle Hydragas sulle sospensioni convenzionali!
Alex non è soddisfatto, armeggia con una Metro in garage e riesce ad ottenere un assetto miracoloso. Lo presenta alla rivista CAR e fa scalpore. È il 1987, proprio in quel momento sta bollendo in pentola una sostituta della Metro, un po’ più grande, un po’ più rifinita, che possa montare i nuovi motori serie K (di cui abbiamo parlato qui).
Ovviamente il budget di Austin-Rover è prossimo allo zero, quindi più si riutilizza meglio è. Capita a fagiolo il lavoro di Alex ed è così che la nuova Metro (Serie 100 nel resto d’Europa) mantiene le Hydragas (così da non dover riprogettare interamente la scocca), con un sistema rivisto e più compatto, dotato di interconnessioni fronte-retro.
La guida è buona, ma sulle versioni più spinte (GTi) le Hydragas, così come vengono proposte dalla fabbrica, tendono a risultare… scontrose.
Ivan Capelli prova una GTi per Quattroruote (10/1991), e la definisce: “Molto sensibile alle variazioni di carico, […] può manifestare reazioni brusche e imprevedibili. Va dunque guidata con molta dolcezza, dosando l’azione sull’acceleratore e accarezzando il volante. In caso contrario si scompone e può mettere in difficoltà il guidatore meno esperto”.
Arriva il 1995 e i britannici decidono di rilanciare il marchio MG con una piccola spider sportiva, come la MX-5 che stava riscuotendo successo su scala mondiale. L’idea più semplice (soldi e paura mai avuti) è quella di prendere l’avantreno della Metro (con relative Hydragas) e di sbatterlo al posteriore, poi si cala dentro il nuovo 1.8 serie K, si disegna una carrozzeria carina et voilà, ecco la nuova MG F.
La MG F e la Rover Metro sono le ultime auto a montare il sistema Hydragas, nella sua ultima evoluzione, con alcune differenze sulle pressioni di azoto e liquido e sui diametri dei connettori tra i vari modelli. La Metro esce di produzione nel 1997, dopo il disastroso risultato ai crash test EuroNCAP. La F viene rimpiazzata nel 2002 dalla TF, dotata di sospensioni convenzionali. Citroën, invece, arriverà con le idropneumatiche fino al 2017, sulla C5.
Cosa resta di questi anni ’80 delle Hydragas? Poco, i ricambi sono solo un lontano ricordo. Ma il sistema è semplice, ci sono solo due cose che fondamentalmente possono andare storte: esplode la membrana inferiore, il liquido finisce in strada, il braccio va a finecorsa e la gomma sfiora il passaruota, oppure esplode la membrana interna, l’azoto scappa ed alla prima buca vi trovate i gioielli al posto delle tonsille.
Di solito le membrane reggono e dovete impegnarvi per distruggerle, ma tanto l’azoto se n’è comunque andato per colpa di Adolf. Come sarebbe a dire per colpa di Adolf? Ancora lui!? No, no, non quell’Adolf, qua parliamo del signor Adolf Fick, e nello specifico della seconda legge di Fick.
Dove φ è la concentrazione del gas, t il tempo, D il coefficiente di diffusione, x la posizione rispetto al punto di riferimento.
Molto semplicemente, Adolf vi dice che con l’andare degli anni, l’azoto migra dalla camera sigillata (dove ha un’alta concentrazione φ), attraversa la membrana di gomma (per quanto essa sia poco permeabile, il suo coefficiente di diffusione D non è zero), poi si disperde nel circuito del liquido.
Voi vi trovate la macchina per terra, provate a pompare il liquido, ma ottenete delle altezze strane e un assetto decisamente troppo rigido, che alla lunga (neanche tanto lunga) farà danni. Danni non riparabili.
Il liquido (specifico) si carica con una pompa (specifica, a meno che non troviate un connettore Schrader 556 che si usa per pompare i carrelli di atterraggio).
L’azoto, invece, non si carica. Quei maledetti c’hanno messo un rivetto invece di una valvola. Se avete la saldatura facile, occhio a non bruciare la membrana di gomma, piuttosto fate un colpo a Hydragas and Hydrolastic Service Ltd di Ian Kennedy, il riferimento per quanto riguarda queste sospensioni.
E il nostro Alex Moulton, il padre delle Hydrolastic? Che fine ha fatto? Ci ha lasciati nel 2012, ma gli sopravvive la Moulton Bicycle Company, che ancora oggi produce un’erede della bicicletta lanciata sul mercato da Alex nel ’62, caratterizzata da… un particolare sistema di sospensioni in gomma!
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