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Missione DART, per risolvere il problema asteroidi senza Bruce Willis

Negli ultimi anni mi sono dilettato a scrivere un libro che al centro della trama ha una gigantesca collisione nel Sistema Solare. La storia è volutamente al limite delle nostre capacità [fanta]scientifiche, scomodiamo “nane brune” che attraversano il Sistema Solare e altri pianeti, ma il punto fondamentale è che per salvarsi la pelle i terrestri le provano un po’ tutte e una delle opzioni è proprio quella che verrà sperimentata dalla sonda DART. Coincidenze? Assolutamente no, d’altronde le opzioni in questi casi sono limitate e le vedremo più avanti.

Tutto questo giusto per dire che qualcosa ne so, ma anche per ribadire che l’argomento asteroidi e relativi casini è effettivamente sempre attuale e meritevole di approfondimento.  La sonda è partita lo scorso 24 novembre su un Falcon 9 di Space X, il nome DART sta per “Double Asteroid Redirection Test” ed è stata lanciata con lo specifico scopo di vedere come reagisce un asteroide (doppio, da qui il nome) ad una collisione ad alta velocità… casomai un giorno dovessimo averne necessità.

-La sonda DART nel vano di carico del Falcon 9-

-Lancio della sonda il 24 novembre 2021-

Inevitabile a questo punto il Pippone® sugli asteroidi, fondamentale per capire perché davvero queste missioni sono importanti e perché forse siamo persino un po’ in ritardo sulla teorica tabella di marcia.

Cominciamo col dire che ogni giorno sulla Terra cadono circa 50-100 tonnellate di materiale dallo Spazio, sono per lo più in forma di ceneri e micro-meteoriti, ma questo ci dà subito l’idea chiara del fatto che il pianeta non si sposta esattamente nel vuoto, anzi là intorno c’è parecchio traffico. Come sapete la nostra atmosfera filtra il grosso incenerendolo con l’attrito, del resto questi simpatici oggetti ci arrivano contro tra gli 11 e i 70 km/SECONDO: velocità importanti e sufficienti a farli scaldare parecchio all’ingresso in atmosfera.

Ne approfitto per ricordarvi che, zitti zitti, abbiamo raggiunto anche noi umani queste velocità, ad esempio con le Voyager che stanno su 17km/s.

Di questi oggetti che incontriamo lungo la nostra orbita, circa 500 riescono ad arrivare al suolo e hanno dimensioni residue tipo una palla da baseball, però ogni tanto ne arriva uno più grosso, molto raramente qualcuno grosso davvero e in tempi geologici capita anche qualche bestione da chilometri.

Citofonare “dinosauri” per dettagli su una montagna da 10km (più grande dell’Everest) che si avvicina a 30km/s. Provate ad immaginarvelo: tocca terra, ma la parte superiore sta ancora a l0.000 metri, pensate che deve essere vedere una cosa del genere, roba che deep impact spostati.

Visto che questo è RS e non National Geographic, non entriamo troppo nel dettaglio, diciamo però che le probabilità di oggetti anche più piccoli che facciano danni seri non sono zero perché il Sistema Solare è fittamente popolato. Per sapere quanto spesso accade bisognerebbe contare i crateri sulla Terra, ma essendo un pianeta geologicamente attivo questi vengono facilmente cancellati e ad oggi ce ne sono visibili solo 170. Il conto non è quindi semplicissimo e varia secondo le fonti: ad ogni modo, sappiamo per certo che quello dei dinosauri non è il primo e nemmeno il più grosso.

-In Sudafrica c’è il cratere Vredefort largo 300 km, oltre 100km in più di quello dello Yucatan lasciato dall’asteroide dei dinosauri. Quello nella foto è quello che resta del picco centrale, il cratere è grande circa il triplo –

Da dove vengono però questi meteoriti/asteroidi? Principalmente da due posti: la fascia tra Marte e Giove e la nube di Oort. La prima la conosciamo abbastanza bene, è relativamente vicina e sappiamo che probabilmente dipende dal fatto che Giove ha fatto lo spaccone con la sua massa impedendo ad un pianeta roccioso di formarsi nelle sue vicinanze.

Quanto alla nube di Oort è una specie di avanzo della formazione del Sistema Solare nelle regioni più remote del nostro circondario (diciamo circa due anni luce): ha la simpatica proprietà di essere composta da migliaia di miliardi di pezzi di ghiaccio e altri materiali affini che possono trasformarsi in devastanti comete se interagiscono con una stella di passaggio, si scontrano tra di loro o si sentono particolarmente attratti dal Sole e i giganti gassosi del sistema esterno.

Le comete sono tanto carine a Natale sul presepe, ma se per sbaglio te ne arriva una in faccia è seccante DI BRUTTO, tanto più che non basta sdraiarsi a pelle di leopardo sui cofani dei vostri ferri per salvarli (ho visto gente farlo con la grandine).

Insomma, per farla breve il rischio non è nullo e come dicono gli inglesi “better safe than sorry”.

Quindi come  si evita un asteroide?

Di base ci sono tre opzioni:

  1. Opzione “Questa mano po esse fero e po esse piuma”: gli tiriamo contro una bomba nucleare, lo deviamo o comunque ne riduciamo la massa. Semplice a parole, molto più complessa nella pratica.
  2. Opzione “Tira più un pelo di gnocca che un trattore”: agli asteroidi ci piace la gravità, quindi se trovo il modo di mettergli una massa artificiale o naturale vicino, questa ne perturberà l’orbita.  Non impossibile, ma richiede tanto tempo.
  3. Opzione: “Il colore dei soldi” (noto film di biliardo): colpiamo con precisione l’asteroide e visto che la quantità di moto trasferita dipende sia dalla massa che dalla velocità, puntiamo a farlo molto forte. Apparentemente semplice, ma anche qui il tempo è fattore chiave.

Tralasciamo la 1 e la 2, DART è qui per indagare la 3: “Il colore dei soldi” (nostri).

La nostra sonda verrà infatti lanciata verso un sistema asteroidale binario fatto da Didmos (800m) e una sua piccola luna chiamata Dimorphos (160-170 m), l’obiettivo è proprio quest’ultimo che verrà colpito a circa 6,6 km/s dalla DART per verificarne le conseguenze. Sulla carta dovremmo poterne calcolare gli effetti a priori: quindi a cosa serve questo esperimento?

Se è vero che la fisica può predire le conseguenze di una collisione, è anche vero che tutto dipende dalla nostra capacità di colpirlo nel punto giusto, dalla consistenza dell’asteroide e da altre variabili imponderabili tipo da che parte e con che velocità vengono espulsi i materiali durante la collisione: quindi meglio iniziare a fare un po’ di pratica quando abbiamo il tempo di sbagliare e vedere cosa succede.

L’obiettivo dichiarato è di produrre un rallentamento di 0,4mm/s, teoricamente sufficienti per ridurre di 10 minuti il periodo orbitale di Dimorphos che attualmente è di 11,92 ore. Un cambiamento significativo visto che la sonda pesa solo 610 kg. mentre l’asteroide bersaglio di kg ne fa 4,2 MILIARDI…

DART, la freccetta del gioco in inglese, è una missione tutto sommato low cost, ci sono pochi strumenti, ma durante l’avvicinamento potrà contare su due aiuti fondamentali: abbiamo un camera ottica derivata da quella di New Horizons (la sonda di Plutone) che ha lo scopo di tenere il bersaglio al centro e perché no mandarci qualche immagine in prima persona della collisione. Alzi la mano chi non ha passato notti intere a vedere gli incidenti stradali in Russia col ghiaccio…

C’è poi il motore principale della sonda, necessario a portarla nella giusta posizione alla giusta velocità. Si tratta di un motore ionico che detto così fa un po’ cartoni animati anni ’80, ma in realtà è lo stato dell’arte della tecnologia. Come le auto, anche i razzi stanno passando all’elettrico, non tanto per ragioni ambientali, ma banalmente per questioni di efficienza. La sonda è in grado di ricavare energia elettrica dai pannelli solari, eccitare gas di Xeno come il Direttore davanti ad un F-35 e, tramite un sistema di griglie magnetizzate, scagliare gli ioni di Xeno a 145.000 km/h  dietro di sé.  Questi gioiellini li produce la Rocketdyne, quella degli F1 del SATURN V, che a quanto pare non si è fatta cogliere di sorpresa dal mercato elettrico come altri di nostra conoscenza . La spinta è un attimo più ridicola degli F1: 237 MN (una caccola) a tavoletta, ma invece di esaurire il serbatoio in 2,5 minuti (abbiamo già parlato delle TURBOPOMPE?) possono funzionare per anni.

Torniamo alla nostra collisione, chi ci sarà a vederla a fine settembre 2022?

Dieci giorni prima dell’impatto, DART sgancerà una mini-sonda chiamata LICIAcube, un piccolo orgoglio italiano visto che è costruita dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e l’acronimo sta per: Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroid.

La piccola sonda sarà equipaggiata con paio di camere e ci regalerà quelle che speriamo siano ghiottissime immagini della primo tentativo di influenzare l’orbita di un asteroide.

-LICAcube è lo scatolotto grigio che resta indietro a fare un POV –

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Articolo del 3 Dicembre 2021 / a cura di Paolo Broccolino

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