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Gruppo S: al di là del Gruppo B

© Purple twin-turbo (Facebook)

Spoiler: il gruppo S non è mai esistito.

Ora, immaginate voi cosa voglia dire andare ad indagare su un evento sportivo rimasto allo stadio teorico, avvenuto quarant’anni fa, ricoperto di leggenda da dieci, forse vent’anni.

Ve lo dico io cosa vuol dire: (quasi) zero fonti ufficiali, tante voci, tanta fantasia.

Faccio questa doverosa premessa perché mi sono ritrovato a lavorare con un numero estremamente ristretto di fonti, la cui affidabilità non può essere verificata. C’è solo un modo per esser (quasi) sicuri di ciò che è realmente accaduto: andare ad intervistare in giro per il mondo le persone che hanno lavorato in prima persona su quelle automobili.

Ma a quel punto non sarebbe venuto fuori un articolo… sarebbe venuto fuori un libro!

Ci tengo che voi lo prendiate nella maniera giusta. Vi do due chiavi di lettura: o un punto di partenza per successivi approfondimenti, oppure una storia avvincente di cuori e motori, uniti nella danza della passione.

Ma bando alle ciance! Allacciatevi le cinture, affilatevi il pornobaffo e seguitemi in questa meravigliosa avventura nei turbolenti turboveloci anni ’80.

È il 1981, siamo negli uffici della Fédération Internationale du Sport Automobile (a.k.a. FISA, commissione automobilistica della FIA), e le macchine da scrivere battono – a ritmo di Der Kommissar di Falco – il nuovo Annexe J del regolamento sportivo 1982.

Gli sguardi si rincorrono tra la nebbia di tabacco che avvolge la stanza, mentre il vecchio Gruppo 4 (che aveva visto tra le sue fila mezzi fenomenali come Stratos, 131 Abarth, Escort RS, Ascona 400…) viene assorbito nel neonato Gruppo B.

Come tutti voi ben sapete, il regolamento del Gruppo B era parecchio… poco restrittivo. Questo silenzio regolamentare ha permesso ai motori di urlare e di far venire al mondo mefistofeliche creature figlie dei sogni erotici degli ingegneri di tutto il globo.

Dai 250 cavalli delle auto Gr.4, in pochi anni si è arrivati agli oltre 500 delle ultime evoluzioni delle Gr.B, grazie all’impiego di turbine senza alcuna restrizione sulle pressioni in gioco.

Il 1982 ed il 1983 furono il palcoscenico di Audi Quattro e Lancia 037. Quest’ultima fu la prima auto nata (quasi) da foglio bianco per il Gr.B, e dopo di lei seguirono le altre case.

Il Gruppo B attirò sempre più l’attenzione, sia degli spettatori, che degli sponsor, che dei costruttori, a cui veniva richiesto di produrre solo 200 auto stradali anziché le 400 del Gr.4.

Capire l’importanza di questo punto è fondamentale per comprendere sia il Gruppo B, sia quello che sarebbe dovuto essere il Gruppo S. Ragazzi, siamo negli anni ’80: il collezionismo non esiste, le homologation special, ovvero le versioni stradali delle auto da corsa, sono dei ravatti invendibili e costosissimi che non vuole nessuno. Produrre 200 auto così raffinate senza alcuna speranza di venderle… è un costo enorme per i costruttori.

Nel 1984 Peugeot si gettò nella mischia con la 205 T16, seguirono nel 1985 Lancia con la Delta S4, Ford con la RS 200, Austin-Rover con la MG Metro 6R4.

Nel 1986 si raggiunse il punto più alto – nonché la fine – del Gr.B, con la nuova 205 T16 Evolution 2 a fronteggiare la nuova Audi Sport Quattro S1 da più di 600 cavalli.

Poi arrivò il Rally del Portogallo, la RS200 di Santos che si schiantò causando trentuno feriti e tre morti, poi il Tour de Corse e la Delta S4 che volò dal dirupo portandosi con sé le vite di Toivonen e Cresto, poi ancora una RS200 all’ADAC Rallye Hessen che si schiantò contro un albero e uccise il copilota Wyder.

La FIA decise di chiudere le giostre e di mutilare il Campionato del Mondo Rally della sua punta di lancia. Rimase il Gruppo A, si aprì l’epopea della Lancia Delta HF 4WD, ed il resto è storia.

Ma allora? Questo Gruppo S?

Ve l’ho detto, il Gruppo S non è mai esistito, è solo stato un abbaglio, un fugace pensiero, un intenso sogno.

Ogni tanto, però, l’intangibile sostanza dei sogni si materializza in realtà.

© Purple twin-turbo (Facebook)

Facciamo un salto indietro.

Nel 1984 i costruttori già scassavano i coglioni chiedevano cortesemente di abbassare il numero minimo di vetture stradali richieste per ottenere l’omologazione. 200 – come vi ho spiegato – erano troppe. La FISA prende in contropiede la BPICA (Bureau Permanent International des Constructeurs d’Automobiles, l’associazione dei costruttori) ed annuncia il Gruppo S: stesso regolamento del Gruppo B, solo dieci esemplari stradali necessari per l’omologazione.

Roba da leccarsi i baffi per tutte le case automobilistiche, una vetrina in cui mostrare le ultime innovazioni in fatto di materiali, aerodinamica, elettronica e meccanica, vetrina ancora più estrema ma più accessibile del Gr.B.

Doveva entrare in vigore per la stagione 1988 – l’esistenza del Gr.B era stata garantita minimo 5 anni, quindi fino al 1987 –, ma nel 1986, assieme al Gr.B, era stata decisa la cancellazione anche del Gr.S.

C’era comunque stato abbastanza tempo perché le case sviluppassero prototipi incredibili, palestre di tecnologia che ora ci passeremo gustosamente in rassegna una ad una.

LANCIA ECV ed ECV 2

Prima della chiusura del Gr.B, Lancia stava lavorando all’evoluzione della Delta S4, nome in codice SE040. Gli obiettivi erano migliorare un progetto già valido: aumentare performance ed affidabilità di motore e cambio, rivedere l’aerodinamica e le sospensioni, e spostare più peso verso il centro di gravità.

Il motore, il 1759cc bialbero 16v interamente in alluminio (Abarth 233 ATR 18S), avrebbe dovuto ricevere un nuovo compressore volumetrico, oppure direttamente una configurazione biturbo con nuovi controlli elettronici, ed i differenziali ZF a controllo elettronico. Il cambio Hewland a 5 marce sarebbe dovuto venir sostituito da un cambio CVT di derivazione F-1 studiato dall’ing. Dante Giacosa, ma si rilevò inadeguato a sopportare i picchi di coppia del motore rallystico. Mantenuta la ripartizione di coppia 70-30 al posteriore.

Per l’aerodinamica dovevano essere introdotte minigonne, un diffusore posteriore, un nuovo spoiler, una nuova posizione per gli intercooler (ora raffreddati da una presa d’aria sul tetto) e si sarebbero dovuti utilizzare due fari anziché 4.

Le sospensioni erano quadrilateri su tutte le ruote; gli ammortizzatori idraulici Bilstein, singoli (coassiali) davanti e doppi dietro, sarebbero dovuti diventare doppi anche davanti.

I 4 freni autoventilanti da 300mm con pompe a 4 pistoni erano giudicati adeguati.

Chiuso il Gr.B, le principali innovazioni tecniche furono portate sul nuovo progetto SE041 per il Gruppo S: la ECV – Experimental Composite Vehicle.

Il nome è tutto un programma, l’auto avrebbe dovuto abbandonare il telaio a tralicci della S4 per abbracciare la nuova monoscocca in materiale composito, su cui Abarth studiava dal 1984.

Fibra di carbonio e Kevlar in una matrice di resina epossidica, per fare pannelli “sandwich” con nucleo in alluminio a nido d’ape o schiuma poliuretanica rigida, perfino i cerchi erano in carbonio e pesavano solo 6kg. Solo questi meriterebbero un capitolo a se, per farli ci sono voluti Speedline, Abarth, Fiat, EniChem e IDC. Tutto dimensionato con primordiali analisi FEM e coordinato dalle nuove tecnologie informatiche di Computer Assisted Design – CAD; la monoscocca risultava più leggera del 20% (930kg a secco), pur mantenendo la stessa rigidità torsionale.

Tecnologia da Formula 1 portata nei boschi.

© ECV1.com
© ECV1.com
© ECV1.com

Nota: la monoscocca era costituita solo dalla vasca centrale e posteriore, la meccanica all’anteriore era fissata su un telaietto in tralicci. Una monoscocca integrale avrebbe richiesto una meccanica totalmente nuova. Anche l’albero di trasmissione era in carbonio.

 

A dirigere l’orchestra l’ing. Sergio Limone, in collaborazione con la ditta “IDC s.r.l. Ingegneria Dei Compositi”, diretta dall’ing. Giuseppe Bizzarrini, figlio di un certo ing. Giotto Bizzarrini, che tutti voi ben conoscete.

A spingere questa follia ci sarebbe dovuto essere il capolavoro del maestro ing. Claudio Lombardi, ovvero il 1.8 della S4 portato alle estreme conseguenze. Completamente nuova la testa, “a flusso invertito doppio” (brevetto Fiat, una cosa simile era stata fatta anni prima sul motore BMW M10 da Apfelbeck), ovvero con una valvola di scarico ed una di aspirazione per lato, in modo da avere due collettori di scarico separati – come se il motore avesse due bancate – per alimentare le due turbine KKK K26 in maniera separata. A bassi giri un lato dello sarebbe stato chiuso, così da forzare tutti i gas in una sola turbina e dare il massimo da subito, ad alti giri tutto sarebbe stato aperto e tutto il fuoco ed il gas e l’aria e la benzina avrebbero girato in un’universale tempesta di potenza e rumore.

© ECV1.com
© monochrome-watches.com

Il TriFlux era quotato per 600 cavalli a 8000 giri, 539 Nm a 5000 giri e 2.2bar di pressione.

Il setup aerodinamico – quello citato prima per la SE040 –, invece, ha imposto l’eliminazione del lunotto posteriore e la sua sostituzione con una delle cose più sexy dell’automobilismo made in the ‘80s: LE LOUVRES

 

© fcaheritage.com

La Lancia ECV fu presentata al Bologna Motor Show del 1986.

Poi il regolamento cambiò, poi cambiò ancora, poi calò il sipario. Lancia chiuse le giostre col suo inchino finale, uno studio di design chiamato ECV 2:

© espirituracer.com

Monoscocca della ECV, tutto più compatto – 100 mm più corta della ECV – e più aerodinamico, intercooler SECAN “b-etage” raffreddati a liquido ed una ancor migliore distribuzione (e riduzione) del peso. 910kg a secco, 20kg meno della ECV.

© Alfa-Lancia Industriale

La ECV 2 fu realizzata cannibalizzando il prototipo della ECV: questo significa che non esistono ECV ufficiali.

Tuttavia, nel 2009, Giuseppe Volta, preparatore noto soprattutto per il suo lavoro sulle 037, radunò a sé una corte di ex tecnici Abarth, costruendo una replica della ECV partendo da un telaio S4 e pannelli carrozzeria originali ECV. Lombardi fu rievocato per ricreare il TriFlux, e la “nuova” ECV fece capolino al Rally Legend di San Marino del 2010, pilotata niente po’ po’ di meno che da Miki Biasion:

© czechrallyweb.net

AUDI QUATTRO RS 002

Sì, già nel 1984 in Audi qualcuno si era accorto che per far le cose fatte bene bisognava mettere il motore prima dell’asse anteriore.

Per il Gruppo B, a Ingolstadt erano partiti nel 1982 con la “Ur-” Quattro ex Gruppo 4, forte (o rea, a seconda dei punti di vista) di aver introdotto con successo la trazione integrale nei rally.

Gli unici con un cinque cilindri, grazie a quel motore capace di produrre potenze degne dei Bf-109 incredibili, erano riusciti a rimanere competitivi, ma la configurazione sfavorevole dei pesi, col motore anteriore a sbalzo, ora stava cominciando a diventare un limite troppo importante. Avevano cercato di fare qualcosa accorciando la Quattro e dando vita alla Sport Quattro (introdotta nel 1984), ma il motore era ancora davanti all’asse, l’auto sottosterzava troppo e bisognava fare qualcosa.

In pieno stile teutonico, l’amministratore delegato di Audi, Ferdinand Piëch, dà l’ordine di lavorare su qualcosa a motore centrale, ma con il più assoluto segreto. L’intero marketing di Audi è basato sulla Quattro, sui rally e sul motore anteriore a sbalzo con la trazione integrale: non è ammissibile confessare l’inferiorità di tali soluzioni tecniche. Roland Gumpert (sì, è quello della Gumpert Apollo), a capo del reparto corse, esegue.

Fa le valige, lascia la Repubblica Federale di Germania per recarsi nella Repubblica Socialista Cecoslovacca, al sicuro da sguardi indiscreti dietro la cortina di ferro. A Dešná, piccolo borgo montano di poco più di 100 abitanti nel cuore della Moravia, Gumpert comincia i suoi esperimenti malefici.

© planetadelmotor.com

Con la complicità delle autorità locali, il segreto ed il silenzio verranno mantenuti per decenni, tanto che le pochissime foto scattate dai locali appariranno solo nel 2004.

Tra i nebbiosi boschi moravi, lontano da spie e giornalisti, la Sport Quattro subisce strane mutazioni genetiche, uscendone piena di appendici aerodinamiche (Sport Quattro S1 E2). Ma gli esperimenti non finiscono certo qui, ed il grande trapianto accade veramente: ora l’Audi Sport Quattro ha il motore centrale.

© planetadelmotor.com

Le informazioni scarseggiano, le notizie si confondono e si contraddicono, leggenda vuole che durante un test segreto in Stiria un’immagine sia trapelata su un giornale austriaco, e che Piëch abbia ordinato di cancellare e distruggere immediatamente tutto.

© planetadelmotor.com

La gestazione della RS 002 è ancora più un mistero. Gumpert, in un’intervista nel 2005, dichiarò che tutti prototipi della RS 002 erano stati distrutti sotto la diretta supervisione di Piëch; eppure un prototipo in avanzato stadio di costruzione non è mai stato distrutto, ed è finito in un angolino del museo Audi. Restaurato da Audi Tradition e presentato al 2016 Eifel Rallye Festival in occasione dei 30 anni dalla fine del Gruppo B, da allora ha fatto bella mostra di se in varie esibizioni, tra cui Goodwood 2017.

© autoevolution.com

È proprio quel prototipo che Ken Block ha abusato guidato nel 2021, nel suo famoso video YouTube “Ken Block Rips Legendary Rally Machines From Audi’s Secret Storage”.

Le specifiche tecniche della RS 002 sono state rilasciate dal direttore di Audi Tradition, Timo Witt, al sito web “rallygroupbshrine.com” solo nel 2017.

Il motore è quello della Sport Quattro S1 E2, 5 cilindri 20 valvole 2135cc interamente in alluminio montato in posizione centrale longitudinale, portato a settecento cavalli nella 002, limitato a quattrocento nelle uscite pubbliche post-restauro.

anche il cambio montato nell’unico prototipo esistente è il manuale a 5 marce della Quattro, ma è probabile che un’evoluzione del PDK (Porsche Doppelkupplungsgetriebe) a doppia frizione (già visto in qualche occasione sulla Quattro) fosse in sviluppo.

© autoevolution.com

La bilancia si ferma incredibilmente a 750 kg, portando la macchina vicina al magico rapporto 1 cv/kg.

Il telaio è di tipo tubolare ed è realizzato in acciaio, mentre la carrozzeria è in fibra di vetro. Le sospensioni sono quattro quadrilateri con molle elicoidali ed ammortizzatori coassiali, grande evoluzione rispetto ai McPherson della Quattro.

© autoevolution.com

L’eredità di tutto questo ben di Dio non venne sprecata. La carriera della Sport Quattro culminò (e terminò) a Pikes Peak 1987, col leggendario Walter Röhrl che vinse e stabilì un nuovo record.

© audi-mediacenter.com

Il know-how rallystico passò al gruppo A, con l’Audi 200 Quattro e la 90 Quattro, che corse (senza grande successo) fino al 1992.

Il magico cinque cilindri turbo fece furori oltreoceano, con la 90 Quattro Imsa-GTO.

© jimmypribble.com

OPEL KADETT E 4S

Opel era un nome importante nei rally. L’epopea della Kadett GT/E e dell’Ascona 400, di Virgilio Conrero e delle auto da lui preparate che andavano più forte di quelle ufficiali, si meriterebbe un articolo a sé.

© Vittorio Imbriani (Facebook)

Per il Gruppo B, Opel aveva preparato la Manta 400. L’impostazione era ancora pienamente anni ‘70: coupé a trazione posteriore e motore anteriore, quattro cilindri 16 valvole aspirato, a carburatori.

Molto, molto in fretta la Manta si rivelò inadeguata a competere con gli altri mostri sputafiamme a trazione integrale del Gruppo B.

© pinterest.com

Con la Manta si era provato a fare un prototipo a trazione integrale, la cui conversione era stata affidata alla FF Developments di Coventry, ma ben presto si capì che non bastavano le quattro ruote motrici per combattere la concorrenza.

La strada da percorrere l’aveva indicata Peugeot con la 205 T16: auto piccole, compatte, a trazione integrale e motore centrale, sovralimentato. Il manager di Opel Motorsport, Tony Fall, ordina la preparazione di una nuova macchina, da zero, su base Kadett E.

Nasce la Kadett 4S.

© Purple twin-turbo (Facebook)

A dirigere la progettazione c’è Karl-Heinz Goldstein, che dopo qualche lavagnata di calcoli conclude che, per la guida rallystica, la distribuzione dei pesi assicurata da un motore centrale anteriore è meglio di quella offerta da un motore centrale posteriore. Il motore quindi resta davanti, ma viene portato sull’asse di sterzo, schiacciato alla paratia dell’abitacolo.

© escuderia.com

La culla dell’abitacolo resta quella della Kadett di serie, a cui vengono aggiunti telaietti tubolari in acciaio per ospitare la meccanica anteriore e posteriore. La carrozzeria viene realizzata in Kevlar, per la trasmissione integrale ci si affida al sistema XTrac. Il peso totale si attesta sui 960kg a secco.

Per il motore si cerca di riutilizzare quello della Manta 400. È un buon pezzo, ma è di vecchia concezione: blocco in ghisa e testa in alluminio (disegnata da Cosworth), 2410cc, 275 cavalli a 7200 giri, gestiti da due carburatori Weber da 50. Sulla nuova Kadett 4S è un polmone. Ci montano un compressore volumetrico Sprintex. 325 cavalli: è ancora un polmone. Allora ci montano un turbocompressore: 400 cavalli e 400 guarnizioni di testa al minuto.

Nel reparto corse si fanno spallucce, fanno un giro di telefonate, Zakspeed fa qualche cammuffamento, et voilà un bel motore Ford Zakspeed 1860cc turbo da 500 cavalli.

Per il 1985 ci sono 4 prototipi funzionanti (uno aspirato, uno volumetrico, uno turbo col motore Opel, uno turbo col motore Ford Zakspeed), nel 1986 due corrono (senza successo) la Dakar, uno il British Rally Championship.

© newsdanciennes.com

Un inglese ubriaco di nome John Welch compra una delle due reduci della Dakar, monta un nuovo albero per ridurre la corsa al 2.4 Opel che ora diventa 2.1, ruba una turbina da un motore BMW M12/13 di Formula Uno (sì, quello da 1300 cavalli) e la sbatte sulla sua Opel Vauxhall. Causerà anarchia e scompiglio nel British Rallycross.

© RSF Motorsport (Twitter)

L’esemplare col compressore volumetrico apparirà a Goodwood nel 2011, per poi finire in pensione nel museo Vauxhall Heritage Center di Luton.

PEUGEOT 405 T16

La 205 T16 era così buona che nelle intenzioni di Peugeot Talbot Sport c’era la volontà di limitarsi ad aggiornare la T16 EVO 2 ad EVO 3 per il gruppo S. C’erano in cantiere una trasmissione in grado di ripartire la coppia manualmente da un comando al cruscotto, ed una nuova aerodinamica.

La 205 T16 aveva solo un problema: il passo. 2420mm, era una delle più lunghe, ma gli ingegneri ne volevano ancora di più, così da aumentare la stabilità. Il limite era la carrozzeria.

Guarda a caso, c’è proprio una berlina che sta per esser presentata da Peugeot, è la 405, prevista per il 1987. Taglia di qua, salda di là, ecco i 2888mm della 405, ecco la carrozzeria che riprende le forme della 405, e toh, c’è anche un po’ di spazio extra per metterci dei bei serbatoi per qualche eventuale rally-raid, che non si sa mai.

Nasce la 405 T16.

© taringa.net

Il motore, il quattro cilindri Peugeot XU8T, cresce un po’, fino a 1905cc, guadagna la fasatura variabile ed una turbina a geometria variabile. Si sperimenta una trasmissione sequenziale, ma alla fine vada per la vecchia TJ con il ripartitore di coppia manuale. Il resto della meccanica è lo stesso della 205 T16 Evo 2.

Il Gruppo S finisce, casini con la federazione, tribunali, ma le scartoffie le lasciamo ai dirigenti, a noi interessa correre. La 405 T16 conquista la Pikes Peak del 1988 con Ari Vatanen, stabilendo un record che durerà fino al 1994. La 405 T16 in allestimento GR “Grand Raid” correrà anche la Parigi Dakar del 1988, 1989 (vincendo), 1990 (vincendo).

© matador.tech
© rallyssimo.it

Peugeot deciderà poi di concentrarsi sulla spettacolare 905 per il WSC, determinando così la fine dello sviluppo della piattaforma 205/405 T16.

Ma dato che del maiale non si butta via niente, tutto il materiale viene passato a Citroën, che lo userà per allestire la ZX Grand Raid (che bella!), mietendo una marea di successi tra il 1991 ed il 1997, tra cui le vittorie alla Dakar 1991, 1994, 1995 e 1996.

© autorevue.cz

C’era anche un altro prototipo su base 205 T16, la Peugeot Quasar del 1984. Ma questa non ha niente a che fare coi rally, è solo gnocchissima.

© motor1.com

FORD RS 200S

La Ford RS 200 è stata la prima auto del Gruppo B ad utilizzare una scocca in materiale composito. Il progetto di base, figlio delle menti degli ex ingegneri Formula Uno Tony Southgate e John Wheeler, era quindi già molto avanzato, tanto che per il Gruppo S era prevista solo una “naturale evoluzione” (RS 200S).

© pinterest.com

Con la Hewland si stava lavorando ad un cambio sequenziale a doppia frizione, per il telaio c’erano in campo studi su materiali compositi più avanzati e l’intercooler doveva essere spostato (o sostituito con uno ad acqua), così da migliorare l’aerodinamica.

Il già citato John Wheeler, nel 1990 è andato a recuperarsi un rottame di RS 200 ex rallycross e l’ha ricostruita così come nel 1986 pensava di fare la RS 200S, utilizzando fondi di magazzino originali. Il motore non è il Cosworth BDT-E della RS 200, bensì un “normale” Cosworth YBB di provenienza Sierra RS.

Notare l’assenza della presa d’aria superiore, permessa dall’utilizzo di un intercooler raffreddato ad acqua:

© petrolicius.com

La RS 200 “E” (l’evoluzione prevista per il 1987, un po’ più della RS200, un po’ meno della RS 200S), invece, fece furore nell’European Rallycross fino al 1992.

© RSF Motorsport (Twitter)

Una RS 200 “E” fu (ri)costruita nel 2004 da Mach 2 Racing usando parti originali Ford Motorsport. Con un motore portato a 840 cavalli, vinse la Pikes Peak del 2004 con Stig Blomqvist.

TOYOTA MR2 222D

Nel paese del Sol Levante non si stava certo a guardare. La Celica TCT da Gr.B, un po’ come la Manta 400, era nata vecchia, limitata dalla sola trazione posteriore. Non c’era niente da fare: bisognava ripartire da carta bianca. Da 豊田市 arriva l’ordine di commissionare la nuova macchina al Toyota Team Europe (a.k.a. Andersson Motorsport, oggi Toyota Gazoo Racing Europe), con sede a Colonia.

A capo di Andersson Motorsport c’è il signor Andersson, Ove Andersson. Ove Andersson è uno svedese classe 1938, è stato lui a portare le Toyota nei rally in Europa, è stato lui a dirigere la preparazione della Celica TCT. Ove Andersson, ora che la Toyota vuole fare sul serio, e che le regole permettono di fare sul serio, vuole fare sul serio.

Parte dalla MR2 AW11, prende i fari posteriori, butta via il resto. Il telaio è tubolare in acciaio, la carrozzeria in materiale composito, per la trasmissione si testa la trazione integrale Xtrac. Ignota la configurazione delle sospensioni.

Prova tre motori: il Toyota 503E 2140cc rubato alle 87C da Gruppo C che corrono a Le Mans, il 4T-GTE 2090cc della Celica TCT, e – si dice – un misterioso V6. I primi due, dei quattro cilindri turbocompressi, sono dati per più di 600 cavalli, con sviluppi possibili fino a 750.

E giusto per fare figo, i prototipi vengono verniciati di nero opaco.

© automobiles-japonaises.com
© gtplanet.net

Su di lei non si hanno altre informazioni. Leggenda vuole che siano stati prodotti 11 esemplari, di cui solo 3 sopravvissuti: uno in una collezione privata, uno a Tokyo, uno a Colonia dalla Toyota Gazoo Racing Europe.

A Goodwood 2007 ne è apparsa una, si dice fosse quella direttamente provata da Andersson.

Al 2016 Eifel Rallye Festival ne sono apparse due: una ha corso l’anno dopo nello stesso rally.

© ladedruck.net

Toyota (Team Europe) comincerà a fare veramente furore nei rally con la Celica GT-Four nel Gruppo A.

MAZDA RX7S

L’altro costruttore giapponese che si è cimentato nel gruppo S è Mazda.

Mazda aveva affidato la preparazione della RX 7 per il Gruppo B ad Achim Warmbold, a capo dell’appositamente creato Mazda Rally Team Europe, con sede a Bruxelles.

La RX 7 non aveva portato grandi successi nel Gruppo B. Per il Gruppo S si stava lavorando ad un prototipo basato sulla nuova generazione di RX 7, la FC3S.

Ma veniamo al dunque: la Gr.B era spinta dal Wankel 13B birotore quotato per 300 cavalli, per il prototipo Gr.S, invece, era arrivato dal Giappone un bellissimo 13B G3 (Mazda 757 Le Mans) buono per 450 cavalli a 8500 giri. Essendo così compatto, poté essere installato in posizione anteriore centrale, similmente alla Kadett 4S. Fu accoppiato ad un cambio a 5 marce Ferguson Formula Developments.

© fail-auto.wixsite.com

Non solo quattro ruote motrici, ma anche quattro ruote sterzanti (!). Aveva inoltre quattro quadrilateri con doppi ammortizzatori su tutti e quattro i lati, montati su un telaio tubolare in acciaio, vestito da una carrozzeria in materiale composito.

© fail-auto.wixsite.com

Ignoti gli altri dettagli, ignoto il numero di esemplari costruiti. Si dice fossero due, uno è apparso al Nostalgic 2 Days Auto Show del 2014:

© speedhunters.com
© speedhunters.com

SEAT IBIZA BIMOTOR

Questa zona dell’articolo, a parer mio, è quella più interessante. Ora parliamo di costruttori che avevano più passione e voglia di correre che budget. Troppo facile costruire Space Shuttle se si ha il budget più alto del PIL dell’Africa intera, provate voi a correre contro Audi, Lancia e Peugeot mentre siete sul filo della bancarotta.

SEAT (Sociedad Española de Automóviles de Turismo) nasce nel 1950 per mano del Caudillo, e produce modelli Fiat su licenza. La faccenda si complica proprio nel 1982, quando Fiat vuole prenderne il controllo, ma i negoziati si interrompono. Volkswagen entra in scena, ma prima che a Barcellona arrivi il pianale della Polo, c’è tempo per fare qualcosa che non sia né Fiat né Volkswagen… per quanto sia possibile, insomma.

Risorse per fare una piattaforma da zero non ce ne sono, facciamoci andare bene quello della Seat Ronda, versione su licenza della Fiat Ritmo: nasce la prima e ultima SEAT made in SEAT, l’Ibiza prima serie, presentata nel 1984.

© autocar.co.uk

Bisogna farla conoscere al mondo, bisogna correre nei rally. ¡Caramba! Senti qua, la FIA vocifera di un certo gruppo S, in cui basta fare solo 10 macchine stradali. Facciamolo!

Ci vuole la trazione integrale, questo ormai è fuori discussione. Ma progettare (o far progettare) una trasmissione da zero costa troppo. In giro per lo stabilimento di Barcellona, però, ci sono tanti motori: mettiamone uno per asse!

SEAT Sport dà l’OK, ora serve fare un po’ di Art Attack. Prendiamo due Ibiza 1.5i 8v System Porsche, seghiamo, saldiamo assieme. Due motori, due trasmissioni, due coppie di McPherson, due contagiri, due indicatori di temperatura, due manometri dell’olio… in totale fanno 2922 cc e 250 cavalli, perfettamente dentro il nuovo regolamento Gr.S per gli aspirati!

© terranovaslot.blogspot.com

Qualche problemino con la sincronizzazione delle due meccaniche: a causa dell’inerzia, il motore anteriore girava perennemente 1500-2000 giri in più di quello posteriore, ed anche sincronizzare le trasmissioni non era così facile. Non sono mancati i materiali compositi: cofano e baule erano in fibra di vetro. In totale, la Seat Ibiza Bimotor, pesva 1001kg.

© terranovaslot.blogspot.com

L’Ibiza Bimotor avrà occasione di scorrazzare per tutta la Spagna nello Spanish Gravel Championship dal 1986 al 1988, assieme alle sue amiche Gr.B fuori regolamento. Otterrà perfino qualche vittoria di classe e qualche podio.

© terranovaslot.blogspot.com

SEAT poi si concentrò sulle Marbella Proto e Rally Raid, di cui mi rifiuto di portarvi una foto perché Marbella e Panda le ho sempre odiate. Nel 1988 presentò l’Ibiza Marathon Grand Raid Concept, con telaio tubolare e carrozzeria in composito, V8 Audi e quattro ruote motrici.

Le idee presentate in questo concept furono sviluppate nella Toledo Marathon del 1992:

© JuanilloMera (Reddit)

ŠKODA 130 LR EVOLUTION

Ah, il blocco orientale degli anni ’80. Scarse erano le attività motorsport interne, quasi nulle quelle a contatto l’esterno. Eppure, qualcosa c’era. Gli amici (veterani) delle ruote artigliate ricordano bene le moto Jawa nella Regolarità e le ČZ nel cross (entrambe cecoslovacche), mentre sui circuiti correvano le MZ made in DDR (vedi articolo RS “Missili, motori due tempi e spie“), ma qua stiamo parlando di anni ’50, ‘60 e primi ’70.

Škoda era l’unico costruttore automobilistico del Patto di Varsavia che ha sempre corso nei rally di tutta Europa (occidentale), con la piccola 130 RS che ha seminato il panico per tutti gli anni ’70.

© skoda-storyboard.com

Škoda ha corso nel Gruppo B con la 130 LR, e nonostante il suo umile e preistorico 1.3 monoalbero a carburatori – che comunque produceva dei rispettabilissimi 130 cavalli – è riuscita a conquistare qualche vittoria di classe.

Per il Gruppo S si voleva fare di più. A brave sarebbe dovuta andare in produzione la Škoda Favorit, l’utilitaria moderna che, assieme alle russe Lada Samara e Moskvich Aleko ed all’ucraina ZAZ Tavria, doveva costituire la nuova generazione di “auto del popolo” del blocco orientale, pensionando le vecchie berline a trazione posteriore in produzione dagli anni ‘50-60.

Chissà cosa sarebbe potuta essere la Favorit nel gruppo S! Ma produzione e burocrazia tardavano, niente Favorit, altro non si poteva fare che aggiornare la vecchia 130.

Niente turbine: il governo aveva destinato la produzione alla sola trazione pesante.

Allora si lavora di fino, sviluppando una miriade di piccole parti pensate per le competizioni. Si allarga la carreggiata, si lavora sull’aerodinamica e sulla distribuzione dei pesi, già vicina al 40/60. Il motore viene portato a 1299.5cc, al limite del regolamento per la classe sub-1.3L, ed arriva a sfiorare i 140 cavalli. Qualche pannello è ora in materiale composito, presumibilmente vetroresina, ed il peso scende a 850 kg.

Nasce la Skoda 130 LR/B, per gli amici Evolution.

© garaz.cz

Abortito definitivamente il Gruppo S, il prototipo venne acquistato nel 1988 da Václav Farka, che corse nel rallycross fino al 1991. Qui, i fratelli Dezider e Miroslav Krajčovič l’acquistarono, la restaurarono, e tornarono a correre nei rally nel 1994. Rimasta qualche anno nelle mani del museo Škoda, l’auto venne battuta all’asta nel 2017 per mezzo milione di euro, finendo in una collezione privata.

© griptv.cz

Una replica fu costruita negli anni ’80 da Miroslav Šefr, giusto per fare concorrenza a Farka nel Rallycross:

© rallycross.cz

LADA SAMARA EVA

Qua, di informazioni ufficiali, neanche l’ombra.

Leggenda vuole che venne costruita nel 1984 da un manipolo di appassionati (Stasys Brundza, Zbignevas Kivertas, Henrikas Šilinis, Vygandas Ulickas ed Arūnas Volungevičius) nel retro di una fabbrica di autobus a Tallinn – Vilniusskaja Fabrika Transportnych Sredstv, VFTS, già autori della 2105 da Gr.B – e che si dovesse chiamare Lada Turbo.

© hi-news.ru

Telaio in tralicci, carrozzeria in vetroresina, motore 1860 cc (blocco della 2106) con un’inedita testata bialbero 16 valvole e turbocompressore, buono per 300 cavalli.

Nel 1988 l’allegra compagnia divenne indipendente e prese il nome di Eksperimentinė Sportinių Automobilių Gamykla, per gli amici EVA: da qui il nome Lada Samara EVA.

© caranddriver.gr

L’esistenza stessa della compagnia rappresentava una grande anomalia nel blocco sovietico, dov’era praticamente impossibile ricevere fondi per il motorsport. Dio solo sa cos’abbiano combinato per riceverli…

L’auto doveva essere omologata per il gruppo B, ed i fondi arrivarono per la costruzione di 200 esemplari. Si dice che siano stati prodotti una ventina di prototipi, tra cui esemplari stradali aspirati da 160 cavalli (i turbocompressori era già un miracolo se si riuscivano a recuperare per le versioni da corsa, figuriamoci quelle stradali).

Chiuso il gruppo B, l’evoluzione proseguì per il gruppo S, di qui le nuove EVA “S-Proto”, con 50 cavalli in più. Da quello che si sa, solo un prototipo è stato dotato dell’aggiornamento.

© Purple twin-turbo (Facebook)

Per il Gruppo S, in realtà, si pensavano cose folli, tipo di chiedere in prestito a Porsche tutto il gruppo moto-propulsore della 959. Follia che è divenuta realtà con la Lada Samara T3 Paris-Dakar, che nelle sapienti mani di Jacky Ickx giunse settima nel 1990 e quinta nel 1991. Giusto per creare ulteriore confusione nei vostri cuori, sappiate che le sospensioni della T3 sono state progettate assieme a Tupolev, che qualcosa di atterraggi ne sapeva.

© pinterest.com

MENZIONI ONOREVOLI

Dal blocco orientale, in realtà, non solo Lada e Škoda tentarono l’approccio alla massima formula del rally.

Ottenne l’omologazione prima Gr.4, poi Gr.B, la polacca FSO Polonez, su base Fiat 125, motorizzata col bialbero Lampredi 2.0. Sulla Polonez c’è anche una storia di un prototipo – storia su cui sarebbe bello indagare -, che vuole il figlio del primo ministro polacco schiantare la sua Lancia Stratos, ed il V6 Ferrari finire nelle mani del centro ricerche FSO… storia che finisce con una certa… “STRATOPOLONEZ

© carsguide.com.au

Tornando al capitalismo, Mitsubishi e RalliArt UK stavano lavorando alla Starion 4WD, ma questa non fece in tempo ad essere omologata Gr.B. Ottenne un discreto successo solo nei rally asiatici.

Renault aveva la R 5 Turbo già nel Gruppo 4, passata poi nel Gruppo B. L’evoluzione fu la spettacolare Maxi Turbo, fatta danzare dal mitico Jean Ragnotti, che nonostante alcune chicche come il DPV (Dispositiv Pre-rotation Variable, il sistema anti-lag montato sulle F1), non ottenne mai grandi successi (fuori dalle prove su asfalto) a causa della sola trazione posteriore. Non si ha notizia di nessun prototipo per il Gruppo S; dopo il ban Renault spostò l’attenzione sulla R11 Turbo che già correva nel Gruppo A. Ma una foto della gnocchissima R5 Maxi Turbo tocca metterla.

© rallymania.forumfree.it

La MG Metro 6R4 arrivò così tardi che fece appena in tempo ad essere omologata Gr.B, ricevendo le scartoffie il 1 novembre 1985, appena 6 mesi prima del ban. Dopo la chiusura del Gr.B, Austin-Rover fece un campagna pubblicitaria enorme per smerciare le 6R4 rimaste ai privati. Il risultato fu un’invasione di 6R4 nei campionati rallycross europei. Per quanto non conosca (e non mi piaccia) il rallycross, mi par di capire che dopo un po’ di giri in pista, di birre e di whisky, i proprietari comincino a montare turbine senza indugio. Leggende narrano di 6R4 biturbo da più di 700 cavalli – vedi Will Gollop.

Il motore V64V della 6R4 vivrà una seconda vita nella Jaguar XJ220.

© Motorsport News (Facebook)

Porsche aveva ereditato le 911 SC dal Gruppo 3, passate a Gr.B come 911 SC/RS. La vera bestia doveva essere la 959, che però mai arrivò ad essere omologata nel Gruppo B. Seminò comunque il panico nel Sahara, a diverse edizioni della Parigi-Dakar ed altri Rally Raid.

© Ad1661 (Flickr.com)

Se voi andaste al Museo Alfa Romeo di Arese, dopo la sezione di pornografia dedicata ai motori radiali, notereste parcheggiata un’ Alfa Romeo Sprint con un culone particolarmente interessante. Questo perché monta un V6 Busso 2.5 in posizione centrale posteriore: sarebbe dovuta essere l’arma da Gruppo B di Alfa Romeo. Ma siamo a metà anni ’80, l’Alfa Romeo è sul lastrico, nel 1986 viene assorbita da Fiat. In altre parole, non c’è una lira. L’Alfetta GTV preparata da Turbodelta passa dal Gruppo 4 al Gruppo B, senza particolare successo e senza eredi.

© ruoteclassiche.quattroruote.it

L’idea della Sprint a motore centrale ispirò due australiani pazzi, Paul Halstead e Barry Lock, che calarono un V8 Holden nel baule della Sprint, creando una piccola produzione di 15 Giocattolo Group-B, prima di chiudere i battenti nel 1989.

© streetmachine.com.au

Due parole su Ferrari. La 308 GTB aveva già scritto la sua storia nei rally – soprattutto d’asfalto, con team privati – nel Gruppo 4. La 308 GT/M doveva alzare l’asticella, ma non fu cosa. Arrivò la 288 GTO a prendere il posto della 308 GTB, che fu prodotta in (più di) 200 esemplari ed omologata Gruppo B. Il Gruppo B, anche se è noto praticamente solo per il rally, nelle intenzioni della FIA doveva prendere anche il posto del gruppo 5, le mitiche Silohuette da pista. A questo scopo nacque la 288 GTO Evoluzione, preparata assieme a Michelotto e Pininfarina, erede della 308 GT/M, da cui riprendeva alcune soluzioni tecniche. È storia arci-nota che dalla 288 GTO Evoluzione nacque la F40.

© sothebys.com

Per i più curiosi di voi, che proprio vogliono vedere cos’hanno combinato in Moskvich con l’Aleko, in Citroën con la Visa e la BX4TC, in BMW con quel gran ferraccio della M1, ed in Daihatsu (con lo zampino di quel furbacchione di DeTomaso) sulla 926R, vi rimando ad un vecchio articolo del Direttore.

 

In realtà vi ho detto un’altra bugia. Quando a giugno 1986 viene abortito tutto, la BPICA torna a minacciare la FISA. Chi avrebbe ripagato i soldi spesi per le auto del Gr.B ed i prototipi del Gr. S? La FISA quindi resuscita l’idea del Gr. S, ma con grandi limitazioni alla potenza (300 cv), alla cilindrata (1200cc sovralimentati, 2400cc aspirati) e con notevole riguardo per la sicurezza, limitando l’uso di materiali infiammabili (praticamente tutti i compositi). Ma i piccoli costruttori hanno paura che i grandi, con le mani in pasta nella F1, usino i motori da F1 – ridotti in cilindrata – nel nuovo Gr.S; contrattazioni, revisioni, ad ottobre 1986 esce la bozza definitiva. Aspirati fino a 3000cc, ma da 2400 in su servono determinati strozzi (“restrictor plates”) in aspirazione. Idem per i sovralimentati da 1200 a 2000cc. Massima lunghezza 4.5m, massima larghezza 1.9m. La forma esterna dev’essere simile alle auto di serie – niente prototipi strani. Peso minimo 1000 kg, roll-bar obbligatoriamente in acciaio con tanto di crash test frontale e laterale. Massimo gomme da 16” per gli eventi su asfalto, niente slick. La giostra può partire il primo gennaio 1987, anziché aspettare l’88.

Il regolamento viene presentato ad ottobre 1986. A novembre esce l’album August di Eric Clapton, ed ascoltando Grand Illusion, la FISA trova l’ispirazione per cancellare – ancora una volta – il Gruppo S.

In quel momento la maggior parte degli intenzionati ha già macchine e piloti pronti. È – ancora un volta – il chaos. Peugeot querela la FISA, Ford molesta Cadringher (capo commissione tecnica FISA) per convincerlo a imporre l’utilizzo dei motori Gr.A, ma il nuovo Megadirettore Galattico dirigente della FIA, Jean-Marie Balestre, ha deciso. Il Gruppo S non s’ha da fare.

Le idee sono a prova di proiettile, disse un saggio. Entrambi i concetti di Gruppo S avranno degli eredi. L’idea finale di auto “punta di lancia del Campionato Mondiale Rally, più fighe delle Gr.A, ma più sicure ed accessibili delle Gr.B” si concretizzerà nel 1997 con le World Rally Car. L’idea iniziale di “prototipo matto che non ha nulla a che fare con le auto di serie” si tradurrà, molto, molto più attenuatamente, nel FIA 2-Litre World Rally Cup, con le sue spettacolari… KIT CAR.

Ma questa è un’altra storia… e la potete leggere qui ma anche sul prossimo DI BRUTTO Vol.5 con la prova speciale di una di queste incredibili auto.

© peugeot-sport.com

BIBLIOGRAFIA
– Hans Erik Næss, A History of Organizational Change. The case of Fédération Internationale de l’Automobile (FIA), 1946-2020, Palgrave Macmillan, 2020, ISBN 978-3-030-48270-1
– rallygroupbshrine.org
– www.ecv1.com via web.archive.org
– www.lanciarally037.com
– www.voltaracing.com
– www.fcaheritage.com
– it.wikipedia.org (solo per la Lada)

Articolo del 10 Aprile 2024 / a cura di Diego Nardelli

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  • Paulo

    Complimenti!
    Per quanto riguarda le case “maggiori” (Peugeot, Lancia, Audi, etc…) avevo visto le foto dei loro prototipi Gruppo S, ma per quanto riguarda est europa ed anche la SEAT, non mi era mai capitato di leggere nulla a riguardo.
    Sono rimasto piacevolmente sorpreso anche dagli svariati aneddoti e dalle varie soluzioni tecniche che vennero adottate.

  • alessandro

    BELLISSIMO. Grazie !!!

  • Riccardo

    Tanta roba! Certo pensandoci bene sarebbe bello un libro sul Gruppo S che raccoglie le testimonianze degli sviluppatori (quelli vivi) e dei loro eredi.

    • Mauro

      Concordo! O un bel podcast

  • Marco Gramenzi

    Articolo molto valido e professionale.
    Non si dà però notizia della Lancia delta S4 evoluzione 2 presentata all’ AUTOMOTORETRO’ di Torino il 28 aprile 2022 dall’ingegnere Sergio limone Claudio Lombardi e Miki Biason.

  • Maurizio

    Un articolo che attendevo da tempo!

    Unico dubbio: uno dei prototipi dell’Audi RS-002 non era dotato di un motore sperimentale 6 cilindri turbo, di soli 1200 cc?

  • Paolo Marchetti

    “Ogni tanto, però, l’intangibile sostanza dei sogni si materializza in realtà.”

    Pelle d’oca.

  • Mauro

    Secondo me tra i vari nomi ecc c’è materiale per svariati articoli che non vedo l’ora di leggere XD

  • Cristian

    Allo stato attuale l’articolo più completo (e divertente) sul Gruppo S che abbia mail letto. Scoprire cosa ci fosse oltre alle solite ECV 1&2 è stato davvero soddisfacente. Ora ci vorrebbe proprio un libro…bravo

  • Gabriele

    Pooooorca vacca che megarticolo ben dettagliato e ricco di curiosità ! Incredibile ! Brau brau .

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