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Missili, motori due tempi e spie

Chi non è mai stato sull’isola alzi la mano. Quale isola? Beh, l’isola di Man, quel pezzo di montagna piazzata nell’Irish Sea a metà strada tra Liverpool e l’Irlanda, dove si svolgeva e si svolge ancora il Tourist Trophy, per gli amici il TT, allora gara del campionato mondiale ed oggi folle gara su strada. Perché non si può raccontare una storia di moto senza passare da Man? Semplice,  quell’isola è stata ed è ancora teatro di incredibili sfide di uomini e di motori lanciati a manetta in mezzo a case di mattoni, muretti di pietra e scogliere diradanti sul mare. Insomma, tutta roba dura dove è meglio non andare a sbattere, ma anche tutta roba che riverbera molto bene le onde sonore.


È quello che dovette accadere nel 1938, quando i nazi tedeschi della DKW (pronuncia de-ka-ve) stavano provando le loro 250 e 350 due tempi, compressore e pistoni contrapposti… la cronaca narra che l’urlo dei motori lanciati sulla pista strada dell’isola si potesse udire a decine di chilometri di distanza. Cronaca poi divenuta leggenda nei racconti che si ascoltavano nei pub, dove una pinta dopo l’altra il suono delle DKW è arrivato fino alla main island. Per i non sudditi della Regina, The Main Island è l’isola che contiene Inghilterra, Scozia e Galles… vabbè l’Inghilterra, si sa che i britannici hanno un concetto particolare della loro geografia.

In mezzo a tutte le complicazioni che si erano andati a cercare gli uomini della DKW per far correre forte le loro due tempi, tra – appunto – compressori meccanici, due pistoni che si dividevano lo stesso cilindro e raffreddamento ad acqua (una chicca per l’epoca) una cosa semplice semplice gli era sfuggita… montare l’espansione!!! Per andare forte ci vuole l’espa, lo sanno tutti a partire dai tredici anni in su ed invece cosa ci fanno quei tubacci dritti con il finale a megafono, se non un baccano infernale?


Il problema era che l’espansione a quei tempi non era ancora stata inventata. Le DKW due tempi, pur essendo degli splendidi gioielli da corsa, eredi di anni di sviluppo tra gli anni ‘20 e gli anni ‘30, tribolavano contro le quattro tempi italiane ed inglesi, ma soprattutto il mondo senza le marmitte ad espansione era un posto triste.

– e quei quattro anelli? –

Tuttavia, nella tarda primavera del 1939 finalmente lo squadrone DKW vinse il TT nella categoria Lightweight e tutto quel frastuono ebbe una giustificazione. Purtroppo la guerra sarebbe esplosa con un frastuono ben più tragico sul finire di quell’estate, trascinando con sé uomini e mezzi. I fumosi due tempi “servirono la patria” come motori ausiliari per avviare turbogetti o stellari di varie nazionalità ed i tecnici si dovettero convertire nel progettare armi, come fece un certo Dr. Ing. Walter Kaaaden, che a Peenemunde lavorava sulla Henschel Hs293, bomba radioguidata passata alla storia come il primo missile “intelligente”.

Come sappiamo, la guerra non andò benissimo per chi stava da quella parte ed un bel giorno Kaaden si vide arrivare l’esercito americano, che se da una parte stava liberando l’Europa, dall’altra si stava preoccupando di reclutare, con le buone ma anche no, gli uomini che avevano contribuito allo sforzo bellico tedesco. L’operazione americana si chiamava in codice Paperclip e coinvolse un gran numero di ingegneri e scienziati, tra cui il più famoso era Werner Von Braun. Ma Kaaden era un pesce piccolo e poté rifiutare di trasferirsi negli USA, ritornando in Germania a Zschopau – Sassonia, proprio dove un tempo sorgeva il quartier generale di DKW e dove traevano le origini della sua famiglia.

– ce ripigliamm tutt chell ch’è nuost –

La guerra nel frattempo aveva cambiato di molto la faccia della Germania e la DKW, inserita all’interno dell’altrettanto possente colosso automobilistico Auto Union, si spostò verso ovest, lasciando in Sassonia le attività motociclistiche sotto il controllo del neonata DDR – Deutsche Demokratische Republik – che orbitava nella sfera del controllo sovietico, attività che sarebbero state ridenominate di lì a breve MZ, ovvero Motorrader Zschopau (fabbrica motociclistica di Zschopau), con fantasia e creatività squisitamente comunista.

Il nostro ingegner Kaaden, che negli anni precedenti si era divertito parecchio con gli oscilloscopi per cercare di carpire i segreti dei pulsoreattori, pensa di utilizzare la sua esperienza sulle onde di pressione dei gas di scarico per far andare più forte i motori due tempi. Questo motore, considerato sulla carta superiore rispetto al quattro tempi, perché molto semplice e senza tutto quell’armamentario di ferraccio costituito da valvole a fungo, alberi a camme, bilancieri, sistemi di azionamento distribuzione, ha però tra i suoi difetti “congeniti” la difficoltà di ottenere un buon riempimento della camera di combustione. Per questo ed altri motivi, il due tempi non aveva ancora dimostrato tutto il suo potenziale, derivante dall’avere una fase utile ogni giro dell’albero motore, rispetto alle due richieste dal buon vecchio quattro tempi. Nel due tempi è il pistone che comanda la distribuzione, l’ingresso di gas freschi è vincolato alla corsa del pistone stesso e soprattutto nella fase di “incrocio” ovvero quando la luce di ammissione è aperta e contemporaneamente è aperta la luce di scarico, una parte della “carica” se ne esce nel tubo di scarico, diminuendo l’efficienza e, tra l’altro, inquinando come una bomba dato che si spargono nell’aere idrocarburi incombusti. Problema oggi molto sentito e che ha fatto diventare antipatico il motore due tempi, ma all’epoca a Kaaden non gliene poteva fregare di meno, a lui interessava andare forte e realizzare il motore definitivo.

L’idea dunque era quella di sfruttare la propagazione dei gas incombusti, creando delle onde “di ritorno” al momento opportuno del ciclo, in modo da ottimizzare lo riempimento del cilindro ed ottenendo così una sovralimentazione “naturale”. Per fare questo, invece di utilizzare come scarico quei tubacci megafonici stile DKW anteguerra, Kaaden varia opportunamente la sezione del tubo, creando una prima parte nella quale i gas possono espandersi ed una seconda nella quale si creano le onde “di ritorno” che migliorano l’efficienza del motore.

Finalmente il mondo ha le marmitte ad espansione ed è diventato un posto migliore.

 

Kaaden però a questo punto aveva un piccolo problema. Aveva la marmitta, ma non aveva la moto su cui montarla. O quasi. Perché nella Germania Est di fine anni ‘40 la produzione di moto non era una delle priorità. Ma a Zschopau vi era un certo know-how in materia ed allora ci si aggiusta come si può, ovvero elaborando proprio le vecchie DKW RT-125, che venivano prodotte in loco fino a qualche anno prima.

La DKW RT-125 è una motoretta popolare, che risale ai primi anni ‘30 ed è così riuscita che – probabilmente – è stata la moto più copiata della storia. Nel dopoguerra i suoi principali cloni si chiamavano BSA Bantam 125, Harley Davidson Hummer 125, Yamaha YA-1, oltre alla “originale” tedesca dell’est rimarchiata MZ ed innumerevoli copie russe e polacche. A Kaaden questo doveva interessare poco, dato che la RT-125 era un vero e proprio “chiodo”, gli serviva solo una base su cui lavorare e disponibile vi era solo quella… ed evidentemente lavorò bene, visto che il motore 125 della RT passa dai 6 cavalli di serie a 13 sui primi prototipi dotati di espansione, fino ad arrivare a 25 cavalli come massimo sviluppo. Non male per avere cambiato solo la marmitta…

– De-Ka-We RT-125 –

Da quelle parti vi era inoltre anche un secondo personaggio, tale Daniel Zimmermann, che sempre partendo dalla base DKW RT-125, risolve un altro problema tipico del due tempi, ovvero la capacità di avere una fasatura più favorevole al raggiungimento di elevate prestazioni, svincolando parzialmente la distribuzione dal pistone e utilizzando un disco rotante come dispositivo-valvola che regola l’ammissione di gas freschi.

Risultato: nelle gare nazionali che si svolgevano nella DDR dei primi anni ‘50 le moto artigianali preparate da Kaaden e le ZPH preparate da Zimmermann sverniciano le MZ “ufficiali” costruite dal colosso statale IFA. E questa non era una cosa da fare in un paese comunista. Zimmermann venne “convinto” a rivelare i suoi trucchetti allo stesso Kaaden e quest’ultimo viene posto a capo del reparto corse “statale” di MZ. Si completa così il quadro tecnico. La valvola rotante all’ammissione e l’espansione allo scarico diventano il mantra della scuola tecnica duetempistica tedesca per decenni.

Ed è così che, nel 1955 al Nurburgring, tecnici e piloti occidentali dovettero trattenere le risate quando i tedeschi dell’est si presentarono in griglia di partenza con due 125 dall’aspetto rozzo ed antidiluviano, guidate dagli sconosciuti Petruschke e Krumpholz. Quello che sfuggì agli stessi occidentali era però che le piccole MZ preparate da Walter Kaaden con disco rotante ed espansione allo scarico montavano i primi motori non sovralimentati a raggiungere la allora fantascientifica potenza specifica di 200 cv per litro. Quando sul finire degli stessi anni ‘50 la competitività dei poveri tedeschi dell’est divenne una realtà probabilmente le risate si erano già spente. E si doveva trovare un modo per battere quei tedeschi, come cercava di fare la testarda Honda con piccoli quattro tempi plurifrazionati che parevano congegni di orologeria, oppure copiare la loro tecnologia, cosa non facile a causa della Cortina di Ferro… come fece la Suzuki.

Dal 1956 correva e lavorava per MZ un giovane di origine polacche, Ernst Degner. Appassionato e veloce pilota oltre che buon tecnico, era cresciuto “nel vivaio” delle corse nazionali proprio con le ZPH di Zimmermann. Kaaden notò presto il talento di Degner, il quale venne assunto da MZ e divenne così il “braccio armato” di Kaaden sulle piste. L’ingegnere faceva le moto, il pilota vinceva. Dopo avere dominato nelle gare nazionali, Degner dal 1958 partecipa alle gare del campionato del mondo e nel 1959 vince il suo primo GP a Monza nella classe 125.

Il problema è che al giovane Degner non stava molto simpatica la onnipresente polizia politica Stasi, che voleva “salvarlo” dai mali dell’imperialismo occidentale, anzi a lui quei mali piacevano proprio, gli piacevano le Jaguar e le Porsche con cui i suoi rivali dell’ovest arrivavano sulle piste, mentre lui viaggiava su uno scassato furgone IFA con i meccanici della fabbrica. Che gusto c’è ad essere ricchi e famosi se poi non puoi andare a gnoc a fare lo sborone in giro?

Ecco allora che abbiamo l’incontro tra domanda e offerta… il tedesco voleva andarsene dalla DDR ed a qualcuno interessava cosa Degner avesse da raccontare circa la tecnologia MZ. Quel qualcuno erano i giapponesi della Suzuki, che fino a quel momento avevano raccolto soltanto figuracce, correndo nelle cilindrate minori.

Complice la relativa libertà dovuta alla vita “da paddock”, nonostante la sorveglianza della Stasi, Degner e gli uomini Suzuki si accordarono. Il tedesco sarebbe scappato, con la sua famiglia ma soprattutto con tutta la documentazione tecnica necessaria. Avrebbe lavorato per i giapponesi e corso con le moto costruite grazie alla tecnologia di Kaaden. Mentre il pilota era in Irlanda per un GP, la sua famiglia avrebbe dovuto svignarsela dalla DDR, il 13 agosto del 1961. Era il giorno in cui i tedeschi cominciarono a costruire il Muro contro l’imperialismo occidentale. Tempismo perfetto…si dovette rimandare tutto. Ma il piano riuscì qualche tempo dopo, mentre Degner era in Svezia e, dopo la corsa, riuscì semplicemente ad andarsene in auto, dirigendosi verso la Danimarca e ricongiungendosi con moglie e figli, che nel frattempo erano fuggiti nascosti dentro il portabagagli di una grossa berlina.

– fate caso al nome della curva 8 di Suzuka –

Il gioco era fatto. Kaaden “tradito”, la MZ e la Stasi beffati, i segreti tecnici sulle Suzuki e Degner che le porta alla vittoria. Ma soprattutto, una volta uscito dalla lampada, il genio tecnico di Walter Kaaden è finito nelle mani dei giapponesi e questi, con la loro straordinaria dedizione, ne fanno una formidabile arma e si scatena così la “competizione” tra i duetempisti Suzuki e Yamaha da una parte e quattrotempisti dall’altra, con Honda in testa e tutti gli altri, italiani e britannici, dietro. Negli anni ‘60 i motori Honda 50 a due cilindri e 125 cinque cilindri raggiunsero i 20.000 giri e 270 cavalli per litro. Yamaha rispondeva con 125 e 250 V4 due tempi, Suzuki con un 250 quattro cilindri “in quadrato”… la corsa allo spazio era partita! Dalla metà degli anni ‘70 i due tempi erano i motori da battere e persino la Honda, dopo la parentesi della NR “pistoni ovali” voluta direttamente da Soichiro Honda, cui i due tempi facevano letteralmente ribrezzo… dovette ripiegare sulla NS500 3 cilindri. Era l’inizio degli anni ‘80 ed il due tempi fumoso, rabbioso e sibilante messo a punto da Kaaden e sviluppato dai giapponesi venne fermato soltanto dal regolamento della MotoGP, nel 2001.

Testo di Enrico Chiambalero, il nostro inviato nel fumoso mondo delle storie strane e dimenticate, nonché il mentore del direttore in quanto a modellismo statico.

Articolo del 12 Novembre 2020 / a cura di La redazione

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  • Eugenio

    Siete troppo forti. Grazie di esistere!!!!!

  • Luca Grassetti

    ah, i 2t, solo a dirlo sento odore di olio e mi sento meglio

  • Paolo

    Se non ti mai sfogato su un 2t non puoi dire di avere vissuto…. Grazie per questi spaccati di tecno-storia

  • Alessandro Sacchet

    Quella foto di Kevin Schwantz su Rg500 ad un adolescente dei primi anni ’90 creava scompensi peggio che Moana Pozzi…che moto che erano i due tempi…

  • enrico

    grandi

  • Grillo Parlante

    Io ho in garage una Rd 500 LC. Credo di non dover aggiungere altro…..se non che i vostri articoli sono sempre straordinari!

  • Fabio

    2t a pistoni contrapposti motociclistico: potete dirmi qualcosa di più? Io sapevo fossero solo diesel e grossi motori aeronautici o per treni (deltic)

    • Mauro C.

      In realtà non è esatto… Era un motore a cilindro sdoppiato, cioè due cilindri paralleli con una camera di combustione condivisa. Un cilindro aveva le luci di immissione, l’altro la luce (o più di una) di scarico. I pistoni sono leggermente sfasati, con quello del cilindro “di scarico” un pochino in ritardo sul primo.

      I cilindri avevano posizionamento verticale, in linea, con orientamento longitudinale: per questo il cilindro posteriore (quello “di scarico”) oltre ad avere già di suo temperature più alte, soffriva anche una pessima esposizione all’aria, rendendo necessario il raffreddamento a liquido.
      Il compressore era un pistone di grande alesaggio e pochissima corsa, posizionato orizzontalmente fronte marcia, che serviva a creare nel carter pompa una variazione di volume superiore a quella provocata dai soli pistoni attivi termicamente.

      Anche in Italia sono stati prodotti motori a cilindro sdoppiato; le moto Garelli coeve di quelle DKW, e in anni più recenti Iso Rivolta con l’Isomoto ed Isoscooter ed il motore montato sulla Isetta (che poi fu prodotta da BMW su licenza però montando un 4t).

      • Mauro C.

        Correggo una cosa: il pistone che controlla lo scarico si muove in anticipo rispetto all’altro.

  • Frank

    Come sarebbe a dire che esiste un 125 5 cilindri!?! Cazzo, stanotte avrò gli incubi… 🙂

  • Pierantonio

    Complimenti per l’articolo

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