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Do-335 Pfeil, il capolavoro di Claudius Dornier

Agli albori la mia conoscenza degli aerei militari della Seconda Guerra Mondiale era molto limitata. Per via dei vari film sul tema (La battaglia d’Inghilterra, Tora Tora Tora, etc) per me i fab four invece dei Beatles erano lo Spitfire, il Bf-109, il P-51 e lo Zero Giapponese. Quello che fece scoccare la scintilla per il sacro fuoco della curiosità fu un gioco per pc prodotto dalla LucasFilm negli anni 90: SWOTL – Secret Weapons Of Luftwaffe.

A quei tempi, insieme a mio fratello, fieri del nostro 486sx-25 con ben 4 mb di Ram e Hd da 130mb (non ridete, nel 1990 era un signor pc), dopo aver perso un paio di pomeriggi a mettere e togliere dischetti da 3.5”, ci dividevamo le postazioni di pilota e mitragliere di un B-17 andando a bombardare fabbriche di cuscinetti sul suolo tedesco, difendendoci da nugoli di Bf-109 et simili. Ogni tanto riuscivamo pure a tornare a casa completando la missione. La parte migliore del gioco però era, come promesso dal titolo, il fatto di poter pilotare gli aerei sperimentali tedeschi che nella realtà avrebbero dovuto cambiare il corso della storia. Passarono alla storia con il nome di Wunderwaffe e sono parte integrante di quel fascino tutto cyberpunk che solo le armi e i disperati esperimenti nazisti sanno avere. Nel gioco si potevano portare in volo i sibilanti Me-163 Komet, Me-262 Schwalbe, Horten Ho-229, Heinkel He-162 e lo stranissimo Dornier Do 335 Pfeil che subito ribattezzai il matitone, perché mi ricordava la matita a due punte rossa e blu del professore di disegno. 


Fra tutti gli aerei sperimentali che i tedeschi hanno fatto volare negli ultimi disperati anni della Guerra, questo Dornier è sicuramente uno di più strani ma promettenti. Apice tecnologico/prestazionale per quanto riguarda gli aerei con motori a pistoni , il Do-335 alla fine vide il proprio sviluppo tarpato sia dalla comparsa dei motori jet ma anche – e soprattutto – dalla cinofallica gestione del progetto da parte della dirigenza della Luftwaffe. Ma andiamo con calma e cominciamo dall’inizio.

La caratteristica principale del Pfeil, freccia in tedesco, anche se visto di profilo a me ricorda più un calamaro, è quella di avere 2 motori montati uno in posizione classica anteriore e uno quasi al centro e due eliche, una traente davanti e una spingente dietro collegata in remoto tramite albero di trasmissione al motore centrale. In questo modo l’ aereo cercava di incrementare al massimo le prestazioni di un aereo spinto da due semplici motori a pistoni, il tutto in attesa che i jet diventassero sufficientemente affidabili e privi di problemi tecnici evidenti

– a destra, dietro l’abitacolo, potete vedere il grosso V12 in posizione centrale e l’albero che va verso l’elica spingente –

Questa soluzione, che rispetta in pieno la legge del Maxibon, viene detta Push-Pull e vede i suoi natali durante la prima guerra mondiale. Claude Dornier, ingegnere aeronautico e allievo del famigerato Ferdinand von Zeppelin sdoganò per primo questa soluzione facendone un tratto distintivo di molti suoi progetti. La massima espressione di questo concetto fu il Dornier X, un elegante bestione spinto da ben 12 motori!

– Italo Balbo spostate proprio – 

D’altronde Dornier ci aveva visto lungo: mettere due motori in fila ha molti vantaggi, innanzitutto la sezione frontale è quella di un monoelica ma col doppio della potenza e se poi una delle due unità dovesse avere problemi, non si verificheranno pericolosi sbilanciamenti di assetto dell’aeroplano. Si ha inoltre un profilo alare sgombro a tutto vantaggio dell’aerodinamica e una maneggevolezza da primato.

– Visto davanti era proprio un bel figurino –

Il motore posteriore incassato tra la coda e il serbatoio –

Già nel 1939 la Dornier lavorava allo sviluppo del bombardiere veloce P-59, che già somigliava molto al Do-335 e per convincere gli alti papaveri della Luftwaffe che la soluzione di un’elica distante dal motore non dava problemi creò addirittura un aereo dimostrativo apposito: il Goppingen Go-9.

Il Go-9 aveva l’elica posteriore e il motore al centro. Le buone prestazioni fecero ricredere anche i più scettici e il progetto fu approvato. Il futuro sembrava roseo per il P-59, ma nel 1940 il pingue e candido maresciallo Goering, capo della Luftwaffe, decise che tutti i progetti che non fossero stati pronti entro l’anno dovevano essere chiusi. Evidentemente, grazie agli eclatanti risultati conseguiti con la guerra lampo, pensavano che la vittoria fosse prossima e che quindi non era necessario buttare i soldi in altri progetti. A Roma gli avrebbero detto “A marescià, te la senti calla eh?”.

Come ben sappiamo le previsioni tedesche non si avverarono e già nel 1942 le cose erano cambiate e di molto. Dornier ripropose quindi una versione aggiornata, capace di portare ben 1000kg di bombe. La sua proposta piacque e venne accettata, ma proprio quando stavano per iniziare i lavori, dal comando del Reich comunicarono che viste le nuove necessità, invece di un bombardiere veloce era necessario un caccia multiruolo. Dornier bestemmiò gli dei del Valhalla per un paio di giorni, poi si chiuse nella fabbrica con flex e fiamma ossidrica per modificare il suo aereo e dopo quasi un annetto presentò il nuovo prototipo.

Quello che ne uscì era un mezzo mai visto prima, si chiamava Do-335 “Pfeil”, non certo bello ed elegante come uno Spitfire ma faceva la sua porca figura. Era un bestione lungo 13.85 metri, largo altrettanto e alto quasi 5 metri.

– Grosso è grosso –

A causa dell’elica posteriore l’aereo doveva stare “dritto” e gli alti carrelli, che diedero qualche problema di fragilità all’inizio, permettevano ad un uomo di camminarci sotto quasi senza abbassarsi.

– Acqua e olio tutto a posto! –

La struttura era monoscocca e le ali erano collegate tramite una trave portante che attraversava la fusoliera collegata alla sezione di coda. Parte della superficie verticale di coda fu abbassata e metà si prolungava sotto la fusoliera, per proteggere l’elica posteriore da eventuali contatti con il suolo, pericolosi sia in fase di atterraggio che di decollo.

– Il propulsore anteriore –

Le prestazioni erano superlative. Grazie ai due possenti Daimler Db-603A (12 cilindri a V rovesciata da 44.5 litri) da 1.900 cv l’uno, l’aereo era in grado di raggiungere i 765 km/h con un’accelerazione e maneggevolezza mai viste prima dai piloti tedeschi. Anche col solo motore posteriore funzionante la velocità registrata fu di oltre 560 km/h.

Nessun altro aereo alleato poteva batterlo. Il più veloce di tutti, il P-51 Mustang, superava di poco i 700 km/h. Poi c’era da considerare l fatto che il 335 era armato fino ai denti: oltre ad un cannone da 30mm Mk-103 che sparava attraverso il mozzo dell’elica frontale (come nel Messerschmitt Bf-109) e due mitragliatrici MG 151 da 15mm sul muso, il prepotente Dornier poteva trasportare bombe fino a 1000kg su due piloni alari o nel vano ventrale. Il tutto per un peso al decollo di 11.700kg in configurazione full optional (non certo un peso piuma).

– Dispensava nazionalsocialismo in due formati differenti –

– Il posto di comando –

Fra dimensioni, carico bellico e prestazioni, il Do-335 iniziava ad essere un aereo moderno in tutti i sensi. Per convincervi di questa affermazioni, i tecnici Dornier dotarono l’aereo anche di un moderno (per l’epoca) seggiolino eiettabile ad azionamento pneumatico. Per evitare di far diventare il pilota simile alla carne in scatola, poco prima dell’espulsione delle cariche esplosive facevano separare l’elica di coda e la parte alta della deriva facendo così largo al pilota volenteroso (o bisognoso) di abbandonare il suo apparecchio.

– Particolare dell’elica e dell’impennaggio posteriore –

La Luftwaffe era scettica riguardo un progetto così innovativo, le sue simpatie (e fondi) erano oramai per le meraviglie a getto ma dati i tempi bui che si prevedevano, il gran capo con i baffetti diede massima priorità al progetto. Ci volle un po’ di tempo per sistemare alcune pecche strutturali ma alla fine del 1943 venne presentata la versione definitiva. Fu richiesta anche una versione più armata con un ulteriore paio di Mk103 sistemati uno per ala e una versione biposto per intercettazione notturna soprannominata il formichiere.

 – Spaccato della versione B2 si notano i due cannoni alari –

Sembrano due aerei che s’ingroppano si sono tamponati… –

Per probabile piacioneria verso i sostenitori dei motori a getto, fu proposta anche una versione ibrida, motore anteriore a pistoni e posteriore a reazione Jumo. Avrebbe garantito ulteriori 60-70 km/h in più ma rimase allo stadio di progetto.

La produzione di questa meraviglia di loscaggine doveva essere a Manzel, ma un bombardamento mise fuori uso lo stabilimento. Dal comando allora ordinarono alla Heinkel di sospendere la produzione del loro He-219A “UHU” e di approntare le linee per il Do-335. Dalla Heinkel risposero “Ya, ya, kittesenculen!!” e fecero orecchie da mercante ritardando ancora di più la produzione del Do-335. Trovato un nuovo sito di produzione, a fine 1944 finalmente la produzione poté essere avviata, ma si interruppe dopo appena 11 esemplari (sui 2000 ottimisticamente previsti entro fine 1946) perché gli alleati occuparono la fabbrica di Oberpfaffenhofen nell’aprile del 1945 esclamando “What a fuck!?!” quando si trovarono davanti quegli strani aerei di cui fino ad allora erano arrivati solo racconti da parte di piloti che li avevano intravisti mentre si infilavano veloci nelle nubi.

– Hey Joe, Hai capito sti cazzo di tedeschi che sanno fare!? –

Alla fine della fiera, fra ritardi e bombardamenti alleati il Do-335 non entrò mai in combattimento; l’unico “scontro“, se così si può chiamare, con un aereo alleato fu con l’asso francese Pierre Clostermann. Egli raccontò nelle sue memorie che nell’aprile del 1945, mentre era a capo di una formazione di quattro Hawker Tempest sulla Germania del Nord incontrò per caso un Do 335 che volava da solo alla massima velocità e a bassissima quota. Non appena si accorse degli aerei britannici, il pilota tedesco invertì la rotta. Per quanto veloci fossero i Tempest, non riuscirono a raggiungerlo.

Ad oggi, degli 11 aerei prodotti, di cui un paio biposto, solo uno è sopravvissuto, gli altri sono andati distrutti in incidenti di volo durante i test da parte dei paesi alleati.

– notare le insegne. Il Do-335, a causa del suo peso soffrì sempre di una cronica fragilità dei carrelli, che tendevano a collassare in caso di atterraggi un po’ troppo bruschi –

L’ultimo dei 335, il secondo degli 11 prodotti e terminato il 16 Aprile 1945, fu catturato all’occupazione dello stabilimento Dornier dagli alleati. L’aereo fu provato in volo partendo da Monaco di Baviera fino a Cherbourg, in Francia, scortato da due P-51 Mustang. Appena sopra le Alpi, il pilota del Pfeil diede tutta manetta e si lasciò facilmente indietro i compagni, che arrivarono a Cherbourg ben 45 minuti dopo, stupiti dalle prestazioni dell’aereo tedesco.

Questo fu uno dei due Do-335 spediti negli Stati Uniti con la portaerei di scorta inglese HMS Reaper (dell’altro si sono perse le tracce), insieme ad altri aerei tedeschi catturati grazie all’operazione “Lusty”.

– il ponte della HMS Reaper mentre torna verso gli USA con un discreto bottino di guerra –

Alla fine dei test, dopo il 1948, l’aereo fu abbandonato all’aperto (sigh!) nel deposito della stazione aeronavale di Norfolk. Nel 1961 fu donato al museo aereo nazionale dello Smithsonian Institution dove rimase per alcuni anni. Poi, sempre più in cattive condizioni fu spostato nel museo nazionale aerospaziale di Silver Hill, nel Maryland. Finalmente, nell’ottobre del 1974 il Do-335 fu inviato allo stabilimento Dornier di Oberpfaffenhofen per un restauro totale. L’aereo fu restaurato da uno staff che comprendeva anche operai che avevano lavorato sugli aerei originali. Con malcelato orgoglio fecero presente che le cariche di esplosivo per staccare la coda e l’elica posteriore dopo trent’anni erano ancora funzionanti.

– Il Do-335 VG+PH abbandonato nella base di Norfolk. Poco davanti a lui si vede un idrovolante giapponese Kawanishi H8K Emily –

– Il team del restauro altro che Edd China –

Dopo il restauro l’aereo è stato riportato negli USA e se oggi volete ammirare l’unico Do-335 rimasto, orgoglioso – anche se bruttino – rimasuglio della grande industria aeronautica tedesca, vi tocca andare al museo di Silver Hill, nel Maryland.

Come le altre Wunderwaffe anche il Do-335 arrivò troppo tardi per poter dare il suo contributo, a noi rimarrà sempre il dubbio se davvero valeva ciò che prometteva. Di certo era un ferro rivoluzionario che anche se soffriva di problemi di surriscaldamento al motore posteriore, mette d’accordo molti ingegneri aeronautici, concordi nell’affermare che se non fosse arrivato il motore a reazione, la soluzione dei motori in tandem sarebbe stata il futuro degli aerei militari.

Articolo del 3 Gennaio 2022 / a cura di Roberto Orsini

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  • Chip-18

    domanda, come mai nella foto dell’abitacolo sul sedile c’è una targhetta di pericolo radioattivo?
    è li per sbaglio o lo Pfeil conteneva materiali radioattivi?

    • Roberto Orsini

      Ha incuriosito anche a me, ho cercato ma non ho trovato nulla in merito. Suppongo quindi sia li per sbaglio. Il primo che andrà a vederlo al museo poi chiederà e ce lo farà sapere 😀

    • Alessandro

      Ho notato anch’io, azzardo una spiegazione che potrebbe riguardare le vernici al radio che usavano nella strumentazione per renderla visibile al buio?

  • Marco

    Gli indicatori notturni a quadrante luminoso rilasciano radiazioni, anche se poche.
    Succedeva così anche anche con le radio militari fino agli anni 60.
    Penso io eh

    • Chip-18

      si probabile che sia quello anche perché non mi viene in mente nessun altro componente che potrebbe essere radioattivo

  • Carlo Brozzi

    Articolo interessante.
    Potresti trattare anche del ME 163 Komet e del TA 154 , quest’ ultimo un maldestro e sfortunato tentativo d’ imitare
    e il De Havilland Mosquito britannico?

  • Fabio

    Ho avuto la fortuna di vederlo al museo della tecnica di Monaco. Era impressionante! Dovrei avere ancora qualche foto, se riesco lo posto

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