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Pratt & Whitney J58, così l’SR-71 Blackbird volava a Mach 3,2

Quando hai l’unione sovietica che ti soffia sul collo, quando hai uno stile di vita da difendere o, meglio, quando devi far vedere a tutti chi ce l’ha più grosso e veloce, è ora di tirare fuori i pezzi da 90.

Ecco quindi che gli ammeregani, dopo che i russi – a forza di provarci – erano riusciti a tiragli giù un (ma anche più di uno) Lockheed U-2 (non quelli capitanati da Bono eh), si resero conto che la quota, senza la velocità, non era ancora abbastanza. Dovendo quindi rimpiazzare il mitico ricognitore derivato dall’altrettanto mitico F-104, gli americani si sono riuniti nell’Area 51 e, al grido di “ti spiezo in du”, hanno partorito la macchina volante più incazzata di tutti i tempi.

Il Chevrolet Silverado

– Articolo generale dedicato al Blackbird QUI

Finanziati dalla CIA e capitanati dal genio di Clarence “Kelly” Johnson, gli ingegneri del reparto Skunk Works della Lockheed si chiusero nella misteriosa base del Nevada e, tra il 1962 e il 1964 diedero vita agli avvistamenti ufo nella zona svilupparono il mitico Lockheed A-12 Oxcart, il ricognitore militare da cui in futuro verrà sviluppato il ben più noto e famoso SR-71 Blackbird. Più leggero e veloce dell’SR-71, l’A-12 era costruito attorno a due mostruosi motori prodotti dalla Pratt & Whitney, i misteriosi J58.

-Kelly Johnson davanti ad un YF-12, prototipo di intercettore su base A-12 (si vede il muso modificato per ospitare il radar) –

Ora, la Pratt & Whitney ha sempre avuto nella US Navy un ottimo cliente (che poi è il motivo per cui Goose ci ha lasciato le penne, maledetti) e quando si iniziò a vociferare di una evoluzione del North American A3J Vigilante in una sua versione migliorata e capace di volare stabilmente a mach 2,5 e con punte superiori a Mach 3, i ragazzi della P&W si misero all’opera per realizzare il motore che lo avrebbe equipaggiato. Per farvi capire che razza di epoca sono stati gli anni ’50 e ’60 per l’aviazione, il primo J58 girava già al banco nel 1958, appena 9 anni dopo che Chuck Yeager aveva superato la barriera del suono: l’industria andava più veloce degli aerei che produceva… tutto con righelli, squadre e tecnigrafi!

– un Pratt & Whitney J58 al banco prima di venire modificato per operare a oltre Mach 3 –

Comunque, siccome – come al solito quando si parla di programmi USA – i costi stavano salendo alle stelle, la Marina si tirò indietro lasciando campo libero all’esercito, che scelse il neonato J58 per equipaggiare l’A-12 a cui abbiamo accennato prima e soddisfare così le assurde richieste relative al nuovo aereo. Il requisito fondamentale che la CIA impose ai progettisti dell’A-12 era infatti che l’aereo avesse la capacità di operare a velocità superiori a Mach 3 e a quote superiori agli 80.000 piedi (24 km!!) per periodi di tempo molto prolungati. Viene da sé che per portare a casa questi requisiti bisognava sviluppare un motore capace di operare con i postbruciatori a manetta per tempi molto lunghi, motivo per cui, nel progetto dell’A-12 non bisognava pensare solo alla potenza bruta, ma anche all’efficienza energetica, giusto per non dover fare rifornimento ogni 10 minuti (ma anche meno). Insomma, l’A-12 non doveva solo essere velocissimo ma, cosa ben più importante e difficile da realizzare, doveva essere efficiente. Ed è proprio sulla parola “efficienza” che si gioca tutto il funzionamento dei suoi straordinari motori: l’aereo non doveva solo raggiungere Mach 3,2 (e oltre), doveva mantenerli.

Ora, vi avviso, per analizzare la struttura e il funzionamento dei J58 c’è bisogno della giusta atmosfera, io scrivo sorseggiando limoncello e ascoltando il rumore della pioggia con i tuoni su youtube, vi suggerisco di fare altrettanto, per una migliore comprensione e per meglio gustarvi le incredibili prodezze tecniche che arriveranno.

Partiamo dalle basi: l’A-12/SR-71 è stato probabilmente il miglior aeroplano spinto da tradizionali motori a getto mai pensato, disegnato, costruito e che abbia effettivamente volato. Progettato per volare a Mach 3.2, è stato testato in galleria del vento fino a Mach 3,5 e in alcune occasioni spinto ad oltre Mach 3,3 a quote superiori a 87.000 piedi. Per ottenere queste prestazioni senza eguali e senza tempo, questo incredibile aeroplano faceva affidamento non su “un motore”, ma su un complesso sistema propulsivo – se fossimo in Formula 1 lo chiameremmo power unit – composto da una presa d’aria a geometria variabile, dal sistema automatizzato di controllo del flusso d’aria, dal turbogetto J58, dal postbruciatore, dall’ugello anche lui a geometria variabile e, infine, dalle gondole all’interno delle quali tutto questo è installato e la cui forma interna è fondamentale.

– nelle foto al limite del pornografico qui sopra potete vedere un modellino dell’intercettore YF-12 in galleria del vento. Si notano il complesso sistema di sensori attorno ad una gondola per studiare i flussi d’aria attorno ad essa –

Pronti per immergerci nella magia del programma Oxcart? Andiamo!

Allora, innanzi tutto il cuore del sistema propulsivo del Blackbird è un “normale” e grosso turbogetto puro, il P&W J58, composto dai classici presa d’aria-compressore-combustore-turbina-postbruciatore. È inutile che stia a rispiegarvi il solito pippone su come funziona un turbogetto, se avete ancora dubbi vi invito a dare un’occhiata a questo articolo. Nella fattispecie, scendendo nei dettagli che tanto ci fanno sbrodolare, il cuore del J58 era un turbogetto tradizionale a singolo albero (una versione più piccola del ben più grosso J91, quello che secondo i piani sarebbe dovuto finire sul bombardiere a propulsione nucleare) con compressore assiale a 9 stadi (e rapporto di compressione di 8,8:1) a cui seguivano gli otto tubi di fiamma della camera di combustione e infine la turbina a doppio stadio.

Fin qui, tutto facile, o quasi. Per poter infatti reggere le temperature estreme a cui il motore sarebbe stato sottoposto nei lunghi periodi a tutto gas, il J58 “normale” venne pesantemente modificato per poter operare alle alte velocità che si richiedevano all’A-12: ogni singolo componente di questo turbogetto era tirato a balestra e le innovazioni tecniche che comparvero per la prima volta sul J58 sono numerose. I primi stadi del compressore erano costruiti in lega di titanio (Ti-8-1 e Ti-5-2.5, poi capiremo perché) per garantire leggerezza e resistenza meccanica alle alte temperature, mentre nella turbina – le cui temperature di ingresso si aggiravano attorno ai 1.100°C, un valore record tanto all’epoca quanto oggi – si sperimentarono per la prima volta delle palette prodotte in superlega con grano monocristallino, anche in questo caso per ottenere una migliore resistenza alle alte temperature e mantenere basso lo scorrimento viscoso. Le palette della turbina erano cave e raffreddate da aria spillata dal compressore e a questo si univano una lunga serie di condotti a geometria variabile per ottimizzare il flusso dell’aria a tutti i regimi.

Ma non è tutto, come già detto nell’articolo generale dedicato all’SR-71, questo portentoso aeroplano era alimentato con un carburante speciale caratterizzato da un punto di infiammabilità piuttosto elevato (sempre per il problema delle alte temperature blabla), il famoso JP-7. Per funzionare con questo carburante particolarmente difficile da accendere, nelle camere di combustione del J58 non c’erano le normali candelette di accensione che si usano con il “classico” JP-4, ma si utilizzava un impianto che prevedeva l’iniezione di piccole quantità di trietilborano (TEB), una sostanza chimica che si incendia spontaneamente a contatto con l’aria. Ogni J58 possedeva un piccolo serbatoio da 600cc di TEB, utile per un massimo di 16 avviamenti del motore o del postbruciatore. Proprio la combustione del TEB è ciò che causa il particolare colore verde della fiamma dei postbruciatori del Blackbird/Oxcart visibile in alcune fotografie.

Ora, andiamo avanti che viene il bello. Il motore tradizionale, per come lo abbiamo appena descritto, aveva il compito di portare l’aeroplano da terra fino ad una velocità massima di circa Mach 2, dopo di che succedeva la magia e il J58, da semplice turboreattore, si trasformava in qualcosa di simile ad un autoturboreattore.

Prima di procedere, però, vi toccherà sorbirvi la spiegazione su cos’è e come funziona un autoreattore, anche conosciuto come statoreattore o ramjet. Andiamo quindi con ordine che, lo sapete, su RS le cose si fanno fatte per bene.

Come spesso abbiamo avuto modo di scrivere, in un turbogetto – QUALUNQUE turbogetto – bisogna che l’aria che arriva al compressore sia subsonica, non importa che stiate volando a 800, 1.200 o 3.000 km/h, l’aria deve essere rallentata (dalla presa d’aria e dalla sua forma) fino ad una velocità inferiore a quella del suono (di solito circa Mach 0,4) per evitare la formazione di pericolose – e dannose – onde d’urto nel compressore e mandare tutto a putt donne dai facili costumi.

Ora, c’è un problema e si chiama termodinamica (unico esame che all’università ho dovuto dare tre volte). La questione è complessa, molto complessa (se vi va di perderci un po’ di tempo, cliccate QUI) e cercherò di farla facile e breve: l’energia che viene persa dall’aria nel suo processo di rallentamento ad opera della presa viene convertita in calore quindi, più il motore va veloce e più si troverà ad ingerire aria sempre più calda per ottenere una spinta netta positiva. Ora, ovviamente, c’è un limite, sia alla temperatura gestibile dal compressore quanto – e qui la cosa è più critica – quella gestibile dalla turbina, vero componente-limite nel caso dei turbogetti (la turbina è quella che si becca l’aria calda dopo la combustione, e più l’aria in ingresso sarà calda, più lo sarà in uscita).

Il modo più semplice ed immediato – teoricamente – per aggirare i limiti e i problemi dei turbogetti tradizionali è lo statoreattore: in questo tipo di propulsore a reazione è la forma stessa del condotto nel quale viene fatta passare l’aria a determinarne la compressione e la successiva espansione. In uno statoreattore – che è il più semplice e banale tipo di esoreattore – non c’è alcun organo in movimento, zero, nada, nied. Piccolo, semplice e leggero, lo statoreattore è la scelta giusta quando vi serve un motore capace di volare ad alta, altissima velocità.

Come potete vedere nella foto qui sopra lo statoreattore è un lungo tubo a sezione variabile la cui forma determina la compressione dell’aria, la quale poi viene fatta passare attraverso una camera di combustione e poi lasciata libera di espandersi nell’ugello ad una velocità superiore a quella di entrata. Ovviamente non sono tutte rose e fiori: uno statoreattore non può funzionare a punto fisso (ovvero da fermo rispetto al flusso dell’aria) perché non è in grado di comprimersi l’aria da solo ma, anzi, per poter iniziare a funzionare ha bisogno di viaggiare ad almeno Mach 1 per poi diventare pienamente operativo ed efficace solo a circa Mach 3.

Quindi, ricapitoliamo: il turbogetto può partire da zero e arrivare a Mach 2 tranquillamente ma poi fa fatica ad andare molto più forte; viceversa, lo statoreattore non può partire da fermo ma una volta a velocità superiori a quella del suono diventa efficace e permette di andare tranquilli tranquilli a velocità superiori a Mach 3 (doveroso a questo punto ricordare il Boeing X-51, aereo sperimentale senza pilota che nel 2013 ha raggiunto i Mach 5 grazie ad uno scramjet, evoluzione del ramjet di cui parliamo oggi).

– il Boeing X-51 poco prima del lancio operato da un B-52 –

A questo punto ci vuole però un brevissimo volo radente in Francia sopra la casa di Renè Leduc, uno dei pionieri nel campo dei ramjet. A differenza dei precedenti esperimenti di Leduc (come lo 0.10, primo ramjet a volare nel 1949) che venivano portati in volo da altri aeroplani e poi liberati alla velocità richiesta, lo 0.22 utilizzava un turbogetto per partire e poi, una volta in volo, azionava il ramjet: raggiunse, una sola volta, Mach 1.15, bene ma non benissimo.

– prime due foto, il Leduc 0.10, nelle altre due il Leduc 0.22, nella penultima foto vediamo un pilota con la faccia da cazzoguardi aiutami a uscire da qui –

Quindi, chiarito il funzionamento del ramjet, tutti (o quasi) i problemi di velocità potrebbero essere risolti utilizzando un motore “misto”, un turboramjet. Un autoturboreattore a volerla dire in italiano.

In questo tipo di motore – esattamente come fatto da Leduc con il suo 0.22 – abbiamo un nucleo composto da un turbogetto installato all’interno di un lungo condotto opportunamente sagomato e dotato di una camera di combustione a valle dell’ugello del turbogetto. A questo aggiungiamo una serie di valvole di bypass capaci di “escludere” il turbogetto una volta superata una certa velocità (quella necessaria per far diventare efficace il ramjet) e di far passare tutta l’aria nel condotto esterno il quale, grazie alla sua particolare conformazione, agirà esattamente come un ramjet. L’autoturboreattore che abbiamo appena ottenuto può quindi agire come turboreattore dal decollo e per tutto il volo a “bassa” velocità, salvo poi operare come un autoreattore per accelerare e raggiungere numeri di Mach molto più elevati.

Ok, è un po’ un casino, vi caccio uno schema che vi faciliterà la vita di brutto

(perché in corsivo e rosso? hehe)

– schema di un generico autoturboreattore, in inglese turboramjet –

Oltre a Leduc in molti altri hanno provato a costruire un turboramjet “puro”, senza però mai riuscire a sfruttare adeguatamente le sue particolarità. Fra questi merita una menzione il Republic XF-103 Thunderwarrior, un prototipo di caccia intercettore sviluppato dalla Republic (la stessa del grosso e cattivo P-47 Thunderbolt) e che, stando ai piani dell’azienda statunitense, sarebbe stato capace di volare a oltre Mach 4 proprio grazie ad un propulsore misto turbojet-ramjet. Interamente costruito in titanio, costoso come solo un programma sperimentale americano può essere e infine cancellato nel 1957 dopo la costruzione di un solo prototipo (senza motori per giunta), questo strepitoso aeroplano avrebbe affidato le sue prestazioni ad un motore sviluppato dalla Wright Aeronautical Corporation, ottenuto installando un turbogetto tradizionale XJ-67-W-1 all’interno di un ramjet XJR-55-W-1: alimentato da una presa d’aria bidimesionale per far raggiungere all’aria in ingresso la velocità voluta, questo motore funzionava esattamente come nello schema qui sopra, grazie ad alcuni flabelli che man mano che la velocità aumentava andavano ad escludere il turbogetto lasciando via libera al ramjet.

Republic XF-103 mock-up. (U.S. Air Force photo)

Ad ogni modo l’ambizione di questo progetto era troppa: procurarsi il titanio era un problema così come lo era lavorarlo alla macchina utensile. I costi iniziarono a diventare enormi e, complici le difficoltà nel mettere a punto il complesso sistema propulsivo, l’USAF decise di abbandonare il progetto il 21 agosto del 1957. Con il fallimento dell’XF-103 non si parlerà mai più di ramjet “puro” applicato ad aeroplani pilotati. Lo vedremo su missili e su altri esperimenti, ma su aerei “normali” mai.

E quindi come funziona il J58 del Blackbird?

Bene, purtroppo (per me che ho dovuto studiare come un puma per capire e scrivervi questo articolo) sull’A-12/SR-71 non è stato utilizzato un turboramjet di questo “semplice” tipo. No, in realtà la faccenda è molto più complicata e questo non fa che aumentare il fascino di questo spavaldissimo esempio di ingegneria ammeregana. Intanto però, un punto fisso: chiunque vi dica che il J58 è  un autoturboreattore – o un turboramjet – puro, si sbaglia. Si sbaglia semplicemente perché nel J58 il turbogetto non viene MAI bypassato al 100%. Diciamo, semmai, che il J58 ricorda un autoturboreattore. E adesso vi spiego perché.

– un Pratt & Whitney J58, fate caso a quei tubi che si vedono a metà motore, sono sei in tutto e sono molto importanti –

Per risolvere il problema dell’elevata temperatura dei gas all’interno del compressore man mano che la velocità aumenta, per far sì che il compressore rimanga efficace anche nel dover gestire aria a temperature superiori ai 420°C e per evitare di sciogliere la turbina, i tecnici della P&W hanno scelto di utilizzare sei tubi con cui escludere tutta la parte di alta pressione del compressore. Raggiunti circa Mach 2 con il turbogetto in modalità standard, alcune valvole si aprono lasciando via libera ai sei tubi di bypass, i quali collegano il quarto stadio del compressore direttamente con il postbruciatore, che riceverà quindi aria sia dalla turbina (che comunque deve rimanere alimentata da una percentuale di aria compressa e combusta per poter far girare il compressore) che direttamente dai primi quattro stadi del compressore.

Quindi, superata una certa velocità e con le valvole di by-pass aperte, il J58 si comporta quasi come un ramjet ma non come un ramjet, perché l’aria che arriva diretta al postbruciatore non viene compressa dal moto in avanti del propulsore ma dai primi quattro stadi del turbogetto.

La presenza dei sei tubi di bypass e il fatto che una parte dell’aria compressa (circa il 20%) venisse data in pasto direttamente ai postbruciatori porta a degli enormi benefici. A massima potenza e con le valvole di by-pass aperte, il postbruciatore del nostro Blackbird è “alimentato” da due diversi flussi d’aria: uno centrale caldo (e quindi povero di ossigeno) proveniente dalla turbina e un altro più esterno, più fresco (e quindi ricco in ossigeno) che, convogliato nella parte esterna del postbruciatore, ne migliorerà il raffreddamento aumentandone l’efficenza e consentendo il raggiungimento di temperature dei gas di scarico (EGT) più elevate e quindi, in soldoni, una spinta maggiore.

La cosa molto interessante è che del 20% dell’aria che i tubi di by-pass convogliano nel postbruciatore, solo l’8% (circa) di questa veniva effettivamente bruciata mentre il restante serviva, come detto, a raffreddare il post bruciatore e ad aumentare la sua efficenza. In prima approssimazione possiamo ritrovare questo sistema di funzionamento nei moderni turbofan a flusso associato, il cui elevato rendimento specifico è ottenuto anche grazie al flusso freddo dato dalla grande ventola frontale e che non attraversa il turbogetto vero e proprio. Tuttavia le cose, ovviamente porca vacca, nel J58 sono un pelo più complesse: nel motore del Blackbird infatti non possiamo parlare di diluizione vera e propria come in un turbofan perché la quantità di aria che veniva fatta passare attraverso i tubi di by-pass non era costante (come invece è in un TF) ma regolata finemente attraverso una complicata serie di sfiati e valvole per avere sempre la spinta e l’efficienza a livelli ottimali.

Che aggeggio meraviglioso

Breve figata: tutto questo ambaradan è stato messo a punto anche per mantenere entro livelli accettabili le temperature di ingresso in camera di combustione e di conseguenza in turbina, ma non è l’unica soluzione attuabile. Certamente è molto fantasiosa e complessa e funziona bene, ma non è l’unica. Ad esempio il Mig-25, per ottenere le sue straordinarie prestazioni – ma comunque inferiori al Blackbird, sia in termini velocistici che di consumi – faceva affidamento su un complesso sistema che vaporizzava una miscela di acqua e metanolo e la iniettava nella parte frontale del compressore per brevi intervalli durante i voli alla massima velocità, un po’ come gli spruzzini dell’acqua sugli intercooler delle auto da rally.

– presa d’aria di un Mig-25 con in bella vista gli iniettori della miscela acqua-metanolo –

Ma torniamo infine al nostro Blackbird, perché dobbiamo analizzare la parte più complessa (no mercy for il direttore) e affascinante dei suoi motori: le straordinarie prese d’aria a geometria variabile. Queste ultime hanno infatti un ruolo fondamentale, perché devono riuscire a fornire aria al compressore senza distorsioni, perturbazioni e perdite di pressioni ad una velocità di circa Mach 0,4 a tutte le velocità di volo.

Il funzionamento e la forma di questi coni è fisica allo stato puro. Se Bernoulli ne vedesse uno applaudirebbe anche con le orecchie.

– dalle immagini qui sopra potete vedere che, a velocità supersonica, un condotto convergente (in maniera del tutto opposta a quanto avviene a regime subsonico), diminuisce la velocità del flusso d’aria e ne aumenta la pressione –

I grossi coni che potete vedere nelle prese d’aria del velocissimo Lockheed sono mobili e, a seconda della velocità di volo si possono muovere avanti o indietro fino ad un massimo di 26 pollici (circa 65 cm): questo per regolare finemente il flusso d’aria supersonico e posizionare con cura le onde d’urto generate dal flusso supersonico all’interno delle prese per ottenere così le migliori prestazioni e impedendogli di raggiungere il compressore. I coni erano mantenuti in posizione completamente avanzata per tutta la durata del volo subsonico per poi iniziare ad andare all’indietro una volta superati Mach 1.6, sempre con la finalità di mantenere le onde d’urto nella loro posizione ottimale mentre alla velocità di crociera le punte erano infine completamente retratte.

Ovviamente le cose sono anche in questo caso complicate e – fate caso ad una foto del blackbird – tutta la parte iniziale delle gondole dei motori è piena di prese d’aria e valvole di sfogo, tutte utili per regolare finemente la pressione dell’aria all’interno delle gondole: sulla parte superiore e inferiore del motore c’erano le porte di bypass anteriori, la cui funzione era quella di alleviare la pressione dell’aria in eccesso all’interno dell’aspirazione facendo quindi uscire all’esterno parte del flusso. Ovviamente tutto questo controllo era automatico e le porte di bypass anteriori erano controllate dall’Air Inlet Computer (AIC), che a partire da Mach 1.4 le apriva in relazione al Duct Pressure Ratio (DPR), il tutto per prevenire una pressione eccessiva davanti al compressore.

Tuttavia, l’aria lenta che esce dalle porte di bypass anteriore creava molta resistenza, quindi le porte venivano tenute chiuse il più possibile. A queste porte di by-pass anteriori si aggiungono le grosse griglie presenti all’esterno delle gondole (in alcune immagini si vedono bene), che erano collegate al corpo cavo dei coni di aspirazione: queste aperture consentivano ad aria aggiuntiva di entrare a basse velocità, mentre alle alte velocità erano utilizzate per inviare all’esterno l’aria turbolenta dello strato limite, che si attaccava al cono all’interno della presa d’aria. Infine erano presenti un gruppo di aperture nella calandra di aspirazione che indirizzavano un po ‘d’aria di spurgo attraverso trappole antiurto, utili per ottenere un flusso d’aria subsonico tra la calandra e il motore e utilizzato per raffreddare il motore stesso.

– dettagli dei coni presenti all’ingresso delle gondole dei J58. Le due foto sopra sono state scattate da Curt Mason al Pacific Coast Museum, in California –

Magari non vi sembrerà, ma volare a Mach 3,2 richiede uno sforzo mostruoso. Guardate la foto qui sopra: ogni singolo dettaglio, anche il più minuto e apparentemente insignificante di questo aereo era esasperato a livelli da show. Perché se l’SR-71 è figo guardandolo da lontano, è avvicinandosi che diventa una roba da matti.

Insomma, come avete visto il discorso è complesso e, fidatevi, capire bene il loro funzionamento e “tradurlo” in un linguaggio comprensibile è stato molto – MOLTO – difficile. Le informazioni che si trovano in giro sui J58 sono tante, molte delle quali incomplete o inesatte e a questo bisogna aggiungere che molti dei ritrovati tecnologici che hanno reso l’SR-71 così leggendario sono ancora top-secret. Alla fine della fiera, così per dare due numeri, ogni J58 era capace di circa 15.000 kg di spinta, ad un regime di rotazione massimo di 7.400 giri al minuto (IDLE @ 4.000 giri al minuto) bruciando ogni ora una quantità di combustibile che oscillava tra i 16.000 e i 20.000 chili. (fonte)

Gli ultimi Pratt & Whitney J58 rimasti dopo il pensionamento degli SR-71 sono stati accesi per bruciare le rimanenti scorte di JP-7 e ora sono esposti nei musei di tutto il mondo. Infine, è bello notare come nonostante questa tecnologia assurda risalga agli anni ’50 e sia stata messa a punto a matita, gomme e tecnigrafi, al momento – per quanto ne sappiamo noi – nessuno è ancora riuscito a replicare quanto fatto con il Blackbird, rendendolo, di fatto, un pezzo unico nella storia dell’aviazione.

Prima di chiudere, però, vogliamo dedicare una menzione d’onore a Stanley Heller, progettista americano che in passato, evidentemente non soddisfatto dalle prestazioni degli elicotteri, aveva pensato di installare dei ramjet alle estremità delle pale. Mitico Stanley, parleremo anche di te.

Fonti:

https://aviation.stackexchange.com/questions/27003/why-does-the-j58-engine-of-the-sr-71-have-a-diffuser-after-the-inlet-spike

https://aviation.stackexchange.com/questions/32187/is-it-possible-to-create-a-direct-supersonic-airflow-to-a-turbofans-afterburner/32193#32193

https://www.sr-71.org/blackbird/j-58/

http://www.aerospaceweb.org/question/propulsion/q0175.shtml

https://www.thesr71blackbird.com/Aircraft/Engines/j58-the-powerplant-for-the-blackbirds

http://aerostories.free.fr/technique/J58/J58_02/page6.html

https://docplayer.net/12945329-Sr-71-propulsion-system-p-w-j58-engine-jt11d-20-one-of-the-best-jet-engines-ever-built.html

https://www.grc.nasa.gov/www/BGH/stagtmp.html#:~:text=The%20static%20temperature%20is%20the,air%20depends%20on%20the%20altitude

http://roadrunnersinternationale.com/transporting_the_a-12.html

https://www.cia.gov/readingroom/collection/12-oxcart-reconnaissance-aircraft-documentation

Articolo del 24 Febbraio 2021 / a cura di Il direttore

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  • Luciariello

    Turbocosi buttati li da ammeregani con l’indole di esaudire un paio di sogni mai depositati nei propri cassetti, tecnica e tanti soldi dei contribuenti, hanno creato bellezze inaudite. Simpatico vedere che già oltre mezzo secolo fa si creava tutto questo gran ferro e oggi parliamo di spending review, ecologia ecc…. Peccato che ace combat non l’ha mai fatto pilotare in-game.

  • Ander

    Vale la pena anche di leggersi questa storia, una delle più famose riguardo al Blackbird… Quando superò Mach 3.5 sopra la Libia nel 1986. Notare che la velocità massima non la riporta 😉

  • Ander

    Vale la pena anche di leggersi questa storia, una delle più famose riguardo al Blackbird… Quando superò Mach 3.5 sopra la Libia nel 1986. Notare che la velocità massima non la riporta 😉

    https://theaviationgeekclub.com/the-story-of-the-sr-71-blackbird-that-outran-gaddafis-sams-during-a-bda-flight-of-libya-in-support-of-operation-eldorado-canyon

  • Ander

    Vale la pena anche di leggersi questa storia, una delle più famose riguardo al Blackbird… Quando superò Mach 3.5 sopra la Libia nel 1986. Notare che la velocità massima non la riporta
    https://theaviationgeekclub.com/the-story-of-the-sr-71-blackbird-that-outran-gaddafis-sams-during-a-bda-flight-of-libya-in-support-of-operation-eldorado-canyon

    (PS scusate i commenti duplicati, ho fatto un po’ di casino… ma come si fa a non emozionarsi davanti al Blackbird? :D)

  • Marco Fieramonti

    Bellissimo articolo, ripasso su pseudo info (non conoscenze) riguardo ramjet (prime info su Leduc) e un tentativo di conoscere meglio alcune tecniche del J58.. Troooppo forte !

  • Fabio Gaspardo

    Ho finito di leggere “Skunk Works” di Ben Rich (vice capo tecnico sotto Kelly Johnson, poi passato a capo delle Skunk Works). Libro incredibile dove si raccontano le vicissitudini anche progettuali di tutti gli aerei speciali della Lockeed, dall’U2 al F117. Da leggere per gli appassionati. Tutto in inglese. Piccolo appunto: Ben Rich era a capo della progettazione delle prese d’aria all’epoca del SR71, erano in 5-6 e hanno fatto TUTTO a matita, tecnigrafo e regolo calcolatore… mostruosi…

  • enrico

    grazie per la vostra competenza e chiarezza nello spiegare questioni cosi’ complesse

  • Stormer

    Articolo p0rn0 as always <3

  • Marco Gallusi

    Sto facendo pensieri impuri… articolo libidinoso. ..

  • Velerofonte88

    Stupendo!! Hai reso chiara una cosa di una complessità immane!!
    Sono ancora eccitato!!! Top top top

  • Marcello

    Praticamente, era la Delta S4 dell’aria…
    Turboreattore (= compressore volumetrico per la S4) ai bassi; RAM-Jet (= turbina per la S4) agli alti…
    Per chi, come me, oltre al disegnino ha anche bisogno di una comparazione nota…

  • Alberto

    …ora vado a farmi una s… Una birra, una birra!

  • Jericho

    Gran bell’articolo, as usual… Grazie Diretto’!

  • Caste

    È il maleducatissimo figlio del giostraio nato pompatogrosso che nel dubbio ti fa vedere quanto è potente ed agile con i suoi cazzotti alla macchinetta dei pugni e nei suoi salti triplicarpiatichediocelamandibuona sul tagadà.
    Quando te lo beccavi sugli autoscontri te ne stavi muto.
    Livrea nera come il catrame che aveva già nei polmoni a 12 anni
    Non è un aereo: è il figlio del giostraio del cielo
    Si, proprio quello con i capelli leccati male

  • zema

    Bellissimo articolo. Da ignorante faccio una domanda: nei motori a scoppio e fondamentale filtrare accuratamente l’aria in ingresso per evitare che il motore ingerisca schifezze, nei fan/turbofan/turbogetti è necessario? Guardando gli schemi non mi sembra di vedere organi di filtraggio ma, ripeto, sono ignorante.
    Grazie per queste perle di meccanica, scienza ed emozione.

  • Enrico

    Carino.
    Ma i russi con il Mig25 e poi il Mig31 e ora i programmazione il Mig41; hanno mandato in pensione il sr71 prima del tempo.
    Anche perché quando si parla di velocità, quelli che la sanno fare sono i russi, sia negli aeri che nei missili, visto che hanno già in servizio da decenni missili supersonici e ora ipersonici.

  • Articolo semplicemente superlativo. Chiaro, lineare, divertente nel descrivere problemi tecnici di complessità immane…. come immensamente complessi erano l’A-12 e lo SR-71. Ferri concepiti e realizzati dalla mente umana semplicemente con ausilio di regoli e tecnigrafi, altro che computer ! Cosa che mi ha fatto riflettere su quali potenzialità abbia la mente umana e quanto, abitualmente e sommamente, tale potenziale sia sprecato in malvagità o, nella migliore delle ipotesi, in futilità. Grazie Direttore !

  • Franco

    Articoli come sempre bellissimi sia per i contenuti, sia per le spiegazioni e però stile con cui son scritti.
    Sempre più dell’ idea che dovreste trasformarli in video. Per me avreste un gran successo

  • Stefano B

    Io ho trovato un articolo in cui si spiegava che l’SR è stato il primo aereo a poter usare il proprio carburante come fluido idraulico, addirittura come “riserva” di emergenza.. Possibile?
    Qui il riferimento da Linda Sheffield figlia di uno dei piloti di SR-71:
    https://www.facebook.com/photo/?fbid=310920707990104&set=a.213789104369932

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