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Aprilia RSV Mille, la bella sottovalutata

Penso che tutti voi abbiate visto almeno una volta nella vita un americaneggiante teen-movie dove la protagonista della storia è una intelligente ed introversa ragazza che viene emarginata dai suoi nuovi compagni di classe perché “non all’altezza” delle antagoniste, le ragazze popular e stronzette della scuola. Beh, non esiste parallelismo migliore per introdurre la storia della prima vera maxi moto di Noale (VE), l’Aprilia RSV

Un piccolo recap

Il padre del progetto RSV (reparto sportivo – vtwin), prima sportivona di mamma Aprilia, fu niente di meno che Ivano Beggio, la mente che permise alla casa di Noale di trasformarsi da piccola azienda di biciclette (fondata dal padre Alberto) ad azienda detentrice di 56 modesti titoli mondiali.

“ah quindi detieni più di 50 titoli mondiali?”

Dopo aver tastato con un modello praticamente ogni segmento motociclistico ci potesse essere, aver messo piede nelle principali competizioni motociclistiche (classe 500 compresa), ed aver istituito la divisione racing di Aprilia, Beggio decise di sedersi al tavolo dei grandi nei primi anni 90, ovvero di inserirsi nel mercato delle maxisportive da aperitivo da corsa, e successivamente nel campionato SBK.

Tra trick e track, una chiave inglese e molto alluminio, dopo 5 anni di sviluppo nacque nel 1998 la prima versione della RSV, la Mille. State attenti che qui i puristi vi possono linciare, si chiamava mille, non 1000.

Il cuore di questa tondeggiante italiana era l’allora nuovissimo Rotax V60, un bicilindrico a 60° di 990 cc che, contrariamente a quanto si pensa, era frutto di un progetto completamente made in Aprilia e solo marginalmente supervisionato dai tecnici Rotax; una magnifica opera d’arte meccanica che attraverso varie modifiche ha poi accompagnato la RSV in tutti i suoi sviluppi nei seguenti 10 anni, compreso l’ultimo restyling su cui voglio che arriviate a sbavare a fine articolo.

Come avrete intuito, è inutile dire che il progetto fosse validissimo e che l’esperienza per entrare nella SBK (nel 99) ci fosse, ma nonostante ciò la casa veneta non aveva tenuto in considerazione un piccolo dettaglio, lei:

L’evidente carenza di fascino rispetto alla rivale emiliana (ammesse pure da Beggio nella sua biografia) e le difficoltà enormi incontrate in Superbike ridimensionarono di molto le aspettative di sviluppo per il progetto, che ad inizio del nuovo millennio vide un leggero restyling unito a piccoli miglioramenti ed un ritiro dal maxi campionato a termine del 2002 con qualche scusa da bar del tipo “Le gomme non gommano!” O alcune più serie come ” Devo pensare alla MotoGp ora, non ho tempo per la SBK”.

Fu in questo periodo di dietro front che venne a galla la vera natura del progetto, ovvero una supersportiva veloce e tecnologica ma più “terra terra” delle rivali; insomma, proprio come nei teen movie, la nostra protagonista capì che era meglio trovare se stessi piuttosto che sforzarsi di far parte del gruppo dei popular.

La rivoluzione

La terza serie, ufficialmente in vendita dal 2004 e rinominata 1000, dovette fare i conti con una altrettanto nuova compagna di classe: 

Fortunatamente per Aprilia, la Ducati 999 di cui parliamo qui si ritrovò tanto vincente in pista quanto discussa tra gli appassionati che diede una possibilità alla RSV di farsi notare nel suo nuovissimo e spigoloso vestito, finalmente al passo con i tempi e tremendamente aerodinamico. Giusto per farvi capire stiamo parlando di una veste con un cx pari a 0.300, un valore così “pulito” che il Windtunnel di Perugia, complice nella progettazione della moto, ne utilizza un esemplare per tarare i sensori della propria galleria del vento.

Tornando a noi, la nuova RSV 1000 aveva un nuovo telaio, una nuova linea, degli obiettivi tutti nuovi ed un ringiovanito V60 “magnesium” che insieme a nuove testate e svariati pezzi in magnesio accompagnava entrambe le 2 nuovi versioni in vendita, la R e la Factory.

La prima era sostanzialmente la versione in pigiama, mentre la seconda (riconoscibile dal telaio nero) era quella con addosso i vestiti sportivi e gli anabolizzanti in tasca: forcelle e mono Öhlins, cerchi OZ forgiati, pinze Brembo radiali, ammortizzatore di sterzo di fabbrica ed un opulente quantitativo di carbonio in vista.

– Il nostro caro Ivano sulla sua ultima nata –

Dopo alcune modifiche alle dotazioni di serie e la vendita di 200 rarissime versioni chiamate “nera” ( completamente in carbonio e loschissime), arrivò un nuovo e definitivo restyling a cavallo del 2006, anno tristemente simbolico per l’abbandono della Casa di Noale da parte di Beggio

Anche se all’apparenza molto simile, le carene furono ridisegnate in modo più spigoloso e ancora più aerodinamico, la forcella Öhlins venne messa di serie anche sulla versione in pigiama ed i puledri passarono da 138 a 143 grazie al regalo di valvole più grandi al vetusto V60, che già doveva fare i conti con l’omologazione euro3.

Ah giusto, la factory passò dall’avere un telaio nero ad un telaio anodizzato color oro (così, per fare gli sboroni).

Veniamo al dunque
La RSV 1000 é uno dei ferri a 2 ruote più sottovalutati che AL MOMENTO possiate trovare, e contando che nessuno sembra apprezzarla a dovere ci sembrava giusto farvela riscoprire in ogni dettaglio

Questa in particolare é una R ultima serie del 2007 quasi tutta originale se non per pedane arretrate e scarichi tamarri a “lattina”, perfetto esempio di un esemplare che può venire a casa per meno di 2 stipendi.

Il colpo di fulmine

Nonostante gi anni, l’impatto visivo di questa moto è rimasto invariato. Saliti in sella ci si sente come su una moderna supersportiva, se non per l’assenza di aiuti alla guida elettronici; niente traction control, niente ABS, niente antiwheelie, nessun gas flybywire e nemmeno un santino di padre Pio.

Alcuni direbbero “qui si muore da eroi“, ma la realtà é che questa moto é talmente godibile da cruda che l’assenza di diavolerie elettroniche é più un favore fatto al pilota che un difetto.

Messa la prima, come premesso, si capiscono subito le buone intenzioni del motore. 143 cavalli sono pochi rispetto alla concorrenza attuale e a quella del periodo, ma sfido qualsiasi smanettone a sentire la mancanza di potenza: il v60 ha una schiena così poderosa da fare invidia a motori ben più potenti e può vantare l’abbinamento di serie di un sistema antisaltellamento idraulico, il PPC (presente anche sulle precedenti versioni). Se quello che vi preoccupa su una moto è però fermarvi, vi basta dare un’occhiata al sistema frenante Brembo per capire che nessun dettaglio, su questa moto, è stato trascurato.

Verso l’aperitivo

Vicino ad un centro urbano, la situazione comincia a farsi “calda”. Il V60 é un motore estremamente affidabile, pensato per non dover essere MAI aperto prima dei 50.000km, ma non è un motore da aperitivi ed è normale ritrovarsi dopo 2 minuti nel traffico con la temperatura del motore a mille. Fin qui, cosa comune, nessun problema, se non fosse che il principale difetto di questa moto sia lo statore che lentamente si brucia per il funzionamento a temperature eccessive, una sorta di Kryptonite per ogni possessore del modello.

Tutte le rsv antecedenti al 2008 ne soffrono, ma basta controllare che il valore di voltaggio della batteria a motore accesso sia intorno ai 13v per assicurarsi che sia tutto a posto ed eventualmente montare la modifica “piscia olio” (si, si chiama proprio così) per il raffreddamento dello statore.

Penso sia comunque meglio rimanere a piedi per questo piuttosto che per un difettuccio congenito delle prime serie di RSV fino al 2004, ovvero l’assemblaggio dell’albero a camme montato per interferenza che rischiava di sfasarsi in caso di fuori giri violento.

13,3 Volt, TAAAC! –

L’habitat naturale

Usciti dal centro, arrivati in montagna, la moto cambia completamente personalità: da coppioso scaldabagno si trasforma (come da progetto) nella migliore delle amanti venete. 

Prendendo il gas in mano si viene investiti da un sound poderoso, martellante e cupo, un misto di vibrazioni acustiche provenienti tanto dallo scarico quanto dall’airbox che si percepiscono sempre meglio man mano che ci si china sulla moto. In tutto questo i 190kg di alluminio e magnesio sembrano scomparire tra le curve, aiutati dai 107Nm di coppia italo-austriaca che danno il meglio di loro in ogni condizione. Se ci si ritrova “incastrati” sotto coppia ad una uscita di curva, basta letteralmente aprire il gas che il motore sale di giri come se non gli importasse di essere in quinta ai 60 allora.

Vorrei parlarvi anche dei consumi, ma c’è davvero chi bada al consumo della moto?

– il proprietario della moto e auto dell’articolo mentre si preoccupa dei consumi –

É solo finito il giro e parcheggiata la moto che, però, si può apprezzare a pieno questo gran bel pezzo di alluminio. Non é una moto estrema, non é la più potente né la più vincente, non é la più affidabile tra le affidabili o neanche la più fascinosa, ma dopo averla conosciuta per bene si arriva ad apprezzarla molto più di tantissime altre sue simili, esattamente come avviene per la giovane protagonista di qualsiasi teen-movie.

Se volete un consiglio spassionato, da motociclista a motociclista, fateci un pensiero. Questa moto rende felici sia in sella che no.

Articolo di Edoardo Arduini, proprietario di questa bella italiana tutto carattere e sostanza

Articolo del 5 Novembre 2021 / a cura di Edoardo Arduini

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  • Flavio

    La prima serie mi piaceva un sacco, mi ricordava la srad suzuki per la quale ancora oggi sbavo! L ultima come linea mi sembra un po pasticciata, poi tecnicamente non ne ho idea. A proposito, ma una prova della gsx r srad quella col codone a quando?

  • Michele

    È per chi ama la sostanza, davvero. Bel pezzo!

  • dOnE32

    A me viene in mente Phillip Island 2000 e nn aggiungo altro.

    • Nicola

      Gran moto sia nell’estetica che nel carattere. Ottima componentistica e un motore che spinge subito. Esteticamente magari ad alcuni non fa impazzire ma secondo me è la classica moto che si apprezza con il tempo.

  • Luigi

    Io ho questa MOTO l’ ho comprata x la sua bellezza,ma adesso in sella è solo una GODURIA

  • Stefano

    Proprietario di una del 2004 nera c’è l’ho da 12 anni e non mi ha ancora stufato ho provato altre moto, 4/3 cilindri potenti con un erogazione lineare ma senza carattere che non mi fa venire voglia di cambiare la mia.

  • Ho avuto la fortuna di vedere correre l’RSV sull’Isola di Man al Manx GP (pilota Paul Baleta di origine sudafricane). L’RSV è stata portata anche al Tourist Trophy dall’americano Mark Miller già vincitore di un TT Zero. Una moto non per tutti ma ottima nelle mani di chi sa come portare al limite un mezzo con telaio e ciclistica sopraffini (come Aprilia sa fare).

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