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Lamborghini LM002: delicatissimo.

La nuova Lamborghini LPI 800-4 “Countach” (volutamente fra virgolette) mi ha frugato nel cervello senza tanti complimenti, come un ladro fruga lesto in una borsetta, sperando di acchiappare un portafogli o un cellulare prima che la legittima proprietaria se ne accorga.

Ci ha trovato, nell’ordine: il mio modellino BBurago di una Countach nera; le tette i titoli di testa di The Cannonball Run, quando una Countach nera fa mangiare la polvere ad una povera Pontiac Trans Am della Polizia…

… e le tette notevoli ricordi di un’altra Countach ancora, questa volta bianca, di proprietà dello zio di un mio amico d’infanzia. Quella sì che mi stimolava le parti basse, proprio all’inizio della pubertà, con la sua presenza aliena e conturbante.

Ho colto sul fatto la furfante giusto dopo una rapida occhiata alle foto della cartella stampa, diffuse alcune settimane prima del debutto del 13 agosto 2021. Mi son quindi tenuto subito stretto i miei ricordi, ma senza troppo temere che me li portasse via: io sono ormai vecchiotto e navigato e capisco al volo quando cercano di rubarmi il passato per poi rifilarmi un futuro che non vale nemmeno la metà.

Sono invece molto preoccupato per le nuove generazioni: i ragazzi di oggi quella Countach bianca non l’hanno vista nel pieno dei suoi anni e non hanno idea di che cosa fosse Lamborghini una volta (ma, forse, nemmeno io).

C’è chi ritiene che il vero passaggio nell’anonima (si fa per dire) era moderna di Lamborghini sia avvenuto con il debutto della Urus e c’è chi pensa che già all’arrivo di Audi le cose avessero preso una brutta piega. Io sto con i primi. Secondo me, Audi non ha mica rovinato Lambo: con i tedeschi sono arrivati la stabilità economica e nuovi tori – Murciélago, Aventador, Gallardo, Huracàn – tutti modelli nuovi senza o con pochi legami con i modelli precedenti, come da tradizione Lambo. Automobili splendide, veloci, performanti e inconfondibili.

(foto: evo UK)

– Le prime due figlie di Audi, la Diablo come spartiacque e, sullo sfondo, mamma Countach –

Ma, con l’arrivo della Urus, abbiamo assistito al primo, vero travestimento del lupo: un anonimo, abnorme SUV si è vestito da Lamborghini e si spaccia come uno di famiglia. Benché faccia certamente bene a Lambo (ne hanno venduti una enormità), oggi tradizione, passione, verità ed emozioni valgono meno di uno scatto su Instagram del logo del Toro sul volante.

Quell’altro SUV Lamborghini, invece, ha ben altra storia. Ebbene sì: Urus non è mica il primo SUV Lambo. C’è un predecessore, che, oltretutto, è uno dei primi SUV in assoluto, nonché il primo SUV di lusso (sempre che ci si possa vantare di tali primati).

Si ritiene che il primissimo, vero veicolo di questa categoria – Sport Utility Vehicle, vettura che fonde le caratteristiche di una vettura stradale con una fuoristrada – sia stata la Jeep Cherokee del 1984; ma, appena due anni dopo, nel 1986, arriva la Lamborghini LM002, un SUV talmente assurdo e arrogante che tutte le tue convinzioni e il tuo purismo finiscono spiaccicati sotto le sue tre tonnellate scarse di peso.

 

Al di là del lusso, il progetto della LM002 fa spavento. Presa alla lettera, la LM002 è forse la più Lamborghini delle Lamborghini: se quel fighetto del cavallo di Maranello impenna esprimendo fascino ed eleganza, il toro di Sant’Agata si prepara a caricare con tale cattiveria che la flessione dei muscoli arroventa le molecole d’aria circostanti; una aggressività che la LM022 esprime anche da ferma proprio come le sue sorelle sportive e che deriva dalle sue origini militari, da un prototipo che stava per diventare protagonista dei teatri di guerra.

– La Ford M151 Mutt –

Oggi diamo per scontate le forme squadrate e le dimensioni da carro armato dell’Hummer di AM General, ma non è sempre stato così: alla fine degli anni ’60, circolavano ancora fuoristrada relativamente piccoli come le Ford M151 MUTT, ultima evoluzione del veicolo tattico militare statunitense derivato dalla mitica Willys. Quando la M151 fu vicina alla pensione, vari costruttori annusarono l’enorme affare e proposero la loro idea di erede, nella speranza di acchiappare la gustosa commessa della fornitura di un nuovo veicolo polivalente per l’esercito americano.

– La XR311 in varie configurazioni –

FMC, attiva già prima della seconda guerra mondiale nella produzione di veicoli da combattimento e costruttrice, fra gli altri, dell’APC M113 che debuttò in Vietnam, trasse ispirazione dai buggy californiani e sfornò alcuni prototipi del XR311, un veicolo dall’aspetto molto agile e versatile, adatto al ruolo di esplorazione, attacco o ambulanza, dotato a scelta di mitragliatore M60 o addirittura cannone da 106 mm e spinto da un V8 Chrysler di 5.2 litri da 187 cv che poteva lanciarlo fino a quasi 150 km/h su strada. La promettente XR311 non convinse però l’esercito e di lei, oggi, dovrebbero esistere solamente una decina di esemplari pre-serie.

– C’è chi è convinto che sia l’auto dell’amica di Tarzan, ma “Cheetah” significa “ghepardo” – 

Ma sembra che i geni del nuovo buggy da guerra siano arrivati fino in Italia attraverso la Mobility Technology International, che propose a una certa Lamborghini di ripensare il progetto e ritentare il colpo: il risultato è qui sopra, la Cheetah del 1977. Già ad una prima occhiata, la somiglianza con la LM002 è impressionante, vero?

Sotto la minimale carrozzeria in vetroresina della Cheetah, in posizione posteriore, di nuovo un V8, da 180 cv e di 5.9 litri di cilindrata. Ci siamo, quindi? Macché. La Cheetah ha un handling terribile e l’esercito non ne vuole sapere. Nel frattempo, la XR311 viene ripensata sia da Teledyne CAE che da AM General e, alla fine, la spunta proprio quest’ultima, trasformando la XR311 in quella Hummer che ben conosciamo e che tuttora è in servizio attivo.

La Cheetah arrivò in un periodo a dir poco nero per Lambo. Travolta dalla crisi generale degli anni ’70, l’azienda aveva visto Ferruccio gettare la spugna e rinunciare al controllo della sua creatura già nel 1972 e con lui altri nomi che la fecero grande, come Bob Wallace e Paolo Stanzani. Lamborghini prosegue giusto con quel poco di abbrivio che le resta, ma, quando la benzina finisce, arriva il fallimento vero e proprio del 1978.

Per fortuna, però, fra le altre, a listino c’è ancora la Countach; e ci sono i fondi dei proprietari successivi, gli svizzeri Rossetti e Leimer prima e i fratelli Mimran poi. Proprio questi ultimi, cavalcando la ripresa economica e il fiume di testosterone e delirio di onnipotenza generale del nuovo decennio, ritennero che fosse arrivato il momento di ripensare la Cheetah in abito civile.

– La Lamborghini LM001 aveva ancora il V8 posteriore –

Il progetto viene affidato all’Ing. Giulio Alfieri, che riprende in mano i disegni, dà loro una bella soffiata e partorisce il concept LM001 del 1981. La Cheetah con fari, frecce e portiere, però, eredita il problema che affliggeva la versione militare: ora celato da una carenatura caratterizzata da enormi prese d’aria laterali, ecco di nuovo il V8 collocato al posteriore. Perciò, il prototipo di LM001 che fece la sua comparsa a Ginevra quell’anno non stupì nessuno e resta tuttora l’unico esistente.

Bisogna rimboccarsi le maniche. Insomma, siamo o non siamo negli 80’s? Sono gli anni in cui un uomo solo (possibilmente americano) può sconfiggere l’intero esercito sovietico, gli anni della sete di petrolio e di lacca per capelli, gli anni dei vestiti di tre taglie taglie più grandi e di una cinquantina di orologi al polso (possibilmente Swatch) e dovremmo rinunciare al V12 sotto quel cofano?

https://jimll.co.uk/

Dovremmo forse concepire un’automobile razionale? Giammai. Nel 1982, la LM001 diventa LMA002, dove la “A” sta per “anteriore”: finalmente, la LM guadagna il suo motore anteriore, nientemeno che il mitico dodici cilindri della Countach.

Il mostro adesso pesa 500 kg più del prototipo precedente, a causa delle modifiche necessarie per la nuova meccanica – vedi nuovo telaio e nuove sospensioni; arrivano però anche il servosterzo e un cambio manuale a cinque rapporti al posto del vecchio tre marce automatico.

Ora immaginate 2600 kg (a secco) e 290 litri di benzina che corrono a 210 km/h su Pirelli Scorpion 345/60R17 spinti da un V12 di 5.2 litri e 450 cv a 6800 giri/min. Lo sentite lo spostamento d’aria? E’ uno schiaffone molto simile a quello dei $120.000 che vi avrebbero chiesto all’epoca, per non parlare di quello che vi avrebbe rifilato il benzinaio ad ogni frequentissimo rifornimento: se la memoria non ci inganna, Lambo parlava di una media (una media!) di 5 km/l, mentre è meglio non parlare della velocità con cui quel serbatoio si svuotava quando decidevi di verificare se la LM002 fosse davvero in grado di coprire lo 0-100 km/h in 7.8″… Doloroso ma comodo per chi non  ce la fa in matematica: 1 litro di benzina per ogni chilometro e via.

 

Ma al cliente medio poco interessava: tanto per dire, il primo fu il re del Marocco Hassan II. Una LM color oro gli venne consegnata con un C130 direttamente dalla fabbrica e con dentro Valentino Balboni in carne ed ossa. Ma la LM002 andò a ruba (relativamente parlando, dato che ne han fatte poco più di 300) in particolare nel Medio Oriente, dove la benzina scorre a fiumi e per fare rifornimento si gettano secchiate sulla fiancata con il bocchettone aperto… e quel che entra entra.

ph: Alex Howe

– Gemelle diverse –

Anche gli altri spendaccioni, gli Stati Uniti, apprezzarono – specie celebrità come Tina Turner, Mike Tyson e soprattutto Sylvester Stallone, che per le Lamborghini aveva già una certa passione e che, acquistandone uno, ci regalò più o meno involontariamente l’efficace denominazione Rambo Lambo. La sobrietà e l’economia d’esercizio dello LM002 furono recepite anche in Sudamerica da parsimoniosi filantropi come Pablo Escobar.

Potremmo, in effetti, paragonare tutta la faccenda ad una lunga e sostanziosa striscia di cocaina.

In Europa, invece, benché il bestione fosse effettivamente più agile ed efficace di quanto si potrebbe immaginare, la LM002 non ebbe grande successo; con i grossi SUV di oggi, in effetti (lo stesso Urus è altrettanto grande) il paragone non è più tanto imbarazzante, ma all’epoca un carro armato targato lungo quasi 5 metri e largo 2 impensieriva.

Anche dentro, assomiglia parecchio alla Hummer nella sua muscolosa opulenza, ma qui, oltre alla pelle, c’è radica dappertutto, con la consueta, disastrosa ergonomia Lamborghini dell’epoca e con tasti e comandi che sbucano qua e là senza tanti complimenti. Devi slogarti il polso per raggiungere il blocchetto dell’accensione. Fra i sedili, un enorme tunnel della trasmissione à la Hummer e due lunghe leve per la trazione integrale. Curiosità: c’è anche il pulsante che aziona il verricello (optional).

Della LM002 esiste anche un esemplare unico: fu ordinato dal “solito” Sultano del Brunei, che, ovviamente, non poté esimersi dal modificarlo secondo i suoi gusti. Si chiama LM002 Estate ed è opera della Autocostruzioni Torino di Salvatore Diomante, che nel 1993 chiuse la parte posteriore – normalmente aperta e destinata al trasporto di persone/cose in stile Defender – ampliando lo spazio a disposizione e introducendo svariati gingilli tecnologici e ulteriore lusso, come nuovi rivestimenti, tetto apribile e sedili elettrici.

 

 

Al volante della Lamborghini LM002, noti subito come il risicato spazio per le gambe ti costringe a stare piuttosto chiuso sui pedali; la frizione è durissima e lo sterzo non è regolabile, quindi meglio alzare lo schienale perpendicolare rispetto alla seduta. Al di là del parabrezza, un buon 20% della visuale è ostacolato dall’enorme “gobba” del cofano. Prima in giù, via la frizione e capisci subito che il Nardi a tre razze sembra ruotare a vuoto per mezzo giro prima di riuscire a farsi ascoltare dalle 345 anteriori.

E’ tutta cruda e burrosa sul lento, come un camper. Ma all’aumentare della velocità, lungo strade dissestate, avviene una magia: buche e sconnessioni, tutto ciò che normalmente metterebbe in crisi un veicolo, viene digerito con una efficacia sconosciuta ai vari Hummer H1, Landcruiser, Range Rover e Classe G dello stesso periodo. E’ qui che la LM002 ti fa capire che sotto sotto c’è di più.

E infatti…

…la LM ha anche un passato nelle corse: alla fine degli anni ’80, liberandola dal peso in eccesso (si fa per dire) e donandole 600 cv, rollbar completo, vetri in lexan e GPS, Lamborghini pensava di farla debuttare alla Parigi-Dakar. Furono realizzati due esemplari e per ragioni economiche il sogno morì sul nascere; tuttavia, Sandro Munari si mise dietro al volante della Rambo Lambo da corsa al Rally dei Faraoni.

Munari stesso raccontava che la cosa nacque a seguito di una richiesta del team francese Gabreau. Lamborghini assegnò proprio a lui il notevole compito di preparare due LM per l’estenuante corsa nel deserto. L’avventura in Grecia di cui sopra servì proprio per testare il mostro in vista della Parigi-Dakar; così come i test nei pressi di Parma, dove Munari andava a manetta sui massi del fiume Taro, scioccato dall’efficacia della LM.

I risultati parlavano chiaro: la Rambo Lambo era velocissima, fece segnare il miglior tempo assoluto in una prova sulla sabbia, dove, trovata la pressione giusta (0,8 bar), toccava i 200 orari. Era meno efficace nello stretto, ma Munari e il collega Mannucci non mollavano mai; il vero tallone d’Achille della Lambo era il fango

A causa degli enormi pneumatici, galleggiava in maniera incontrollabile e non osiamo immaginare che cosa volesse dire tenere in strada un mostro da 2400 kg in quelle condizioni. Sostituire gli pneumatici? Impossibile: per la LM non esistevano altre gomme se non quelle progettate apposta per lei. Quel che è peggio, il team che commissionò le due vetture fallì. Perciò, fine dei giochi. I due esemplari da corsa? Venduti ad un collezionista.

– Munari e Mannucci strapazzano la Grecia –

…ma mica finisce qui. Ci prova il team svizzero World LM Racing Team, del tutto privatamente (almeno ufficialmente) e con l’aiutino di un tecnico Lambo e dello stesso Munari: alla Dakar del 1988 è iscritta una LM002 Rallye nella categoria “Marathon”, quella delle vetture più vicine alle loro controparti di serie. Morale: decima posizione. Mica male per un team privato.

Ci prova anche Andrea Barenghi, che la fa preparare da Garage Burnier: cura dimagrante di 500 kg (!!), preparazione motore con nuova iniezione, nuovo raffreddamento e lubrificazione, rinforzi ad hoc, nuovo impianto di scarico, freni AP Racing e un mostruoso serbatoio da 800 (ottocento!) litri.

Siamo nel 1996 e alla Granada-Dakar la LM002 numero 246 di Barenghi-Ramu sembra andare bene, bagnato compreso, ma gli pneumatici proprio non ne vogliono sapere e finiscono per mettere in crisi le sospensioni: pare che il team abbia sostituito qualcosa come venti ammortizzatori, per poi dover issare bandiera bianca al termine delle scorte di ricambi… Un vero peccato, ma, dal punto di vista del progetto, è evidente che la LM002 sia molto più che un banale SUV da sceicchi.

 

La LM002 è rarissima ed è una Lamborghini, il che farebbe pensare che sia sempre rimasta sulla cresta dell’onda quanto a valore. In realtà, la vera impennata è avvenuta nell’ultimo decennio e chi ci ha visto lungo ha fatto l’affarone, perché negli 2000 potevi portartene a casa una con 50.000 euro, mentre oggi trovarla a meno di 350.000 euro è praticamente impossibile.

L’ultima appena passata di mano, l’esemplare blu scuro del 1988 che vedete qui sopra, è stato battuto all’asta di Sotheby’s di Milano il 15 giugno 2021 per 393.125 euro (L’ultima appena passata di mano, l’esemplare blu scuro del 1988 che vedete qui sopra, è stato battuto all’asta di Sotheby’s di Milano il 15 giugno 2021 per 393.125 euro.

Chissà, in una realtà parallela può darsi che la sua evoluzione sia continuata, che le sue eredi siano effettivamente venute alla luce: pare infatti che Lamborghini avesse ipotizzato una LM003, mossa da un diesel – cinque cilindri VM di 3 litri da 150 cv. L’idea era di rompere le uova nel paniere di Range Rover, con una evoluzione totale affidata a Zagato che avrebbe potuto chiamarsi Borneo o Galileo, a seconda dei mercati.

– La mai nata LM003 –

La storia della LM002 si conclude quindi con (si stima) 328 esemplari prodotti e metà della produzione mondiale di petrolio consumata da quei trecento V12. Nacque anche un ulteriore prototipo, una versione estrema (come se quella “base” fosse normale…) della LM002, dotata di un V12 marino di 7 litri da 420 cv, ma non se ne fece più nulla perché il resto del mondo si sarebbe fermato per carenza di carburante.

Articolo del 9 Novembre 2021 / a cura di Davide Saporiti

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  • Flavio

    Ma i fanali posteriori, sono dell alfetta??

  • Cristiano

    Assolutamente corretto, la LM veniva venduta tra i 50 e i 70 mila euro tra il 2000 e il 2010. La cosa mi stupiva assai… E infatti…

  • Giannick

    Articolo bellissimo

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