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Andrea Doria, la triste storia della nave più bella del mondo

18 agosto 1984, Peter Gimbel ha scavato un buco nella fiancata dell’Andrea Doria e ha estratto la cassaforte dal ventre della nave. Io che ho una certa età me lo ricordo, lo guardammo in diretta TV mentre l’apriva e ci trovava dentro solo mazzette di lire e dollari insudiciati. Eppure la trasmissione fece un audience pazzesco, certa gente se la ricorda ancora oggi, perché il Doria è l’ultimo Titanic, l’ultimo grande transatlantico ad affondare nell’era d’oro di questi mezzi, prima che i voli di linea ponessero fine a questo genere di navi (fine anni ’60).

Abbiamo già spiegato l’origine dei transatlantici e, per chi non se lo ricordasse, vi invito a rileggere l’articolo sul più veloce di tutti, lo United States con i suoi 250.000 CV e la capacità di “impennare” in mare, in retromarcia.

Per i più pigri, poche righe per ricordare che si tratta di navi specificatamente progettate per collegare il Vecchio e il Nuovo Mondo, dotati di macchine che oggi considereremmo eccessive, capaci di spingerle di slancio oltre i 25 nodi (oltre 35 per lo United!) e di uno scafo fatto per resistere alle tempeste oceaniche, quindi spesso mediamente il doppio di una normale nave. Ed è proprio da quando abbiamo parlato dello United States che covo il desiderio di affrontare su queste pagine (per molti virtuali, per i più fortunati SFOGLIABILI) l’Andrea Doria, ogni volta che lo menzioniamo sui social di Rollingsteel la partecipazione è altissima, è un simbolo di tecnologia e stile italiano.

Eppure ho a lungo tergiversato.

Scrivere in stile Rollingsteel dell’Andrea Doria strizzando l’occhio alla risata? Difficile, difficilissimo, direi impossibile.

Dire un’inesattezza meccanica o sugli eventi al largo di Nantucket? Inaccettabile su Rollingsteel.

Ma perché sono così in tanti ad avere questa nave così a cuore? La verità è una sola, per chi conosce la vicenda dell’Andrea Doria c’è una ferita troppo grande perché il tempo la guarisca: l’orgoglio nazionale intaccato, il dramma umano, i morti e il meraviglioso ferro italiano abbandonato su un fianco in fondo all’Oceano.

Parleremo anche dell’incidente, ma questo è Rollingsteel e voglio prima di tutto parlare di quanto questa nave fosse stilosa, anzi, bella, bella in modo assurdo.

Ma prima un’ultima PREMESSA: chi scrive è appassionato, ma non nerd esperto o professionista. Ci siamo capiti.

– Nemmeno lui può competere –

Dal 1984, facciamo un passo indietro fino all’immediato dopoguerra, quando l’Italia ha tre grossi problemi:

  1. Metà del naviglio mercantile è stato affondato;
  2. C’è da risollevare l’economia;
  3. C’è da recuperare il prestigio perso col fascismo e la sconfitta.

Il problema è che mancano non solo i soldi ma anche i ferri, e ci sono divieti espliciti di commercio transatlantico post accordi di pace, insomma butta male, malissimo. Il Presidente del Consiglio De Gasperi, consapevole della questione, nel ’47 fa un salto negli USA e torna con una serie di accordi per rotte commerciali, 50 navi Liberty semiregalate e contributi per la costruzione di una nuova flotta. Quello che non porta a casa sono le nostre corazzate Vittorio Veneto e Italia, ma questa è un’altra storia (la raccontiamo qui). A dir la verità ci sono contropartite economiche segrete, ma non entriamo in questo dettaglio.

Il succo è che ci sono spazi e fondi per costruire qualcosa che riporti lustro al Paese; è così che a Sestri Ponente, cantieri Ansaldo, viene impostata nel ’51 l’Andrea Doria.

– Il varo, 16/01/1951 –

– Lo scafo appena varato, serviranno 18 mesi per completare la nave –

La nave non nasce per competere in velocità o dimensioni (anche se i suoi 213 metri li faceva…), ma in modernità ed eleganza; erano stati ingaggiati i più grandi tra gli artisti e gli scultori contemporanei e il risultato non lasciava dubbi. Del resto, l’Andrea Doria, così come il Rex prima della guerra, correva lungo la rotta “Mediterranea”, più meridionale di quella delle “Queen” e dello United, c’era quindi caldo a sufficienza per trasformare un viaggio di necessità in una crociera di svago.

Dei 29 milioni  (di dollari) spesi per la nave, ben 1 fu dedicato a decori e pezzi d’arte, non è un caso che sia anche dotata di tutti i comfort dell’epoca come aria condizionata o ben tre piscine.

Dove davvero gli italiani decidono di strafare è sulle dotazioni di sicurezza, la nave è già adeguata alle norme che devono ancora essere rilasciate (tipo quando compravi la macchina già “Euro 6”) e ottiene facilmente anche le certificazioni inglesi e americane.

Sull’Andrea Doria troviamo doppio scafo, dodici compartimenti stagni (poteva viaggiare con due allagati), ma soprattutto un doppio radar. Già il radar non era scontato all’epoca, averlo doppio era una ridondanza assoluta.

Anche se non raggiungeva gli standard ignifughi dello United States (di poco successivo), la nostra nave era comunque attrezzata con una squadra di vigili del fuoco di guardia 24 ore su 24, lo scafo rivestito di materiale incombustibile e tutti i locali abitati erano protetti da impianti a spruzzo.

Non ho trovato riferimenti certi, ma pare che le pompe di sentina erano notevolmente sovradimensionate, la conferma si avrà nelle ultime fatali ore della nave.

Anche l’apparato motore contribuiva alla sicurezza, due turboriduttori in ambienti separati erano collegati ad altrettante eliche ed erano alimentati dal vapore di quattro caldaie indipendenti per una potenza massima di 50.000 cv anche se di norma comunque la nave viaggiava con tre caldaie, erogando circa 35.000 cv.

L’unico vero problema che afflisse la nave fu un rollio eccessivo, già riscontrato nei test in scala, nella traversata inaugurale la nave incontrò una tempeste e rollò fino a 28 gradi, davvero troppo.

L’Andrea Doria fa la sua tratta 100 volte: Genova, Napoli, New York e ritorno, all’andata carica di emigranti, al ritorno di facoltosi turisti, tutti ospiti di quella che all’epoca veniva considerata una delle imbarcazioni più eleganti e belle del mondo, risultato ottenuto non solo dalla qualità degli interni e degli arredamenti ma anche dalla linea esterna, particolarmente slanciata e “aerodinamica” grazie anche all’adozione di un solo fumaiolo.

Poi arriva la notte del 25 luglio del 1956, una traversata come tante, l’Andrea Doria ha quasi finito, deve arrivare in porto per le 6 del mattino del giorno dopo, ci siamo quasi: la nave faro che indica la presenza dell’isola di Nantucket è poco più in là.

– Ultima versione della nave faro, una delle precedenti fu speronata dalla gemella del Titanic, l’Olympic

Piero Calamai, il comandante dal giorno del varo, è in plancia, come sempre quando la serata si preannuncia complicata come quel giorno; c’è nebbia e siamo in un tratto di mare trafficato. Calamai non sta al comando del Doria per caso, era un un comandante esperto, decorato al valore civile e militare per atti di coraggio.

Vi dico solo che Calamai prese la decorazione al valore civile tuffandosi dalla Conte Grande in pieno Atlantico per salvare la vita ad un passeggero. Ora chiudete gli occhi e immaginatevi cosa avreste fatto al posto suo: acque ghiacciate, la scia delle eliche 15 metri sotto di voi, uno sconosciuto in mare, scarsissime probabilità di essere ripescati.

Ecco, io avrei fatto come voi: avrei dato l’allarme e basta.

– Invece lui si tuffò, il comandante Pietro Calamai –

Torniamo al 25 luglio. C’è nebbia, il comandante dà ordine di chiudere le paratie stagne, emettere i segnali sonori appositi e di ridurre la velocità, secondo le fonti migliori a 21,8 nodi (quindi ancora veloce).

In plancia il radar dell’Andrea Doria segnala un contatto 17 miglia più avanti e 4 gradi sulla destra, sono le 22.45.

Il contatto altro non è che lo Stockholm, nave svedese di 160 metri con carico misto passeggeri-merci. Al comando della nave c’è Gunnar Nordenson che però, come nelle sue facoltà, è in branda e lasciando quindi di guardia il giovane terzo ufficiale Johan Carstens-Johannsen. Gli ordini per Carstens però sono chiarissimi: chiamarlo in caso di nebbia e non incrociare nessuna nave a meno di un miglio. Carstens ha da poco realizzato che il timoniere Larsen sta timonando in modo impreciso e per questo sono due miglia a Nord della rotta prevista, elemento importante nella storia che segue.

– Lo Stockholm è una nave del 1948, ci torniamo dopo –

E qui dobbiamo fare una precisazione: il diritto navale vuole che l’incrocio avvenga sempre tenendo la destra, salvo che la distanza sia tale da rendere ovvio il passaggio sulla sinistra. Non c’è (ancora) un canale di ingresso e uno di uscita obbligatori dal porto di New York, ma lo Stockholm è comunque in una posizione anomala rispetto alle convenzioni, è troppo a Nord (“anomala” è diverso da “non consentita”).

Anche Carstens poco dopo vede il Doria, ma lo vede alla sua sinistra, la cosa non deve sorprendere, il radar non è dei più precisi e probabilmente la rotta scostante del timoniere in quel momento lo fa apparire dal quel lato.

Per Carstens non c’è nebbia, lui tiene giù tutto, non fa segnali e non sveglia il comandante, ma i fanali dell’altra nave non si vedono. Nel dubbio, quando le distanze iniziano a ridursi, Carstens vira 22° a destra, ovvero nella direzione da cui sta provenendo il nostro Doria. Quello che Carstens ancora non sa è che il Doria è vicino, vicinissimo, perché lui crede di avere impostato il radar su una distanza di 15 miglia, invece è sulle 5 miglia.

Calamai vuole essere iper prudente e vira leggermente a sinistra, 4 gradi, poi tutti sulla nave italiana stanno in silenzio aspettando di sentire i segnali acustici dell’altra nave, ma non sentono e non vedono nulla.

Calamai e il suo terzo ufficiale Giannini sono sull’aletta destra della nave quando, nella foschia, appare la nave svedese. In mezzo alle luci del ponte si scorge prima il rosso (la nave ci fa vedere le mura di sinistra) e poi d’improvviso appare il verde (la nave ci fa vedere le mura di destra). Lo Stockholm è a solo 1,5 miglia, non ha ancora avvistato il Doria, e sta virando verso la nave italiana (è la virata di 22° di cui sopra).

Pausa. Per chi non ha mai navigato di notte è importante capire due cose: il radar dell’epoca non dà indicazioni sulla rotta, ma solo un punto nello spazio, inoltre capire l’angolo di avvicinamento tramite i soli fanali di navigazione non è affatto banale, anche quello è un puntino nella notte. Non saltiamo quindi a conclusione affrettate, il contesto è complesso.

Calamai pensa per un attimo, poi dà ordine di virare tutto a sinistra, lasciando entrambi i motori al massimo. E’ cosa giusta perché abbiamo già imparato su Rollingsteel che le navi devono mantenere il flusso dell’elica attraverso i timoni per garantire direzionalità.

Però non basta. Dallo Stockholm avvistano finalmente il Doria e dal loro punto di vista è la nave italiana che, virando a sinistra, gli taglia la strada. Stringono ulteriormente a destra cercando di schivarli, ma non funziona (attenzione questa è la versione ufficiale dello Stockholm, ci torniamo). Lo Stockholm e la sua maledetta prua rinforzata per i ghiacci del nord entrano fino alla chiglia dell’Andrea Doria, l’immagine sotto rende un’idea del danno.

 – Ricostruzione basata su quel che è rimasto dello Stockholm, la parte mancante (25 metri!) resta nel Doria o va a fondo –

La ferita è mortale, la prua svedese resta incastrata nella nave italiana mentre lo Stockholm sfrega lungo l’intera Andrea Doria aprendo altre falle sotto il galleggiamento in una tempesta di scintille.

Lo schema sotto riassume quello che è appena successo.

– Le linee arancioni collegano i rispettivi avvistamenti. Elaborazioni di Samuel Halpern –

La nave italiana sbanda immediatamente a dritta iniziando ad imbarcare acqua, è subito chiaro a Calamai che anche se ci sono scialuppe di avanzo, quelle di sinistra non potranno essere usate perché non è possibile calarle.

Si potrebbe tentare di salvare la nave portandola sui bassi fondali, ma questo porterebbe via tempo per le operazioni di salvataggio. Calamai sceglie di salvare i passeggeri e invece di scatenare il panico con l’abbandono nave, chiama i soccorsi e cerca di raddrizzare la nave.

C’è un problema però.

Le casse della nave si sono ormai svuotate di nafta, ma contravvenendo alle normative, gli italiani (come facevano in molti) non hanno compensato con l’acqua di mare (appesantisce e costa carburante), quindi le casse di sinistra contengono aria mentre quelle di destra si allagano con la falla.

Basterebbe azionare le pompe si sinistra allagando le casse per raddrizzare la nave, ma lo sbandamento è così rapido che quando si cerca di farlo, le prese a mare di sinistra sono già uscite dall’acqua rendendo l’operazione impossibile.

Calamai ordina allora l’abbandono nave che avviene in modo abbastanza composto e con riconosciuta professionalità dell’equipaggio. Iniziano anche ad arrivare i soccorsi, sullo Stockholm si riprendono dallo shock e mandano delle lance, ma la vera manna dal cielo sarà l’Île de France con le sue scialuppe che si metterà a proteggere l’agonizzante Andrea Doria dal moto ondoso e illuminerà quasi a giorno la scena con le sue luci.

– Île de France assiste alla fine dell’Andrea Doria aiutando i suoi passeggeri –

I passeggeri che non trovano posto nelle lance sono calati con delle reti (celebre l’uso di quella che copriva la piscina) o con delle cime sulle lance dei soccorritori.

Alla fine la nave è deserta, sono morte 43 persone nell’impatto sul Doria e 5 sullo Stockholm, ma 1090 passeggeri e 572 membri dell’equipaggio sono in salvo. Calamai però non se ne va, dà ordine ai suoi ufficiali di lasciare la nave dicendo che li avrebbe raggiunti (come?).

Gli ufficiali capiscono le sue intenzioni, tornano indietro e lo “minacciano” di restare anche loro: Calamai cede e si imbarca con loro sulla scialuppa.

Sono ormai gli anni ’50, le comunicazioni funzionano e siamo vicini alla costa, con la luce del giorno arrivano quindi numerose navi e anche dei giornalisti in aereo che fanno in tempo a riprendere le fasi finali dello strazio dell’Andrea Doria fino all’affondamento alle ore 10.15.

Gli uomini di Calamai hanno fatto un lavoro che ha dell’impossibile: hanno tenuto a galla una nave gravemente menomata per 10 ore e mezza. Seguono foto che hanno fatto il giro del mondo.

– Miracoli anche in sala macchine, sull’Andrea Doria deserta ancora c’è elettricità. A poppa si vedono le cime e le reti usate per mettersi in salvo, mentre sotto il ponte di comando è parzialmente visibile l’enorme breccia dello Stockholm –

– La nave inizia a girarsi ed affondare sempre più in fretta, notare le scialuppe di sinistra-

– I momenti finali –

C’è ancora tanto da dire, ci scuserete su certi passaggi andiamo via troppi veloci.

Segue un processo a New York, parte male per gli italiani che sottovalutano la comunicazione coi media, ma poco dopo cambia l’aria: il comandante Nordenson ha un malore durante la sua testimonianza e diverse incoerenze trapelano nel racconto dei suoi (in primis quella della nebbia, riportata da TUTTI quella notte).

Quando le cose sembrano prendere la piega giusta per gli italiani, improvvisamente, le parti si accordano privatamente per una responsabilità al 50% e un indennizzo ai passeggeri.

Vi diranno che dipende dal fatto che entrambe le navi avevano lo stesso assicuratore (indovinate un po’? I Lloyd’s), avranno ragione.

Vi diranno che dipende dal fatto che l’IRI, proprietaria della Società di Navigazione Italia, aveva in corso con Ansaldo una grossa commessa con gli svedesi, avranno ragione.

Quello che non si dice quasi mai, e che avrebbe ripercussioni ancora oggi, è invece che il processo avrebbe fatto emergere un problema che non doveva uscire. No, non siamo diventati negazionisti, cospirazionisti, complottisti: stavolta è vero.

Banalmente, il processo avrebbe dimostrato che entrambe le navi avevano violato le prescrizioni in caso di nebbia mantenendo una velocità non adeguata e non adottando TUTTE le altre precauzioni (come riempire le casse per gli italiani).

Questa del correre nella nebbia era (ed è) una prassi comune per mantenere gli orari di servizio, un precedente legale su questo tema poteva costare tantissimo all’intero sistema mercantile navale. Questa è la terza verità sull’insabbiamento ufficiale. Attenzione, parliamo di verità sull’insabbiamento, non sulla collisione.

Ma sulla collisione la verità qual è? Chi ha sbagliato?

Due inchieste indipendenti, una del Governo Italiano e una della Marina USA, hanno preso in esame l’unica prova inconfutabile, i tracciati di rotta delle navi, sorta di scatole nere dell’epoca. La ricostruzione a ritroso dal momento in cui i pennini impazziscono nella collisione consente di avere molte informazioni: la principale è che è evidente come sia lo Stockholm a manovrare per primo e tagliare la strada al Doria.

È stato sostanzialmente appurato che probabilmente la manovra dipese dalle errate impostazioni del radar di Carstens che riteneva la nave italiana più lontana di quanto fosse; nella sua testa la manovra era in anticipo e non fatta all’ultimo.

Queste analisi, unite all’inconsistenza delle testimonianze svedesi fanno ritenere che la colpa sia interamente dello Stockholm e questa è la verità ormai generalmente riconosciuta. Ma noi siamo Rollingsteel, vogliamo darvi sempre quel particolare in più. Abbiamo fatto qualche ricerca e scoperto che, più recentemente, un ingegnere indipendente di nome Samuel Halpern ha aggiunto nuove considerazioni dedotte incrociando le dichiarazioni e i tracciati di rotta:

  • Conferma che lo Stockholm viaggiava troppo a Nord rispetto al canale standard;
  • Conferma che la navigazione dello Stockholm era poco precisa, facendo apparire il Doria a volte a sinistra, a volte a destra sul radar;
  • Conferma che è evidente come sia lo Stockholm a manovrare per primo;
  • Afferma che lo Stockholm manovra prima di vedere l’Andrea Doria nella nebbia, non sta quindi reagendo ad una manovra italiana come dichiarato da Carstens (si torna al tema impostazioni radar);
  • Afferma che la ricostruzione di Carstens non sta in piedi, i dati non tornano.

Ma, spiace dirlo:

  • Afferma che nemmeno la ricostruzione italiana batte con i tracciati;
  • Afferma che gli italiani, come gli svedesi, non hanno fatto il corretto plotting del radar, in altre parole non si sono segnati la rotta che il puntino percorreva;
  • Afferma che Calamai sbaglia quando corregge di soli 4°, contravvenendo alla regola marinara di fare manovre chiare ed evidenti agli altri.

Quindi? Per Samuel Halpern la situazione nasce complessa in partenza, perché le navi partono da una rotta di collisione, ma non erano cieche, avevano i radar. A suo modo di vedere la colpa è di entrambi e gli unici scenari con esito positivo erano:

  • Non fare nulla, con un passaggio risicatissimo;
  • Virare entrambi a destra, come per altro vorrebbero le regole del mare.

Questa non è l’interpretazione di Rollingsteel, che parla navi, meccanica, persone e non di diritto del mare, ma ognuno può farsi un’idea diretta leggendo il documento a questo link.

Io, a titolo puramente personale e non di esperto, non mi sottraggo al dibattito e una mia opinione (non qualificata) ve la do: troppi sono gli elementi indiziari sulla Stockholm (compreso il registro di bordo sparito), la maggior parte della colpa (diciamo un 80%?) è per me su di loro, il resto ahimè tocca a noi.

– Ipotetico tracciato SE entrambe le navi avessero virato a destra –

È invece da Rollingsteel mostrarvi le immagini affascinanti del relitto partendo dalle ricostruzioni del mitico Ken Marschall (cui vanno tutti i diritti). Nella sequenza: 1956, 1991, 2003, oggi il relitto è quasi del tutto sfasciato e spezzato in tre parti.

E lo Stockholm che fine ha fatto?

Che ci crediate o no è sopravvissuto a mille passaggi di mano e un’importante trasformazione (1989) e oggi è una nave da crociera chiamata Astoria, un italiano sciagurato ha perfino avuto anche l’ardire di chiamarla “Italia Prima” per qualche tempo. La nave, accreditata come la più vecchia nave passeggeri ancora in uso, è stata recentemente vittima dell’ennesimo fallimento causa COVID, un’asta è andata a vuoto ed è probabile che presto verrà smantellata.

-Nel 1960 lo Stockholm è venduto alla DDR come nave ricreativa per il popolo e si chiama “elencodiconsonantiacaso”, è una delle navi che restano incastrate a metà strada durante la crisi dei missili di Cuba-

-Oggi ha quest’aspetto, notate le controcarene a poppa per dare stabilità-

Il Doria, aveva una gemella, la Cristoforo Colombo e una terza nave, la Leonardo Da Vinci, venne costruita per rimpiazzare la perdita della capoclasse.

– Andre Doria e Cristoforo Colombo –

È finita qui? Quasi, sembra incredibile, ma nel 1981 una scialuppa si è liberata dalle gru dell’Andrea Doria, è tornata a galla e ha placidamente raggiunto il porto di New York trasportata dalla corrente.

Dedichiamo questo articolo alla memoria di Piero Calamai, un comandante vero e un eroe italiano.

Chiudo ringraziando Rollingsteel per avermi dato, ancora una volta, la possibilità di condividere la mia passione con chi ne sa. Vi ricordo che potete aiutare Rollingsteel a darvi contenuti GRATUITI come questo e tutti gli altri, iscrivendovi alla newsletter e non perdendovi l’uscita del prossimo DI BRUTTO o magari acquistando il mio libro di fanta-scienza “121 anni all’Estinzione” dal link Rollingsteel.

-Sono un Rollingsteeler semplice, vedo sotto la sottana di un gran ferro e ci clikko sopra-

NOTA FINALE DEL DIRETTORE: Fra pochi giorni si chiuderanno definitivamente gli ordini di DI BRUTTO Volume 3 l’ultimo numero del magazine più sexy del mondo. Se l’hai preso bene, se sei uno di quelli che ancora ci sta pensando ti conviene volare.

Articolo del 26 Luglio 2021 / a cura di Paolo Broccolino

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  • Francesco

    Ho apprezzato tantissimo il vostro raccontare di altri scenari che a noi civili non saranno, MAI noti ! Vi apprezzo sempre più !

    Con affetto il Vostro lettore di sbrodolo

  • niccolò

    Tra l’altro dentro la Doria giace anche l’unico prototipo della Chrysler Norseman, fatta nel 1956 dalla nostrana Ghia su commissione e mai arrivata negli Stati Uniti per ovvi motivi.

    • Alessio

      Ottima annotazione, Niccolò. E’ una cosa che sanno in pochi e mi sta a cuore ricordarla, perchè mio padre (ovviamente non all’epoca, perchè è quasi coevo del naufragio) ha lavorato alla Ghia di Torino ed è una vicenda di cui mi ha spesso parlato.

  • Emanuele Colombo

    Mio zio lavorava in una falegnameria impegnata nella fornitura di parquet per l’Andrea Doria. Per una botta di c**o riuscì a ritirare un’eccedenza di produzione ed ora casa mia è per il 90% pavimentata con quei legnami, wengè e rovere masselli. Roba di altri tempi, davvero.
    Grazie per il viaggio, stupendo come sempre.

  • Carlo

    Consiglio a tutti la visione di Andrea Doria -74 (meno 74)
    E’ un documentario del 1970 diretto da Bruno Vailati, regista cinematografico specializzato in film di ambientazione marina e subacquea.
    Il film è stato il primo documentario in grado di mostrare, in modo organico e completo, il relitto, e fa venire veramente i brividi.

    Le riprese sono state realizzate nel luglio del 1968, durante 21 immersioni sul relitto, con un gruppo subacqueo composto da Bruno Vailati, Stefano Carletti e Al Giddings, mentre il gruppo di assistenza in superficie era composto da Mimì Dies, Arnaldo Mattei e dall’equipaggio della nave Narragansett, noleggiata allo scopo. Fonte: Wikipedia.

  • Matteo

    Bell’articolo, grazie!
    “elencodiconsonantiacaso” = Völkersfreundschaft = Amicizia tra i popoli

  • Luigi

    Complimenti bellissimo articolo e si giusto non un comandante ma IL COMANDANTE il grande Calamai che ha fatto vedere che il comandante è l’ultimo a scendere qualunque cosa succeda

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