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In vendita una Ferrari 640 ex Mansell, l’auto che rese moderna la F1

Avete impegni il 15 Maggio 2022? E soprattutto avete disponibile una cifra tra i 2.5 e i 5 milioni di euro che vi avanza e non sapete cosa farci? Se avete risposto no (specialmente alla seconda domanda) benvenuti nel club, ma non disperate che il mercato dei traffici illegali di qualunque tipo può sempre fare al caso vostro. Se invece avete risposto si il mio IBAN è IT0045530005648000003633 beati voi! Comunque se avete i soldi e una “scimmia” per le auto da corsa, il 15 Maggio corrente anno potreste realizzare un sogno.

 la scimmia…

Presso la rinomata casa d’aste RM Sotheby’s, qualche abbiente appa$$ionato si porterà a casa un mito su 4 ruote. Tra varia ferraglia di altissimo livello, sarà infatti battuta all’asta niente popò di meno che una Ferrari 640. Proprio lei, la famosa “papera” di John Barnard che di fatto ha rivoluzionato la F1.

Se non vi bastasse la sua importanza storica, il mezzo in questione risulta anche ben “alonato” di prestigio. Si tratta infatti dell’esemplare di proprietà di Nigel Mansell , che con quest’auto vinse la gara d’esordio in Brasile nel 1989 (la vettura è però aggiornata nell’aerodinamica alle ultime specifiche) e che il pilota inglese volle tenersi in garage a fine stagione 1989.

A quanto pare Mansell ha deciso di fare spazio in casa e oltre alla Ferrari da pure via una Williams Fw14-5, proprio quella con cui portò a spasso Senna (se un pilota si azzarda a farlo oggi minimo gli stracciano la patente) e qualche altro mezzuccio meno interessante

Pronti con la paletta?

provate a farlo ora

L’auto risulta ferma da allora e si nota, gomme croccanti e di travertino, patacchi ingialliti (si vede che non erano di qualità come quelli di Rollingsteel.it). Inoltre necessita di un sostanzioso tagliando al motore a spese ovviamente dell’acquirente. Ma se potete spendere 5 milioni di euro, esclusi i diritti di asta, è robetta da poco.

DOT Avanti Cristo

Ah, sappiate che semmai riusciste ad acquistarla e vorreste farci i ganzi alle varie manifestazioni, la prima si innesta ad almeno 6000 giri/min, pena ammutolimento del motore e prese per i culo da parte di chiunque sia nelle vicinanze, che i freni sono in carbonio e vanno scaldati per bene se non volete leggere da vicino gli sponsor sui muretti e che in pista va domata, dimenticatevi ABS, ASR, ESP e tutte ste diavolerie moderne, non ci sarà nulla ad aiutarvi se non il vostro angelo custode con la superlicenza.

Comunque oltre a quattro gommoni slick, un telaio monoscocca in carbonio dalla linea iconica e un meraviglioso 12avvù da 3.5 litri che non vede l’ora di farsi sentire, chi l’acquisterà si porterà a casa una pietra miliare dell’automobilismo sportivo.

Per chi segue la F1 da un decennio o poco più tante cose sono normali: i fondi piatti, gli importantissimi estrattori posteriori, i vari automatismi, l’assenza delle ombrelline sulla griglia (‘cci tua Liberty Media) .

Ma non è sempre stato così. La 640 viene da un altro periodo, quando la F1 era più verace di una vongola di Goro. In pista c’erano piloti, considerati dei veri e propri miti, del calibro di Senna, Prost, Mansell, Piquet per citarne alcuni che se le davano di santa ragione (alla faccia del politically correct esagerato che c’è oggi) in pista e fuori.

quanta storia in questa foto?

“A ‘nfame! A ‘nfamone viè quà!

Le auto di Formula 1 degli anni 90 poi erano bellissime, non quelle buste di fave (salvo rare eccezioni) che ci hanno propinato negli ultimi due decenni. L’elettronica, oggi padrona, era ancora molto limitata e tecnicamente le auto, seppur avanzate, seguivano schemi di parecchi anni prima. Anche per questo la 640, o Ferrari F1-89, quando mise le ruote in pista segnò lo spartiacque tra la vecchia Formula 1 e la Formula 1 moderna. Andiamo ad approfondirne il perché.

 chi dimentica è complice!

Come per l’evoluzione dell’uomo anche in F1 si ragiona per ere e periodi, step temporali caratterizzati da cambiamenti epocali, come il cambio di regolamenti di quest’anno che ha ridato finalmente competitività alla Ferrari con la F1-75.

Ai primordi ci fu l’era del motore anteriore (Anteriocene) poi venne quella del motore posteriore (Posteriocene), ci fu l’era degli alettoni (Alettoniano) e quella dell’effetto suolo (Minigonnaceo), poi ci fu la scoperta del turbo (periodo Turbozoico) dove soffianti dinosauri a quattro ruote lottavano tra di loro sulle piste di mezzo mondo.

il duello dei duelli

Ma anche questo tempo era destinato a finire. Nel 1986 per limitare costi e aumentare la sicurezza, si decise che da li a tre anni tramite restrizioni sempre più forti, nel campionato 1989 ci sarebbe stata l’abolizione dei motori turbo (sigh!) e la totale reintroduzione dei motori aspirati, comunque già permessi ma schifati perché poco competitivi, nello specifico di 3.5 litri. Tutte le squadre erano avvisate e dovevano correre ai ripari cercando di non farsi trovare impreparate all’alba della nuova era.

Erano anni in cui la Williams motorizzata Honda e la McLaren con i suoi motori Tag-Porsche lasciavano agli avversari poco più che le briciole. La Ferrari era ben lontana dai fasti di un tempo e con oculatezza, piuttosto che buttare soldi e tempo in un progetto ormai chiuso, pensò bene di viaggiare di conserva per un paio di stagioni e puntare tutto sulla nuova formula.

1500cc 1050 cv… senza MGU-K e H

Nel team McLaren si era messo in luce da tempo l’inglese John Barnard. Era un visionario, si devono a lui (grazie all’appoggio di Ron Dennis e Gordon Murray) l’introduzione delle monoscocche in fibra di carbonio e il famoso disegno a bottiglia di Coca-Cola del posteriore delle F1.

L’innovativa monoscocca in carbonio della MP4/2

Ferrari che aveva fiuto per i talenti fece di tutto per averlo, accettò addirittura che Barnard rimanesse in Inghilterra, pare che lavorasse bene solo con il tasso d’umidità albionico, creandogli una struttura satellite tutta sua (tanto pagava mamma Fiat).

da sinistra Barnard, Watson, Dennis

A dir la verità il primo periodo in Ferrari (dopo essere passato alla Benetton tornò a Maranello anni più tardi) non fu proprio rose e fiori, l’inglese aveva un carattere che dire ostico è un eufemismo e non accettava imposizioni, anzi le dettava, e a Ghidella, nuovo presidente Fiat (e Ferrari dopo la morte del Drake nel 1988) stava simpatico come un calcio negli zebedei anche perché lavorando da remoto creava più casini logistico-economici che altro.

Gli anni che andarono dal 1987 al 1988 per la Ferrari furono anni di transizione, ai non esaltanti risultati in pista si aggiunsero la scomparsa del Grande Vecchio e la fuga di molte figure di spicco, come l’aereodinamico Migeot e il telaista Postlewhaite. In tutto questo marasma Barnard lavorava bello tranquillo nel suo eremo al progetto 639/640, ovvero quella che sarebbe stata una Ferrari rivoluzionaria.

Nel 1988 presentò la 639, che però non gareggiò mai. Era più che altro un’auto laboratorio, con la quale tramite un intenso programma di test si affinarono le soluzioni che poi sarebbero finite sulla 640 destinata al campionato 1989.

la 639

La 640 ricalcava la linea della 639, colpiva per la sua linea filante e pulita. Aerodinamicamente spiccava sul muso il famoso becco di papera, le fiancate tonde e lisce con prese d’aria verticali per il raffreddamento dei radiatori. Le pance si rastremavano al posteriore tramite un evidente disegno a bottiglia di Coca-Cola con una pulizia stilistica di rara efficacia. Si notava l’assenza dell’airscope, sostituito da due fessure ai lati della testa del pilota, soluzione ottima al banco ma che in pista mostrò i suoi limiti e venne rimpiazzata da un classica presa dinamica verso metà stagione.

la 640 presentata alla stampa

Coca-cola e patacchi ingialliti

Se fuori si faceva ammirare diventando immediatamente una delle più belle F1 mai fatte, sotto il velo di carbonio della carrozzeria era ancora meglio. A differenza di Honda e Renault che scelsero per prime un motore V10 che si rivelerà lo standard del futuro (in teoria ci sarebbe stato prima il V10 Alfa Romeo ma questa è un’altra storia), la Ferrari per la 640 tornò al passato con la storica architettura v12 65°, un motore dotato di 5 valvole per cilindro capace di 600 cv a 13000 giri/min. Lo stesso motore che risentiremo cantare poi anche nella 333sp.

Le sospensioni abbandonarono lo schema “pull-rod” in favore di un “push-rod” con l’innovazione che al posto delle molle elicoidali Barnard introdusse delle barre di torsione verticali. A dir la verità il furbo John non si era inventato nulla ma aveva rispolverato una soluzione utilizzata da Chapman sulle Lotus nel 1970. D’altronde perché perdere tempo a creare qualcosa se si può usare quello che già è stato fatto e che funziona?

le barre di torsione prese in prestito dalla Lotus

Dove la 640 però ha fatto la storia è nel comparto trasmissione. Per la prima volta in F1 veniva usato in pista un cambio semi-automatico sequenziale elettroattuato a 7 marce. A posto della solita cloche a lato del pilota c’erano due bilancieri dietro il volante per salire e scendere di marcia. Questo sistema al di la del miglior sfruttamento dell’arco di coppia del motore (a differenza di un turbo dall’arco di utilizzo ristretto, su un aspirato 7 marce sono molto meglio di 5), consentiva cambiate più rapide e senza togliere le mani dal volante, migliorando quindi anche la guida.

le mitiche palette dietro il volante (ovviamente MOMO)

Questa genialata da molti è attribuita a Barnard, ma pure stavolta non è stato inventato nulla: il cambio semiautomatico della Ferrari risale a molti anni prima.

Correva l’anno 1979 e a capo della squadra Ferrari c’era il vulcanico Mauro Forghieri. In collaborazione con la Bendix sviluppò un cambio elettro-attuato per cercare di riguadagnare tramite cambiate più veloci il tempo perso nella risposta della turbina.

il grande Mauro Forghieri

Il sistema era comandato da una centralina posizionata sotto il sedile del pilota, mentre il gruppo degli attuatori idraulici era sul cambio che rimaneva un classico 5 marce. Mediante due pulsanti posti sul volante, venivano azionate due elettrovalvole con tempi di reazione di 5 millesimi di secondo, una frazione rispetto alla velocità di cambiata di un normale manuale.

Non esisteva ancora la tecnologia elettronica odierna e all’epoca per il prototipo del cambio furono usati attuatori prelevati da macchine utensili della fabbrica. Tutto l’accrocco con fili e cavi che spuntavano ovunque, pesava solo due chili più di un classico manuale e fu montato su una 312 T3 del 1978 denominata ‘Evo’. Con la speranza di poterlo trasferire sulla T4 che avrebbe corso nella stagione successiva.

Nel mese di gennaio del 1979 la macchina fu affidata al collaudatore Giorgio Enrico, fu fatta testare anche a Jody Scheckter che se ne occupò prima di passare il testimone a Gilles Villeneuve che doveva dare il parere finale. Successivamente Enzo Ferrari raccontò che l’idea di una trasmissione simile gli venne addirittura in mente durante la guerra, quando si occupava della costruzione di macchine utensili.

Gilles sulla sua 312-T3

I risultati furono incoraggianti, il canadese percorse più di cento giri senza grossi problemi e i tempi, seppur di poco, erano migliori della 312 T3 manuale. Ma quando Gilles scese dall’auto si vedeva che non era convinto. Si avvicinò a Forghieri e gli disse “Si il cambio funziona, ma tutti quei fili in giro non mi convincono, ti dispiace se ne parlo con Ferrari?”

Ad Enzo disse che secondo lui non si poteva correre una gara temendo di prendere la scossa ad ogni curva e che comunque una leva meccanica sarebbe stata sempre molto più affidabile di un congegno elettronico. Ovviamente bastava curare un po’ di più il progetto, ma Ferrari teneva in altissima considerazione Gilles e si fece bastare quello, quindi chiamò Forghieri e gli disse di chiuderla lì. Persero un occasione d’oro, ma l’appuntamento con la storia era solo rimandato.

” E niente Maurè, devi fà pippa e basta!”

Il progetto del cambio rimase quindi sepolto negli archivi di Maranello. Si provò a testarlo nuovamente qualche anno più tardi sulle F186 di Alboreto e Johansson ma non se ne fece nulla. Bisognò attendere l’arrivo di Barnard per portarlo finalmente in pista.

Un giorno, mentre l’inglese scartabellava i faldoni degli archivi tecnici cercando qualche idea che gli facesse mantenere il posto, udì alle sue spalle un tonfo. Un pò spaventato si guardò attorno, eppure era solo, voltandosi vide in terra un faldone che emanava una strana aurea, quando lo aprì ebbe la risposta alle sue domande. Come Gollum col suo tesssoro tornò di corsa nel suo segretissimo laboratorio per attualizzare l’idea del secolo.

Alla presentazione della 640, lo scetticismo per il nuovo cambio era dilagante. Sulla 639 infatti quel cambio rivoluzionario aveva dato parecchie rogne. Pare che Ghidella, al suo primo anno come boss, non volesse fare figure di merda e un giorno telefonò a Barnard chiedendogli se era possibile rimandare tutto di un anno o due e far correre la 640 con un classico manuale. L’ingegnere inglese praticamente gli rise in faccia, spiegandogli che la 640 era nata col cambio sequenziale e solo così avrebbe potuto funzionare.

Barnard racconta al pub la telefonata di Ghidella

Si arrivò quindi alla prima di campionato con molta incertezza sulla validità di questa soluzione. Nei paddock del circuito di Jacarepaguá a Rio de Janeiro si raccoglievano scommesse su quanti giri avrebbe fatto la Ferrari prima di fermarsi in una nuvola di ingranaggi macinati.

Alfieri di Maranello quell’anno erano il baffuto Mansell e il pennellone Berger. Pare che pure l’inglese dava così tanta fiducia al cambio da aver prenotato l’aereo di ritorno per il pomeriggio stesso. Nelle prove Berger guadagnò la terza piazza mentre Mansell era solo 6°.

Al via, Senna che era in pole, parte male e dopo un po’ un contatto con Berger li farà ritirare entrambi. Mansell prosegue la sua corsa inanellando giri su giri senza problemi. Mentre gli altri smanettavano come forsennati con i loro cambi, lui con due colpi di dita saliva e scalava marcia in tutta tranquillità. Guadagnò la prima posizione e vinse la corsa.

i bookmaker quel giorno sono andati falliti

Una vittoria storica, la prima di un’auto con un cambio semiautomatico… fu però una vittoria di Pirro (non Emanuele eh, questo Pirro). Dopo quella vittoria la 640 collezionò ritiri su ritiri, molti dei quali dovuti proprio all’inaffidabilità della trasmissione. Il problema, si scoprì dopo, risiedeva nella parte elettrica che gestiva gli elettroattuatori che risultò sottodimensionata. Pur se collezionò moltissimi ritiri, la 640 quelle poche volte che arrivò era sempre sul podio, questo la diceva lunga sulla bontà del progetto. La successiva 641 infatti corresse il tiro e Prost per poco non vinse il mondiale nel 1990.

“Ooops! scusa non ti avevo visto…”

Da quel giorno del 1989 la Formula Uno non sarebbe stata più la stessa. Tutte le squadre, chi prima chi dopo, dotarono le proprie auto di cambi simili a quello Ferrari e sono decenni che le F1 usano trasmissioni sequenziali.

Ma non solo, si è sempre detto che la Formula 1 serve a studiare innovazioni che poi verranno trasferite alle auto di normale produzione e proprio la Ferrari introdusse nel 1997, sulla sua F355 denominandola F1, un cambio sequenziale con i paddle dietro il volante (sollevando lo sdegno più totale dei puristi che amavano grigliare duro col classico selettore).

Oggi i cambi robotizzati si trovano ovunque dalla supercar (in cui sono lo standard) all’utilitaria sportiva e quando siete al semaforo in attesa del verde, con le dita che fremono sulla paletta, sentendovi un pò più piloti degli altri, adesso sapete chi dovete ringraziare.

Fun fact: pare che Frank Williams, che di auto ne capiva, esigette come pagamento per lasciare andare Jean Alesì oltre ai soldi anche una 640, mica scemo.

Articolo del 10 Maggio 2022 / a cura di Roberto Orsini

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  • ZB

    Grande Orsini! Articolo stupendo.
    Fantastici i nomi delle “ere” evoluzionistiche della formula 1. Al minigonnoioco per poco non mi sono strozzato con la fettina!!

  • Tom

    Qualche anno fa vidi un Gran Premio in compagnia di Cesare Fiorio, direttore sportivo di Ferrari nell’89. Mi raccontò che tutti erano preoccupati dell’affidabilità del cambio ed al debutto in Brasile gli fecero pressioni per far partire le 2 Ferrari scariche di benzina, in maniera da essere più leggere e veloci e quindi fare bella figura, tanto il cambio non sarebbe arrivato neanche a metà gara, anche perchè Berger aveva la cattiva abitudine di passare dalla 5 alla 4 ad oltre 300 km/h invece di mettere la 6. Lui non si fece convincere e, almeno quella volta ebbe ragione (Mansell vinse). Le gare successive furono un disastro.
    P.S. Nell’agriturismo in Puglia del figlio, dove l’ho incontrato, si fa colazione in una sala dove fa bella mostra di se una scocca proprio di questa Ferrari n. 27 appesa alla parete. Gran Premio in compagnia di Cesare Fiorio e colazione con vista scocca in carbonio F1 <3

  • Andrea Bindolini

    640 e 641 furono tra le più belle monoposto da competizione mai create. La 641 meritava il mondiale e magari lo avrebbe ottenuto se non fosse stato per la combinazione di due vigliaccate: quella di Mansell all’Estoril e quella di Senna a Suzuka, entrambe a danno del “professor” Prost.
    Ma della progenitrice 640 va detta una cosa: quell’auto si rompeva sempre, ma quando non si rompeva andava quasi a vincere. Letteralmente. Controllate le statistiche. Tutte le volte che una 640 è arrivata in fondo, è arrivata sul podio. Tutte. E’ vero che si tratta di un confronto forzato, ma neppure la mitologica McLaren Mp4/4 può vantare un ruolino simile.

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