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Corazzate Classe Littorio, 35.000 tonnellate di orgoglio italiano

Premesse, ne abbiamo bisogno.

Premessa 1: questo articolo si apprezza al meglio dopo avere letto quelli che logicamente lo precedono (Iowa, Yamato e Bismarck) e con i quali su Rollingsteel abbiamo voluto intraprendere un percorso di crescita e maturazione prima di affrontare quella che per noi italiani dovrebbe essere la più cara delle grandi corazzate storiche.

Premessa 2: l’articolo precedente sulla Bismarck è inevitabilmente un po’ fuori dai canoni scanzonati di Rollingsteel, per sentirci più liberi di dire le consuete minchiate, abbiamo deciso che tratteremo la tragedia della Roma su un articolo dedicato e che abbia il dovuto rispetto per la tragedia e i suoi morti.

Premessa 3: tutti i dati tecnici di questo articolo sono presi dalla monografia ufficiale dell’Ufficio Storico della Marina Militare “Le Navi da Battaglia Classe Littorio 1937-1948”. Se qualcuno ha letto su wikipedia, su internet o nei cessi dell’autogrill numeri diversi può scrivere alla Marina chiedendo di rivedere la pubblicazione. Resta ovviamente possibile il “typo” di chi scrive.

Premessa 4: sì, si chiamano “Littorio” e sono costruite dai fascisti, come sempre ci asteniamo da ogni giudizio politico e pensiamo solo al ferro.

Premessa 5: i puristi usano il nome al maschile (“il Roma”), ma ho visto che anche sulle pubblicazioni della Marina c’è il femminile, regà è più bello dai, torniamo al femminile.

Tanto per cambiare, partiremo dalla notte dei tempi, ma intanto facciamo un po’ di glossario: le Littorio sono quattro, in parentesi la data dell’inizio dei test in mare:

  • Littorio (1939), ribattezzata “Italia” dopo l’armistizio
  • Vittorio Veneto (1939)
  • Roma (1941)
  • Impero (non completata, ma ce l’hanno affondata lo stesso)

-Questa è la Roma, bellissima, si riconosce dalle altre per una prua leggermente all’insù e per avere solo il ponte superiore con oblò-

I numeri di base sono questi:

  • 8 cannoni da 15″
  • 150.000 CV
  • 3 gruppi caldaie e 2 timoni
  • 30,5 nodi di velocità massima
  • 320 mm di corazzatura sulle fasce laterali
  • 45.170 tonnellate (inglesi) di dislocamento standard

Numeri impressionanti eh? Tanta roba sti italiani in piena autarchia, eppure… aspetta un attimo, 8 cannoni? Qualcosa non torna. Rollingsteel! Ci stai a menare per il naso, noi sapientoni del mare sappiamo tutti che le Littorio ne avevano 9.

Esatto, vi ho scritto i numeri della Bismarck, perché voglio che vi rendiate conto che non abbiamo a che fare con il solito progetto in scala ridotta italiano, ma con qualcosa che sulla carta e (spoiler) nella sostanza se la giocava con le altre top.

Questi i numeri della Littorio (rilevamenti prestazioni effettuati il 21 dicembre 1939):

  • 9 cannoni da 15″
  • 150.171 CV registrati nelle prove in mare della Littorio, ma “overclockabili” a 160.000 spingendo la caldaie esterne un altro 20%, manovra prevista dal capitolato, ma mai utilizzata nemmeno nelle prove. (“Il macchinista riferisce che raggiungere il 105% è possibile… Ma non consigliabile…”)
  • 4 gruppi caldaie e 3 timoni
  • 31,29 nodi di velocità massima
  • 350 mm di corazza sulle fasce laterali
  • 43.600 tonnellate (inglesi) di dislocamento standard

Se ora fate un po’ su e giù con l’occhio scoprirete che non solo i numeri sono simili, l’italiana è leggermente superiore in quasi tutti i comparti.  Solo un numero è largamente inferiore, quello dell’autonomia: con 4000 tonnellate in luogo di 7700 delle Bismarck; le italiane avevano solo due giorni di carburante a tutta forza e un’autonomia massima di 3900 miglia marine contro le circa 8000 della delle tedesche.

Il motivo? serviva risparmiare sulle tonnellate per un tema di costi e per un tema di “trattati” perché, ora che con i numeri ho la vostra attenzione, sì… siamo giunti al momento del pippone™ storico.

Tutto ha inizio col trattato navale di Washington del 1922 che fissa dei rapporti di forza navali da non superare. L’intento è di mantenere un certo status quo (privilegiando le potenze vincitrici della I Guerra), ma anche di fermare una costosissima corsa agli armamenti il cui motore è sostanzialmente così esemplificabile:

– Tu fai una corazzata che resiste ai miei cannoni?

-Io ne faccio una con i cannoni più grossi e più corazzata.

-Ahaaah, allora io ne faccio una ancora più grossa che resiste ai tuoi cannoni più grossi, ti sfonda la corazzata più grossa e nel dubbio va più veloce così ci ingaggiamo solo se mi conviene.

-Allora io ne faccio una con la TURBOPOMPA!

-E io ci metto due TURBOPOMPE e pure Alessia Merz a fare da polena! (cit. nota ai Rollingsteeler di vecchia data)

Vabbè mi sono fatto prendere la mano, ma il concetto è chiaro.

Non andiamo troppo nel dettaglio, ma la sintesi è che alla fine delle contrattazioni vengono decretate tre cose:

  • Parità tra Regno Unito e USA (525.000 T di naviglio nuovo consentito) con grande disappunto dei sudditi di Sua Maestà.
  • Parità tra Francia e Italia (175.000 T di nuovo naviglio) con grande immenso gaudio dell’incredula commissione italiana.
  • Dislocamento standard massimo: 35.000 T.

Nell’eterna sfida tra Champagne e Spumante, almeno per un giorno il “Metodo Classico” fu all’altezza: non solo c’era la parità (insperata), ma l’obiettivo non era eccessivamente alto per le risicate finanze italiane.

Forte della sua parità, l’Italia si imbarcò subito in due grandi imprese: fare arrivare i treni in orario e tanto bel naviglio leggero, ricordate i MAS? Belli, efficaci, romantici, costano 4 Lire e consumano una roba accettabile.

Finite queste “grandi imprese”, nel 1925 parte finalmente un “ambiziosissimo” programma: radiare il naviglio vecchio, modernizzare il nuovo, nuove tonnellate prodotte? Un numero negativo. Ora sebbene faccia sorridere, l’idea di far fuori il vecchio naviglio era centrata, si trattava di navi dai costi di manutenzione elevati e destinate al rapido affondamento in caso di scontro con qualcosa di vagamente serio.

-Corazzata “Conte di Cavour” prima dei lavori-

-Corazzata “Conte di Cavour” dopo i lavori-

L’equilibrio in qualche modo regge fino all’inizio degli anni ’30 quando i Francesi impostano la Dunkerque da 26.500 T spezzando l’equilibrio. Gli Italiani cercano di negoziare, ma le cose vanno male e in Italia si inizia a ragionare su come rilanciare la posta (vedi dialogo precedente).

Nel frattempo in Francia viene approvato lo stanziamento per una seconda Dunkerque.

Allo Stato Maggiore della Marina Italiana intanto sta iniziando la fortunata serie del Lotto che ancora oggi conosciamo: 30.000 T, no 35.000, cannoni da 406, no da 381, torri quadruple, no trinate etc…

Fatto sta che, capitalizzando un certo lavoro di studi degli anni precedenti, per una volta gli Italiani fanno una scelta non conservativa e lungimirante: se vogliamo corazza a sufficienza, cannoni almeno da 381 mm. e velocità per fare gli sparini sul miglio nautico, servono non meno di 35.000 tonnellate. E ne facciamo pure due perché ce lo consentono i trattati. Contemporaneamente. Con le sanzioni per la guerra in Etiopia e l’autarchia in corso. Col progetto un po’ in bozza, che poi sistemiamo in corsa. Tiè.

I francesi ci restano un po’ di cacca, anche perché a ottobre del ’34, un mese prima della “Dunkerque 2”, le due navi sono già impostate sui cantieri Ansaldo di Sestri Ponente (Littorio) e C.R.D.A di Trieste (Vittorio Veneto).

-“Il Sorpasso” può “accompagnare solo”-

Alla fine saranno 35.000 T. sulla carta e oltre 40.000 nella realtà, per i cannoni si sceglierà un 381 (15 pollici, come la Bismarck) “potenziato” e non si faranno sconti sulla velocità, 30 nodi come il top di gamma dell’epoca (le Iowa da 33 arrivano diversi anni dopo).

E’ un progetto finalmente ambizioso, per diverso tempo i Francesi si sono chiesti se l’Italia stesso solo bluffando.

-La Littorio giganteggia nel cantiere Ansaldo di Sestri Ponente-

-Notate i timoni ausiliari ben lontani dal principale, niente “effetto Bismarck” per la Littorio-

Vogliamo un po’ andare in dettaglio? Da che partiamo?

Oggettivamente il punto più innovativo e unico delle Littorio è la corazza, per due motivi: primo perché è a due strati, secondo per i “cilindri Pugliese” che varrebbero un articolo da soli.

Per esigenze di sintesi ci concentriamo sulla corazzatura della fascia principale, il resto possiamo bollarlo come sostanzialmente in linea con la concorrenza. Di fatto abbiamo un fascia composita da 70+280 mm con in mezzo un “sandwich” di materiali “compositi” (leggi aria e legno), la prima barriera era volta a “scappucciare” (ho detto “scappucciare” malpensanti!) il proiettile, la seconda a fermarlo una volta che ne fosse stato ridotto il potere penetrante. In chiusura, una paratia paraschegge che non si nega a nessuno.

La soluzione era innovativa e venne testata su modelli in scala con buoni risultati. Lo spessore totale era in linea con le sue concorrenti (305mm sulla North Carolina e 356 sulla “Nelson”), ma la fascia della Littorio si concentrava sul solo ponte di galleggiamento, mentre per esempio la Bismarck prendeva anche quello superiore.

-Spaccato della corazza Littorio, ehi cos’è quel tubo in basso?-

La protezione anti siluro è unica delle Littorio e si basa sui “cilindri Pugliese”, dal nome dell’ammiraglio che le aveva inventate. Sono sostanzialmente delle camere d’aria (nell’immagine sopra la parte di sezione circolare), avvolte da un serbatoio riempito di liquido (nafta, acqua dolce o acqua di mare all’occorrenza) a sua volta circondato da aria (nell’immagine sopra le “celle secche”); la finalità era di giocare sull’incomprimibilità del liquido che avvolge le camere per concentrare la deflagrazione del siluro sulla camera stessa assorbendone l’impatto.

Il sistema era poi costruito in modo che in caso di penetrazione l’acqua si riversasse nelle “celle secche” e da qui, tramite il doppio fondo della nave e il principio dei vasi comunicanti, raggiungesse la controparte dall’altro lato riequilibrando in modo automatico la nave.

Funzionava? In teoria sì, in pratica non tanto come sperato. Le Littorio sono state silurate diverse volte ed un paragone con classi, siluri e aree d’impatto similari suggerisce che il sistema facesse di base il suo dovere:

  • Siluro inglese con carica da 340 kg: la Scharnhorst e la Littorio fanno circa lo stesso numero di vittime (40) e imbarcano circa la stessa quantità d’acqua (3000 t), sulla Littorio non ci sono danni ad organi vitali, sulla Scharnhorst (copia incolla ti ringrazio) si allagano i locali macchina e alcuni depositi munizioni.
  • Siluro da 170 kg: la Littorio è fuori per tre mesi, la Nelson inglese per sei.

Il difetto? I cilindri coprivano bene solo a centro nave, ma si assottigliavano verso le estremità fino a diventare assenti per circa 1/3 del totale della nave.

-Littorio a Sestri Ponente (in mezzo al paese!) si vedono chiaramente i cilindri in costruzione e il doppio fondo-

FALSO MITO: l’acciaio autarchico era stagnola. NO, la marina controllò tutte le partite supervisionando l’intero processo, l’acciaio era conforme alle specifiche (da corazzata non da Zodiac). Tu lettore sprovveduto che mi sbandieri la Roma squarciata da una bomba radioguidata sganciata in alta quota, sappi che NESSUNA nave contemporanea ha resistito alla penetrazione di un colpo simile (Tirpitz colpita dagli Inglesi, una per tutta).

-Vittorio Veneto colpita da un aerosilurante inglese in porto a Taranto, si salvò raggiungendo una secca-

Parliamo un po’ di cannoni, abbiamo spazio solo per le batterie principali, ma una parola fatemela spendere per i 90/50 (terzi per calibro sulla nave) con finalità principalmente anti-aereo e caratterizzati dal fatto di essere STABILIZZATI.

TANTA ROBA in quegli anni (infatti restano in servizio fino al ’56), anche troppa, diedero spesso problemi, non ultimo per via del fatto di non essere correttamente isolati dall’acqua che entrava spesso nelle guarnizioni.

Torniamo alle nostri torri trinate: pezzi da 15″/381 mm. OTO/ANSALDO (collaborazione forzata dalla Marina), gittata massima 44 km. (QUARANTAQUATTRO) con velocità di uscita del proiettile da quasi 900 kg. superiore a TUTTE le concorrenti.

Nei fatti, anche grazie alle traiettorie più tese, il potere penetrante era paragonabile ai 16″ americani.

Armi notevoli, furono sempre caratterizzate da un’elevata precisione, ma anche da un’eccessiva dispersione della salva, dovuta principalmente alla scarsa qualità del munizionamento e non ai cannoni. L’elevata velocità del colpo determinava poi una precoce usura della canna per cui dovevano essere “ritubati” (e non sostituiti!) ogni 140 colpi circa, la metà della concorrenza.

Sono armi che nella loro carriera hanno messo a segno giusto un paio di colpi (in conclusione proviamo a dire perché), ma capaci di fare male anche con le sole schegge.

-Suppostona italiana, tipo “palla”, forse con riferimento al male che fanno-

Veniamo all’apparato motore, perché per andare a 30 nodi serve TANTA macchina.

Il progetto con una certa lungimiranza aveva già messo in conto un’evoluzione di efficienza dei motori a turbina, quindi fu destinata un’ampia quota al “vano motore”, ma non eccessiva.

Fondamentalmente abbiamo quattro unità composte da bruciatori a nafta, triple TURBOPOMPE turbine a vapore (alta, media e bassa pressione) e apparato riduttore. Sulla Littorio la sistemazione delle caldaie era unica e molto sicura come dispersione degli apparati chiave: caldaie in quattro locali contigui a centro nave con due coppie di turboriduttori a prua e a poppa dei locali caldaie.

In condizioni normali le macchine erogavano 32.500 CV l’una, ma come abbiamo visto per l’Iowa, era possibile ottenere vari livelli di potenza di emergenza fino ad un massimo teorico di 160.000 totali (mai raggiunti).

Le macchine non diedero mai particolari noie e furono sempre giudicate affidabili e facili da riparare.

FALSO MITO: le macchine italiane erano pesanti perché non avevamo esperienza di costruzione a quel livello: il peso medio dell’apparato motore per CV era di 20kg, contro una media di 23,4 kg delle concorrenti (55 per la vecchia Nelson). Il problema della macchine italiane era un consumo sopra la media e la già menzionata autonomia, adatta giusto al Mediterraneo.

-Direttore ce la passa la pornografia?-

E quindi caro Rollingsteel, se queste navi avevano i numeri com’è che non sono entrate nella storia come le altre che ci piacciono tanto?

-Ottima domanda, sei molto competente lettore di Rollingsteel!

-Grazie grazie.

Come tutte le domande intelligenti richiede una risposta un po’ complessa e PLURISFACCETTATA.

-Bravo autore, che paroloni!

-Grazie, grazie.

Esco dal loop ma, prima, un annuncio importante: mantenere con le macchine a tutta avanti Rollingsteel ha dei costi non indifferenti, se vuoi aiutare questo progetto a rimanere a galla e più ganzo che mai, clicca sulla corazzata qui sotto, ogni aiuto è benvenuto!

Torniamo a noi: innanzitutto ‘ste navi le abbiamo usate?

Per sostanzialmente tutto il conflitto ne abbiamo avute solo due: Littorio e Vittorio Veneto. La Roma non era nemmeno del tutto operativa al momento dell’armistizio e l’Impero non era stata completata perché oggetto di un complesso e lungo trasferimento da Sestri Ponente a Trieste nel tentativo di sottrarla ai bombardamenti alleati.

-Varo dell’Impero,  rimorchiata fino a Brindisi, avrebbe poi Raggiunto Venezia con propri mezzi-

All’epoca le operazioni erano coordinate da “Supermarina” di fatto un’organo dello Stato Maggiore.

Supermarina credeva molto nel principio della “Fleet in Being” (flotta in potenza), principio secondo cui le navi da battaglia basta averle in porto per incasinare il nemico e costringerlo a proteggere pesantemente i trasporti bloccando navi da battaglia che non possono essere utili altrove.  Il principio è validissimo e funzionò perfettamente con la singola Tirpitz in Norvegia, ma pure con la Bismarck se ci pensate (due squadre per dare la caccia ad una nave).

L’asino però casca se il nemico è in grado di silurartele e bombardatele in porto, come accadde in almeno tre occasioni, oppure se tu stai combattendo una guerra sull’altra sponda del Mediterraneo e ci devi mandare dei trasporti.

Sui bombardamenti in porto, sorpresi malamente le prime volte, gli italiani iniziarono a farsi più furbi e migliorare i sistemi di avvistamento e occultamento. Il problema vero si ebbe sulle uscite per attaccare forze navali in transito o per proteggere i convogli italiani.

-Littorio posata sul fondo dopo i bombardamenti a Taranto-

L’analisi degli scontri porta ad un chiaro risultato: le forze armate italiane difettavano gravemente e colpevolmente di coordinamento tra Marina e Aeronautica, le navi erano spesso lasciate sole, non protette e senza osservatori in volo. Anche quando c’erano, spesso i piloti non erano ben addestrati e davano messaggi errati (incrociatori scambiati per corazzate) o approssimativi (posizione senza rotta e velocità, presente il principio di indeterminazione di Heisenberg? Ecco.).

A peggiorare le cose ci si mise la mancanza di un portaerei, fondamentale per ricognizioni e appoggio agli attacchi navali, l’Ark Royal inglese ci fece sudare freddo più volte.

Su tutto pesava inoltre il terrore della Marina di perdere le sue (poche) navi pregiate, molte volte ci siamo ritirati in condizioni di superiorità e la Marina arrivò persino a chiedere di sospendere i rifornimenti per l’Africa del Nord (perdiamo la Guerra, ma non le navi, questo il senso).

Da una punto di vista tecnico invece gli elementi principali si rivelarono tutti all’altezza, si ebbero invece guai agli impianti secondari, tipo le chiusure delle paratie stagne (che non erano stagne) o l’impianto elettrico poco curato e isolato, un must italico.

Ultimo, ma non ultimo, le vicende belliche (es. battaglie di Capo Matapan e della Sirte II) dimostrano anche una certa “impreparazione” degli ammiragli sul campo (almeno rispetto agli Inglesi), non facciamo nomi va.

-Vittorio Veneto esce dal “Piccolo Mare” di Taranto-

-Littorio impegnata nel combattimento della Sirte II, notare lo stretto angolo di brandeggio della torretta di poppa verso prua, altra ottima caratteristica della nave-

Il top assoluto dell’impreparazione di Supermarina (e del Governo) si ebbe il giorno dell’Armistizio, quando l’Ammiraglio Bergamini al comando di tutte e tre le navi (Roma, Vittorio Veneto e la Littorio ribattezzata “Italia”) e del resto della Squadra a La Spezia ricevette dettagli sull’Armistizio quando ormai era di dominio pubblico.

Nel caos totale la flotta salpa per la Maddalena, ma la base viene presto occupata da un manipolo di tedeschi (omettiamo i commenti), la flotta cambia rotta per proseguire su Malta, ma viene sorpresa dai bombardieri tedeschi.

Gli amici di prima sono diventati nemici che hanno ordini più precisi e forse anche meno cuore.

Arrivano i bombardieri tedeschi, gli italiani aspettano a sparare, ma ecco una prima Fritz X sulla Roma, la passa fino alla chiglia facendola rallentare e poi un’altra che la colpisce mortalmente nel deposito munizioni di prora facendo decollare l’intera seconda torre.

-La Roma affonda, notare la torre 2 mancante-

La Roma si spezza, ma lotta impiegando ben 20′ per andare a fondo (la Hood ce ne mise circa due), altro segno di una costruzione ben fatta. Anche la Vittorio Veneto è colpita dalla stessa bomba, ma con danni minori.

Le navi arriveranno a Malta dove non saranno impegnate sul fronte Pacifico come inizialmente ipotizzato (anche per via dell’autonomia scarsa), per essere poi spostate ad Alessandria d’Egitto per un internamento durato fino al 1948.

Nonostante gli sforzi italiani, ci sarà concesso di non darle ad altri, ma non di di tenerle, ha così il via il taglio dei cannoni, la rottura a colpi di mazza e fiamma ossidrica dei riduttori e infine la demolizione delle navi.

Magra consolazione, quell’acciaio sarà utile per la ripartenza italiana del dopoguerra.

-Taglio dei cannoni sulla Vittorio Veneto-

Nell’attesa di scrivere un racconto più dettagliato sulla Roma, almeno una riga per ringraziare l’ingegnere Guido Gay ( che dopo anni di ricerche con mezzi propri ha ritrovato il relitto della Roma al largo dell’Asinara).

-Elica SX Roma-

-Estrema prua della Roma, in luogo della stella “SPQR”-

-La Roma con il suo “SPQR”-

-Pezzo 90/50, uno di quelli stabilizzati descritti sopra-

Quindi? come rispondiamo alla domanda di cui sopra?

Alle Littorio sono mancati il romantico scontro della Bismarck, la dimensione e la tragedia della Yamato, i record e la lunga vita delle Iowa, ma davvero i numeri c’erano per entrare nella storia.

A parere di chi scrive non hanno giocato a favore le circostanze ingloriose dell’armistizio e, spiace dirlo, la solita maledetta esterofilia di noi italiani.

-Interni della Roma: Foto che si commenta da sola-

PS: Se ti piacciono lo spazio e la scienza, puoi provare a leggere anche i miei libri: Luci dal Futuro, Mercante d’Immortalità e 121 anni l’estinzione.

Articolo del 7 Maggio 2021 / a cura di Paolo Broccolino

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  • Ander

    Bell’articolo.

    Riguardo al femminile davanti al nome delle navi militari, sono quasi cento anni che non si usa più (97, per la precisione). Ovvio che poi gli errori capitano anche su fonti ufficiali, ma la convenzione storicamente quella è.

    A parte quella piccola scelta stilistica infelice, l’articolo è molto bello e piacevole da leggere, complimenti.

    • Giampaolo

      No, la convenzione vuole:
      Navi civili al maschile
      Navi militari al femminile

        • Andrea Bindolini

          A quanto leggo però non si tratta di una regola ufficialmente codificata, quindi a stretto rigore l’articolo non è errato e sceglie il femminile che è sicuramente più fine. Tornando alle convenzioni della Marina, ho inoltre sempre trovato particolarmente inelegante la designazione col termine “Nave” che precede il nome dell’unità.

          • Ander

            Cito dalla prima fonte: “Tutte le navi della flotta della Marina Militare italiana vengono denominate UFFICIALMENTE (enfasi mia, NdAnder) usando il termine “Nave” seguito dal nome dell’unità (es. “Nave Cavour”) oppure in forma abbreviata usando il solo nome dell’unità preceduto dall’articolo maschile (es. “il Cavour”).”

            Q.E.D.

            Che poi possa piacere o meno ci sta tutto, ovviamente. Nessuno si offende particolarmente, anche in Marina, se sbagli il genere, anzi a volte lo sbagliano pure loro nel parlare. Rimane che esiste un modo giusto e uno sbagliato, perlomeno nell’ufficialità.

            Saluti 🙂

  • Andrea

    Piccola precisazione: non fu Nave Vittorio a essere colpita all’Asinara ma Nave Italia.

    Ottima sintesi di un argomento su cui sono stati versati ettolitri di inchiostro.

  • max

    fantastico articolo …come sempre . Complimenti !!

  • Claudio

    Supermarina, covo dfi massoni e di monarchici filobritannici.

  • Carlo

    Ciao Paolo,
    ma che fine hai fatto !!!
    Attendo con ansia il tuo prossimo articolo, appassionante e coinvolgente come sempre.

    Grazie
    Carlo

    • Paolo Broccolino

      Ahahah, a breve torniamo nello spazio!

  • Vincenzo Mirisola

    Suggerirei articolo su Benedetto Brin e sulle corazzate Duilio e Dandolo che – varate nel 1880 – preoccuparono non poco l’allora strapotente Royal Navy.

  • alias

    Belle navi ma sostanzialmente niente di più. E’ un dato di fatto che non riuscirono mai a centrare il bersaglio. Tutto fumo e niente arrosto.

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