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Navi classe Liberty, i muli dell’Oceano

Le navi da trasporto classe Liberty erano costruite per fare un viaggio, ma loro non lo sapevano e continuarono a navigare per trent’anni (semi cit.).

Ogni volta che si parla di ferro e ignoranza mi vengono in mente loro. Di ferro (saldato male) ne avevano circa 7000 tonnellate l’una, mentre di ignoranza ne avevano abbastanza da far si che navi costruite in una settimana fossero ancora in servizio trent’anni dopo.

Ma partiamo dall’inizio. Durante la Seconda guerra mondiale il più grande vantaggio degli alleati era il fatto di poter ricevere rifornimenti da un posto dove i tedeschi non sarebbero mai riusciti ad arrivare con i loro bombardieri, cioè gli Stati Uniti. Ovviamente per i trasporti servivano navi, e costruirle non era un problema, piuttosto il problema era che ne servivano tante (più di quante quei burloni degli U-Boot riuscissero a tirarne giù) e servivano subito. La flotta mercantile statunitense nella metà degli anni ’30 aveva un’età media prossima ai vent’anni e per rinnovarla il governo pensò di costruire delle navi con dei fondi statali da destinare a compagnie civili ma convertibili ad uso militare in caso di necessità.

A quel tempo, infatti, era già abbastanza chiaro che gli amici europei non andassero molto d’accordo tra loro, e che in caso di conflitto sarebbe stata necessaria una capacità di trasporto oceanico su vasta scala. Tuttavia prevaleva la convinzione che la seconda edizione dei giochi senza frontiere non sarebbe iniziata prima di una decina d’anni e così gli americani se la presero comoda.

Con la American Merchant Marine Act del 1936 si stabilì di costruire 50 navi all’anno (guardate quante settimane ci sono in un anno, anzi ve lo dico io, 52), motorizzate da turbine a vapore e con una velocità di 16 nodi, divise in tre tipi diversi che includevano navi cisterna e navi da carico. Il numero di navi da costruire venne raddoppiato nel 1939 e portato a 200 nel 1940, tuttavia le capacità di produzione dell’epoca si rivelarono non adeguate alla richiesta (anche in considerazione dell’alto standard richiesto) e solo poche di queste unità vennero effettivamente realizzate. Nel frattempo, la Seconda Guerra Mondiale era iniziata, l’esigenza di una grande capacità di trasporto oceanico era aumentata molto prima del previsto e gli americani si trovarono con una flotta sottodimensionata e vecchia. In più ci si mettevano i tedeschi a infilare i bastoni tra le ruote, o i siluri tra le pale (intendevo quelle dell’elica, ma lo so che voi siete malpensanti e credevate fosse un refuso).

– U-25, notare la minacciosa sega (ha un nome specifico? fatecelo sapere) a prua per rompere le reti antisommergibili –

Nel frattempo, anche gli Inglesi avevano bisogno di navi da trasporto per compensare le perdite, e visto che per farsele in casa avevano qualche problemino pratico (tutti gli spazi disponibili erano occupati nella costruzione di navi da guerra) perché non chiedere ai cugini d’America? Una nave l’avevano già, la Empire Liberty, così portarono il progetto oltre oceano a chiesero ai cugini di costruirgliene 60. La specifica prevedeva unità con una portata di 10.000 tonnellate divisa in 4 stive con struttura imbullonata e fasciame chiodato e motorizzata con una macchina a vapore da 2.500 hp alimentata da una caldaia a carbone (il carbone era più conveniente della nafta per gli inglesi per via della loro produzione nazionale). Visto che anche gli americani avevano bisogno di navi fecero vedere il progetto a William Francis Gibbs, uno che di navi ne capiva abbastanza da costruire, solo qualche anno dopo, il transatlantico più veloce che si sia mai visto.

– SS United States, una roba esagerata –

Dopo aver fatto qualche modifica al disegno inglese, giusto per poter dire di averle progettate loro, gli Yankees proposero di costruirle con struttura saldata anziché chiodata (per sveltire la costruzione) e caldaie a nafta anziché a carbone. I britannici però non si fidavano degli scafi saldati (che piacevano tanto a Gibbs) e non se ne fece niente. A questo punto, per soddisfare la commessa inglese si fece avanti un certo Henry John Kaiser che per un contratto da 96 milioni di dollari si fece carico di costruire le navi inglesi in due cantieri con 7 scali ciascuno, allestiti per l’occasione gettando le basi per quella che poi sarebbe diventata la più grande produzione in serie di navi della storia.

– il buon Johnny Kaiser –

Gli americani si trovarono quindi da soli ma con un progetto praticamente pronto e siccome l’imperativo era costruirne tante e costruirle in fretta si misero all’opera realizzando anche molti cantieri ex novo visto che quelli esistenti erano quasi tutti impegnati a costruire navi da guerra. Utilizzare le turbine a vapore era fuori discussione per via della complessità di costruzione e della necessità di un complicato riduttore che avrebbe allungato in modo spropositato i tempi di consegna, quindi come propulsore tennero la macchina a vapore a triplice espansione da 2.500 hp. Pesante 140 t, lungo 6.4 m e alto 5.8 era già allora considerato un motore obsoleto ma era economico, facile da produrre, testardo e ignorante come un mulo, era proprio come questo povero quadrupede: robusto e affidabile. Venne costruito in 18 fabbriche negli Stati Uniti e tutti i componenti erano intercambiabili a prescindere da quale fabbrica li avesse prodotti.

Il vapore veniva prodotto in due caldaie alimentate a nafta e bestemmie. La sostituzione delle caldaie a carbone con quelle a nafta eliminò la necessità delle carbonaie aumentando la capacità di carico e la velocità di rifornimento. Con 1820 tonnellate di combustibile l’autonomia era di circa 15 mila miglia. La velocità massima di 11 nodi sicuramente non bastava a scappare dagli U-Boot ma almeno consentiva di arrivare in Europa prima della fine della guerra.

Sempre per sveltire la produzione la struttura era saldata anziché chiodata (c’erano 46 km di saldature in ogni nave) e si sviluppava intorno al blocco centrale che conteneva la sala macchine e le sovrastrutture con le cabine e il ponte di comando. Le stive erano 5, tre a proravia e 2 a poppavia, di tipo a doppio ponte ed accessibili anche senza aprire i boccaporti.

Il risultato finale era una nave brutta come il peccato, tanto che il presidente Roosevelt la definì un “oggetto terribilmente brutto” e la stampa la ribattezzò Brutto Anatroccolo. Insomma, su una cosa erano tutti convinti, ‘ste navi erano brutte DI BRUTTO.

Ma quello che serviva era trasportare armi e bagagli (nel senso letterale della frase) dall’altra parte dell’oceano e non partecipare a concorsi di bellezza, quindi sull’aspetto estetico si poteva soprassedere e il presidente Roosevelt il giorno del varo del primo Liberty americano invece di dire “questo coso fa schifo ai cani ma ci serve” preferì citare Patrick Henry (uno dei protagonisti della rivoluzione americana e dal quale la nave prese il nome) e disse “Give me liberty or give me death” con contorno di grida di giubilo e sventolio di bandiere a stelle e strisce come solo gli yankee sanno fare.. Era il 27 Settembre 1941 (e per la cronaca, la Ocean Vanguard, il primo Liberty “Inglese” fu varato poco meno di un mese dopo, il 15 ottobre).

Per costruire la SS Patrick Henry ci vollero 350 giorni di lavoro ma una volta che le ragazze dei cantieri ci presero la mano (molte maestranze erano donne perché i maschietti erano impegnati a cercare di non farsi impallinare oltre oceano) i ritmi accelerarono e non di poco.

Grazie ad un sistema di costruzione modulare e ad una organizzazione tipo catena di montaggio, dal 1941 al 1945 vennero costruite 2.710 unità (mediamente una alla settimana) di cui 2.580 base, 24 carboniere, 8 per i carri armati, 62 cisterne, 36 per trasporto aerei per un totale di oltre 29 milioni di tonnellate di stazza. A queste vanno aggiunte le 60 unità richieste dal Regno Unito e altre 353 Liberty “Canadesi” costruite sul progetto originale inglese.

Il record nella velocità di costruzione lo raggiunse la Robert E. Peary, assemblata in quattro giorni, quindici ore e trenta minuti.

La struttura di ogni nave era formata da 250 mila componenti prodotti in 32 stati americani e assemblati in 18 cantieri distribuiti tra le coste del Pacifico, dell’Atlantico e il Golfo del Messico. Le specifiche iniziali prevedevano anche un certo grado di finitura ma, sempre per sveltire la produzione, molte vennero messe in servizio senza il sistema di rilevazione incendi o altre amenità di poco conto… inoltre la nave da scarica aveva dei problemi di stabilità e in caso di maltempo si poteva arrivare a vomitare anche l’anima di chitemmuort anche a inclinazioni di trenta gradi con una frequenza di 7 rollate al minuto. Per risolvere il problema furono in seguito aggiunte 2.000 t di zavorra solida nelle stive. In teoria ogni nave doveva avere 2 ancore con 10 lunghezze di catena ciascuna, ma quando il materiale scarseggiava molte partivano con solo 5 lunghezze o addirittura con un’ancora sola. In pratica se avevi motore, elica e una girobussola potevi andare… gli alloggi potevano ospitare 81 persone (di solito 45 membri dell’equipaggio e 36 mitraglieri).

Il costo di costruzione di una singola nave era di poco inferiore a due milioni di dollari. Per fare un raffronto con un mezzo contemporaneo di queste navi, basti pensare che un bombardiere B-24 costava quasi il doppio.

Giorno 2: impostazione della chiglia

Giorno 6: paratie e travi al disotto del secondo ponte sono in posizione

Giorno 10: il ponte inferiore è completato e il ponte principale a centro nave è in posizione

Giorno 14: il ponte principale è completato e la sovrastruttura di poppa è in posizione

Giorno 24: nave pronta per il varo (Costruzione di una nave classe Liberty al Bethlehem-Fairfield Shipyards, Baltimore, Maryland, marzo/aprile 1943)

L’armamento era costituito da due cannoni da 76 o 127 mm e varie mitragliatrici antiaeree (ma il pericolo non erano gli U-Boot?) ed era considerato come puramente difensivo, ma il 27 settembre 1942 la SS Stephen Hopkins ingaggiò un combattimento con il mercantile armato tedesco Stier riuscendo ad affondarlo.

Va detto che all’epoca la costruzione di scafi saldati era poco più che sperimentale, a questo si aggiungeva il fatto che la necessità di un gran numero di cantieri operativi portava ad impiegare maestranze che in alcuni casi non avevano alcuna esperienza di costruzioni navali. Questo portò in parecchi casi a problemi strutturali. Inizialmente molte navi soffrirono di cricche alle saldature, si calcola che almeno in un caso ogni 30 queste fossero di grave entità e diverse unità si spezzarono in navigazione… bene ma non benissimo.

Ai problemi di costruzione si aggiungeva il fatto che non esisteva alcun sistema per calcolare gli sforzi a cui era sottoposto lo scafo e che spesso venivano sovraccaricate rispetto alla capacità di progetto.

Immaginatevi il comandante di una nave appena varata che chiedeva al capo cantiere: “ma ora facciamo le prove in mare?” e quello che rispondeva “Certo! Cerca di arrivare in Europa e poi mi scrivi per dirmi come è andata”… col senno di poi possiamo dire che andò bene nove volte su dieci.

Un Liberty standard poteva imbarcare 300 carri ferroviari, o 2840 jeep, o 230 milioni di munizioni, oppure 440 carri armati leggeri, o 3.330.000 razioni C. Ah, John Brown, mai nome fu più azzeccato per una nave della classe Liberty, che figata.

Oltre alla versione standard esistevano diverse varianti, come per esempio le cisterne o la versione per il trasporto di aeroplani che al posto delle tre stive prodiere ne aveva solo due di dimensioni maggiori. Inoltre, dopo il 1943 circa 225 unità vennero riconvertite per trasporto truppe.

– Schema di una Liberty in versione cisterna –

In ambito marittimo si sente spesso dire che le Liberty fossero navi costruite per un singolo viaggio, probabilmente ciò non è del tutto vero anche se è vero che il costo di costruzione si ammortizzava con la prima traversata ed in una certa misura erano considerate navi sacrificabili.

La verità è che queste navi furono la spina dorsale della logistica alleata nella Seconda Guerra Mondiale e contribuirono senza dubbio alla vittoria finale, ma costituirono anche le fondamenta della marina mercantile del dopo guerra. Più di 2.400 unità sopravvissero al conflitto e centinaia vennero cedute dalla marina USA ai paesi amici (almeno 100 vennero cedute direttamente all’Italia, senza contare quelle acquistate in privato dagli armatori negli anni successivi, oltre 500 vennero cedute alla Grecia) e continuarono a navigare come navi commerciali almeno per i tre decenni successivi.

La marina americana dopo la fine della guerra creò la Reserve Fleet per gestire il surplus di mezzi che aveva a disposizione. La maggior parte delle navi Liberty non cedute a paesi amici venne messa in disarmo (e sostituite con le più moderne classe Victory la cui produzione era iniziata nel 1944) anche se 130 unità parteciparono alla guerra di Corea e parecchie vennero convertite per usi speciali.

– Una classe Victory, anche qui non siamo proprio al top in quanto ad eleganza –

Nel 1966 nella Reserve Fleet c’erano ancora 722 navi classe Liberty (in disarmo) mentre almeno altre 700 erano operative nelle marine mercantili di tutto il mondo.

L’ultima Liberty ad essere varata fu la SS Albert M. Boe, entrata in servizio il 30 Ottobre 1945 anche se nel 1950 in Italia venne costruita una “nuova” unità battezzata Boccadasse e realizzata unendo la sezione prodiera della Bert Williams e la sezione poppiera della Nathaniel Bacon (che era stata spezzata in due a causa dell’esplosione di una mina nel porto di Civitavecchia nel dicembre del ’45). La Boccadasse rimase in servizio fino al 1962, quando venne demolita.

Delle 5 unità tuttora esistenti (3 negli USA, una in Grecia e una in Russia), due sono mantenute in condizioni operative ed adibite a museo. Una di queste, la Jeremiah O’Brien, che ha realmente partecipato alle operazioni del D-Day nel giugno del 1944, nel 1994 è partita da San Francisco e dopo aver transitato il canale di Panama ha attraversato l’Atlantico per partecipare alle manifestazioni per il 50° anniversario dell’operazione Overlord. Attualmente si trova in esposizione a San Francisco ma occasionalmente compie dei viaggi dimostrativi.

Qualche curiosità extra: durante la Seconda Guerra Mondiale il governo americano vendeva “bond wars” per finanziare lo sforzo bellico. Chi avesse comprato bond per 2 milioni di $ poteva proporre che nome dare alla “sua” Liberty. La maggior parte avevano nomi di personaggi della storia americana ma una venne chiamata SS Stage Door Canteen che era un pub di New York. Tutte le navi vennero battezzate con nomi di persone decedute, tranne la SS Francis J. O’Gara, dedicata al membro dell’equipaggio della SS Jean Nicolet creduto morto in un attacco da parte di un sottomarino ma che in realtà era sopravvissuto e si trovava in un campo di prigionia in Giappone.

 – La prima nave propulsa da una turbina a gas (una General Electric da 6.600 cv) ad attraversare l’Atlantico (nel 1956), la G. Sergeant, era una Liberty modificata –

Alla fine della storia, la Classe Liberty rappresenta la flotta più numerosa di navi costruite in serie che sia mai stata realizzata, e probabilmente questo record non sarà mai superato. E anche se era un mezzo rozzo, brutto e spartano ha contribuito in modo fondamentale a fare in modo che la storia andasse come è andata…

Parlate con un qualsiasi marittimo che abbia navigato negli anni ’60 o ’70 e potete star certi che prima o poi uno dei suoi racconti inizierà con la frase “quando navigavo sui Liberty”. Le navi costruite per un viaggio e che poi navigarono trent’anni.

Articolo di Antonello Corona, anche conosciuto come “il capitano”.

Articolo del 30 Settembre 2021 / a cura di La redazione

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  • FabioP

    La lama seghettata sulla prua dei sommergibili della WWII, veniva spesso chiamata semplicemente “tagliarete”.
    la sua funzione, è insita nel nome, come ben esplicitato nell’articolo, tagliare, o comunque evitare, che reti antisommergibile e cavi andassero ad impigliarsi sulla sovrastruttura delle torretta, o vela.
    Non di rado però capitava, per i sommergibili italiani classe 600 impegnati nella campagna d’Africa dai climi proibitivi, che la cima di collegamento tra il tagliarete e torretta, venisse usata come filo per stendere i panni.

  • Giancarlo

    A proposito di Liberty, il mio primo imbarco retribuito come Allievo Ufficiale di Coperta, fu nel 1961 su “un Liberty” (alla maschile) dello storico armatore genovese Corrado che ne portava il nome: ANDREA. Ci rimasi un anno per due carichi di zucchero di canna da Cuba appena diventata castrista a Polonia e Russia (con cui l’URSS faceva guerra all’embargo USA, buffo paradosso della storia per un “liberty), poi uno con cemento da Russia a Kuwait, uno da Bassora-Iraq a Rotterdam con orzo da birra e infine l’ultimo da Newark (New Jersey) a Civitavecchia con rottame di ferro (auto pressate) per le acciaierie di Terni. L’accompagnai anche nel funerale fino a La spezia per la demolizione. Quello scafo era talmente idrodinamico che in Atlantico ad ogni ondata di prua sembrava di gomma, quasi fermo oscillava per un paio di minuti con cigolii inquietanti, per poi riprendere lentamente il suo moto come se nulla fosse. Gloria alle yankee gals!

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