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Tuttocittà, SR-71 e Google Maps: storia del GPS… prima del GPS

Siamo nel 1932, alla Fiera campionaria di Milano. Ci sono centinaia di aziende italiane operanti nei settori più svariati che espongono i loro prodotti, dalle macchine utensili, a quelle da cucire, alle pompe, alle automobili, fino ai primi frigoriferi ad ammoniaca. Uno di questi è l’Iter-Avto (è ben noto come in quel certo periodo storico italiano la lettera “U” stesse antipatica alla gente).

Consisteva in uno scatolotto montato sul cruscotto dell’automobile dotato di due rulli che, letteralmente, avvolgevano una mappa cartacea; detti rulli erano mossi da un meccanismo collegato al cavo del contachilometri dell’auto cosicché si realizzava una specie di sistema di navigazione, chiaramente non satellitare perché l’uomo lo spazio non l’aveva ancora visitato (o forse sì), ma inerziale, ovvero indipendente da riferimenti esterni. L’unico riferimento era la distanza percorsa dalla vettura dal punto di partenza, con tutti i limiti del caso: qualsiasi deviazione sicuramente incasinava i conti; andava comprata una mappa per percorso e, infine, i tachimetri dell’epoca (ma anche quelli di oggi) erano fatti con l’accetta, scartando di almeno 5-10 km/h.

Dato che qualche mappa predisposta per questo dispositivo ancora si trova in giro, l’invenzione deve aver avuto un, seppur molto limitato, riscontro commerciale. Teniamo conto che all’epoca c’erano poche decine di migliaia di auto circolanti nel nostro Paese e una Topolino (che peraltro doveva ancora nascere) valeva due anni e mezzo di stipendio di un operaio. Lo stesso dispositivo doveva costare quanto una porzione di caldarroste. Risultava molto più intuitivo spiegare una cartina grande come un lenzuolo sull’ampio volante in bachelite, utile allo scopo, della propria Lancia Astura o Isotta Fraschini 8C, a vostra scelta, preferibilmente con la stessa che procedeva a velocità folli su una strada sterrata o malamente asfaltata in calcestruzzo. I Tuttocittà regneranno ancora sovrani negli abitacoli per molti anni, anche dopo il 1971, quando una pubblicità della BBC mostrerà un dispositivo che, montato su un fiammante Maggiolino, è in grado tramite l’altoparlante della radio di indicare la rotta al guidatore. Utilizzava tutta la tecnologia dell’epoca che potesse entrare in un’automobile: un lettore di cassette magnetiche e una scheda elettronica che si interfacciava col tachimetro-contachilometri meccanico, per rilevare, sempre in maniera indiretta e usando come unico dato in ingresso la distanza percorsa da parte della lattina; la scheda, in sostanza, mandava avanti la cassetta mano a mano che l’auto avanzava. Non era presente nessuna indicazione visiva, ma solo vocale. Al di là di tutto, i problemi erano gli stessi del dispositivo ideato trent’anni prima: servivano diverse cassette solo per attraversare una città e se facevi una deviazione ti perdevi, insomma anche questa appartiene di diritto all’elenco di tutte quelle invenzioni steampunk molto in anticipo sui tempi che meriterebbero ciascuna un trattamento a parte, come il cruise control elettromeccanico recentemente inventato da Tesla inventato da un ingegnere cieco, non di nazionalità, ma proprio nel senso che non ci vedeva. O come la Fiat 131 ibrida col motore della 127, geniale, se non che all’atto dei test su strada dimostrò di consumare di più che col 1300 aste e bilancieri originale, il quale doveva essere una grondaia già di suo; e mille altre folli trovate. Lo spirito dei navigatori non-satellitari appena presentati era lo stesso.

Anch'io la preferisco col SOFIM a gasolio e la gobba sul cofano

Apparentemente simile era il sistema installato su un aereo praticamente dimenticato, eppure molto interessante e per certi versi folle: l’Hawker Siddeley Trident. Fra le mille altre stranezze (andate a vedere com’è fatto il carrello di atterraggio anteriore) ce n’è una che ci interessa ora: un sistema di navigazione che funziona come l’Iter-Avto, ovvero una mappa avvolta su due rulli, con in più un sistema per spostare lateralmente l’indice che segnala la posizione istantanea dell’aereo, partendo dagli input di alcuni radar a effetto doppler. Giù il cappello.

Il cockpit del Trident con la mappa in bella vista

Frattanto, verso la fine degli anni ’40, complice il notevole slancio tecnologico dato dalla guerra, in aviazione gli inglesi e gli americani cominciarono a porsi il problema di schivare le montagne e arrivare a destinazione sani e salvi. L’installazione del primo VOR (Very high frequency Omnidirectional Range) risale al 1949, mentre ancora precedente è la diffusione dei primi non-directional beacon (NDB), nient’altro che delle sorgenti radio il cui segnale, per l’appunto non orientato in nessuna direzione precisa ma omnidirezionale, demodulato ed elaborato da uno strumento dotato di due antenne detto automatic direction finder (ADF) consente all’equipaggio di risalire alla direzione delle stesse, permettendo così una navigazione punto per punto abbastanza precisa.

Semplice semplice

Il VOR ne è in un certo senso l’evoluzione, pur avendo poco o niente in comune, a partire dalle frequenze in cui opera (onde ultracorte anziché medie): stavolta è il radiofaro a comunicare all’aereo a intervalli regolari la propria angolazione (e, nel caso dei VOR/DME, Distance Measuring Equipment, anche la distanza) rispetto a sé stesso e non il sistema di bordo ad intuire la posizione della sorgente in base alla sua intensità. Questo sistema è indubbiamente più preciso, efficace e molto meno soggetto a disturbi, e, nonostante la progressiva introduzione del GPS in aviazione, la navigazione strumentale IFR si basa ancora in parte su questo sistema, specialmente per quanto riguarda le fasi di avvicinamento in regime di non-precision approach.

Orbene: è il 4 ottobre 1957 quando i sovietici spediscono in orbita una pallina di metallo con quattro antenne. Lo Sputnik, così chiamato, è un innocuo satellite che emette un pigolìo periodico, ma tant’è: gli americani si cagano in mano preoccupano al punto che l’allora vicepresidente Lyndon Johnson dichiara:

“Adesso non possiamo più perdere tempo. I russi hanno un satellite che dall’alto può fare di tutto, può persino controllarci, e in futuro possono scagliarci sulla testa bombe come sassi da un cavalcavia. Comunque io non voglio andare a dormire alla luce di una luna comunista…”

Del resto, si sa che gli americani hanno sempre avuto paura di due sole cose: della pace e dei comunisti. Si sa anche che lo stress, se si trova il modo di sfruttarlo a proprio favore, può portare a rendere meglio nelle attività di tutti i giorni, siano esse studiare, andare nello spazio o esportare democrazia: per non perdere tempo, già l’anno successivo Eisenhower firma il National Aeronautics and Space Act, che prevede la creazione del National Aeronautics and Space Administration, per gli amici NASA, il quale ente ingloba la già esistente NACA, da cui già era uscito qualche bel ferro. Il resto è storia.

È storia e, in uno di questi capitoli, c’è anche la creazione del secondo sistema di posizionamento globale basato su una rete di satelliti da parte del Ministero della Difesa. Perché secondo? Perché il primo, ufficialmente, è stato invece sviluppato dalla Marina statunitense e si chiamava Transit.

Cazz, no aspè, un altro Transit

Il Transit era un sistema di satelliti riservato in realtà alla navigazione… delle navi, dapprima militari e poi, dal ’67, anche civili, quasi rudimentale; funziona con la presenza in orbita di almeno 5 satelliti, il primo lanciato nel 1960. Quando la rete era pienamente operativa ve n’erano solitamente 10, di cui 5 di scorta. Ad oggi sono ancora in servizio, chiaramente lì per bellezza perché superati da tecnologie più moderne, basti pensare che, proprio a causa del numero esiguo di riferimenti la posizione non veniva segnalata in tempo reale, anzi: tra una “localizzazione” e l’altra passavano anche diverse ore e dunque detto sistema andava abbinato a uno inerziale per poter orientare la nave o il sommergibile in questione; per lo stesso motivo, risultava difficilmente utilizzabile su mezzi terrestri e aerei. La precisione si aggirava sui 200 metri. I computer dei satelliti presentavano una memoria a nuclei di ferrite di 32 Kb di capacità (è interessante notare come oggi servano 64 Gb su di un telefono); la posizione della nave si stabiliva non calcolando il tempo di viaggio di un segnale tra più satelliti e il ricevitore, come nei sistemi successivi, bensì sfruttando l’effetto Doppler di due onde radio a 150 e 400 MHz, permettendo così di riferirsi a un solo satellite per volta, il che è semplicemente geniale. Prima dei semiconduttori, in un’epoca in cui si parlava ancora di carburatori, telescriventi, nelle scuole si usavano ancora penna e calamaio e la maggior parte delle persone non aveva nemmeno la lavatrice in casa, già si discuteva di spazio, satelliti e passeggiate lunari.

Nascerà nel 1973 il sistema GPS propriamente detto. Già, perché la dicitura “GPS”, comunemente usata per riferirsi a qualsiasi sistema di posizionamento satellitare, è in realtà propria del solo sistema americano appena citato; ne esistono almeno altri quattro più recenti sviluppati da altre nazioni (Galileo per l’UE, GLONASS per la Russia, IRNSS per l’India e Beidou per la Cina), con la comprensibile necessità di rendersi indipendenti dagli Stati Uniti, dal momento che questi possono giustamente decidere di mettere a disposizione i loro satelliti quando e a chi vogliono, e quanto farsi pagare, tant’è che solo nel 1991 la rete diventerà utilizzabile per scopi civili. Si badi, fino al 2000 con un segnale volontariamente manipolato in modo da ridurne la precisione.

Comunque, manca ancora un po’ al TomTom e alle lapidi touch sui cruscotti Tesla. La stessa applicazione in campo militare viene inizialmente vista con una certa diffidenza, in particolar modo con l’arrivo delle prime tecnologie stealth, dove qualsiasi dispositivo in grado di trasmettere onde radio è vista come una possibile fonte di identificazione. È così che ci tocca menzionare un mezzo di cui sicuramente avete sentito parlare tanto su RollingSteel quanto su DI BRUTTO. A proposito, vi ricordiamo che il prossimo 15 maggio (dopodomani alla data di pubblicazione di questo articolone) si apriranno i preordini per il nuovo Volume 5.

Scusate. Dovevo. Non me ne vogliate.

Più volte scrivendo di questa nostra vecchia conoscenza, una delle più pazzurde creazioni dell’umanità intera, abbiamo decantato le sue meraviglie tecnologiche, dal rivestimento in titanio che diventava blu, agli autoturboreattori Pratt & Whitney J58, ai serbatoi che a terra trafilavano carburante perché progettati per sigillarsi riscaldandosi assieme a tutto il resto dell’aereo con l’aumentare della velocità. In mezzo a quel ben di Dio, però, ci siano fatti sfuggire un dettaglino: questo trabiccolo qua, situato dietro l’abitacolo (immagini: sito dello Smithsonian).

Il coso in questione, che di primo acchito sembrerebbe una lavatrice per astronavi, e soprannominato R2-D2 dagli addetti ai lavori, si chiama Nortronics NAS-14V2 Astroinertial Navigation System ed è in realtà un complicato sistema di guida inerziale dotato di un teodolite. I sistemi inerziali con giroscopio non erano una novità, poiché già utilizzati da anni sui missili e su aerei come l’U-2 e l’A-12: permettevano una localizzazione abbastanza precisa indipendentemente da riferimenti esterni, semplicemente misurando lo spostamento lungo la latitudine e la longitudine dal punto di partenza. Si può ora intuire come un sistema del genere abbia dei limiti in termini di precisione perché, non essendoci riferimenti per correggere la misurazione di tanto in tanto, all’aumentare della lunghezza della rotta l’errore di misura si accumula fino a diventare importante. Le missioni dell’SR-71, poi, erano particolarmente lunghe, considerato che l’aereo partiva dall’Inghilterra per poi sorvolare magari tutta l’URSS per la lunga. Correggere la rotta con l’utilizzo di segnali radio potenzialmente rilevabili non era contemplato, e poi volando di soppiatto in territorio sovietico, ovviamente, non si potevano utilizzare i vari radiofari locali. Che fare, che fare?

La soluzione venne alzando gli occhi al cielo. Letteralmente, con le stelle, come Cristoforo Colombo, come Marco Polo. Sotto a quell’oblò si celava una sorta di lampada in grado di leggere le posizioni di alcuni astri e inviarle ad un computer, che, nuovamente, considerato che siamo nel 1966, aveva probabilmente la stessa potenza di calcolo della mia calcolatrice scientifica, ma faceva il suo sporco lavoro e correggeva la rotta rilevata dal dispositivo inerziale sopra citato. Aveva in memoria i dati di 56 stelle. Le istruzioni inerenti il piano di volo erano caricate su di un nastro magnetico. Tutto il sistema richiedeva una laboriosa taratura a terra, come se tutto il resto dell’aereo non fosse già abbastanza complicato da preparare. Una volta in volo, però, ricambiava il disturbo amministrando egregiamente non solo la navigazione ma anche, fra le altre cose, il puntamento delle fotocamere (che dovevano avere uno zoom mica male). Tutto in maniera assolutamente antisgamo.

Teodolite a parte, nel 1981 Honda cominciò ad offrire un dispositivo assolutamente analogo su alcune autovetture. Si chiamava “Electro Gyro-Cator” e consisteva in uno schermo in grado di muovere lungo i due assi una piccola mappa trasparente, che andava sostituita lungo il tragitto (analogamente a quanto succedeva con l’Iter-Avto). Il tutto sempre senza satelliti o qualsiasi altro tipo di riferimento. Costava anche questo tantissimo, quasi quanto una confezione grande di pinoli, ed era, ancora una volta, meno pratico del Tuttocittà.

L'aggeggio in questione con la sua raccolta di mappe (foto: Honda Blog Italia)
Il giroscopio a elio

Quella della memorizzazione delle mappe era in effetti forse la sfida maggiore, quando ancora i dischi rigidi non erano di uso comune nemmeno sui computer. Nel 1985 esce l’Etak, un navigatore sempre inerziale ma dotato di un vero schermo, a fosfori verdi; le mappe erano salvate in cassette magnetiche. Tra i primi acquirenti di questa costosa (4000 dollari dell’epoca) invenzione, Steven Spielberg e Michael Jackson (immagini: futuroprossimo.it). Probabilmente furono anche gli unici, poiché il progetto fallì miseramente ancora una volta (l’azienda sarà poi inglobata da TomTom).

Rimaneva sempre il problema di cambiare le cassette, un po’ come quando per installare Windows 3.1 dovevi usare 6 floppy, ma tant’è: l’anno dopo esce la settima generazione della Buick Riviera, una barca da 5 metri che non ha il navigatore, ma in compenso presenta di serie un vero e proprio infotainment con schermo touch. Schermo touch che è un’invenzione vecchia come il mondo,

come testimonia, per esempio, questa calcolatrice grafica del 1989 con tasti a sfioramento

con i primi esperimenti risalenti al 1965 (lo diciamo perché sicuramente qualcuno è convinto che lo abbia inventato Apple). Lo schermo è touch, ma è anche a tubo catodico a fosfori verdi, dando un’aria molto Matrix agli interni di questa macchina. Da lì si gestiscono i vari parametri del motore (temperatura e pressione olio, etc), gli intervalli di manutenzione, il climatizzatore (automatico) e l’impianto stereo. Per il resto è un classico barcone americano con un V6 a benzina e cambio automatico a 4 marce, ma ha anche dei difetti.

Soltanto un anno più tardi esce una macchina che sembra progettata dieci anni dopo, infatti è giapponese. E, si badi, è stata venduta solo lì. È il top di gamma Toyota, che, in un impeto di fantasia, si chiama Crown Royal Saloon G (io ci avrei aggiunto un Luxury Premium in fondo); comunque, presenta un infotainment a colori con navigatore integrato, sempre non satellitare, con le mappe salvate, stavolta, su CD-ROM, da inserire nello stesso lettore della radio.

1990: la rete GPS sta per essere, come abbiamo detto, resa accessibile anche per usi civili. La prima auto in grado di riceverne il segnale è, indovinate un po’, giapponese, e perché non, stavolta, una Mazda? La Eunos Cosmo, un bel coupè di lusso, viene venduta in Giappone in una versione dotata di un infotainment, touch e a colori, di produzione Mitsubishi Electric e un allestimento specifico molto più ricco degli altri. C’è un vero navigatore, ma c’è anche il televisore e il telefono veicolare, due dotazioni queste già più comuni su modelli di fascia alta.

Per un’altra buona decina d’anni i navigatori continueranno ad essere dei giocattolini costosi e di nicchia, complice, appunto, il parziale embargo della rete GPS, ancora l’unica esistente. Su quel gran ferro della BMW Serie 7 E38 compare nella lista degli optional alla modica cifra di 8 milioni di lire.

Quello schermino lì. 4000 euro su una macchina che ne costava già un centone

C’è bisogno di quel prodotto semplice, economico, funzionale capace di smuovere un po’ il mercato. Qualcosa si muove nel 1998, quando Garmin lancia il… primo Garmin, un aggeggio con uno schermino da tre pollici e mezzo installabile su qualsiasi automobile dotata di una presa a 12V. Le mappe sono memorizzate in cartucce intercambiabili, economico proprio non è perché costa 550 dollari, ma è sempre un inizio, una seria concorrenza alla pila di atlantini nel portacarte della portiera.

Questo qui è lo Streetpilot ColorMap, una versione già successiva. La prima era ancora più spartana con schermo in bianco e nero

Nel 1999 arriva il primo cellulare con GPS, si chiama Benefon ESC! (cosa?), classica invenzione in anticipo sui tempi, non se lo fila nessuno e infatti l’azienda, pace all’anima sua, chiude dopo pochi anni. Si pensi che l’app delle mappe non l’aveva neanche il primo iPhone (dal 3G in poi invece va sostituita almeno con Waze per sanità mentale, ma questi sono dettagli).

Questa roba è uscita nei negozi assieme al Nokia 3210

Su Windows Mobile arriva attorno al 2004, su Nokia Symbian nel 2007. TomTom invece lancia il primo navigatore portatile nel 2004, ma a questo punto il navigatore può dirsi pienamente inventato. Bene o male, partendo da due rulli con un rotolo di carta dentro sul cruscotto di una Artena siamo giunti ai giorni nostri. Più noiosetti, forse, ma un po’ più comodi.

Poi arriverà negli infotainment il Bluetooth a sostituire i telefoni veicolari, che richiedevano una SIM apposita, poi Android Auto, poi Apple CarPlay, le telecamere a 360 gradi e un sacco di altri optional sicuramente utilissimi, dei quali non leggerete mai qui perché il teodolite del Blackbird è più interessante, ma di una cosa possiamo star certi certi: la gente continuerà a usare di tutto tranne che il vivavoce e a guidare parlando col telefono sotto l’orecchio, anche se hanno a disposizione un intero megaschermo da 15 pollici della Tesla Model Qualcosa di turno. Anche quando le auto ci leggeranno nel pensiero, statene certi. Quello che conta, giunti alla fine di questo viaggio nel passato, ed è il messaggio che vogliamo trasmettere, è che l’uomo ha nuovamente vinto una sfida contro sé stesso, riuscendo a stravolgere una cosa che da millenni faceva alla stessa maniera, cioè orientarsi. Di storie così ne avete lette ormai a centinaia. Chissà quale sarà la prossima.

Articolo del 13 Maggio 2024 / a cura di Francesco Menara

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  • Paolo

    Era gisuto citare anche il LORAN, come sistema di navigazione marina.

    • zoomx

      e il Decca, l’Omega, il Datatrak, il Gee, tutti della famiglia della radionavigazione iperbolica.

      In Italia esisteva una stazione Loran a Lampedusa.

  • daniele

    su nokia 6600 prima del 2007 era comunque possibile fare girare il Tom Tom ricevendo il segnale da una antenna gps accoppiata tramite bluetooth. ricordo i tempi biblici per agganciare il segnale, ridotti solo quando uscì il chip Sirfstar3

    • Corrado

      Ce l’avevo! Ricordo le maledizioni del resto della famiglia quando invece di guardare la strada cercavo di far funzionare l’aggeggio…

  • Paolo Marchetti

    Non sono certo sia il primo GPS di Garmin.
    https://www.garmin.com/en-US/p/63#overview
    L’ho visto la prima volta montato su una moto che partiva per il deserto nei primi anni 2000.
    Non era a colori ma sembrava serio e professionale.
    Cosa non banale: il tipo partiva in moto coi soli waypoints caricati perchè la cartografia costava troppo ed era poco reperibile/precisa per le zone desertiche.

    Quando l’Avventura aveva la ‘A’ maiuscola!

    https://static.garmin.com/pumac/StreetPilotGPS_AtlanticUsersManual.pdf

  • Luca

    qui l’articolo fonte e’ piu’ completo………..

  • Giorgio

    Bell’articolo: interessante,ironico e soprattutto molto accurato.
    Complimenti!

  • Stefano

    Ci siamo dimenticati il Palm Vx e il suo cradle GPS (1999) con mappe garmin vettoriali

  • Gigi

    Articolo grandioso

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