È il 2012 e il lavoro scorre lento. D’altronde, con la mia solita tempestività, ho aperto un’attività di stampa digitale giusto in tempo per vederla sparire. Dalla prima fila, tipo abbonato Rai. Torniamo al 2012: apro svogliatamente Ebay, nella barra di ricerca premo la lettera “S” e il completamento automatico mi suggerisce “Subaru Impreza”, segno evidente che anche senza Intelligenza Artificiale i poteri forti ci spiavano già.
Subaru Impreza, risultati in ordine decrescente a livello di prezzo, scorro giù… scorro giù… scorro giù… nulla che possa permettermi. Tranne lei, la sorella cicciottella ma con quella promessa di divertimento negli occhi che non posso non trovare sexy: la Subaru Impreza WRX Station Wagon.
Dite la verità, in quanti avete fatto, decine di volte, la stessa ricerca?
Finora non ho mai comprato una Subaru, ma mai disperare: dodici anni dopo sto per provare proprio una Subaru Impreza WRX del 2002. Ovviamente station, per rivivere a pieno quel 2012, il tutto rubando le chiavi al mio pusher di auto “giuste” preferito, Paolo di Classy Car Torino.
A vederla così, dal vero, non ha perso un briciolo della sua personalità bipolare. Esattamente come nel 2002, se non siete dotati di occhio acuto e di una punta di autismo automobilistico c’è il rischio di confonderla con una qualunque station giapponese di quell’epoca. Linee tonde, vetratura enorme, ampia zona living: nel complesso riuscita ma con dettagli stilistici che a noi europei (abituati all’architettura, alle opere d’arte e alla Bellucci) fanno sorridere sotto i baffi. Bella no, ma nemmeno brutta. È un tipo. Ma mettetele di fianco, che so, una BMW Serie 3 Touring con cerchio da 17 e pacchetto M e l’ingenuità stilistica della Subaru vi sembrerà quasi commovente. A me importa nulla, perché il suddetto autismo ce l’ho e me ne vanto, quindi questa WRX mi gasa.
Mi gasa il raro nero della carrozzeria, capace di renderla ancora più sleeper; mi gasa la presa d’aria sul cofano a servizio dell’intercooler; mi gasano fortissimo i fendinebbia enormi ai lati del paraurti anteriore e, incredibile da dire, mi gasa forte l’accoppiata spoiler/alettone messi su con l’avvitatore Parkside su una coda che, senza questi elementi racinghe, sarebbe da inserire come esempio sul dizionario a fianco alla definizione di “anonima”. I cerchi in lega da 17 pollici hanno un ET un po’ troppo conservativo ma dietro fanno capolino i dischi da 294 mm all’anteriore e la pinza marchiata Subaru.
Questo esemplare in particolare, incredibilmente (quasi) originale, ha un centrale e un terminale di scarico in acciaio inox, un bellissimo singolo cannone che spara fuori il suono pulsante del boxer Ej20 “205”. Dati? 218 cv a 5600 giri/minuto e 292 Nm di coppia a 3600 giri/minuto, il tutto scaricato a terra dalla leggendaria trazione integrale Subaru, un 4×4 “vero” perennemente in presa e dal cambio a cinque rapporti. Zero regolazioni, zero modalità di guida o lucine inutili.
Questi sono i numeri della versione “basona” della WRX. Sì, perché volendo fare i fenomeni ci sarebbe anche la STI, quella cattiva sul serio, presentata nel 2003 per festeggiare come si deve un certo Solberg che aveva appena vinto il titolo mondiale rally. Sulla “Subaru Tecnica International” (STI, capito?) tutto è pompato a dovere. Motore rivisto, irrobustito e potenziato fino a 265 cv (In Europa, 280 nel resto del mondo), cambio rinforzato e con 6 rapporti ravvicinati, sospensioni più raffinate (uniball, braccetti…) e nuovi differenziali meccanici comandati da uno centrale regolabile tramite il DCCD (Driver Control’s Centre Differential), freni Brembo e tante altre migliorie che sostanzialmente la rendono un’altra auto, molto più affilata. Ho già goduto di una STI, più volte: e fa spavento. Oggi però sono felice di avere per le mani una “semplice” WRX, perché è proprio lei che ho inseguito per più di un decennio.
L’Impreza mk2 ha dimensioni umane e fa sorridere che all’epoca venne accolta male dagli amanti della berlina giapponese, proprio perché troppo grande rispetto al minimalismo della mk1. La carreggiata anteriore è di 1485 mm, il passo è di soli 2500 mm e un garage di 4,5 mt basta: roba d’altri tempi. Appare calma e misurata, vero, ma con quei tocchi da rallysta è anche un test per veri appassionati: se non la riconosci sciò, non puoi parlare di auto, fatti una cultura e poi torna.
Qui sotto un video di Solberg mentre tenta di arare la Finlandia con la sua Impreza
Gli interni sono un inno alla giapponesità: disegnati da un bambino a cui hanno tolto la gioia e poi realizzati da un ingegnere, appaiono semplici e perfetti così, senza fronzoli. Però, con quel grande contagiri a destra dell’enorme tachimetro centrale, i ragazzi di Subaru hanno subito messo in chiaro cosa conta davvero, in particolare con i fondoscala a “9” e a “duennovanta” che, ok, sono un po’ esagerati, ma fanno parecchia scena. Piccolo inciso, i fondini “Birba Racing” di questo esemplare richiamano alla mia mente gli anni ‘90 peggio che Baggio sul dischetto del rigore, ma con meno bestemmie di sottofondo. I sedili sono tipicamente Subaru e mi sono sempre piaciuti sia a livello estetico che ergonomico perché trattengono bene ma senza essere scomodi. Il volante, invece, è un altro esempio di design fatto al buio, nonostante sia marchiato Momo. La seduta è altina ma non infastidisce, via la giacca, due aggiustamenti e mi sento a casa. È il momento di fare un giretto atteso da circa dodici anni.
Il suono del boxer rende, già da solo, l’esperienza di guida unica. A tratti ricorda il bicilindrico a carburatori della mia (ex) Suzuki SV650, perché ogni singola esplosione si trasmette al telaio e da lì dritto verso i centri del piacere, con una mancanza di filtri che farebbe svenire qualunque amante dell’elettrico. Sembra di cavalcare il motore, anche se è affondato là davanti, bello piatto, per abbassare al massimo il centro di gravità. Appena superati i 3000 giri/minuto, ecco il soffio del turbo e in rilascio la wastegate Forge che sbuffa impaziente. Personalità a palate e mi sto solo muovendo nel traffico. La WRX è rapida nel vero senso della parola: uno 0-100 km/h dichiarato in 6,2 sec è un bel biglietto da visita anche oggi, ma è il modo in cui accumula velocità che resta molto, molto piacevole. E quando dico piacevole intendo che è bellissimo (tornare a) guidare un turbo senza la curva di coppia a prova di svogliati delle auto moderne, quelle con il medesimo valore ovunque, sia mai che ci si debba impegnare per qualcosa.
Sulla WRX la prestazione va cercata, oltre i 3000 giri\minuto si inizia a fare sul serio e su, fino ai 6500, l’Ej20 non molla nulla. Gli ultimi 1000 giri sono un regalo dei ragazzi con le Pleiadi ricamate sulla maglia, perché la WRX mantiene la spinta compatta e risoluta anche dopo aver superato il regime di potenza massima dichiarato. Poi c’è il cambio coi rapporti distesi ma con la leva dalla corsa corta e precisa, abbinata ad una pedaliera perfetta per il punta-tacco. Ahhhh, il punta-tacco. Mi ritrovo a farlo persino al semaforo, è troppo bello sentire il motore ringhiare per un istante prima di tornare a tambureggiare al minimo. Alzo il ritmo e alla prima curva allegra vengono fuori due cose:
1) il mio entusiasmo è, come sempre, leggermente debordante, facendomi dimenticare che la WRX è tutto sommato la versione “tranquilla” delle Subaru incazzate dell’epoca.
2) La WRX non sa di essere tranquilla e mi spara fuori dalla curva senza battere ciglio.
Mi spiego meglio.
Nonostante gli ammortizzatori di questo esemplare siano in perfetta forma, l’assetto originale lascia spazio al rollio. Non è molle, anzi, ma messa sotto pressione la Subaru si appoggia vistosamente sulle ruote esterne, innesca un po’ di sotto e lo sterzo ha una demoltiplicazione leggermente eccessiva. Il risultato è che “remo” un po’ per farla inserire e gli pneumatici iniziano a insultarmi stridendo nella lingua dei delfini. A questo punto però sono al punto di corda, quindi sbatto giù il pedale destro, in 2°. La WRX si scrolla di dosso la goffaggine, ridistribuisce il peso e inizia a scavare l’asfalto con tutti e quattro gli pneumatici spingendo dal posteriore, tanto da permettermi di togliere angolo di sterzo mentre esco fuori dalla curva. Tutto ciò ruggendo e soffiando quasi fosse un rissa tra una vipera e un tasso.
Ripeto per tre o quattro volte il processo, migliorando gli ingressi “sbilanciando” un po’ il posteriore con i freni e poi aprendo il gas sempre prima ma il risultato non cambia: la WRX fa finta di essere a disagio per poi tirarmi una scoppola dietro alla testa e lanciarmi in avanti. Come tutte Subby l’assetto è sensibile ai trasferimenti di carico e a giocarci un po’ si possono impiegare le inerzie per migliorare il risultato finale. A quel punto ci pensano i freni a farmi smettere, allungando decisamente la corsa e consigliandomi di finirla di fare il cretino. Una STI, negli stessi frangenti, sarebbe molto più diretta e “grezza”, molto più efficace, va detto, ma non posso assolutamente sentirmi deluso da questa esperienza. Anzi, la nera Station sta provando in tutti i modi ad affascinarmi con la sua voce gutturale, l’aura da auto per gente “che ne sa” e il totale sdegno per le idiozie moderne.
Se penso che tutto questo all’epoca era a disposizione di molti, su una station, mi viene da piangere. L’esemplare che sto guidando in questo esatto momento è in vendita a circa 16.500€, il prezzo di un Puretech quasi fuso, o di una Panda Hybrid con tre accessori.
Dodici anni fa passavo ore a cercare una Subaru Station. Indovinate cosa sto facendo ora?
Ah, ricordati di preordinare il nuovo DI BRUTTO Volume 6 che non ne sono rimasti così tanti.
E se non ti sei ancora iscritto alla Ferramenta di RollingSteel.it, questo è il momento per farlo cliccando qui
Michia se ti invidio! Speriamo che a furia di NON comprare auto nuove ricomincino a creare queste godurie ad un prezzo accessibile a noi comuni mortali.
Bellissimo scritto… ero in macchina con te!!! Quando dico a mia moglie che vorrei prenderne una mi dà un ceffone… tipo il meme di Batman e Robin