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Viva la dima! (Ovvero come si raddrizza un telaio piegato)

In principio l’Uomo creò l’automobile e le strade. Poi procedette a schiantarsi.

© ilpost.it

L’Uomo vide la lamiera storta, prese un martello e provò a raddrizzarla.

E qui comincia la nostra storia.

Ci sono fondamentalmente due modi per ripristinare un lamierato storto: raddrizzarlo o sostituirlo.

Ipotizziamo che due ragazzi appena ventenni e neoproprietari di una Subaru Justy 4×4 da neve, siano appena finiti contro un guard-rail. Sul momento, la via più veloce per rimediare al misfatto sembra quella di imbracciare un martello ed improvvisarsi battilastra, optando per il raddrizzamento.

La Justy prima dell'ipotetico misfatto
La Justy dopo l'ipotetico misfatto

I nostri (ipotetici) eroi riescono a portare l’auto in un campo, recuperano un martello e cominciano a battere. Così, accade che a meno di un’ora dall’impatto col guard rail ne subiscono un altro, questa volta figurato, con la metallurgia.

Perché il metallo non torna dov’era prima? Perché tutta la violenza ed il rancore non bastano per raddrizzare le lamiere storte?

L'artista all'opera
“La pietà” di Michelangelo. Marmo bianco di Carrara, 1497–99, Basilica di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano.

Insoddisfatto del risultato, il proprietario decide di procedere con la seconda via, ovvero sostituire le lamiere storte. Per farlo si reca in un demolitore, sega mezza Justy e la salda a quella incidentata.

Questa storia assolutamente ipotetica e non realmente accaduta, rappresenta un perfetto esempio di un lavoro eseguito ad cazzum canis.

Tuttavia, se andate in una carrozzeria decente vedrete le cose eseguite con criterio. Ma se trovate auto sportive a prezzi particolarmente bassi… indagate, indagate a fondo.

Nel caso di auto da corsa, la situazione è più complicata. Le scocche non sono quelle di serie, non si può fare Art Attack come nell’esempio appena visto; se si piegano parti strutturali come longheroni o montanti, bisogna per forza raddrizzare.

Mettiamo il caso che la vostra Skoda Fabia R5 sia andata dritta in un muro. Di quanto l’avete accorciata? Rispetto a quale punto di riferimento? Come la raddrizziamo?

Prima di tutto, ci serve un banco dima.

La dima (a.k.a. “banco dima”, a.k.a. “banco di riscontro”) altro non è che un banco con degli assi graduati al millimetro, dotato di supporti, colonnine e morsettiere. Ha anche un sistema di tiro, incaricato di fare il lavoro pesante, composto da una pompa idraulica, catene e carrucole.

Sono strumenti che arrivano a costare 70-80.000 euro; per questo, invece di comprare un banco dima, andiamo da Michael.

Michael spiega che innanzitutto bisogna capire dove l’auto si sia piegata, per poi trovare un punto dove non sia stata deformata. Se la botta è davanti, possiamo desumere che i punti di riferimento al posteriore siano ancora dove la casa madre li ha fatti.

Nel caso di botte importanti, come capita sempre nelle auto da rally, via i vestiti. Si spoglia la scocca e la si mette in dima.

La Fabia R5 ai ferri

Quali sono i punti di riferimento sul telaio a cui fissare i supporti della dima? Ve lo dice il produttore stesso della dima (e/o la casa madre), che insieme all’attrezzatura fornisce anche un database aggiornato con tutte le misure delle auto in commercio.

Colonnine in posizione

La dima dice che quel punto è arretrato di 82 millimetri e spostato a sinistra di 56. Come e dove fissarsi alla lamiera per poi tirare? Quello è a discrezione dell’artista; Michael, in questo caso, ha saldato un pezzo di acciaio al punto che vuole tirare. L’aggiunta viene agganciata alla catena di tiro tramite una morsa.

Il resto della macchina viene adeguatamente fissato ai bracci di tiro, altrimenti si distruggerebbero i supporti della dima. Questa dima ne ha quattro, Michael ne va fiero, ci sono dime con solo uno o due bracci. Più ce ne sono meglio è, si può tirare da qualsiasi punto senza sforzare nessun supporto.

Segue la fase di tiro. Il pistone idraulico arriva fino a qualche tonnellata e, anche in questo caso, quanto forte e per quanto tempo tirare sono frutto dell’esperienza dell’operatore.

Quando il punto torna a misura, le grinze finali si rifiniscono a tassello e martello. Il cannello solo in casi particolari, se per disgrazia la lamiera si allunga poi non la si recupera più.

Sembra un gioco da ragazzi ma non lo è. Tuttavia è comunque più facile rispetto a quando le dime non erano scomponibili (cioè prima degli anni ’80); lì dovevi andare in concessionaria, noleggiare la dima specifica per il modello, pagare fior fior di quattrini e lavorare con travi perennemente in mezzo alle palle scatole.

Michael vive un flashback tipo Vietnam pensando alle vecchie dime non scomponibili

Anche i telai sono cambiati molto: una volta gli acciai erano più “morbidi”.

Michael mi indica la Fabia: “Prova a flettere i longheroni”. Spingendo con tutta la buona volontà e rischiando anche un paio di ernie, non si spostano di un millesimo. “Prova con l’Audi!” aggiunge Michael. Quindi mi dirigo dalla Quattro in un angolo, mastodontica e bellissima anche da nuda. Afferro i longheroni e provo ad avvicinarli: lieve, ma una piccola flessione si avverte anche ad occhio nudo.

Michael punta il pollice verso Fabia: “Queste sono solide, sono dure da tirare. Quelle vecchie se ti distrai un attimo diventano station wagon!”

Come mai la Skoda è più difficile da tirare dell’Audi? Gli acciai di una volta erano più scarsi?

ALLORA.

NOTA BENE: segue gigapippone di metallurgia da bar. Ingegneri, leggete con un occhio chiuso.

Quando voi piegate un fil di ferro scoprite che la zona deformata ora chiede più energia per venir nuovamente flessa. Questa magia è dovuta all’incrudimento.

Per parlare di incrudimento – e dei vari meccanismi di rafforzamento tipici dei vari acciai utilizzati in automotive – bisogna avere in mente come funzionano le dislocazioni.

I metalli sono materiali cristallini. Sono composti da un reticolo cristallino – ovvero una struttura ordinata di atomi – reticolo che può avere dei difetti.

© Ruslan P. Ozerov, Anatoli A. Vorobyev, Solid State Physics, Editor(s): Ruslan P. Ozerov, Anatoli A. Vorobyev, Physics for Chemists, Elsevier, 2007, Pages 531-579, ISBN 9780444528308

Vedete questo bel reticolo? Vedete che manca una linea di atomi? Questo è un difetto di linea, che prende il nome di dislocazione (per la precisione una dislocazione a spigolo, ce ne sono di altri tipi).

Ora torniamo al filo di ferro. Applicate la forza, cominciate a deformare (plasticamente) il metallo, ecco che state muovendo quelle dislocazioni che corrono dentro il reticolo. Una dislocazione in moto, quando incontra e supera un ostacolo, genera ulteriori dislocazioni.

Le dislocazioni si moltiplicano, si aggrovigliano e si impilano; un impilaggio crea microvuoti che poi potrebbero dare origine ad una cricca. Ma questo cosa c’entra con la storia del fil di ferro?

Il barbatrucco dell’incrudimento sta nel moto delle dislocazioni. Queste, muovendosi, interagiscono tra loro e con gli altri elementi della microstruttura (bordi grano, precipitati, ecc, dopo ci arriviamo); ogni interazione è un impedimento, ogni impedimento è un freno al proseguire della deformazione.

Più interazioni ci sono, più diventa difficile deformare.

Micrografia al TEM che mostra dislocazioni (le striscioline nere nella figura a) ed impilaggi in un acciaio laminato. © Ojima, Mayumi & Adachi, Yoshitaka & Tomota, Yo & Ikeda, K. & Katada, Y.. (2009). Three-Dimensional Characterization of Slipping-Off Fracture Surface in a 1 mass%N Bearing Austenitic Stainless Steel. Journal of The Japan Institute of Metals - J JPN INST METAL. 73. 283-289.
Qua si vedono ancora meglio, sono dislocazioni in un cristallo di silice. © jeol.com
Simulazione del movimento delle dislocazioni in un campione di alluminio © wikipedia.org

Quindi, tornando alla Justy, questo è il motivo della difficoltà a raddrizzare la lamiera: l’impatto ha deformato l’acciaio, creando un groviglio di dislocazioni che ora chiede troppa energia (= forza al martello) per essere ulteriormente deformato.

Ma questo non spiega perché raddrizzare un’Audi sia facile, mentre raddrizzare una Skoda sia un bel casino.

Per rispondere torniamo all’inizio del ‘900. In principio vi fu la lamiera: acciai a basso contenuto di carbonio, a.k.a. acciai al carbonio, a.k.a. Acciai (extra) dolci (per un ripassino sulle classi degli acciai vi rimando all’articolo del Direttore), economici e duttili, ottimi per lo stampaggio di lamiere. Il contenuto di carbonio è inferiore allo 0.06%, lo sforzo di snervamento arriva fino a 200 MPa.

Poi arriva la Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti il cash comincia a girare sempre più abbondante e a ruota segue il mercato dell’auto. Tante auto, poche regole, tanti incidenti e tanto inquinamento nelle grandi città. Nel 1970 passano il Federal Clean Air Act (e nasce l’Environmental Protection Agency – EPA) e l’Highway Safety Act (e nasce la National Highway and Traffic Safety Administration – NHTSA).

Meno di tre anni dopo nell’arida penisola del Sinai scoppia un gran casino ed i prezzi del petrolio schizzano alle stelle, quindi l’unico modo per vendere auto è farle leggere, sicure e poco assetate di carburante.

Gli acciai dolci non bastano più, servono acciai migliori. Il fervore nelle acciaierie crea una marea di tipologie diverse : acciai effervescenti (“rimmed steel”), acciai calmati (“killed steel”), acciai bifasici (“dual phase”), acciai altoresistenziali microlegati (“High-Stenght Low-Alloy”, HLSA).

Acciaieria U.S. Steel South Works, Chicago, IL, ca. 1950. © Chicago History Museum-Gettyimages

Gli HSLA hanno il maggiore successo nell’automotive: sono acciai a basso tenore di carbonio, con un’aggiunta di diversi elementi in lega a bassissima concentrazione (alluminio, vanadio, niobio fino allo 0.1% ed azoto fino allo 0.01%), lavorati con processi in grado di controllare accuratamente la temperatura e la deformazione del metallo. Questa particolare attenzione serve per ottenere una microstruttura a grana fine e dei precipitati nanometrici finemente distribuiti.

Precipitati nanocosa? Chi è che precipita? Dicevamo che più ostacoli ci sono al moto delle dislocazioni, più è difficile deformare un metallo. Uno di questi ostacoli può essere il bordo grano: abbiamo detto che il metallo solido è costituito da un reticolo cristallino, ebbene questo reticolo ha un’orientamento nello spazio che cambia da grano a grano. Il confine tra un grano e l’altro si chiama bordo grano e rappresenta un bell’ostacolo al moto delle dislocazioni. Ecco perché vogliamo una grana fine, ovvero con grani piccoli, ovvero con tanti bordi grano: perché così facciamo lo sgambetto alle dislocazioni durante la loro libera danza da un grano all’altro!

E perché vogliamo tanti bei precipitati piccoli piccoli, il più possibile omogeneamente distribuiti nel metallo? Sia perché anche loro rovinano la festa alle dislocazioni, sia perché quel furbacchione di un bordo grano vorrebbe tanto crescere, ma anche lui quando incontra questi precipitati viene rallentato.

Schematizzazione dell'interazione tra i precipitati ed il moto delle dislocazioni. © R.E. Reed-Hill: Physical Metallurgy Principles, 2nd edition, PWS-KENT Publishing Company - Boston

Come ho già detto, questa è una trattazione estremamente semplicistica ed imprecisa, per chi di metallurgia mastica poco. Qua si servono panini e tramezzini, per un pranzo stellato a base di indurimento per soluzione e per precipitazione bisognerebbe tirare in ballo piani di scorrimento, energia libera di Gibbs, atmosfere di Cottrell, vettori di Burgers… magari un’altra volta, se fate i bravi!

Dunque, grazie a questi magheggi metallurgici, gli HSLA a basso carbonio (< 0.3%), possono presentare uno sforzo di snervamento fino a 600 MPa (contro i 200 dei dolci!), pur mantenendo un’elevata duttilità. Questo permette di costruire telai con lamiere più sottili, quindi meno pesanti, pur mantenendo un’adeguata solidità della struttura finale.

Nonostante i problemi di gioventù di questi nuovi acciai, che richiedono più energia per essere lavorati, presentano un maggiore springback (ritorno elastico) e più difficoltà nella saldatura rispetto ai dolci, negli anni ’80 le normative diventano più stringenti e l’industria chiede sempre più tenacità (=> meno spessore => meno peso) e sempre meno costo.

Ma negli anni ’80 iniziano ad aleggiare negli uffici tecnici alcuni spettri organici, terrore di tutti i metallurgisti: i polimeri. Forse gli acciai sono arrivati al capolinea? Forse è arrivato il momento di rimpiazzarli gradualmente con i materiali polimerici, cioè le sempre più onnipresenti plastiche?

Motore in "Torlon", una poliammide-immide usata anche negli anticarro Javelin. La Polimotor produrrà alcuni Cosworth BDA con questo polimero e li monterà su telai Lola, partecipando nel campionato IMSA per le stagioni 1984 e 1985. © historicmotorposrtcentral.com
Due ragazze felicissime di assemblare i pannelli di una Pontiac Fiero (1984), la prima auto prodotta in massa con carrozzeria in materiale polimerico. Siamo poveri e non paghiamo la licenza a Gettyimages, beccetevi la filigrana. © gettyimages.com
© Lynn Cunningham @ pinterest.com

Oltre ad avere proprietà meccaniche sempre migliori, le plastiche hanno un vantaggio notevole rispetto agli acciai: la resistenza alla corrosione. I polimeri sparano, gli acciai rispondono: si diffonde il trattamento di galvanizzazione (zincatura).

Sempre negli anni ’80, i giapponesi decidono di cominciare a costruire direttamente in Nord America. Honda si pianta in Ohio e comincia a produrre Accord (1982), Nissan sforna pickup nel Tennessee (1983) e Toyota apre prima in California (1984), poi nel Kentucky (1988).

Inoltre i jap cominciano subito ad investire nella decadente industria siderurgica americana portando cash e tecnologie dal Sol Levante.

Nippon Kokan e National Steel, Kawasaki ed Armco, che fino a 40 anni prima costruivano navi ed aerei da lanciarsi contro, ora si divertono con gli acciai Interstial Free e quelli Bake Hardenable.

Due parole su questi ultimi. È sempre il solito giochino, bisogna infastidire il moto le dislocazioni. Lamiera, pressa, sbam, lamiera formata = acciaio incrudito = tante dislocazioni in giro. Le dislocazioni sono difetti e, quando parliamo di reticolo cristallino, un difetto diventa una regione con un’energia (libera di Gibbs) più elevata rispetto all’intorno. Alle temperature a cui cuoce la vernice della carrozzeria (circa 200°C), queste zone ad alta energia (dislocazioni) richiamano a sé gli atomi interstiziali (ovvero quelli piccolini che stanno tra gli atomi di ferro, senza essere legati a loro). Una volta che le nostre simpatiche dislocazioni si trovano circondate di atomi interstiziali (carbonio e azoto negli acciai Bake Hardenable), ecco che la prossima volta che si vorranno muovere (prossima deformazione), faranno molta più fatica, risultando in un aumento dello sforzo di snervamento del materiale.

Bene, queste sono proprio le Atmosfere di Cottrell che poche righe fa vi avevo promesso di non spiegare… e già che siamo in vena di terminologia tecnica, se le Atmosfere di Cottrell tendono a formarsi anche a temperature non particolarmente elevate (impiegandoci comunque un certo periodo di tempo), si parla di strain ageing (invecchiamento per deformazione a freddo).

All’atto pratico, è un fenomeno che riduce la probabilità di danneggiare i pannelli mentre passano da un reparto all’altro dello stabilimento, diminuendo gli scarti di produzione, facendo risparmiare un bel po’ di soldi ai produttori.

Gli Interstitial Free, invece, funzionano al contrario: grazie alla presenza di basse percentuali di titanio e niobio e, tramite l’utilizzo di un particolare sistema di produzione che prevede il processo di desossidazione sotto vuoto, il contenuto residuo di carbonio e azoto nell’acciaio è bassissimo (<0,003%). Le dislocazioni sono quindi libere e felici, condizione che causa una bassa resistenza allo snervamento, ma un’elevatissima duttilità e facile saldabilità. Sono quindi ottimi per lamiere che devono essere deformate molto e assumere forme complicate.

Dagli anni ’90 in poi, le normative hanno accompagnato l’industria e l’opinione pubblica verso enormi progressi sul fronte della sicurezza. Ora ci sono crash test standardizzati (EuroNCAP e altri) e un’auto con risultati scarsi non fa fare proprio bella figura al brand.

Aumenta l’impiego degli acciai bifasici, già nominati in precedenza, soprattutto in zone preposte ad assorbire l’energia dell’impatto limitandone la deformazione: barre laterali anti-intrusione, traversine, montanti.

Per capire a grandi linee questi acciai bisogna allontanare lo sguardo dagli atomi e dalle dislocazioni e tenere d’occhio l’evoluzione dell’acciaio a livello microscopico.

L’acciaio può avere diverse microstrutture (ferrite, austenite, perlite, cementite, bainite, martensite…), e per descriverle bisogna evocare il diagramma ferro-carbonio e le curve TTT (a.k.a. Curve di Bain), che potete approfondire qui (https://youtu.be/g7cdFXXvLJM?si=AqyAqfJ1joefuUWT), qui (https://youtu.be/c_pPf5BBRpU?si=hTjPGqnuErH_3hO3) e qui (https://youtu.be/oUd5amO87Iw?si=wBuW9NJz2HIvutUs).

Gli acciai dual phase in una frase: 80% circa di ferrite, che fornisce duttilità; 20% circa di martensite, che fornisce tenacità, omogeneamente distribuita nella ferrite.

Non basta? Ci sono i TRIP (Transformation-Induced Plasticity), composti da ferrite, bainite, martensite e giusto un po’ di austenite meta-stabile, che appena ne ha l’occasione (deformazione plastica) si trasforma in martensite, aumentando lo sforzo di snervamento del materiale.

Generalmente, gli acciai con più di due fasi, sono chiamati multifase.

Advanced High-Strenght Steels” (AHSS), “Very-High-Strenght Steel” (VHSS), “Extra-High-Strenght Steel” (EHSS), “Ultra-High-Strenght Steel” (UHSS), “GigaMegaIper-High… sono tutte denominazioni estremamente generiche che i poteri forti usano nei confronti della plebe per nasconderle le meraviglie della metallurgia. Rientrano in queste classi praticamente tutti gli acciai nominati (+ altri) al di fuori di acciai dolci ed Interstitial Free.

I limiti in deformazione e sforzo di snervamento delle varie classi descritte. © J.N. Hall, J.R. Fekete, 2 - Steels for auto bodies: A general overview, Editor(s): Radhakanta Rana, Shiv Brat Singh, Automotive Steels, Woodhead Publishing, 2017, Pages 19-45, ISBN 9780081006382.
Utilizzo di diverse classi di acciai nel telaio di una Ford Edge (2015). DP = dual phase © J.N. Hall, J.R. Fekete, 2 - Steels for auto bodies: A general overview, Editor(s): Radhakanta Rana, Shiv Brat Singh, Automotive Steels, Woodhead Publishing, 2017, Pages 19-45, ISBN 9780081006382.
Qua non sono specificate le tipologie di acciai, ma potete farvi un'idea della diversa tenacità dando un occhio ai vari carichi di rottura. Volkswagen Arteon, 2017. © Mustafa Aşan @ Linkedin.com
Telaio della Volvo V70 MK3 (2007, sopra) a confronto con quello della MK2 (2000, sotto). MS = Mild Steel, HSS = High Strenght Steel, VHSS = Very High Strenght Steel (Dual Phase DP600 e Transformation-Induced Plasticity TRIP700), EHSS = Extra High Strenght Steel, UHSS = Ultra High Strenght Steel, Al = Alluminio. © Larsson, Mr & Lundgren, Joel & Ásbjörnsson, Einar & Andersson, Mr. (2013). Extensive Introduction of Ultra High Strength Steels Sets New Standards for Welding in the Body Shop. Welding in the World. 53.
Percentuale di acciai altoresistenziali (tutti quelli visti tranne dolci e interstitial free) utilizzati nei telai di vari modelli BMW. © Advanced materials of automobile bodies in volume production, S. A. Nikolaevich, A. A. Valerievich, G. A. Igorevich, S. A. Alexandrovich, S. M. Alexandrovich, Volgograd State Technical University, Kazan National Research Technical University named after A.N. Tupolev, European Transport (2014) Issue 56, Paper n° 10, ISSN 1825-3997.

Ecco, questa era la risposta alla domanda “Perché l’Audi è più facile da raddrizzare della Skoda?”.

La risposta è comunque incompleta, perché qui sono stati considerati solo i materiali, non le tecniche di produzione, né l’evoluzione del design stesso dei telai!

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Fonti:

– Michael

– Appunti dell’uni

– Automotive Steels: Design, Metallurgy, Processing and Applications, R. Rana, S. Brat Singh, Woodhead Publishing, 2017, Elsevier, ISBN 978-0-08-100638-2.

Articolo del 26 Novembre 2024 / a cura di Diego Nardelli

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  • Giuseppe

    Grazie per l’articolo, fa sempre piacere allargare la propria cultura.

  • Piero Golisano

    Eccellente articolo. Mi rimane però un dubbio. Il telaio si deforma perchè l’energia dell’urto ha causato lo snervamento dei longheroni. Con la dima li possiamo raddrizzare, ma come ne recuperiamo la resistenza strutturale senza procedimenti termici?

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