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Storia della Porsche 996 come non l’avete mai letta

Come avrete capito, in questa storia l’oggettività non è dalla mia parte, ma trovo che stiano invecchiando bene; al tempo non furono proprio un successo, tanto da essere cambiati prima con un pannello frecce di colore bianco, a sinistra, e poi con una forma totalmente nuova nel restyling 996.2, a destra.

Nel 2007 avevo 3 anni. So che per molti di voi questo potrebbe minare il valore di questo articolo, ma vi chiedo di avere fiducia di un povero ventenne.

Nel 2007 avevo 3 anni e la mia vita è cambiata. Stava iniziando a cambiare già un anno prima, quando mio nonno in un pomeriggio autunnale mi aveva messo tra le mani una copia di Quattroruote, per vedere quale effetto avrebbe sortito, iniziando un percorso di dipendenza che nessun percorso di riabilitazione potrà mai cancellare.

Nel 2007 avevo 3 anni e una sera mio padre, dopo anni di sudato lavoro, ha portato nel vialetto di casa una Porsche 911 (996) usata.

Anni di discussioni, tra blu e nero, finalmente ho una risposta: Nachtblau 39C, per i fanatici.

Riesco ancora a percepire la sensazione di stupore nel palato e la pelle d’oca per quella che mi sembrava un’astronave in confronto col resto del parco auto di famiglia. Ricordo anche il mio pianto perché “non c’è una porta per me”, per entrare direttamente per nell’abitacolo. All’epoca non sapevo con che razza di auto avessi a che fare, ma negli ultimi diciassette anni ho avuto modo di imparare una cosa o due.

Ma iniziamo dal principio: siamo all’inizio degli anni ‘90 in Germania, da poco la città di Berlino ha smesso di avere i suffissi “est” e “ovest” e l’economia tedesca, nonostante gli evidenti problemi di comunicazione tra le parti, sta arrivando ad una stabilità industriale.

E questa stabilità era visibile nei listini dei marchi più blasonati: Mercedes aveva forse la miglior gamma di sempre, tra cui la classe E W124 (probabilmente la miglior berlina della storia, da un punto di vista ingegneristico e non solo); BMW aveva appena messo un V12 in un’auto di serie, la Serie 7 E3; Audi, sotto la guida di Ferdinand Piech, aveva iniziato la salita che l’avrebbe portata ad essere il marchio che conosciamo oggi.

Bruno Sacco mi guarda da lassù e mi sussurra: “comprale, tutte e tre”.

E Porsche? Dire che da quel lato di Stoccarda l’umore fosse grigio era un eufemismo.

Interno della fabbrica di Zuffenhausen, linea di montaggio della 928, fine anni ‘70: in 10 anni o più potete, poco era cambiato dal punto di vista produttivo.

La 928, ovvero la GT 2+2 col V8 che avrebbe dovuto sostituire la 911 non era riuscita ad adempiere al proprio compito, uscendo di produzione a metà degli anni 90. Inoltre, per finanziare il progetto 928, la 911 aveva ricevuto solo aggiornamenti marginali, mentre il telaio era praticamente sempre lo stesso da trenta anni. Così la 964, cioè la 911 presentata nel 1989, non lasciò i concessionari facilmente come sperato.

Porsche 964 e 928, in questo caso in due versioni particolarmente incazzate: rispettivamente RS 3.8 e GTS.

Per fortuna, la divisione consulenze di Porsche riusciva a portare a casa la pagnotta, grazie all’Audi RS2 e alla Mercedes 500E. Una era la prima station wagon “sportiva” della storia, sviluppata su base Audi 80, l’altra era una versione vitaminizzata della coupé medio-grande di Stoccarda. Era basata sulla già citata W124 e non era sviluppata da Porsche – come molti credono erroneamente – ma solo assemblata, poiché dove costruivano le normali classe E (dall’altra parte di Stoccarda) non avevano linee di produzione sufficientemente larghe per alloggiare il motore della 500 SL. Ma questa è un’ altra storia.

Una delle poche Audi a non soffrire di sottosterzo, secondo i collaudatori stessi: Porsche faceva miracoli. Notate gli specchietti presi dalla 964?

Intanto non abbiamo ancora parlato del vero brutto anatroccolo della famiglia: la 968. Un progetto sviluppato da Volkswagen quasi 20 anni prima, che nell’ultimo anno di produzione vendette poco più di 1.000 esemplari. Fu subito tagliato dalla gamma, come la 928, dall’eroe della nostra storia: Wendelin Wiedeking, diventato amministratore delegato Porsche nel 1993.

Il nostro caro Wiedeking, mostrando il gap negativo di vendite annuali in casa Porsche, e ballando la macarena.

Wiedeking, che allora aveva solo 41 anni, di cui dieci passati lavorando in Porsche, capì subito che era necessario un cambiamento, cercando di far coincidere i concetti di “risparmio” e “innovazione”, come nelle migliori favole di industriali tedeschi. Così propose di riprendere l’idea della 914, sportiva entry level a motore centrale, per un nuovo modello base che si affiancasse (e condividesse parti meccaniche e non solo) a una futura 911.

Da quella riunione uscì fuori una concept, che oggi conosciamo col nome di “Boxster”, che suscitò entusiasmo alla sua presentazione nel 1993 al Salone di Detroit. Già da qui, è possibile intravedere un esempio dei famosi fari “a uovo fritto” tanto criticati dai puristi. Ma che cosa ha portato a questa scelta?

Mi vedo costretto ad aprire una parentesi: la PARENTESI NIPPONICA.

Inizio anni ‘90, Giappone, città di Toyota (non scherzo, è letteralmente il nome della città). Shoichiro Toyoda, CEO del primo marchio automobilistico del paese sta passando delle pessime giornate. Anche voi non vi sentireste bene se cinque anni prima della crisi più devastante degli ultimi 40 anni in Giappone, aveste lanciato un marchio dedicato esclusivamente al lusso ed alle auto “money no object”, come la Lexus LS400.

Tutto d’un tratto, un numero sconosciuto col prefisso +49 chiede di parlare con lui: è Wiedeking, anch’egli nella merda fino al collo pieno di guai e in cerca di un aiuto professionale.

Il vero genio di Wiedeking, a mio parere, è emerso proprio in questa mossa: nel provare ad adottare il “Toyota Production System” per cercare di risparmiare il più possibile nella produzione della 911 (996) e della Boxster (986). Il metodo si basava su due pilastri:

– Just-in-Time, ovvero la produzione e la consegna di componenti solo nel momento necessario, evitando accumuli di scorte inutili, migliorando il flusso e riducendo i tempi di ciclo di produzione.
– Jidoka, l’identificare e il risolvere problemi durante il processo produttivo stesso, grazie a macchine automatizzate che si fermano e allertano gli operatori quando rilevano un’anomalia, piuttosto che aver bisogno di una supervisione continua.

Dopo aver sfruttato fino all’ultimo la piattaforma originale della 911 con il modello 993, che fu prodotto solamente per quattro anni (1994-1998), tra il 1996 e il 1997 iniziò la rivoluzione, con la produzione prima della 986 Boxster e poi della 996 911. Qui però arrivò il primo problema: il signor Toyoda, preso dall’entusiasmo (o dal sakè), si rivelò più che felice di aiutare il marchio tedesco con la produzione, così felice che propose anche di aiutarli anche per l’estetica del modello. Wiedeking, preso dall’entusiasmo (o dalla Hofbräu), accettò senza pensarci e dalla filosofia elimina-sprechi Toyota nacque l’idea di un solo componente che racchiudesse fari normali e frecce, al posto di due componenti separati, come in qualsiasi altro modello 911, prima o dopo la 996.

Come avrete capito, in questa storia l’oggettività non è dalla mia parte, ma trovo che stiano invecchiando bene; al tempo non furono proprio un successo, tanto da essere cambiati prima con un pannello frecce di colore bianco, a sinistra, e poi con una forma totalmente nuova nel restyling 996.2, a destra.

Purtroppo, però, i problemi non si limitarono all’estetica: 996 e 986, nonostante il legame col Giappone, non erano proprio affidabili: i materiali utilizzati per l’interno non hanno tenuto il test del tempo (ricordo i polpastrelli di me treenne ricevere uno strano feedback dai pulsanti dei finestrini o del climatizzatore), ma soprattutto, il motore M96 3.2 soffriva di ciò che gli inglesi chiamano “IMS bearing failure”.

IMS sta per “Intermediate Shaft”, l’albero intermedio del motore, che aziona gli alberi a camme in modo indiretto, partendo dall’albero motore. Grazie all’uso di un albero intermedio, la velocità delle catene viene ridotta, migliorando la durata delle stesse. A causa di schegge dovute all’usura, o al surriscaldamento del cuscinetto a sfera che collega l’albero intermedio agli alberi a camme, il tempo di apertura e chiusura delle valvole può risultare fuori sincronizzazione e valvole e pistoni si baceranno in maniera poco romantica.

E succedeva, oh se succedeva: un motore nuovo era la migliore delle idee, per non dover mandare allo sfasciacarrozze la propria 911.
Altra “caratteristica” non ben recepita dai puristi era stato l’aumento di dimensioni dell’auto (ma fortunatamente non del peso, rispetto alla 993 che la precedeva), per renderla più comoda e stabile alle alte velocità (arrivando, dopo venti anni, alla granturismo che è oggi, salvo per i modelli della divisione GT), così come il raffreddamento ad acqua: si sradicava un’icona, per attirare clienti nuovi in nuovi mercati e per il bene finanziario del marchio.

Ma ci sono voluti anni affinché i puristi accettassero completamente questo cambiamento. E non parliamo della Cayenne che per molti è ancora una ferita aperta.

Potete notare come, a confronto, la 993 rossa risulti molto più compatta rispetto alla 996 grigia, e non solo per la prospettiva: a quanto pare, ai clienti piacque questo cambiamento. Di certo più di quei fanali.

La 996, così come il modello Boxster, fu un vero successo: dal 1997 al 2005 furono venduti 175.000 esemplari di 911, quasi quanto tutte le 911 mai vendute prima di lei, nonostante le critiche di cui sopra. Fu anche il primo modello a cui si aggiunsero le varianti GT3 e GT2, modelli necessari all’omologazione di ricambi da corsa, che oggi bramiamo in praticamente ogni variante e in ogni generazione.

Amata o odiata, oggi rimane un affare per chi vuole un’auto con la Cavallina di Stoccarda sul cofano.

E mio padre? Mio padre ha venduto la sua nel 2013, e non gli rivolgo parola da allora.

Scherzo: sa benissimo cosa ha combinato con quell’acquisto.

E lo so anche io: tra 100 anni, quando arriverà la mia ora, so che l’ultimo suono che echeggerà nella mia testa non sarà altro che il dolce suono di quel 6 cilindri boxer che il me bambino amava ascoltare rannicchiato in quei sedili in pelle grigia.

Negli anni sono cambiato, lo giuro.

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Articolo di Giuseppe Matera Capicciuti, al suo debutto su RS.

P.S. Se sei arrivato fin qui, forse vuoi andare oltre e rileggerti la prova della 996 Turbo a cura del Direttore, che da quel giorno dorme con la luce accesa.

Articolo del 24 Gennaio 2025 / a cura di La redazione

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  • Emanuele Colombo

    Benvenuto Giuseppe e grazie per aver condiviso questa bella storia!

  • Emanuele

    Bravo, ragazzo. Oltre a essere appassionato, scrivi proprio come loro

  • Alessio

    Articolo bellissimo e una storia inerente alla 996 che non conoscevo, complimenti!

  • Alessio Taranta

    Articolo bellissimo e una storia inerente alla 996 che non conoscevo, complimenti!

  • Beppe

    Un’icona 

  • Raffaele

    Interessantissimo 
    Grazie 

  • Paulo

    Il mod. 993, sicuramente più bello ed iconico, soprattuto anche per il fatto di essere l’ultima 911 raffreddata ad aria, ma personalmente, il mod. 996, mi è sempre piaciuto, anche per i fari, che avevo già apprezzato sulla Boxster.
    Eppoi, la versione turbo, a livello estetico, è veramente “ignorante”!

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