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Locomotore E656, l’inarrestabile Caimano

Più volte ci chiediamo, noi appassionati di acciaio e di metalli vari, perché il ferrovecchio sia più interessante di quello nuovo, anche se quest’ultimo è più sicurosilenziosoefficienteecologico. Se si parla di automobili è semplice dare una risposta, anche se dover spiegare a qualcuno della generazione Z perché una Subaru WRX è più bella da guidare di una Hyundai Ioniq è avvilente.

Coi treni diventa tutto più complicato, specie per quelli italiani che sono elettrici da tipo 120 anni. Pensate che negli anni ’50, quando ancora in Inghilterra le fabbriche sfornavano locomotive a carbone nuove di pacca, eravamo fra i paesi al mondo con più chilometri in assoluto di ferrovie elettrificate e con uno dei più ampi parchi di locomotori a trazione elettrica, che se si parla (SOLO ED ESCLUSIVAMENTE) di treni è di gran lunga il sistema migliore.

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La ragione è semplice: siamo nati poveri, il carbone costa, ma i fiumi scorrono gratis e si possono usare per fare corrente. Oltretutto le locomotive a vapore avevano anche un brutto difetto da risolvere: a parte il vapore che è tanto carino e scenico e in USA usano per lanciare gli aerei, un prodotto secondario era il monossido di carbonio e qualche volta nelle linee di montagna piene di gallerie in pendenza ci scappava il morto. La condensa rendeva scivolose le rotaie, bloccava il treno e chi c’era dentro finiva avvelenato. Tutti presupposti per investire nell’elettrificazione.

Nella storia della locomotiva elettrica italiana ci sono tre generazioni:

  • 1902: linea in alternata trifase a 3600V 16 2/3 Hz, azionamento reostatico (eh?) (Poi ci torniamo).
  • 1927: linea in continua a 3000V e azionamento reostatico.
  • 1983: linea in continua a 3000V o, talvolta, in alternata monofase a 25000 V 50 Hz, azionamento elettronico.

L’eroe di oggi appartiene alla seconda generazione. Non indossa un mantello, ma ha un nome: Caimano, che mi rifiuterò di utilizzare da qui in avanti, prima di tutto perché dare i nomi ai treni è cringe, e poi perché gli alligatori generalmente sono animali né carini né amichevoli (comunque alle locomotive a vapore del gruppo 290 toccò il soprannome di “Cagabasso”, che è peggio, ma sto divagando). Allora chiamiamola con il suo nome di progetto: E656.

La E656 è la naturale evoluzione di una locomotiva progettata negli anni Trenta, la E636. La maggior parte delle macchine precedenti sotto alla cassa sembravano delle locomotive a vapore, perché le ruote motrici erano direttamente fissate al telaio e comandate da lunghe bielle, che davano non pochi problemi di vibrazioni e serpeggio (anche i treni hanno problemi di tenuta di strada). Non facevano di meglio le E626 che montavano i famosi motori “appesi per il naso”. Traduco: il motore era parte integrante delle sospensioni come nei motorini e quindi con l’asse costretto a sorreggerne metà del peso. Masse non sospese, alè!

chiaro il concetto no?

– La E626 –

La nuova generazione, con le serie E424 e E636, è un tale concentrato di novità che viene da chiedersi se non ci sia lo zampino di Doc & Marty. La cassa interamente poggiante su carrelli dove ogni asse è motorizzato permette un forte guadagno in termini di agilità e stabilità, e l’assenza di roba che si muove al di fuori delle ruote e dei motori risolve un sacco di problemi. L’altra grossa novità è la trasmissione ad “albero cavo”: sostanzialmente, ogni assale (in gergo “sala motrice”) è montato in un cilindro in maniera concentrica a cui è collegato mediante molle; i motori trasmettono il moto al cilindro (che gira assieme all’asse) tramite ingranaggi. Durante la marcia la sala ha modo di effettuare piccoli spostamenti rispetto all’asse del cilindro, consentendo una sospensione primaria piuttosto efficiente e soprattutto il montaggio dei motori nei carrelli.

Trasmissione ad asse cavo stile ETR 200 (ragaz perdonate la qualità della foto ma dal convento passano questo)

Come sopra, ma vista così fa più figo

Carrello della E636 con trasmissione ad anello danzante

Delle E424 non parliamo, perché erano troppo fiacche e lente per far parte di un articolo di Rollingsteel, diciamo solo che erano locomotive a 2 carrelli di 2 assi ciascuno, leggere (72 tonnellate… una cazzata) e adatte a servizi locali con molte fermate.

Delle E636 invece parliamo eccome. L’obiettivo del progetto è sviluppare una macchina con una capacità di trazione migliore, quindi per forza di cosa più potente e più pesante; le ferrovie italiane, però, sono leggerine e piene di curve strette, per cui l’unica è alzare il numero degli assi; cosa che il resto del mondo aveva fatto progettando locomotive con due carrelli a tre assi ciascuno.

Così facendo però il passo dei carrelli aumenta, rendendo la macchina meno agile: per questo la nuova locomotiva presenta tre carrelli normali a due assi con, ecco la novità, la cassa snodata in due metà, imperniate sul carrello centrale. Mai s’era vista una follia ingegneristica del genere. Questa soluzione sorprese qualcuno e “ispirò” qualcun altro, visto che le ferrovie svizzere non esitarono a progettare a loro volta locomotive identiche simili.

Da qui, messere, si domina la valle. Ciò che si vede è.

Quello che è sicuro è che le ultime macchine di questa serie vennero dismesse nel 2006 dopo 60 anni di affidabile servizio; nonostante i motori “riciclati” dal progetto della E626, che in tutto erogavano la non stratosferica potenza di 2100 kw, le prestazioni erano ottime e la velocità massima nelle versioni col rapporto di trasmissione più lungo toccava quota 120 km/h. Si poteva finalmente dire che le locomotive elettriche potevano tenere testa a quelle a vapore anche nei servizi passeggeri più veloci. Forse non sono altrettanto belle da vedere, però sono più potenti, e quindi in termini di sboroneria definitivamente superiori: ecco che cominciamo a trovare la risposta al quesito posto in apertura.

la 636…

…e i suoi motori

Questo nuovo modello venne prodotto in 469 unità con tre diversi rapporti di trasmissione per venire incontro a esigenze di utilizzo differenti. Cambiarono colorazione qualche milione di volte, guadagnandosi anche la tristissima e inguardabile livrea biancoverde XMPR che è la vera disgrazia delle ferrovie italiane.

E636.419, lasciarla beige (pardon, castano-isabella) pareva brutto?

– Quando ancora andava di moda aggiustare TUTTO. Villastellone, dicembre 1988: la E636.284 rimane coinvolta in un tremendo incidente dove muoiono i macchinisti, anche perché le norme di sicurezza negli anni ’40 non erano ancora nel vocabolario e le cabine di queste macchine erano fatte con la stagnola. Oggi in questo caso una locomotiva con quarant’anni di esercizio alle spalle verrebbe demolita immediatasubito. Questa venne invece ricostruita e dotata delle cabine delle E656 ed è tutt’ora esistente e circolante –

Il problema della potenza, ancora non degna di un Ferro del Dio ferroviario (non è una bestemmia), viene brillantemente risolto nel dopoguerra: potenziare i motori è un’idea banale, pensarono, proviamo un’altra soluzione. Avete presente la Lancia Beta Trevi Bimotore? Ecco.

cosa cazz?

Applicando lo stesso principio alla locomotiva di cui sopra, il numero di motori passa da 6 a 12 e la potenza, 4320 kw, comincia a farsi interessante. Anche la velocità migliora: la versione passeggeri (E646) tocca i 140 orari. L’unica differenza è la rapportatura della trasmissione. A proposito di trasmissione, le molle di collegamento tra sala motrice e albero cavo vengono sostituite da un complicato ma efficiente sistema di leveraggi e tamponi in gomma: da qui in poi questa tecnologia prende il nome di “trasmissione ad anello danzante” e rimarrà lo standard del settore fino agli anni ’80.

Anche queste macchine avranno una lunga vita operativa davanti, rimanendo in servizio dal ’58 al 2009 e cambiando livrea qualche decina di volte, inclusa l’inguardabile XMPR. C’è chi dice che queste macchine a forza di strati di pellicola sono finite fuori sagoma.

– E646.196 sempre di TrenoDOC, prodotta alla AERFER di Napoli nel ’66, restaurata e in servizio in Sicilia per treni storici. Con tutta probabilità la livrea grigioverde originale è quella con l’aria più sborona. Queste macchine hanno cambiato tante colorazioni quante mutande i progettisti. –

– Qui invece in livrea navetta (con telecomando per manovrare anche in spinta) grigioverdeviola in pieno stile “cattivo gusto anni ‘80”. Questo esemplare è probabilmente stato pressato (sigh) –

Gli anni Settanta sono tempi duri per le ferrovie. Dopo aver mandato a farsi benedire il trasporto via nave, quello via aria sembra voler condannare a morte anche quello su rotaia. La crisi petrolifera deve ancora arrivare, il petrolio costa una scemata, gli aerei sono sempre più grandimodernisicuri e ne esistono di tutte le misure e il treno è visto come una tecnologia spostapoveri sulla quale ogni lira investita è buttata. I difensori della ferrovia per non perdere l’orgoglio e il lavoro ci tengono a stare al passo con i tempi e la naturale evoluzione del progetto comincia a circolare nel 1975, quando l’elettronica invade compare anche in questo ambito con i primi prototipi: però le ferrovie hanno bisogno di nuove macchine con urgenza, complice la riconversione delle linee trifase piemontesi.

– La E656-001 in livrea originale…Sì, ma preparatevi che rovinano anche questa. –

Per qualche anno le nuove locomotive altro non sono che un sostanzioso miglioramento del vecchio progetto: i motori sono sempre 12, la potenza è portata a 4700 kw e arriva un’iniezione di tecnologia, con l’introduzione di un dispositivo elettromeccanico detto “avviatore” che sostituisce il maniglione delle vecchie macchine, gestendo al posto del macchinista l’esclusione dei reostati e le combinazioni di marcia dei motori (serie, serie-parallelo, parallelo, superparallelo); in aggiunta compaiono i primi dispositivi antipattinamento e diventa di serie il telecomando a 78 poli necessario per la marcia in doppia trazione o per gestire la locomotiva in spinta da una carrozza dotata di cabina, in modo da rendere il treno reversibile, novità assoluta.

Nonostante tutta questa iniezione di tecnologia steampunk anni ’70, cominciano a vedersi i limiti di un progetto che di fatto è nato quarant’anni prima: innanzitutto le nuove E656, che erano previste per una velocità di 160 km/h, vengono omologate per 150 perché a causa della struttura articolata si dimostrano un po’ instabili. Le E655, versione merci, non hanno questo problema perché montano un rapporto finale più corto e sono omologate per i 120 all’ora; entrambe comunque hanno i difetti tipici di tutte le macchine reostatiche, termine che ho scritto qualche decina di volte e ancora non ho detto cosa vuol dire.

– la mascotte che le da il soprannome –

In soldoni, la locomotiva non può scaricare ai motori tutta la corrente prelevata dalla linea aerea in maniera on-off, altrimenti le ruote slitterebbero, le partenze avverrebbero bruscamente, i motori andrebbero in protezione da sovraccarico ecc. ecc. Oggi l’elettronica pensa a tutto, nelle locomotive di una volta invece delle resistenze elettriche (reostati) venivano interposte tra pantografi e motori con il solo scopo di buttare via corrente sotto forma di calore, limitando quella assorbita dai motori (rianimate Greta). È chiaro che i consumi energetici erano piuttosto alti. È chiaro anche che i motori a corrente continua non permettevano la frenatura a recupero di energia. Inoltre, nelle locomotive prive di avviatore stava al macchinista gestire tramite il grosso maniglione a cremagliera nella cabina il disinserimento delle resistenze: una partenza effettuata con troppa cattiveria poteva mandare in protezione i motori, mentre per contro anche le temperature dei reostati andavano tenute d’occhio.

 – Oltretutto si sporca guardandola –

La rivoluzione avviene nel 1983 con l’arrivo delle E632/E633, le prime locomotive elettroniche prodotte in serie. La trazione è regolata da un chopper, ovvero un convertitore statico elettronico che permette di regolare la tensione erogata per ciascuno dei tre motori, i quali erogano singolarmente una potenza più che quadrupla rispetto a quelli della E656. In questa maniera viene assorbita dalla linea aerea solo la quantità di corrente richiesta ad alimentarli, con un grosso miglioramento dell’efficienza. I motori sono ancora in corrente continua, dovremo aspettare ancora qualche anno per vedere quelli in corrente alternata controllati da inverter, privi di spazzole e in grado di permettere la frenatura a recupero. Nonostante non siano snodate, le nuove macchine sono in grado di curvare in un raggio di soli 90 metri.

Provvidenzialmente, però, la produzione della 656 continua fino al 1989, ed è un bene, perché le nuove macchine elettroniche si dimostrano disastrosamente inaffidabili, come ogni prima volta che si applica una nuova tecnologia. Serviranno anni di modifiche e prove per ottenere una buona media di guasti per distanza, raggiunta con la serie E652 che su RollingSteel gode di diritto di un articolo dedicato, ma le prime elettroniche sono talmente rognose che dal 2010 non viene nemmeno più considerato conveniente ripararle e cominciano gli accantonamenti e le demolizioni.

Nel frattempo, alcune E656 precedentemente messe da parte per sopraggiunti limiti d’età e di percorrenza (siamo nell’ordine dei 10 milioni di chilometri) vengono richiamate in servizio a sostituirle, dimostrando definitivamente che il ferraccio di una volta è sempre quello migliore. Non è passato molto dall’ultima volta che ne ho vista transitare una in testa a decine di carri merci per la stazione di Vicenza; riusciva a trasmettere tutta la sua imponenza anche da sotto la livrea biancoverde che, già terribile di suo, era coperta da graffiti di pessimo gusto e sporca come non so cosa. Forse a farti sentire piccolo piccolo al suo fianco è il fatto che per aumentare lo spazio all’interno le cabine di guida sono state costruite quasi a sbalzo, rendendo tutto il mostro piuttosto lungo e facendoti percepire visivamente ognuna delle sue 120 tonnellate di peso

– Un infaticabile E655 Cargo come si evince dalla pecetta sotto il logo Trenitalia –

Ad oggi, comunque, delle 461 costruite poche ne sopravvivono, in gran parte usate per soccorso, traino materiale da demolire e lavoretti di questo tipo. La gran parte (sniff) sono state rottamate. Fondazione FS (che non ne vuole sapere di considerarci o di rispondere alle nostre mail, se potete aiutarci, aiuto) ne ha restaurato un buon numero e le utilizza spesso sia per treni storici che per traino di mezzi da restauro e per dare una mano a Trenitalia, in base a un mutuo accordo, con invii e trasferimenti.

– Dirette allo sfascio. Avete presente Zio Paperone quando nei fumetti piange a fontana dentro a un grosso secchio? Ecco. –

In sintesi: ogni volta che salirete sull’ultimo superveloce Frecciarossa 1000, su un silenziosissimo regionale Rock o su un treno a idrogeno ricordatevi che senza di lei il vostro paese non sarebbe quello che è. Perché assieme alla Panda e al Turbostar quest’affare ha costruito un po’ dell’Italia dove viviamo. E ricordatevi che ogni volta che prendete l’aereo per fare Roma-Milano Dio non vi vede, una E656 sì.

– Visione paradisiaca per i patiti di rotaie: trasferimento di mezzo (letteralmente) ETR401 Pendolino da Ancona a Bologna per il restauro ad opera di una E656 con al seguito un carro soccorso e una D345 a gasolio che ha il compito di muovere tutta la baracca nelle zone di deposito prive di elettrificazione. –
– E se rimanete a piedi con la vostra nuova E464 la cara vecchie affidabile E656 viene a soccorrervi –

Articolo del 8 Settembre 2022 / a cura di Francesco Menara

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  • Germano

    Articolo fantastico. Segnalo solo che nel titolo andrebbe scritto locomotore e non locomotiva.

    • Il termine corretto è (Macchina) Locomotiva Elettrica.
      “Locomotiva” è un aggettivo che è stato sostantivato. “Locomotore” è successivo.

    • Maurizio

      Per me sarebbero ancora in aerazione!!! E656 ORGOGLIO ITALIANO!!

  • Antonio

    Articolo ben fatto, ironico e veramente esaustivo di un epoca ancora non del tutto passata.

    • Massimiliano

      Che dire, vagonate di ricordi tornano alla mente….

  • Marco

    La prima linea ferroviaria elettrificata con corrente continua al mondo è la Ferrovia Torino Ceres nel 1920…. giusto perchè mi passa sullo zerbino di casa. Non sono però in possesso di dati tecnici dei locomotore. So che erano a cassa rigida a due carrelli con 2 assi per carrello e una velocità massima di 80 km/h mi pare

    • No, è la “Butte, Anaconda and Pacific” nel Montana, USA, 1913.
      Ad essere precisi è la prima ferrovia elettrificata a corrente continua ad alta tensione (2400V) perché in precedenza ci furono diverse elettrificazioni a bassa tensione, come la Milano-Varese-Porto Ceresio a 650 V terza rotaia nel 1901, appena successiva alla Parigi-Orleans, 1899.

      • Marco

        Grazie della precisazione. Mi sono fidato troppo di quanto letto in giro. Chissà se almeno le locomotive (ftc 11-16) hanno il record di vita operativa dato che hanno prestato regolare servizio dal 1920 fino agli ultimi anni 80… giusto per avere un record sottocasa. (La velocità max era 60 km/h e il rodaggio era Bo’Bo’)

  • Pino

    Chiaro il concetto,, complimenti

  • giovanna

    …. ma se l’mago è scarna al vostro occhio, scendiamo a rimirarla da più in basso, ché entreremo entro il cratere ove gorgoogliaa il tempooo. (più o meno)

  • Bell’articolo però non potete scrivermi che “Delle E424 non parliamo, perché erano troppo fiacche e lente”: motori a cinque gradi di indebolimento campo, avviatore automatico e comando a distanza… nel 1940.
    È la mia “Grande Piccola Locomotiva”, di Brutto!

  • markogts

    Peccato per quel “solo ed esclusivamente”… L’elettrificazione del trasporto su gomma è inevitabile perché superiore in molti aspetti, fattene una ragione.

  • Articolo spettacolare, ho viaggiato da bambini sui treni mi sono sempre piaciuti e anche adesso viaggiando sulle frecce non dimenticherò mai i treni e i locomotori di una volta posso solo dire grazie

  • Giuseppe Tartarini

    Grazie molto interessante, e ben spiegato

  • Robi

    Banco del mutuo soccorso

  • pietro

    Bellissimo articolo complimenti ! Mi ricordo la potenza espressa dal 656 in testa ai treni che venivano dal sud nel tratto da Prato a Vernio !

  • Enzo

    Articolo molto, molto bello e esaustivo. Anche i termini ferroviari sono corretti anche rispetto a chi non mastica di ferrovia. Ora, dopo il mitico 656 ( che ne ho manovrati, spostati, agganciati e verificati a bizzeffe ) mi aspetto un articolo sulla 444R tartaruga!!

  • Karonte

    Articolo stupendo, mi hai fatto rivivere la mia infanzia, quando mio padre, macchinista, mi portava con lui a lavoro emi ha fatto spesso guidare, la 656 era la mia preferita, sento ancora l’urlo.

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