Suppongo che tra di voi non ci sia nessuno che non conosca l’ A-10 Thunderbolt II, per gli amici il “Facocero”, tra l’altro mascotte e giustiziere della nostra Ferramenta su Facebook. Un velivolo da attacco al suolo che sembra un aereo, ma in realtà è solo la “fodera volante” del suo famoso GAU-8 Avenger, un cannone rotante a 7 canne che dispensa confetti da 30 millimetri a circa 4000 unità al minuto, accompagnandolo con il suo tipico “BRRRRRRRRRRRRRRRRRRTTTTTTT” (che non è il richiamo per i corrieri Bartolini).
Bene, pensavate che l’A-10 fosse unico nel suo genere? Errore! Infatti qualche anno prima che il Facocero con il suo gigantesco schwanzstück GAU-8 entrasse in servizio c’era già qualcosa di simile e si potrebbe anche dire più potente del Gau-8 stesso. Dove? Ma in Russia ovviamente, anzi nell’URSS per essere precisi, e dove poteva succedere altrimenti?
Per la serie pure oggi vi facciamo imparare qualcosa di nuovo, parleremo nientepopodimeno che del Mig 27, codice NATO “Flogger” e soprattutto del suo mostruoso cannone a canne rotanti Gryazev-Shipunov GSh-6-30.
Con l’avvento della guerra fredda, uno dei tanti problemi per entrambi gli schieramenti era dover creare un velivolo da attacco al suolo capace di contrastare i nuovi carri nemici, decisamente migliorati soprattutto nella corazzatura e quasi immuni alle armi usate fino alla WWII.
Se gli USA emanarono un bando per quello che poi diventerà il Fairchild-Republic A-10, al di là degli urali l’approccio fu del tutto diverso.
La dottrina sovietica ,infatti, puntava tutto sull’uso di mini bombe nucleari anche contro piccoli obiettivi sul campo di battaglia, quindi serviva un bombardiere veloce capace di bucare le difese nemiche, lasciare i suoi confetti e scappare il più presto possibile. Non importava che fossero precisi ne manovrabili, tanto poi ci pensava il munizionamento stesso a fare piazza pulita della serie ‘ndo cojo cojo. Quindi i supersonici MiG-21 e Su-7B che costituivano la maggior parte dell’aviazione sovietica andavano più che bene.
Fortunatamente si resero presto conto della cazzata che non si possono buttare bombe nucleari così come niente fosse e riconsiderarono la cosa a favore dell’uso di armi convenzionali.
Peccato che gli rimase l’ossessione per la velocità, anche se questa rendeva quasi impossibile per gli aerei colpire piccoli bersagli sul campo di battaglia: quei pochi secondi che il pilota aveva quando volava ad alta velocità non erano quasi mai sufficienti per trovare, identificare e colpire i bersagli a terra.
Se ne resero conto nel 1967 quando l’URSS condusse una grande esercitazione militare chiamata Dnieper. In questa operazione nessuno e dico nessuno degli aerei supersonici riuscì a colpire il bersaglio cosa invece che riuscì benissimo al vecchio Mig-17 che si volava (relativamente) piano, ma almeno ci prendeva.
Tutto ciò, unito all’analisi della recente esperienza americana in Vietnam, portò l’aeronautica sovietica ad annunciare un concorso urgente per un nuovo aereo da attacco al suolo con requisiti piuttosto insoliti.
Questi stabilivano che il nuovo aereo dovesse volare a velocità supersonica in modo da poter sfondare la difesa aerea nemica, ma una volta raggiunto il campo di battaglia avrebbe dovuto avere anche una buona manovrabilità a bassa velocità in modo da attaccare meglio gli obiettivi a terra. L’idea era davvero buona, a parte il fatto che i requisiti stabiliti facevano a cazzotti gli uni con gli altri dal punto di vista aerodinamico.
Infatti se si vuole avere un’elevata manovrabilità a basse velocità, la soluzione migliore è un’ala spessa, lunga e bassa o addirittura dritta (come quella dell’A-10); peccato che la forza di resistenza creata da un’ala del genere non permetterà all’aereo di raggiungere la velocità supersonica. Per essere veloce l’aereo ha bisogno di un’ala sottile, corta e con una freccia molto accentuata.
Il comando sovietico molto probabilmente comprese la completa contraddizione delle proprie esigenze, ma se ne fregò altamente, tanto a loro disposizione c’era qualcosa di molto più potente delle leggi della fisica: gli ingegneri russi!
Dopotutto sono comunisti, pensavano i militari sovietici, troveranno certamente una soluzione come hanno sempre fatto.
Inviarono la richiesta per un nuovo aereo a diversi team di progettazione aeronautica, tra cui l’ufficio di Mikoyan e Gurevich. Il progetto ricevette l’indice 27 e il piano iniziale era semplicemente, in pieno stile CCCP, quello di utilizzare come base il MiG-21 già esistente.
Apparvero due nuovi progetti: il MiG-27sh “shturmovoi” che era fondamentalmente un mig 21 con una parte anteriore ridisegnata e il MiG-27-11 che si basava sul MiG-21 Analog, la versione dell’aereo che era stata costruita in precedenza per testare una nuova ala per il Tupolev tu-144. Tuttavia nessuno dei due progetti forniva le caratteristiche richieste e quindi vennero abbandonati.
Ma negli hangar della MiG si stava ultimando il nuovo aereo da caccia MiG-23, quindi perché non provare ad utilizzare quello? Inoltre, utilizzando le informazioni già ottenute dai primi voli di prova del MiG-23 si sarebbe risparmiato tempo nella progettazione del nuovo aereo, per non parlare del risparmio sui costi di produzione futuri per l’economia sovietica durante la produzione di un aereo simile. Che comunisti sarebbero stati sennò?
Il MiG-23 aveva una caratteristica fondamentale che lo eleggeva a candidato perfetto: l’ala a geometria variabile, in teoria la soluzione perfetta per i requisiti contraddittori stabiliti dall’aeronautica sovietica.
L’idea sembrava grandiosa, così il quarto prototipo del MiG-23 fu costruito in una configurazione da bombardiere. L’aereo ricevette un nuovo sistema di navigazione e puntamento, armi aria-terra migliorate e fu chiamato MiG-23b.
Tuttavia l’aereo era ancora molto acerbo, il primo feedback dei collaudatori riguardo al nuovo MiG-23b fu tutt’altro che positivo. La lamentela principale, a parte il motore debole, era la scarsa visibilità anteriore-verso il basso della cabina di pilotaggio che era solo di 8,5 gradi, addirittura peggiore di quello del precedente MiG-21. Praticamente il bersaglio a terra si vedeva poco o nulla, perciò il MiG-23b venne rispedito indietro per ulteriori miglioramenti. La nuova versione venne quindi chiamata MiG-27.
Rispetto al MiG-23b, il design del MiG-27 è stato leggermente semplificato rimuovendo alcuni elementi non necessari, ad esempio le prese d’aria a geometria variabile e fu semplificato anche l’ugello di scarico. Il risparmio di peso fu sfruttato per aggiungere una corazzatura degna di tale nome alla cabina di pilotaggio, rafforzare la cellula e soprattutto installare un motore più potente.
A spingere il mezzo ora c’era un Tumansky R-29-300 facente parte della nuova generazione dei turbogetti russi caratterizzati da elevati rapporti spinta-peso. L’R-29-300 poteva fornire una spinta continua di circa 7.800 kg e poteva arrivare a più di 11.000 kg di spinta con post bruciatore inserito, più che sufficienti alle necessità del nuovo velivolo. Anche il carrello d’atterraggio venne migliorato e il nuovo MiG-27 a differenza del precedente MiG-23b, come amava dire il pilota, “aveva smesso di strusciare il culo sulle piste di atterraggio”.
Ma il cambiamento più evidente fu il muso dell’aereo, completamente ridisegnato. La nuova forma fu ampiamente predeterminata dalle specifiche del nuovo sistema di puntamento ASP-17, poiché consentiva all’indicatore del bersaglio di andare fino a 18° sotto la linea di mira; per evitare che il cono del muso bloccasse la visuale del bersaglio, la parte anteriore dell’aereo era semplicemente tagliata ad un angolo di 18° gradi verso il basso.
Questo cambiamento forniva un’eccellente visibilità anteriore al pilota e dava all’aereo un aspetto molto riconoscibile, che tra i piloti fece guadagnare al MiG-27 il soprannome di “coccodrillo Gena” in onore di un personaggio di un cartone animato per bambini. Un altro soprannome popolare che il nuovo MiG ricevette grazie al suo muso schiacciato era “l’ornitorinco”. Ma il più diffuso di tutti era quello di “balcone volante”, che probabilmente descriveva al meglio l’eccellente visibilità dalla cabina di pilotaggio. Ma non era solo la visibilità ad essere buona, anche l’avionica e la gestione dell’armamento aria-terra erano le più avanzate disponibili. Il MiG-27 divenne il primo bombardiere da combattimento con la stella rossa armato con munizioni guidate di precisione. Per questo, per parecchio tempo, è stato probabilmente l’aereo più avanzato dell’aeronautica sovietica.
Il MiG-27 era pronto per entrare in servizio nel 1975 e in generale il comando dell’aeronautica era abbastanza soddisfatto dell’aereo e delle sue capacità ma c’era una cosa che non andava. Il comitato approvatore, scrisse all’ufficio progetti della MiG: “Si va bene, belle le ali che si piegano, bello il carrello rinforzato, belli i missilotti che vanno da soli… ma io non te pago!”
Ad una richiesta di chiarimenti specificarono: “Avete messo un cannoncino da 23mm con due canne che fa pew pew pew, che ce famo? Che non lo sapete che l’americani hanno il nuovo carro super corazzato M1 Abrams? Così je famo er solletico! ci vuole almeno un 45mm che faccia bum bum bum!”
Di usare un 45mm non se ne parlava proprio, al di là del fatto che un’arma del genere nemmeno esisteva. Certo si poteva creare, ma bisognava tenere conto che un calibro del genere ha una massa del proiettile e dell’arma considerevole, e affinché la balistica sia come quella di un’arma e non come quella di un calzino masticato, bisogna aumentare la carica di polvere e il volume del bossolo, con tutti gli impicci del caso. Insomma, sarebbe stato un casino. Ci sarebbe voluto troppo tempo e un’arma del genere sarebbe stata comunque troppo grande per l’esile cellula del MiG-27.
Il comando allora suggerì di installare nel frattempo il cannone a fuoco rapido da 30 mm già esistente. Gli ingegneri esultarono finché non capirono bene di cosa si trattava.
La buona notizia, come detto, era che il cannone esisteva davvero ed era in servizio da più di 5 anni, la cattiva notizia era che si trattava di un cannone antiaereo navale: rispondeva al nome di AO-18 ed era un cannone rotante a 6 canne calibro 30mm (30×165 per la precisione).
Molto probabilmente i militari avevano presente che le dimensioni dell’incrociatore da battaglia e del caccia fossero leggermente diverse, giusto un po’ eh, ma d’altronde sapevano che gli ingegneri comunisti avrebbero certamente trovato una soluzione, come del resto avevano sempre fatto!
Ma prima di svelarvi come gli ingegneri risolsero il problema dovete sorbirvi un piccolo tecnopippone a canne rotanti.
Tecnopippone sulle Gatling russe
L’esigenza di un alto volume di fuoco portò allo sviluppo delle mitragliatrici, normalmente a canna singola e con alimentazione a nastro o a pacchetto. Quando ancora non era stato sviluppato un sistema di riarmo automatico una delle più efficienti era la mitragliatrice Gatling. La peculiarità di queste armi era l’avere un gruppo di canne (da 6 a 10) rotanti tramite un sistema a manovella. Ogni volta che la canna girava prelevava un colpo dal caricatore e quando era nella “stazione” del percussore, faceva fuoco. Il colpi partivano così in modo continuo e la canna aveva anche il tempo, durante il giro, di raffreddarsi.
Gli americani svilupparono il concetto di mitragliatrice rotante arrivando fino al cannone Vulcan da 20mm dove la rotazione delle canne era affidata ad un motore elettrico, cosa poi declinata a tutti i suoi discendenti, fossero essi di calibro minore (se avete visto il film Predator si vede molto bene) che di calibro maggiore come il GAU-8 dell’A-10.
I russi, invece, conoscevano le Gatling già dai tempi della rivoluzione russa (prima di produrre Moisin Nagant in quantità industriali, erano grandi importatori di ferraglia americana) ma non erano entusiasti dell’alimentazione elettrica.
Dopotutto, se le mitragliatrici e i cannoni automatici normali possono sparare e ricaricare senza ausili esterni, perché quelli rotanti non possono fare lo stesso? Se ci fosse un modo per trasferire la forza, imbrigliata dal proiettile sparato, al movimento rotatorio delle canne, un’arma del genere non richiederebbe alcun motore esterno.
I tedeschi avevano sperimentato qualcosa del genere fin dalla prima guerra mondiale, ma il primo progetto di discreto successo apparve solo alla fine degli anni ’30, costruito dall’ingegnere sovietico Ivan Slostin. Negli anni ’50 e ’60, i sovietici ripresero l’idea, adattandola laddove le armi a fuoco rapido erano più necessarie: nel ruolo antiaereo.
L’azionamento per la rotazione del blocco delle canne richiedeva una potenza di circa 40-50 cv. I progettisti, abituati a risparmiare su tutto, optarono per un progetto autonomo che funzionava sul principio del recupero dei gas; non diversamente da quanto accade nella maggior parte dei moderni fucili d’assalto e delle mitragliatrici leggere. In questo caso abbiamo due fori nella canna e in mezzo c’è un cilindro con un pistone. I gas, entrando nel cilindro attraverso il foro, spingono il pistone e il meccanismo fa ruotare le canne, convertendo l’energia del movimento longitudinale in movimento circolare.
Ciò presenta alcuni vantaggi rispetto alle mitragliatrici a canne rotanti elettriche. Prima di tutto il peso del sistema è inferiore, è più compatto, e soprattutto non c’è bisogno di trascinare in giro pesanti motori e batterie. Inoltre le mitragliatrici rotanti a recupero di gas raggiungono la loro massima potenza istantaneamente, mentre quelle elettriche devono caricarsi, rendendo poco pratico sparare brevi raffiche.
Ognuna delle canne, assemblate in un unico blocco rotante, aveva il proprio otturatore, i cui meccanismi eseguivano un movimento continuo durante il funzionamento e sparavano un colpo una volta raggiunta la “stazione” di sparo.
È difficile dire quanti progetti poco riusciti abbiano preceduto l’AO-18, ma nel 1965 il sistema, con il nome GSh-6-30K (da Gryazev e Shipunov suoi ideatori), per gli amici semplicemente “Gasha” fu ritenuto sufficientemente affidabile da poter essere prodotto in serie e montato come arma difensiva sulle navi sovietiche.
fine pippone
Ma ora torniamo a noi e vediamo cosa dovettero inventarsi quelli della MiG per mettere sul MiG-27 il GSh-6-30K. Rispetto agli americani che costruirono l’aereo intorno al cannone, loro si trovarono nella più scomoda situazione di dover adattare l’arma ad un aereo già esistente e che non era predisposto. Per prima cosa dovevano alleggerire tutto il sistema, quindi via il raffreddamento a liquido delle canne, a far passare i bollenti spiriti ci avrebbe pensato il vento che su un aereo di certo non manca. Ma era ancora troppo grosso. L’accorciamento delle canne risolse metà del problema. sistemarlo mezzo dentro e mezzo fuori risolse l’altra metà.
Il cannone ora chiamato GSh-6-30A fu installato nello stesso punto in cui in precedenza c’era il GSh-23L: sotto il vano del serbatoio del carburante in una nicchia sotto la fusoliera, non coperta da carenatura, ideale per il raffreddamento e la manutenzione.
Si dovette creare uno speciale vano per le munizioni e dotare il cannone di un cilindro di avviamento pneumatico che serviva a far partire il primo colpo.
Era progettato per cadenze di fuoco molto elevate: 5.500-6.100 colpi al minuto contro i 4.200 massimi del GAU-8, e se gli americani più tardi lo avrebbero ridotto a 3.900, i sovietici, almeno inizialmente, non ci pensavano minimamente. Con questi volumi di fuoco riusciva a lanciare contro il bersaglio qualche centinaio di kg in più rispetto al rivale americano.
La prima prova a fuoco fu eseguita montando il cannone su un simulacro in legno. L’arma diede sfoggio di tutta la sua potenza quando alla prima raffica non solo disintegrò il bersaglio ma pure tutto l’accrocco su cui era montato. D’altronde con un rinculo di circa 5.500 kg c’era poco da fare. Ma funzionava ed era ora di installarlo sul MiG-27.
Come detto prima riuscirono a farcelo entrare in qualche modo e finalmente venne il giorno del primo test. Vladimir Kondaurov, uno dei piloti collaudatori del MiG-27 ha ricordato la sua prima esperienza di tiro con il Gasha : “Non appena ho avuto a tiro il drone bersaglio, ho premuto il pulsante e all’improvviso ho sentito un suono tipo così: trrrrrryyk che mi ha fatto istintivamente ritirare la mano dal grilletto, in quell’attimo, che mi è sembrato eterno, l’aereo è stato scosso violentemente e si è quasi fermato in aria a causa del rinculo del cannone. Sono rimasto stupito ed ho pensato solo una cosa: che bestia!”
I primi voli ed esercitazioni non diedero problemi, ma già dopo poco tempo la fama del cannone andò scemando per via di alcuni piccoli e frequenti inconvenienti.
Il GSh-6-30A era dotato di un massiccio freno di bocca che riduceva il rinculo a un livello abbastanza gestibile, ma reindirizzava parte dei gas di scarico verso il lato, colpendo la cellula e aumentando le vibrazioni.
Quella vibrazione era, a detta di tutti, piuttosto ingestibile. Mentre il MiG-27 in sé era un aereo piacevole da pilotare, quando si sparava con il Gasha c’era, secondo i piloti, una ragionevole sensazione di terrore tutt’intorno. L’ A-10 zeppo di raffinata elettronica e costantemente aggiornato, risolse lo stesso problema impiegando un sofisticato sistema di controllo computerizzato: in pratica, non appena partiva la raffica, il pilota automatico avrebbe preso il controllo dell’aereo contrastando il rinculo e le forze del GAU-8.
Il MiG-27 non aveva un sistema del genere. Quindi, c’era il rischio che nel caso di una raffica troppo lunga l’aereo perdesse il controllo a causa del rinculo. Ma era una possibilità davvero remota, poiché tener premuto il pulsante di sparo oltre 2-3 secondi avrebbe causato ben altri tipi di danni.
Una raffica di 300 colpi (3 secondi) solitamente inceppava il cannone oltre che causare danni permanenti alla cellula. Le squadre di terra di solito limitavano le raffiche a 40 colpi aggiungendo uno spazio tra le cartucce durante il caricamento, sebbene l’arma stessa avesse l’abitudine di sovraccaricare la cinghia delle munizioni e di strapparla.
Ma ridurre il numero di colpi non bastava. Se si era troppo allegri sul grilletto, capitava che il carrello anteriore si bloccasse perché i portelli non si aprivano in quanto deformati; e più di qualche pilota dovette atterrare solo con le ruote posteriori e il muso che strisciava sulla pista.
La cosa più comune che potesse capitare dopo una raffica di troppo era perdere radio, sistema di navigazione e puntamento, che puntualmente andavano in black out dopo qualche colpo. Capitavano anche cose ben più gravi come una volta che dopo una raffica ci fu un corto circuito che causò la perdita completa degli stabilizzatori, dei flaps e dei carrelli d’atterraggio. Oppure che partisse completamente la calotta così da poter pilotare con il vento nei capelli che quando sei su un jet non è proprio il massimo.
Forse la cosa più “divertente” capitò quando un pilota mentre riprendeva quota dopo una picchiata per un’azione d’attacco con il cannone, si ritrovò in braccio praticamente l’intero cockpit e dovette atterrare con una mano sola perché con l’altra teneva fermi gli strumenti
Altra conseguenza delle raffiche troppo lunghe era l’hud che si crepava per non parlare delle luci di atterraggio che andavano perse una volta si e l’altra pure tanto che la sostituzione di questi dispositivi con tappi di plastica era inclusa nelle procedure pre-volo prima di ogni esercitazione di tiro. Questo non solo comportava 2 ore di lavoro extra ma richiedeva anche che la pista fosse maggiormente illuminata per l’atterraggio in notturna con luci aggiuntive.
Ciliegina sulla torta, il GSH-6-30A soffriva di surriscaldamenti che se andava bene lo facevano inceppare ma nei casi peggiori portavano allo scoppio delle munizioni in camera di cartuccia con conseguenze catastrofiche. Un paio di volte i piloti atterrarono con l’aereo a brandelli mentre un’altra il pilota dovette addirittura eiettarsi e guardare il suo MiG che si sbriciolava in aria.
Verso la fine degli anni ’80 si decise di ridurre la velocità di fuoco a 4.000 colpi al minuto, il che migliorò di poco la situazione ma non la risolse e in più il GSH-6-30A perse così l’unico vantaggio sulla controparte americana.
Insomma, la storia militare è piena di esempi dove più grande non sempre significa migliore e il MiG-27 e il suo GSH-30-6A ne sono un esempio lampante. Molti piloti credono che la decisione di installare tale bestia sul MiG-27 sia stata probabilmente un errore, anche se non è stato fatto nulla per sostituire un’arma eccessivamente potente con qualcosa di più appropriato. Sparare con il Gasha è rimasto ufficialmente il più alto fattore di rischio quando si volava con il MiG-27 durante tutti gli anni del suo servizio militare.
Quello che secondo le previsioni doveva diventare un’apriscatole volante contro i veicoli corazzati della NATO, alla fine non vide mai la guerra per cui era stato effettivamente concepito, e di fatto è passato alla storia dell’aviazione come l’aereo che si abbatteva da solo.
Voi, invece, non abbattetevi e ordinate il nuovo album di figurine F.A.S.T. che vi farà tornare bambini!
E se non vi siete ancora iscritti alla Ferramenta di RollingSteel.it, questo è il momento per farlo cliccando qui
Buongiorno,
perchè i cockpit degli aeromobili sovietici sono colorati di azzurro?
Perché da accurati studi, i progettisti sovietici hanno scoperto che quell’azzurro aiuta a ridurre lo stress e a mantenere l’efficacia di un pilota in lunghe missioni!
Bellissimo, interessante w divertente articolo. Complimenti!
Bell’articolo, l’ho trovato leggero e esaudiente
Bell’articolo, l’ho trovato leggero e esaudiente bravo
Scusate ma come gestivano le ali a geometria variabile? Se sul Tomcat fu sviluppato il primo computer di bordo della storia per farlo? Loro cosa usarono?
A manella! erano controllate idraulicamente per mezzo di una piccola leva posta sotto la manetta nella cabina di pilotaggio. C’erano tre angoli di freccia principali che venivano impostati dal pilota per diversi livelli di volo. Il primo, con le ali completamente spiegate a 16°, veniva utilizzato quando si volava a Mach 0,7 o al di sotto o durante il decollo e l’atterraggio. Mettere le ali a metà apertura di 45° veniva utilizzato per manovre di caccia di base, così come per la crociera ad alta velocità o per effettuare intercettazioni a bassa quota. Spostare le ali a completamente spiegate a 72° era riservato per effettuare intercettazioni ad alta quota o scatti ad alta velocità a bassa quota (spiegazione presa da Wikipedia). Su youtube ci sono anche dei video dove fanno vedere il sistema sul MiG 23
Ma quindi gli americani hanno speso miliardi per progettare un sistema computerizzato per L’ F14 quando bastava la levetta idraulica tipo quella del Piaggio porter degli spazzini?
Interessante veramente, è per questo che poi fu adottato il Sukoi 25?
Diciamo che il MiG 27 non fu mai usato in quanto non c’erano conflitti dove poteva essere utile. Poi è diventato vecchio e sostituito appunto dal Su25 molto più moderno. Gli americani al contrario hanno continuato a sviluppare e aggiornare l’A-10 permettendogli di avere una lunga carriera.
Mirabolante divertimento nelle pieghe del volo umano. Grazie
e pensare che il mondo è tenuto sotto scacco da questi