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The dark side of the Honda Integra Type-R

Uno dei motivi per cui l’Honda Integra Type-R è una delle auto più desiderabili di sempre è sicuramente il suo micidiale mille-e-otto aspirato. Pur non andando forte come i due litri che sono venuti dopo di lui, il classico B18C6, regala comunque emozioni a badilate grazie ad un caratteraccio leggendario e ad una erogazione più ruvida e da moto. Tirando una marcia si viene investiti da un’onda continua di coppia, il rumore, da basso e cupo, si trasforma in un latrato rauco e metallico e, quando i giochi sembrano finiti, il sistema VTEC fa la sua magia e, in maniera ruvida e repentina (un po’ come accade sui vecchi B16), il motore scatta in avanti, pronto per regalarvi altri tremila giri di drammatica estasi.

Bene, cosa può quindi esserci di meglio di una Integra Type-R, se non una Integra Type-R preparata di trackday con swappato al posto del tanto amato B18C6 un prepotente K20A2 ex Honda Civic Type-R? Il risultato è una pasticca di ecstasy meccanica, un confetto di cattiveria, un omogeneizzato di tecnica.

Questa Integra Megasbem edition è un giornalino porno con le ruote.

Bella eh? In realtà non così tanto, sono infatti abbastanza tranquillo nell’affermare che l’Honda Integra Type-R è molto più interessante per le sue doti dinamiche e il suo temperamento che per la sua estetica: sarà che sembra uno di quei cunei che si incastrano sotto alle porte per tenerle aperte, saranno i cerchi piccoli (ma giusti così), saranno i fari tondi (e di fatti quella con il frontale jdm è dieci volte più bella), resta il fatto che l’Integra Type-R non vincerà mai un premio come reginetta del ballo.

Con il suo modo di fare un po’ rozzo e le sue prestazioni esaltanti che finché non la provi non ci credi, l’Honda Integra mi ricorda la classica provincialotta che, dopo essersi scassata di ponch allungato alla vodka, entra a gamba tesa sul naso rifatto di qualche fighettina.

Tutto questo è ancora più vero in questa configurazione: l’Integra è infatti una di quelle macchine alle quali le elaborazioni stanno male; già è sgraziata di suo, può solo peggiorare. Ma nel peggiorare diventa una vera arma da pista, pronta a scivolare fra i cordoli veloce come un’anguilla, mettendo a frutto uno dei migliori telai che Honda abbia mai costruito. Se quindi la prima Integra di cui ho scritto è languidamente originale, questa è la sua cugina schizzata. Più potente e leggera, con telaio e sospensioni riviste, per strada quasi stona, si vede che non è il suo habitat. Anche perché circolare per strada con questa macchina di questi tempi è socialmente accettato quanto andare fuori dalle scuole a vendere la droga ai bambini.

E a noi piace così (la macchina eh, non le figurine truccate).

Capace di girare a Franciacorta in 1.26.097 con alla guida un pilota non professionista (quindi non è affatto male), roba che se la beccate durante un trackday vi serve il fucile per fermarla, questa Honda Integra è stata sottoposta ad una serie più o meno infinita di modifiche, sia al telaio che al motore.

La macchina poggia a terra su un assetto completo BuddyClub RSD dotato di camber kit Skunk 2 all’anteriore e Blackworks al posteriore. A questo si aggiungono alcune chicche come i braccetti posteriori Megan racing kit e una barra antirollio della Cusco su uniball, anche lei installata al retroreno. Chiudono il quadro le boccole in poliuretano della Energy Sunspension.

Il bello però viene alzando il leggero cofano in materiale composito: l’originale mille-e-otto è stato sassato via per infilare al suo posto il due litri della vecchia Civic EP3 (quella che pare un furgoncino) il quale, dagli originali 200 cv, in questa configurazione è passato a 230 cv. Per aiutarvi nel calcolo siamo a 115 cv/litro, una potenza specifica praticamente impressionante, basti considerare che il motore della Honda S2000, con i suoi 120 cv/litro è stato per molti anni il motore aspirato di serie con la potenza specifica più alta mai prodotto, battuto solo qualche anno fa dal clamoroso V8 ad albero piatto della Ferrari 458 stradale.

– poca roba, ma buona – 

La lista della spesa per trasformare il motore è così lunga che mi sento povero solo a leggerla, i componenti sono un’infinità e tutti di gran marca: i più rilevanti sono i collettori di scarico 4-2-1 K-tuned, i collettori d’aspirazione lavorati e raccordati alla farfalla con plenum (meraviglia dei motori aspirati), centralina Hondata K-PRO 3 e mille altre robe. Degno di nota il fatto che il motore non è stato aperto, il tutto a conferma della grande qualità di questi propulsori e di quanto siano dei “quasi pronto pista” già da originali. Per chiudere in bellezza, il quattro cilindri è accoppiato alle ruote attraverso un differenziale autobloccante limitato della M-Factory, un giochino che da solo costa quasi 800 bombe ma che è parte integrante dell’esperienza Integra (che già di serie usciva con l’LSD ma così diventa ancora meglio).

Degno di nota anche l’abitacolo: basta aprire la portiera e rendersi conto che dentro questa Honda Integra non è rimasto praticamente nulla, risparmiando così circa 100 kg una volta sulla bilancia; sono spariti i sedili posteriori, tutta la moquette interna, il servosterzo, il condizionatore, l’autoradio, l’airbag lato passeggero e il cofano è stato sostituito con uno in fibra di carbonio che pesa 10kg in meno.

E’ incredibile come su questa auto tutto, ogni singola modifica apportata sia finalizzata alla velocità in pista. Questo non è tuning, questa è passione, tecnica, meccanica. Non ci sono condotti di colori sgargianti, orpelli votati all’apparenza, altre robe da BEPS Racing Department. Tutto su questa auto è fatto guardando al cronometro ed al godimento di guida. Il motore e tutto quello che gli sta attorno è stato ottimizzato; idem per il telaio e le sospensioni; anche l’incontro ravvicinato tra il paraurti posteriore e una punta a tazza ha senso.

La macchina, non avendo un fondo piatto, genera delle fastidiose turbolenze nel sottoscocca e l’interno del paraurti diventa una sorta di aerofreno; ecco i fori, fatti apposta per far passare l’aria attraverso il paraurti e ridurne la resistenza aerodinamica. L’unica pecca, se così la si può chiamare, degli swap K20 è che il motore, proprio per come è stato costruito e per il suo sistema I-VTEC (leggermente diverso dal VTEC “originale”) è un po’ meno cattivo nel passaggio tra una fasatura e l’altra. Se nei vecchi B16/B18 potete sentire chiaramente la macchina intera subire uno scossone all’entrata in funzione del VTEC, nei K20 tutto avviene in maniera più graduale, limitando così anche eventuali danni. Funziona meglio, va più forte, gli manca solo quella sensazione da “oddio adesso si strappa dai supporti e va via da solo!”.

In questa Integra inoltre, come in molte preparazioni track-oriented, si è abbassato il regime di intervento del VTEC dai 5.850 giri originali a circa 4.500 giri. In questo modo si ha un ventaglio dentro il quale il motore è pronto e cattivo molto più ampio e l’intervento del sistema, più graduale e meno brusco, rende la guida dell’auto più morbida e la meccanica meno sollecitata. D’altronde nessuno ha mai detto che a vibrazioni e scossoni corrisponde il tempo sul giro.

Giusto perché è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, bisogna, un’altra volta ancora, ammettere che questo risultato eccezionale, in termini tecnici ed emozionali, è stato ottenuto partendo da quella che è probabilmente la migliore trazione anteriore mai costruita. Grazie Honda! Grazie per questo telaio, per questo motore, per questi ferri che ci permettono di andare in giro a seminare piacere meccanico!

E ricorda, SPINGERE È CORRERE!

Articolo del 4 Aprile 2020 / a cura di Il direttore

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