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Insert coin(s): Ferrari F355 Berlinetta

C’è stata un’epoca in cui il rispetto e la credibilità si guadagnavano nelle peggiori sale giochi di provincia. Tra i miei amici, tutti rigorosamente appassionati di auto, i giochi più in voga erano (nei quali ho speso tantissime carte da 50mila), Sega Rally e Daytona USA 2 (ho ancora un record di 16″.89 nell’ovale).

Ma tutto questo era nulla di fronte ad il re dei cabinati, il cabinato dei cabinati, il mitico quanto impossibile F355 Challenge:

Tre pedali, possibilità di scegliere tra automatico F1 o manuale con griglia in acciaio per un gioco che, anche solo finire un giro, era una soddisfazione incredibile. Ci volevano in media 4 gettoni ma per la gloria (e il poter limonare qualche tipa sfoderando qualche doppietta in scalata) questo ed altro. Grazie a questo cabinato potevi provare l’emozione di guidare la macchina simbolo di quegli anni con le Silver ai piedi.

Che tempi meravigliosi! Non c’erano forum e non c’era internet, non c’erano leoni da tastiera, c’era solo il rischio di tornare a casa senza denti. Le sale giochi, il servizio militare per noi minorenni.

E poi?

Poi i tempi sono cambiati ed oggi sono di nuovo seduto dentro quel cabinato.

Dentro questo cabinato:

E si muove leggera fra le curve, agile bassa scattante. Il telaio risponde in maniera genuina e sincera: non ti vuole uccidere ma vuole correre. È come un cavallo da corsa, non lo puoi chiudere in un recinto, lo devi slegare, lo devi far lanciare verso l’orizzonte. E non lo nasconde, no. Questa è roba seria.

Il motore invece è da seghe mani in tasca. Ti tira fuori dalle curve e ti lancia verso quelle successive con una vigorosità e una allegria che non sono proprie di questi tempi turbocompressi. Tira dal minimo (santa cilindrata) e allunga fino a regimi impensati per motori stradali come questo. 108 e più cavalli/litro sono tantissimi e lasciano il segno, soprattutto se spremuti da un grosso V8. Superati i tremila giri si scrolla di dosso tutta l’inerzia del mondo e si lancia fino al limitatore ad oltre ottomila giri come se fosse un qualunque 4 cilindri di piccola cilindrata. Giapponese per di più. È una roba da matti: l’allungo, la musica, l’arroganza e la cattiveria che escono da questi otto cilindri mi fanno tornare, per un attimo solo che il 4 Marzo è vicino,  fiero di essere italiano. Si vede che questa macchina è nata in un’epoca in cui vendevi il carter secco, non la connessione allo smartphone.

Diobò guardate il coperchio punterie che roba.

Cari appassionati del JDM non vogliatemene, ma arriverà anche prima al semaforo eh, ma fanculo la Supra (ne parliamo poi al primo tagliando di quante Supra compri con due cinghie distribuzione Ferrari).

Gli interni sono spartani, quasi corsaioli. La pedaliera è stretta, non a caso richiede delle scarpette da pilota per essere usata come si deve. Con questa il mocasso scamosciato è obbligatorio. Se ne avessi una dovrei rivedere tutto il mio guardaroba sgarbatamente anni ’90. Ci sono pochi fronzoli rispetto alle supercar moderne (ma anche rispetto ad una qualunque auto moderna); il volante e quella meravigliosa griglia argentata del cambio ti fanno sentire al centro dell’esperienza di guida che stai per provare. Anche le finiture ti fanno capire che sei a bordo di una Ferrari anni ’90. Scricchiolii e plastiche appiccicose ti ricordano che la perfezione sta da un’altra parte… ma forse è meglio così, fa parte del suo fascino.

Lo sterzo sarà anche servoassisito ma è diretto e preciso e non vi farà rimpiangere di sicuro una 348. E poi il cambio, ah questo cambio, potrei paragonarlo a qualunque cosa, ma nessuna parola vi farà mai capire cosa è quel “clac – clac” della leva all’interno della griglia di acciaio o la sensazione della leva che scorre strisciando sui bordi del selettore. Potrei anche arrivare a dire che è talmente perfetto che “lo conosco da una vita” ma l’ha già detto qualcun altro, mannaggia.

In pochi lo fanno ma questa macchina qua, se usata per come è stata pensata e costruita, è una roba da fuori di testa tanto è viva e vera, tanto è genuina e pura. Non ci sono molti cablaggi a separare voi dalla strada. Non ci sono molti sensori utili a tenere il carrozzaio alla  larga. No. Siete voi e basta, il volante è un prolungamento delle vostra mani e di conseguenza del vostro pensiero. I piedi idem. E infine il culo: è il culo il miglior sensore al mondo per farvi capire cosa stanno combinando il telaio e le gomme dopo di lui. Forse non sarà la più veloce con il cronometro in mano ma vi assicuro che come muove l’anima questa non lo fa nessuna. È un paragone forzato, lo so, ma questa macchina, per purezza e genuinità, per come tutto collabora con il tutto, è come se fosse una 106 Rallye all’ennesima potenza.

Voi + telaio + motore = il resto non conta.

E poi quel motore, cazzo che roba quel motore. Ti invoglia a tirarci, ti spinge a farlo cantare. Sotto i tremila giri non è nel suo territorio ma se gli fate superare quella soglia sa farsi perdonare (e farsi sentire) diventando cattivo e rabbioso, quasi come un due tempi. Ad andarci a passeggio potrebbero essere capaci tutti (attenzione solo al cambio che ha bisogno di circa un km per “scaldarsi” e ingranare le marce al meglio), come dicevo lo sterzo è semplice, intuitivo, leggero e preciso. La storia cambia quando si affonda il piede sul gas; lì ha bisogno di mani e piedi esperti, di rispetto e attenzione; non ci sono controlli elettronici che ti salvano il culo quando esageri, è tenuta a terra da puro grip meccanico.

Può capitare che parta in sovrasterzo ma la sincerità e la bontà del progetto permettono di recuperarla con un semplice controsterzo. In situazioni standard – forse – non ci sarà nemmeno bisogno di cambiarsi le mutande.

Ve l’ho raccontata come se fosse una qualunque macchina da tirare sui passi di montagna o durante un trackday, e sapete una cosa? Lo è. Dimenticate per un istante il valore, i collezionisti, il marchio e tutto il resto. Rimarranno un telaio formidabile attorno ad un motore che dovrebbero infilarlo nei libri di storia. Rimarrà solamente una macchina eccezionale. Rimarrete solo voi, il motore alle vostre spalle, il cambio, lo sterzo, il telaio e quattro gomme da 225 davanti e da 265 dietro.

Ma vediamola lo stesso questa F355 Berlinetta, che è interessante.

Come vi avevo già spiegato qua la F355 è una di quelle Ferrari con il nome speciale: V8 da 3mila e 5 di cilindrata e 5 valvole per cilindro (tre di aspirazione e due di scarico) per comporre il nome della macchina che venne chiamata, nel lontano 1995, a risollevare le sorti di un marchio che negli ultimi anni qualche cappella l’aveva fatta. Era infatti opinione comune a molti il fatto che questa macchina fosse necessaria, data la poca efficacia del modello precedente. Inutile stare a menarla con la 348 che venne definita “macchina di merda” da Montezemolo dopo aver preso la paga da un tamarro su una Golf GTI ad un semaforo, rimane però significativo il fatto che la 348 fu l’auto con cui la Ferrari chiuse un’era. La 348 infatti fu:

  • L’ultima dell’era “Enzo Ferrari” in quanto venne progettata nel 1980 quando il Drake era ancora tra noi;
  • L’ultima che Fioravanti disegnò per Maranello;
  • L’ultima V8 con solo il cambio manuale disponibile;
  • L’ultima con il cambio a 5 marce;
  • L’ultima con il cambio dog-leg, ovvero con la prima indietro (l’ultima V12 fu la TR);
  • L’ultima senza servosterzo ed airbag;
  • L’ultima anche ad andare dal benzinaro; complice l’iniezione elettronica è infatti la Ferrari più parca nei consumi della storia con una media di 11km/L a velocità da codice in autostrada (forse – ma dico forse – più parca di lei è la Mondial con iniezione meccanica Bosch K Jetronic).

Ecco quindi che risulta chiaro il motivo per il quale la F355 viene comunemente associata alla rinascita, al nuovo corso, all’entrata nell’era moderna da parte del marchio più amato dagli italiani (dopo Audi). Quello dopo la morte di Enzo fu  infatti un brutto periodo per la Ferrari, e fu proprio in quel periodo che divenne impellente sostituire la ormai obsoleta 328. Sotto la guida dell’ing. Barbiero (che sostituì Materazzi alla direzione tecnica del cavallino) vide la luce la 348 che però, nonostante una linea azzeccata, non era un progetto vincente né in linea con i tempi. Fu proprio Montezemolo, arrivato a guidare il marchio nel ’91, a volerla sostituire quanto prima con una vettura che fosse degna di portare il cavallino sul cofano senza paura di un ragazzotto con una Golf.

Insomma, diciamo che la 348 è come Terminator 1, carino eh, ma niente a che vedere con il 2.

Inoltre la 348 fu particolarmente sfortunata perché in quegli anni alla Honda venne la buona idea di metter per strada la NSX facendo vedere al mondo intero come fosse possibile concentrare una incredibile dose di tecnologia (ma anche di qualità e affidabilità) in una supercar, rendendola fruibile sia nella vita di tutti i giorni, quanto una vera arma in pista. Con la NSX la Ferrari si svegliò una mattina rendendosi conto di essere rimasta indietro di un paio di decine di anni: l’epoca era la stessa ma tra la NSX e la 348 ci passava un mondo. Una era uno smartphone, l’altra era una cabina telefonica.

A gettoni per di più.

Dovete sapere che la NSX era un ferro tale che non solo Ferrari si trovò a dover far di meglio, ma lo stesso Gordon Murray, provando la sportiva giapponese, rimase talmente impressionato da prenderla come punto di riferimento nella progettazione della supercar che ha segnato, più di ogni altra, gli anni ’90: la McLaren F1… mica male eh la Honda?!

Quindi:

Partendo dal fatto che la 348, comunque vada, per me è un gran ferro e che mi stimerei di brutto a girarci…

… alla Ferrari ebbero il loro bel da farsi per tornare ad essere punto di riferimento tra i costruttori di auto sportive. Ecco allora che, partendo da quanto di buono c’era nella 348 (il telaio e la coca nel posacenere) ne aggiornarono la linea per renderla più anni ’90 e meno caleffa di quella che per tutti era una “piccola Testarossa”. Poi, al grido di “ve lo facciamo vedere noi come si fanno le auto!” per la F355 andarono a pescare a mani aperte dal know-how della Formula 1 di quegli anni, introducendo il cambio elettroattuato di tipo F1 con le levette dietro al volante, un sistema di sospensioni regolabili (a fine articolo vi spiego come funzionavano) attraverso un comando dall’abitacolo e, per la prima volta, un complesso studio effettuato in galleria del vento per ottimizzare al massimo tutti i flussi d’aria non solo sopra ma specialmente sotto la maghena.

Ma il vero cuore di questo ferro – e vi basterà sentirne uno in moto per capirlo – è il suo motore. Al posteriore, montato in posizione longitudinale e centrale abbiamo un V8 a carter secco capace di 380CV ad, udite udite, 8250 giri al minuto. Poche auto stradali possono anche solo lontanamente sognarsi l’urlo metallico e straziante di questo motore a pieni giri. Anzi, facciamo una cosa, ve l’ho registrato, poi non dite che non sono esaustivo nei miei articoli eh.

Sentitelo il rumore di quasi 110 CV/litro. Questo è il canto liberatorio di 380 cavalli tirati ad oltre 8000 giri al minuto. Questo è quello che una Ferrari deve essere: un lampo rosso, un grido lacerante, un dito in culo alla monotonia e alla mediocrità delle macchine moderne. Dicono sia anche un dito in culo al portafogli di chi ne ha una: un tagliando di questa, se vi va bene, non vi costa meno di 5000 euro. E non importa se non la usate: le cinghie, ogni cinque anni, vanno cambiate lo stesso. E per cambiare le cinghie di questa (tipo 35€ l’una) il motore va tirato giù mettendo in preventivo almeno 3500€ di sola manodopera. Ci vogliono le palle d’acciaio per mantenere un ferro come questo. Che poi, se non fosse per la componentistica elettrica/elettronica comune a tutto il gruppo Fiat dell’epoca (tipo l’illuminazione del cruscotto simil collutorio) che tende a fare schifo ad essere fragile, il motore è veramente solido, pensate che li utilizzavano nel Challenge praticamente standard.

Hai detto Challenge? Quello che era nato per smaltire le 348 invendute? Alla fine della fiera fu una buona idea, permise a molti piloti amatoriali e gentleman drivers o yuppies arricchiti di ogni genere di iniziare a divertirsi in pista con la propria Ferrari ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello necessario per una Testarossa o una F40 che erano a listino all’epoca. Ricordo un noto proprietario di una azienda di spurghi mostrare fiero la sua 348 in giro per il mio paesino.

Poi con la F355 il livello si alzò, finalmente una Ferrari vera, un vero sogno, prodotta in tre versioni, Berlinetta, Targa e Spider, questa era finalmente degna di quello stemmino giallo sul cofano di alluminio. È stata il simbolo di un decennio, in quegli anni questa era la macchina dei sogni. Non è un caso che sia apparsa quasi ovunque, non è un caso che Fausto & Furio abbiano sfidato una di queste per far vedere quanto quella Supra fosse tosta.

Con la F355 si alzò poi anche il livello del Challenge e la popolarità del monomarca portandolo fino ai giorni nostri con i vari campionati riservati ai clienti Ferrari, ma per noi – generazione da sala giochi e scooter un po’ elaborati – F355 Challenge ha significato solo una cosa: due (a volte 4) gettoni nel cabinato più pazzesco che si sia mai visto. Insomma, fra sale giochi di provincia e l’immagine di un marchio come Ferrari ricostruito a botte di V8 ad alto numero di giri, la F355 non è solo un ferro della madonna, ha anche segnato un decennio di cultura popolare lanciando la Ferrari nel terzo millennio.

PS. Ringrazio tutti quanti mi hanno aiutato a scrivere sto pezzo, è stato tutto tranne che facile, grazie! Grazie al proprietario della macchina, grazie a Mattia Limonta per le rare foto d’archivio del challenge, grazie a Luca Maini per i vocali senza senso ma che mi ha fatto capire cosa questa machina rappresenti per lui, grazie anche alla Ferrari per avermi fatto sognare.

PPS. Ve l’avevo promesso ed eccomi qua: sopra la testa degli ammortizzatori della F355 c’è un motorino, comandato da un apposito pulsante nell’abitacolo, che va a ruotare attorno al proprio asse il pistone che è all’interno dell’ammortizzatore. In questo modo, grazie ad un diverso disegno delle valvole e dei condotti sul pistone, viene modificata l’idraulica interna dell’ammortizzatore irrigidendolo o rendendolo più confortevole a seconda dell’impostazione scelta dall’abitacolo. Un sistema tanto semplice quanto – per l’epoca – innovativo.

 

Articolo del 15 Febbraio 2018 / a cura di Il direttore

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