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Due ruote di troppo

Con una ruota sei un pagliaccio, nel senso letterale del termine: probabilmente stai in equilibrio su un monociclo per guadagnarti da vivere, lanciando in aria palline e birilli per divertire i bambini alle feste organizzate o al circo. La tua vita non è difficile, se non fosse per la costante mancanza di soldi e la tua passione per la meccanica è praticamente nulla. Sei definibile pagliaccio anche se fai il tragitto casa/lavoro con il monociclo elettrico.

– L’unicycle è un oggetto infernale, nato per farsi male e per farvi sembrare dei cretini –

Con due ruote sei parte della famiglia di ///RS, ti piace stare seduto su un paio di pneumatici messi uno davanti all’altro mentre l’aria, e qualsiasi cosa ci stia volando dentro, ti prendono a cazzotti in faccia. Quando pieghi ad alta velocità senti un brividino di piacere che scorre lungo la schiena e va a finire sul perineo, proprio il punto in cui i tuoi genitali toccano la sella e assorbono le vibrazioni della strada. Se non è orgasmo, ci siamo molto vicini.

– esempio virtuoso di “due ruote”, in questo caso con pistoni ovali e una esclusiva carena in nero carbonio. Via le mani dalle mutande! –

Con tre ruote hai diverse alternative: potresti essere un bambino che gioca nel lungo corridoio di un sinistro albergo vuoto in mezzo al nulla delle Montagne Rocciose del Colorado, un contadino che vive semplicemente fra campi, animali, vino, briscola e bestemmie o un proprietario di Morgan Three Wheeler. In tutti e tre i casi, il tuo cervello non ha mai superato la fase della pubertà e per questo ci stai molto simpatico.

– Una ruota dietro, due davanti e un motore Harley-Davidson ancora più in là… ho detto smettetela di toccarvi! –

Con quattro ruote sei una persona normale, vivi sul pianeta in modo più o meno equilibrato e sei inserito in un contesto socio-culturale che non ti fa sentire un disadattato, a meno che non legga ///RS e DI BRUTTO (hai preso il Volume Zero pocket edition? Vè che poi resti senza). In questo caso il tuo disturbo mentale fatto di coppie coniche, puzza di gomma bruciata e telai rimessi dritti a colpi di martello è condiviso dalla nostra setta e non c’è nulla di male se ti ecciti fisicamente quando vedi i loghi delle sigarette Lucky Strike e Rothmans.

– Porsche 911 e 959 Dakar livrea Rothmans. Vi sto istigando all’autoerotismo da quando ho iniziato quindi fate quello che volete –

Con 5 ruote sei un camionista che ha bucato una gomma sulla Valdastico.

Con 6 ruote… ah beh, mettiti comodo che ho qualcosa da raccontarti.

– con 6 ruote potresti essere il supercampionissimo

DISCLAIMER: ho bisogno di definire qualche regola per inquadrare in modo efficiente il tema di oggi: di mezzi a 6 ruote ce ne sono stati e ce ne saranno a migliaia in giro per la terra, ma oggi ci concentriamo principalmente sull’applicazione delle 6 ruote (o anche di più) in mezzi che non hanno più di due assi per tradizione e logica. Motrici stradali, camion di vario genere, double decker, blindati militari e tua nonna in carriola meritano discorsi a parte… oggi si parla dell’assurdo ed esagerato mondo delle automobili multiasse e delle chicche tecniche che hanno fatto pensare a qualche ingegnere visionario che due in più è meglio che due in meno.

A cavallo delle due Guerre, l’automobile ha affrontato un periodo di forte sperimentazione. In quegli anni si provava di tutto, ogni anno una nuova tecnologia alzava l’asticella della produzione e il progresso ingegneristico andava alla velocità della luce. In quel periodo sono state sperimentate parecchie soluzioni di automobile a 6 ruote. Nel pezzo sulle motoslitte abbiamo citato la Ford Model T e quei preparatori che aggiungevano due ruote alla fine della vettura per diversi scopi, tra cui montare cingoli per l’utilizzo su neve o avere un piano di carico più lungo per il trasporto di merci o animali. A parte questi “tuning” dettati dal bisogno, nessuna auto a 6 ruote ha avuto successo nella produzione in serie, perché eccetto rari casi un normale mezzo a 2 assi era capace di soddisfare tutte le esigenze quotidiane risparmiando peso ed ingombri rispetto a un prodotto con due ruote di troppo.

– Logica da camion, realizzazione da auto da corsa. La Pat Clancy Special era qualcosa di magnifico –

Le 6 ruote hanno iniziato ad avere un senso quando un certo Pat Clancy – proprietario di una ditta di trasporti e team manager di una squadra che correva nei primi anni della 500 Miglia di Indianapolis – ha pensato che due ruote in più potessero aiutare anche in pista. Nel 1948 iscrisse la Pat Clancy Special alla celebre gara sull’ovale dell’Indiana e lasciò tutti di stucco: tre assi, uno davanti e due dietro, proprio come sui camion che guidava per il resto dell’anno. L’auto era un misto fra prodotti racing dell’epoca, con il telaio frontale e il motore Plymouth, sospensioni anteriori Ford e un retrotreno fatto in casa (come il pane buono) con il primo degli assi posteriori che riceveva la trazione da motore e cambio tramite un differenziale quickchange (che poteva variare il rapporto di trasmissione con ingranaggi intercambiabili, roba che gli appassionati di hot-rod conoscono bene) e la ridistribuiva all’ultimo asse posteriore con un secondo elemento. Le sospensioni erano a balestra molto corte per poterne avere una per ruota e i cerchi erano in magnesio, una novità assoluta per l’epoca.

– Disegno tecnico del differenziale a cambio rapido o Quickchange: l’albero di trasmissione non si connette direttamente a una coppia conica ma a un sistema di ingranaggi che può essere sostituito per cambiare il rapporto di trasmissione. Era in uso prima della Seconda Guerra su alcune auto americane e oggi è un fetish per gli amanti delle Hot Rod –

Perché tutto sto casino? Pat credeva che due ruote dietro potessero dare più trazione alla macchina e in qualche modo fu davvero così. Anche con il peso extra del terzo asse – 90 kg in più – l’auto si dimostrò discretamente competitiva, chiudendo al 12° posto la Indy 500 del 1948 (dopo la partenza dal 21°). Nel 1949 ci riprovò ma dopo 65 giri fu costretta al ritiro per il cedimento dell’albero di trasmissione, dovuto alle sollecitazioni e alla resistenza del terzo asse. Fu l’ultimo tentativo e Pat ritornò alla classica configurazione a 4 ruote, abbandonando il progetto 6 wheels per un logico problema di affidabilità e per la perdita di efficienza data dagli elementi meccanici extra e dal peso elevato. Ciò nonostante questa macchina fece segnare una velocità di tutto rispetto completando un giro a 206 km/h. Stiamo pur sempre parlando di vasche da bagno di alluminio con un motore da 270 CV dentro!

– Pat Clancy Special alla Indy 500, questa 6 ruote si è classificata al 12° posto nel 1948 –

Salto in avanti a quella monoposto da competizione sulla quale molti lettori hanno dedicato intense sessioni masturbatorie: la Tyrrell P34. Sarò breve e non incenserò questo mezzo iconico, fin troppo osannato benchè geniale nell’ideazione e nel modo in cui fu magistralmente guidata in pista da Jody Scheckter e Patrick Depailler nel campionato di Formula 1 del 1976. Ne abbiamo parlato largamente in questo articolo.

Qui l’idea fu di mettere due ruote di diametro ridottissimo (10″) all’anteriore e carenarle sia davanti con un alettone avvolgente che dietro con pance che non rompevano il flusso d’aria sopra e al lato della vettura. Con una sezione frontale così regolare e ridotta l’efficienza aerodinamica era superiore alla concorrenza e i due assi sterzanti potevano garantire inserimenti fulminei e maggior resistenza al sovrasterzo.

-Una delle foto più belle mai scattate a Patrick Depailler e alla P34. Possiamo notare come – senza copertura del pilota – uomo e macchina diventano un tutt’uno in questa meraviglia di ferro e materiali compositi. Arte e poesia –

Missione compiuta in parte, perché sebbene questi vantaggi furono confermati con prestazioni eccellenti (terzo posto in campionato e una doppietta in gara), il surriscaldamento anomalo delle gomme anteriori dato dalla poca aria e dalla superficie di rotolamento ridotta tendeva ad annullare i vantaggi tecnici, che andarono semplicemente a ramengo quando si decise di “scoprire” le ruote per farle raffreddare meglio, annullando il plus aerodinamico e rendendo l’auto non più competitiva.

Il seme delle 6 ruote fu, però, piantato nella mente degli Ingegneri di Formula 1 e sia la March (a fine ’76) che la Williams (nell’83) provarono a mettere un secondo asse al posteriore proprio come fece Pat Clancy alla Indy 500. Nel caso della March, il sistema che prevedeva due cambi montati in serie e collegati ai rispettivi assi non riuscì a reggere le sollecitazioni dei primi test, costringendo i tecnici a togliere gli elementi interni del secondo e rendendo l’auto un semplice mezzo con quattro ruote dietro ma con un solo asse a dare trazione, un po’ come avere quattro chiappe ma un solo buco di culo ano.

– Williams FW07D e i suoi due assi posteriori. Quest’auto poteva davvero vincere tutto, ma non la fecero correre –

I tecnici Williams testarono l’auto ideata da Patrick Head prima dell’inizio del campionato 1983 e andava come un missile. In questo caso le quattro ruote posteriori permettevano l’utilizzo di gomme dalla sezione ridotta (usava in pratica 6 ruote anteriori) limitando la resistenza aerodinamica data dalle enormi ruote posteriori dell’epoca e lasciando più spazio sotto la vettura per migliorare l’effetto suolo. A rovinare il giochino arrivarono i nuovi regolamenti che vietarono per sempre auto con più di 4 ruote.

Poco dopo, in Ferrari fecero i furbi e montarono su un prototipo di test 6 gomme su due assi, gemellando il posteriore come se fosse un Iveco TurboStar 48. Il tentativo non era solo una mezza porcheria, ma sforava il limite di carreggiata e fu quindi impossibile da utilizzare in gara. La fine delle auto multiassi in Formula 1 non è però la fine della storia, perché c’è ancora qualche succosa chicca da raccontarvi, la più interessante delle quali risponde al nome di Mazda 323, ovvero il picco dell’assurdità a 6 ruote.

– No, non ha caricato male la foto, è davvero una macchina da rally con delle ruote che spuntano dalle portiere –

Quest’auto fu pensata negli anni ’80 per competere alla neozelandese Race to The Sky, una cronoscalata per vetture rally in stile Pikes Peak ma con le regole del continente australe che prevedono l’extra difficoltà data dagli animali velenosi che saltano dentro le vetture durante la gara e che fungono da ostacoli mobili lungo il tracciato.

Gli ignoti che realizzarono questo mezzo decisero di montare non uno, ma ben due motori rotativi RX-7 in serie, uno davanti all’altro ed entrambi collegati ad un rispettivo asse, che rendevano l’auto una 6 ruote con la trazione e il sistema sterzante sulle quattro che stavano davanti. Per fare ciò hanno dovuto spostare il pilota e i comandi fra sedili posteriori e bagagliaio.

– Il pilota siede sopra l’assale posteriore, davanti a lui due motori rotativi RX-7, uno per asse. Tre sole parole per descrivere questo progetto: DROGA TAGLIATA MALE –

Ha funzionato? no. La ripartizione dei pesi era qualcosa di agghiacciante e avere un asse al centro della vettura causava un effetto perno sulle ruote centrali tipo altalena basculante, rendendo molto difficile scaricare a terra l’intera potenza dei due Wankel. Di quell’auto, oggi, si sa davvero poco e le misere informazioni che si possono trovare in giro rendono il tutto ancora più misterioso ed epico.

Arriviamo ai giorni nostri, epoca nella quale tutte le auto definibili tali hanno sole quattro ruote. A distanza di 150 anni dall’invenzione del trasporto a motore, se il numero perfetto è il 4 un motivo c’è: non esiste migliore combinazione per avere un mezzo equilibrato ed efficiente. La storia ci ha più volte spiegato che se mettiamo solo 3 ruote su un’auto abbiamo problemi di stabilità, se ne mettiamo 5 abbiamo problemi mentali e se ne mettiamo 6 abbiamo problemi di complicazione meccanica.

Eppure questo tarlo non ha mai smesso di rosicchiare il cervello di certi eccentrici individui, per questo possiamo finalmente parlare della Covini C6W e del suo fondatore, Ferruccio Covini, persona alquanto impegnata a realizzare macchine che nessun altro ha mai voluto fare.

– Non vedete doppio ma è la Covini C6W, l’unica supercar a 6 ruote mai realizzata. Va forte, va bene, costa molto e se volete ve la fanno con i fondini della strumentazione rosa –

Nel curriculum della sua azienda troviamo prototipi di granturismo turbo diesel (B24), jeep fatte di pannelli modulari (T44) e la prima supercar da oltre 300 all’ora alimentata da un diesel common rail (C36). Potete ben capire che questo soggetto aveva passione e tempo da spendere in oggetti fuori dal normale e con la sua 6 ruote dal concetto del tutto simile alla P34 ha dimostrato che si può omologare per la strada un’idea nata per le competizioni 40 anni prima e mai dimenticata dagli appassionati.

Tralasciando alcuni particolari come i fari anteriori della Peugeot 206 e quelli posteriori (che sembrano) della Daewoo/Chevrolet Matiz, si tratta di un mezzo del tutto originale grazie a quelle due ruote in più a ridosso dell’abitacolo che la fanno sembrare un photoshop fatto male da un bambino annoiato all’ora di Informatica. Eppure c’ha fascino.

– Potrebbe sembrarvi lunga come un autobus ma è un’auto di soli 4,18 metri che pesa 1150 kg a secco… sotto il cofano un V8 da 500 CV! –

Davanti i due assi non forniscono trazione ma sono entrambi sterzanti, questo permette di mantenere i pesi tutto sommato contenuti perché l’intera vettura pesa appena 1150 kg. Dietro è una normale auto a motore centrale con un V8 4.2l da circa 500 CV che spinge questa meraviglia artigianale fino a 100 all’ora in 3,9 secondi e secondo il produttore offre più appoggio all’anteriore e più direzionalità grazie alla raddoppiata impronta a terra fornita dai 4 pneumatici da 16″ e più potenza frenante avendo 4 dischi davanti e due dietro.

È rara, è artigianale e costa un fracco di soldi, circa 600.000 euro, ma è un pezzo di unicità meccanica che le permette di avere un posto nella storia dell’automobile, al pari dell’altra 6 ruote regolarmente venduta al pubblico, sebbene in numero molto limitato: la Mercedes Classe G 6X6.

– Classe G 6×6, un tripudio di tamarragine su ruote. Se non avete almeno 14 cammelli in casa non ve la vendono –

Questa tedesca più che un’auto sperimentale o un mezzo creato dalla pura passione, è un prodotto esagerato realizzato per un’elite di ricconi con lunghi vestiti bianchi e barba lunga che vive nei dintorni del deserto degli Emirati Arabi. È così arrogante, con quelle ruote giganti e quei due enormi assi posteriori, che ognuno di noi vorrebbe averne una in garage (considerando che serve un garage su misura).

Fondamentalmente, a parte permettere a chi ha soldi di ostentare il fatto di avere soldi, è utile solo a non rimanere impantanati fra le dune del deserto e poco più. In città e negli sterrati europei si guida come un vero camion, nelle mulattiere alpine e appenniniche rimane incastrato fra i faggi e dal posto di guida è impossibile vedere bambini, nani e cani di piccola taglia. Inoltre il piano di carico aperto è inutilizzabile perchè si può raggiungere solo calando le robe dall’alto. In sostanza, se volete un pick-up che fa colpo, è meglio un Daewoo FSO, decisamente più umile e altrettanto indistruttibile.

– Ho scritto ste minchiate solo per mettere una foto del Daewoo FSO, perchè l’ho sempre adorato e da oggi anche voi –

– oppure c’è la Panda a 6 ruote, raccontata QUI

Ovviamente di 6 ruote fatte in garage da Giggino O’sfasciacarrozz’ ne è pieno il mondo, ci siamo limitati a elencare quelle che secondo noi meritano una menzione particolare e che portiamo nel pronfondo del nostro cuore da debosciati impallinati di meccanica fine a se stessa. Se volete rimpolpare l’elenco di 6 ruote realizzati da preparatori e malati di mente armati di flessibile, c’è la Ferramenta.

Articolo del 16 Febbraio 2023 / a cura di Michele Lallai

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