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Douglas DC-8, il primo civile supersonico

Non so come possa essere oggi, ma frequentare la base aerea di Edwards dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale fino agli ’70, dev’essere stato una figata colossale. Da infuocato di aviazione e di tecnica aeronautica, mi rendo conto che quella base rappresenta una specie di Mecca per tutti quelli, come me, dilaniati da questa folle passione. La base californiana di Edwards è infatti da sempre uno dei principali centri di addestramento per piloti collaudatori e su di essa sono stati collaudati – vedi anche portati al loro limite estremo – molti velivoli militari e spaziali. Alla base aerea di Edwards sono legati alcuni dei tasselli più significativi della meravigliosa epopea del volo: da una delle sue piste decollò, appeso come una pera sotto ad un B-29, il mitico Bell X-1 con a bordo Chuck Yeager, uno dei piloti più cazzuti di tutti i tempi e primo uomo a superare ufficialmente la barriera del suono nel 1947. Sempre sulla base aerea di Edwards atterrava lo Space Shuttle, di ritorno dalle sue missioni spaziali.

“Ha detto che lo vuole provare”

Bene, assodato quindi che la Edwards Air Force Base fosse un posto figo perché su di essa gli aerei venivano spremuti come limoni sul carpaccio, veniamo al racconto di oggi. Un racconto che risale al 21 agosto 1961, quando dalla superficie della famosa base americana decollava un normale Douglas DC-8 con lo specifico intento di superare la barriera del suono e dimostrare che no, l’aereo non sarebbe andato in mille pezzi e, già che c’erano, collezionare dati sul comportamento di un’ala di quel tipo a velocità supersoniche. Tutto il volo inoltre venne seguito da vicino da un F-100 Super Sabre e da un F-104 Starfighter con ai comandi proprio lui, Chuck Yeager.

È tutto vero, quasi 8 anni prima del Concorde (che supererà la barriera del suono solo nell’ottobre del 1969) e ancora prima di quel bullo del Tupolev Tu-144, un normalissimo Douglas DC-8 (N9604Z) veniva spinto ai propri limiti, strutturali e aerodinamici, per dimostrare quanto il progetto fosse valido e, magari, rubare qualche cliente al suo acerrimo nemico, il Boeing 707. La cosa sburona è che il DC-8, e basta guardare anche di sfuggita un Concorde per capirlo, non era stato disegnato per essere supersonico ma, come il calabrone che anche se la scienza dice che non può volare, lui se ne frega e ronza felice lo stesso, il tondeggiante DC-8 riuscì ad andare oltre Mach 1, spavaldo e senza paura, tremando, ondeggiando e scuotendo, ma senza per questo arrendersi mai.

– L’aereo venne preso in prestito alla Canadian Pacific, alla quale venne restituito per tornare al suo lavoro normale –

Ovviamente, per raggiungere un tale risultato, all’aereo servì un aiutino: i suoi quattro Pratt & Whitney JT3-D (stesso propulsore del Boeing 707 e, attenzione, dello strepitoso Boeing B-52) non sono assolutamente progettati per il volo supersonico e l’aereo non è dotato di particolari prese d’aria necessarie a rallentare l’aria prima che raggiunga i primi stadi del compressore (l’aria in ingresso, anche se volate a Mach 2, DEVE essere subsonica o si rischia di sbragare tutto). Per poter quindi raggiungere Mach 1, il Douglas DC-8 venne lanciato in picchiata, partendo da una quota di 52.000 piedi (ca. 15 km, un record per un aereo civile di quel tipo) raggiungendo e superando la velocità del suono alla quota di 45.000 piedi, mantenendo poi Mach 1,01 (660 miglia orarie a quella quota) per circa 16 secondi. Una volta ottenuto questo risultato, l’aereo venne riportato in volo livellato, anche se, come racconta lo stesso Richard Edwards, ingegnere di volo per quello storico test, la manovra fu un po’ spaventosa. Quando il pilota – William Magruder – tirò il volantino a sé per sollevare il muso dell’aeroplano, l’elevatore risultò del tutto inefficace. A questo punto – pelo sullo stomaco +1 – Magruder, con tutta la calma del mondo, disse “bene, utilizzerò lo stabilizzatore”, ovvero decidendo di sfruttare la possibilità di modificare l’incidenza dei piani di coda.

Immagini per chiarire meglio

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Bene, con l’aereo in picchiata a tutto gas e con la cloche tirata indietro, il carico sugli stabilizzatori era troppo, e il motore che aziona la vite senza fine non aveva abbastanza forza per vincere questo sovraccarico. Magruder – pelo sullo stomaco +2 – fece quello che è richiesto ad un pilota collaudatore, ragionare fuori dagli schemi e riportare aereo e pellaccia a casa: mollò la cloche, lasciando l’aereo libero e alleggerendo il carico sugli stabilizzatori. In questo modo, regolando l’angolo di incidenza dei piani di coda, alla quota di 35mila piedi, Magruder recuperò il DC-8, riportandolo in volo livellato e chiudendo così quella storica impresa. Ci vollero quasi altri 10 anni perché un aereo civile raggiungesse quella velocità e la Boeing, forse per non essere seconda a nessuno, con il suo 707 non ci provò nemmeno.

Volo supersonico si, volo supersonico no.

Bene, ora parliamo un po’ di fi… sica (speravate eh?): andare oltre la barriera del suono non è solo una questione di dargli gas all’infinito e tac, all’improvviso superi i 1.224 km/h a livello del mare. No, superare la barriera del suono coinvolge alcuni – spesso complicati – fenomeni fisici e aerodinamici che possono, senza mezzi termini, mandare in pezzi un aeroplano non progettato appositamente per volare oltre una certa velocità.

Partiamo da un concetto relativamente semplice: quando camminate o andate in auto, davanti a voi le particelle di aria si spostano per farvi spazio. Bene, queste particelle, scansandovi, vanno a collidere con quelle che hanno vicino, dando così vita ad un’onda che si propaga nello spazio. È quello che fanno le corde vocali o le corde di una chitarra: vibrano, spostando le particelle di aria attorno a loro le quali a loro volta danno vita ad un’onda sonora che chiamiamo rumore o, se la chitarra ce l’ha in mano uno buono, musica.

Ovviamente, per una mera questione fisica, le particelle di aria richiedono un certo tempo per spostarsi e trasmettere a quelle vicine il loro movimento. Ma mano che accelerate, vi avvicinate ad un limite oltre il quale, attenzione, vi muovete più velocemente di quanto le particelle d’aria possano trasmettere l’una all’altra il loro movimento. Superando questo limite fisico, superate la velocità del suono (ovvero la velocità alla quale un’onda si propaga in quel dato fluido), creando non più un’onda sonora ma un’onda d’urto il cui rumore è il classico boom sonico che udiamo quando un pilota ci passa sopra a tutta manetta. Il discorso è molto complesso ma, in soldoni, la faccenda è questa.

Quindi, quando un aereo si avvicina al regime transonico  – da circa Mach 0,7/0,8, anche se questo valore dipende dalla forma dell’aereo – sulle sue superfici si generano fenomeni molto particolari ed estremamente complessi, causati da numerosi fattori. A queste velocità intermedie infatti può capitare che nelle varie regioni dell’ala e delle superfici di controllo l’aria abbia velocità diverse (a volte contemporaneamente subsoniche in un punto e supersoniche in un altro) dando quindi vita a forti scuotimenti e difficoltà di controllo di dette superfici.

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Nel corso della Seconda guerra mondiale molti piloti hanno cercato, lanciando in picchiata gli aerei più potenti dell’epoca e mettendo in mostra una buona dose di voglia di non tornare a casa, di superare la velocità del suono, quasi sempre finendo in un buco per terra.  Fu proprio l’impossibilità riscontrata dai piloti di quell’epoca a superare Mach 1 che diede vita al famigerato “muro del suono” contro il quale si schiantarono in malo modo le speranze di molti che ci provarono, senza nemmeno capire il motivo per cui il loro aereo andava in pezzi o diventava ingovernabile man mano che la velocità aumentava. Spingere in regime transonico un aereo dotato di superfici aerodinamiche palesemente subsoniche porta infatti a fenomeni aerodinamici incontrollabili e devastanti, su tutti il temibile effetto di inversione dei comandi (te tiri la cloche per cabrare e l’aereo, in tutta risposta, picchia di più) o fastidiosi scuotimenti e violente vibrazioni che possono avere effetti molto gravi sulla struttura dell’aereo. Ecco perché, per raggiungere Mach 1 con una certa tranquillità, fu necessario il Bell X-1 a razzo – guardatelo, sembra una freccetta, le ali sono due fogli  di alluminio – che nel 1947 riusciva a volare serenamente più veloce del suono con a bordo un pilota, Chuck Yeager, che la sera prima si era rotto due costole andando a pelush. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.

Ehi ehi, vè che belli i nostri nuovi stickers, non garantiamo prestazioni supersoniche, ma tanto stile quelli sì!

Articolo del 13 Luglio 2020 / a cura di Il direttore

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  • enrico

    sei un grande sempre storie interessantissime.
    grazie

  • Maurizio

    Una domanda tecnica perché adesso s vuole tornare a fare un nuovo concorde che voli a mach 2.2 non si potrebbe per esempio stare a mach 1.5/1.6 o commercialmente non conviene?

    • Marco olddog

      Ciao, anche in un aereo supersonico serve trovare un compromesso tra la parte tecnica e l’appeal commerciale. Aumentare la velocità richiede motori più potenti, costosi, assetati di carburante, il che riduce l’autonomia commerciale. Più l’aereo percorre lunghe tratte, più il risparmio di tempo attrae i clienti, ma se l’autonomia limita l’aereo hai meno appeal, altrettanto se riduci la sua velocità. Dove metti la bilancia cambia il costo del biglietto, che se è troppo alto vanifica l’appeal del volo. Semplice? No, per quello che aerei tecnicamente validi sono finiti alla demolizione.

  • Pierluigi

    Articolo interessante e ben scritto, come sempre

  • alberto

    la “supersonicità” spiegata facile…complimenti davvero!

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