– Oh tu polemico lettore: fattela una risata anche se Whitman è nato nel 1819 –
Walt Whitman che canta se stesso in un inno alla vita, espandendosi da coscienza individuale ad universale cosmico. Whitman completamente fatto, che salta sui tetti di Amsterdam urlando passaggi del suo “Foglie d’erba” e citando a gran voce l’amico Donkervoort:
“E risuona il mio barbarico JOOP sui tetti del mondo!“.
Non JAWP, ma proprio “Joop”. Come Joop Donkervoort. Se non fosse che Whitman era americano, è nato nel 1819 e non aveva quasi idea di che cosa fosse un’automobile e proprio nessuna di chi fosse questo Donker-cosa?. Altrimenti tutto tornerebbe: il poeta che si fa un giro ad Amsterdam, compra del fumo, tira dentro nel suo delirio Donkervoort e insieme decidono di costruire l’alternativa olandese alla Lotus Seven.
Perché han voglia di libertà.
Han voglia di GUIDARE. E ci sono passaggi di quel Foglie d’erba che anch’io griderei a gran voce al volante di una Donkervoort…
– O Capitano, mio Capitano… fammi guidare come si deve –
Comunque ho idea che quei due salti sui tetti di Amsterdam se li sia fatti il buon Joop Donkervoort. Voglio dire, da zero hai tirato su un’azienda che ha venduto 1500 automobili pensate unicamente per guidare. Non ti viene voglia di ballare? Di far risuonare il tuo barbarico jawp?
La sede della Donkervoort è a un tiro di schioppo dalla capitale dei Paesi Bassi. Ci arrivi in meno di un’ora di auto. Se poi guidi una Donkervoort, molto meno. Specie l’ultima: si chiama F22 ed è la più recente delle Donkervoort. Dispone di 500 cv gentilmente forniti dal suo 5 cilindri Audi e celebra il passaggio di consegne dell’azienda da papà Joop al figlio Denis. Ma ve ne parlo dopo, andiamo con ordine.
La Donkervoort dovrebbe essere inclusa fra i simboli fondamentali di questo curioso paese, descritto come uno dei più accoglienti del mondo ma stretto in un angolo dall’insipido Belgio e dalla fredda e determinata Germania e – automobilisticamente parlando – senza nemmeno la consolazione di poter abbracciare l’Inghilterra, perché di mezzo ci sono il mar del Nord e la Manica. Doveva sentirsi un po’ così il giovane Joop: ingabbiato dalla legislazione con una voglia così di guidare una Lotus Seven. Ma finì per diventare importatore ufficiale per il suo Paese, salvo poi scoprire che quelle auto, in Europa, non erano omologate… ma andiamo con ordine.
A 11 anni ho avuto l’opportunità di andare a vedere la F1 a Zandvoort. Andammo con la Porsche 356 di un amico di mio padre: è stata un’esperienza incredibile. All’epoca, una Porsche era rara e l’amico di mio padre era uno che guidava. Ho visto la strada più attraverso i finestrini che attraverso il parabrezza. Così, quando siamo arrivati a Zandvoort, ero già nel mood… Le auto da F1 erano ricoverate in alcuni garage del paese e poi venivano guidate su strada pubblica fino al circuito. Le ho viste percorrere le strade facendo un suono incredibile, un rumore assordante. Mi hanno profondamente colpito. Non lo dimenticherò mai.
Avete presente quando state disperatamente cercando parcheggio e quello che sembrava, finalmente, uno stallo libero si rivela invece occupato da una cazzo di Smart? Ecco, pare che, nel caso di Joop, quella Smart fosse una Lotus Seven. Ma, giustamente, invece di reagire come nel caso di una Smart – inveendo contro Mercedes che l’ha inventata, il tizio che l’ha comprata e decorando il tutto con eleganti epiteti che partoriamo solo quando siamo alla guida – sembra che il giovane Joop abbia goduto dell’equivalente di un soffocone notevole stimolo in zona inguinale e da allora abbia stabilito che doveva assolutamente averne una.
A sedici anni iniziavo ad essere grande, ma non ero ancora molto maturo. I miei mi mandarono all’estero per formarmi, imparare una lingua e una cultura; andai ad una scuola estiva di Brighton, in Inghilterra. C’erano tanti studenti di tanti paesi diversi. Mi invitarono ad uscire e per fu lì che conobbi la Beat Music.
Mi successe la stessa cosa che accadde con la F1. C’erano gli Stones, c’erano i Kings. Ricordo bene che andai a un concerto dei Beatles, a Londra, ma non c’erano biglietti e rimanemmo sulla strada, a sentire le urla degli spettatori. A quell’epoca, in Inghilterra, c’era la rivoluzione. Una rivoluzione della cultura, iniziata già dopo la guerra. Se prima erano tutti inquadrati, negli anni ’60 c’era desiderio di libertà. Quindi nella moda. E, ovviamente, anche nel mondo dell’automobile.
Non sarà stato difficile, in quanto ricco figlio del direttore di una importante azienda. Ma a lui non bastava chiedere i soldi a papà e comprarsi il giocattolo; lui voleva la sua Lotus Seven. E non è uno che parla a vanvera: ha studiato ingegneria, commercio, ha lavorato da Renault in Francia e, di ritorno nel suo Paese, presso un’azienda produttrice di cinture di sicurezza che gli ha garantito conoscenze importanti.
– La Lotus Seven prima serie. Quando deve correre diventa strabica –
Nel frattempo, la Lotus Seven diventa Caterham Seven (1973). Dopo anni di studi sull’argomento, Joop è pronto per stressare il commerciale di Caterham con le sue richieste, perché è convinto che determinati aspetti del progetto possano essere migliorati. Compra un kit proponendo determinate modifiche, ma non viene ascoltato. Ne compra un secondo, sperando di attirare l’attenzione ed essere considerato un cliente importante, ma non cambia nulla. Nel frattempo, l’importatore olandese dà forfait. È il momento: Donkervoort coglie la palla al balzo e, nel 1978, diventa lui stesso l’importatore ufficiale.
Nemmeno il tempo di festeggiare che viene fuori che il precedente titolare importava kit non omologati e, quindi, illegali. In Olanda, infatti, le Caterham non rispettavano determinate caratteristiche tecniche previste dalle normative, vedi la larghezza dei sedili pari ad almeno 55 cm (40 per le Seven), nonché la collocazione del serbatoio della benzina, che, secondo gli olandesi, avrebbe trasformato la vettura in una palla di fuoco al minimo tamponamento. Ma anche i freni, l’impianto di scarico… diciamo che la Seven, secondo i canoni olandesi/europei, non s’aveva da fare praticamente in ogni aspetto.
A questo punto, Joop è veramente nella cacca. Che si fa? Buttiamo via tempo e (tanto) denaro e abbandoniamo l’impresa? Possibile che non vi sia soluzione? Donkervoort si rivolge direttamente ad Arch, il produttore dei telai Caterham, per ottenere le modifiche indispensabili, che inizialmente sembra deciso a dargli una mano, ma poi si tira indietro, probabilmente nel timore di perdere la collaborazione con Caterham. Al che, Joop taglia la testa al toro e propone loro di realizzare un telaio del tutto nuovo, basato sull’esistente ma dalle caratteristiche ideali per Donkervoort. E… JAWP! Donkervoort ottiene l’omologazione.
– Joop, la moglie e la neonata S7, 1978 –
La prima automobile di Donkervoort si chiama – aiuto – S7 (un po’ troppo vicino a “Super Seven”…), monta motore Ford di 1.6 litri (successivamente 2 litri), ha 100-120 cv ed è molto, troppo simile alla Caterham, anche considerato che viene venduta in kit. Forse Joop ha voluto così per sfruttare l’indiretta pubblicità del noto costruttore inglese, ma ha rischiato di perdere una causa con la stessa Caterham, che a un certo punto l’ha citato in giudizio per plagio. Tuttavia, non è l’unico: negli anni successivi, anche Westfield, VM e Martin producono la loro idea di Seven e ne escono tutti indenni, lui compreso.
– Donkervoort S8 –
Gli ordini arrivano e ben presto anche il secondo modello, la S8, seguita dalla S8A (“A” di “Amber” la figlia primogenita di Joop) e molto presto dalla S8AT dotata di turbo, che porta la S8 da quota 115 a 160-170 cv. Dalla piccola fabbrica artigianale di Tienhoven escono un totale di 140 esemplari fra S7 ed S8S.
– Donkervoort S8A –
“Artigianale” nel vero senso del termine. L’economia di Donkervoort, come la maggior parte delle neonate attività, è ancora limitata e anche l’organizzazione lascia a desiderare. Ad esempio, quando arriva il momento di acquistare una macchina piegatrice per l’alluminio, si scopre che l’enorme macchinario non passa dalle porte della fabbrica. Joop la lascia all’esterno mentre decide sul da farsi e, la mattina dopo, scopre che ora è dell’altezza giusta. Magia? No, fisica: l’aggeggio da sei tonnellate è sprofondato nel terreno e verrà utilizzato solo sei anni dopo, quando l’azienda si trasferirà alla nuova sede di Loosdrecht…
– Donkervoort D10 –
Laggiù, nel 1983, le cose vanno abbastanza bene da giustificare un nuovo e più grande impianto: le S8A e S8AT nascono qui e hanno un telaio tutto nuovo, sospensioni migliori ed iniezione elettronica. Nel 1988, decimo anniversario di Donkervoort, si festeggia con la D10 da 190 cv, rarissima, solo 10 esemplari e con lei scompare ogni riferimento al nome “Seven”, ma resta la filosofia, che, anzi, viene esasperata: niente parabrezza e casco rosso in tinta con la carrozzeria.
– Donkervoort D8 –
Nel 1992 arriva il Ford Zetec, che però non ci sta sul telaio della S8A(T) e quindi è necessario svilupparne uno nuovo per la successiva D8 Zetec che, nel 1994, festeggia l’arrivo della sorella D8 Zetec Sport, dotata di vari componenti in carbonio e parafanghi dallo stile meno classico che abbracciano le ruote. Nel 1995, Donkervoort approfitta subito del nuovo motore sviluppato da Ford in collaborazione con una certa Cosworth e arrivano quindi anche D8 Cosworth e Cosworth Sport capaci di fiondarsi con uno scatto da 0 a 100 km/h in 4″ fino alla velocità massima di 235 km/h (e su un attrezzo del genere è TANTO).
Ma nel 1999, a causa di problemi con Ford, Donkervoort deve cercarsi un nuovo fornitore. Gli interessati non sono pochi, ma Joop allaccia una relazione che dura ancora oggi e che si sposa alla perfezione con la filosofia delle sue automobili, perfino nella “voce”: Audi. E’ un legame che va oltre la fornitura di motori, che comincia con il 1.8 della TT (e di tanti altri modelli VAG) disponibile in varie potenze e che si sposa con la sacrosanta fissazione di Donkervoort di produrre automobili leggere e compatte.
– Donkervoort D20 –
All’inizio degli anni 2000, Donkervoort inizia a costruire da sé i suoi telai e tenta un primo colpo con la D20, con motore longitudinale, transaxle, un telaio molto più rigido e nuove sospensioni, ma, proprio in vista del debutto, la D20 deve abbandonare la scena a causa delle nuove normative.
Ma niente paura: la D8, la prima creatura giunta in commercio con un motore Audi, eredita tutto il know-how ricavato dallo sviluppo della D20. Il suo successo spinge Donkervoort a cercarsi, di nuovo, una sede più ampia, che trova nell’attuale Lelystad: qui nascono 100 esemplari l’anno.
– D8 Wide Track –
Nel 2004 nasce la D8 Wide Track, con una carreggiata più ampia, nuovo disegno del muso e nuovi fari, caratteristiche che erediteranno anche i modelli successivi. La D8 270 RS del 2006 sfoggia l’eredità della vettura che fece il record per le vetture di serie al Nordschleife quell’anno, 270 cv e un design ulteriormente aggiornato. Nel 2007 arriva la D8 GT, che porta con sé uno stile tutto nuovo, fighissimo e, per di più, con carrozzeria coupé, che aumenta di parecchio la versatilità.
– D8 270 RS –
Nel 2011, erede della D8 GT, la pazzesca D8 GTO. Sotto il cofano, il meraviglioso, nonché Engine of the Year per più di una volta, 5 cilindri Audi, il TFSI di 2.5 litri da 340 cv delle varie RS3 e TT RS (che sound, gente!). Che Donkervoort ripensa per farlo ancora più leggero.
– D8 GTO –
Date un’occhiata al video qui sotto e ai successivi, Donkervoort vi mostra come è fatta la GTO:
– Il 2.5 TFSI, rivisto e corretto da Donkervoort, nel vano della D8 GTO –
Nel 2016, il ritorno della sigla RS con la D8 GTO RS, dotata di componenti in carbonio sviluppati in-house. Infine, giusto lo scorso anno, la GTO definitiva: si chiama D8 GTO-JD70 ed è un mostro con il 2.5 Audi portato a 415 cv che deve spostare 680 kg (una Lotus Exige con motore V6 arriva a 430 cv, ma pesa 1050 kg), grazie anche e soprattutto ad una carrozzeria quasi completamente fatta di carbonio. Non sorprende che copra lo 0-100 km/h in 2.7″ e lo 0-200 in nemmeno 8″… Ah, occhio al collo perché fa 2G di accelerazione laterale…
– La D8 GTO RS… Sbav. –
In un mondo che va verso auto sempre più potenti ma anche molto più pesanti, questa sportiva è una specie di miracolo. Certo si fa pagare ed è esclusivissima: ne hanno fatte solo 70, per festeggiare il compleanno del fondatore, a un prezzo di 200.000 euro circa. Non proprio bruscolini, anche se questa ammazza parecchie concorrenti apparentemente più veloci con i loro V8, V10 e V12.
D’altronde, le Donkervoort non sono giocattolini costruiti con sputo e spago: sono assemblate a mano e affidabili e le testano direttamente su un circuito privato. I prezzi “da Ferrari” derivano dal fatto che per poter costruire certe automobili bisogna accettare il compromesso di produrne pochi, che è poi ciò che ha ucciso anche le più famose Lotus Elise ed Exige. Donkervoort rientra nella European Community Small Series Type Approval (ECSSTA), che consente al costruttore di vendere non più di 1500 esemplari dello stesso modello. Donkervoort produce 50 D8 GTO all’anno; un grande costruttore come Volkswagen venderà quel numero di auto in un quarto d’ora…
Al contrario di ciò che hanno fatto Caterham e gli altri piccoli costruttori che l’hanno “copiata” e a dispetto dell’impostazione classica da “sfilatino”, con lungo cofano e abitacolo praticamente sulle ruote posteriori, Joop ha sempre cercato un approccio diverso. Dice chiaramente che lui non punta tanto al trackday, ma al godimento di una vettura fatta per guidare davvero anche sulle lunghe distanze, che abbia spazio per i bagagli e che sia controllabile in ogni situazione (“il traction control non serve quando guidi, ma se sei in autostrada e inizia a piovere, averlo non è male”).
Giunto all’età di 71 anni, 43 al comando della sua azienda, Joop lascia la creatura in mano al figlio Denis. Che già ci delizia con l’erede della D8: presentata pochi giorni fa, si chiama F22 (la “F” è l’iniziale del nome di sua figlia) e, pur mantenendo lo stile tipico delle D8, è un po’ più grande e alta (per questioni di omologazione), il che si traduce in +55 kg di peso rispetto alla precedente, ma, signori, trovateci una alternativa sul mercato in grado di reggere il confronto: 750 kg per 500 cv, cioè 676 cv/tonnellata, cioè 0-100 in 2.5″, 0-200 in 7.5″.
Sotto al cofano c’è sempre il 5 cilindri Audi sovralimentato, ma stavolta accoppiato a un cambio a cinque rapporti TKX (al posto del 6 rapporti perché pesa meno (-12 kg)). Il nuovo differenziale autobloccante non richiede più un raffreddamento apposito, è più robusto e silenzioso e le sospensioni sono TracTive regolabili dall’abitacolo. Di questa ne faranno 75, a un prezzo di 245.000 euro.
Mentre papà Joop che farà adesso? Se ne andrà in barca alle Maldive? Macché: “Aziende e startup mi hanno chiesto spesso consiglio e mi sarebbe sempre piaciuto aiutare, ma non ho mai avuto tempo, ero sempre concentrato solo su Donkervoort. Ora ho più spazio per progetti esterni” spiega. Speriamo che contribuisca a rendere il futuro meno triste, automobilisticamente parlando. Di sicuro, non ha mai perso la fede: “Mi ha sempre interessato l’aspetto tecnico, ma non è mai stata la principale motivazione. La tecnologia ha uno scopo. Importante, certo, ma deve essere un metodo per creare emozioni. Non il contrario. Ciò che conta è l’esperienza, il piacere, l’emozione“.
– La D8 GTO JD-70, regalino per i 70 anni di Joop –
Uno dei miei marchi preferiti era Lotus. Correva in F1. Ma mi piaceva Colin Chapman, uno che con le sue forze ha battuto i grandi concorrenti. E mi piaceva la Lotus Seven, perché era un’auto con lo stile degli anni ’30 ma estremamente veloce. Era lo stile dei roaring 60’s secondo Colin Chapman. Dovevo costruirne una così anch’io…
Solo una parola al Sig. Doonkervoort: GRAZIE
E queste, signori, sono vere macchine sportive! Tanto di cappello.
Mi piacciono perché sono auto fatte per il piacere di guidarle e goderne davvero le sensazioni, non per accaparrarsi uno status symbol. Una Donkervoort non è certo a buon mercato ma filosoficamente è l’opposto di quelle supercar da esibizione che si comprano a milioni di euro solo per il prestigio che dà poterne esibire una in garage a far bella mostra di sé da ferma. Ed anche all’opposto di quel nuovo suv con un favoloso V12 da 725 cv andato a ruba per 400mila+ euro, molto scenografico (benché suo malgrado caricaturale nelle proporzioni) ma pesantissimo a causa della quantità di diavolerie tecnologiche escogitate per dissimulare gli effetti del baricentro alto e… del peso eccessivo! È ciò che succede quando da produttore di auto sportive si diventa prevalentemente un brand del lusso.
Abbiamo perso Lotus (l’iconico marchio ormai viene appiccicato su pesanti suv elettrici… bleah!) ma per fortuna resiste qualche costruttore che riesce ancora a fare roba seria.