Vedi la salita davanti a te, piena di sassi, infangata, ripida ad un livello assurdo. Non ce la può fare, è impossibile. E invece colcazzo. Inserisci il riduttore, giù gas, il motore sale di giri in maniera vergognosa e sbram, le gomme grippano il terreno, la trazione è inarrestabile e la macchina, come se gli ostacoli fossero caccole appoggiate in terra, va oltre. Oltre ogni immaginazione, inarrestabile, indistruttibile.
È assurdo cosa possono fare ste macchine, mi sono sempre tenuto alla larga dal fuoristrada, grave errore, questi ferri sono semplicemente e-s-a-g-e-r-a-t-i, la loro capacità di piegare l’ambiente alla loro devastante forza è da inguine languido.
Regaz ho scoperto il fuoristrada, devastante!
Ma facciamo un passo – nel fango – indietro.
Fino a qualche mese fa non avevo mai considerato il mondo del fuoristrada. Tutto è cambiato quando sono stato a fare il fotografo all’ultimo Jeep Camp (quello di San Martino di Castrozza), in occasione del quale ho avuto modo di entrare, anche solo per qualche giorno, in un mondo folle, fatto di cavalli selvaggi, di macchine dalla potenza inaudita e, più che altro, di veri e propri mostri di acciaio, cristo, quelle Jeep sono indistruttibili e, più che altro, vanno veramente OVUNQUE, robe che se non lo vedi non ci credi, sembrano capaci di spostare l’asse terrestre. Regaz, in quei giorni ho visto un mondo assurdo, fatto di scarichi vergognosamente spalancati, motori swappati, turbine da camion, assetti e cerchi esasperati, blocchi differenziali e gomme con dei tasselli grossi così, roba che se uno è un minimo appassionato di motori, auto e meccanica ci rimane sotto.
Ovviamente, tornato dal Jeep Camp, mi sono ritrovato con una scimmia incredibile sulle spalle e con la voglia matta di comprare una vecchia Jeep CJ3 (o anche 5), un ferro del genere nel mio garage lo vedrei proprio bene, dopo ci manca solo Daisy Duke, bella passerona.
Peccato che un ferro del genere, oltre a costare cifre improbabili, roba da ricchi, è più un oggetto da collezione da tenere con i guantini piuttosto che un ferro da maltrattare a botte di verricello. O almeno, io che sono povero comelammerd farei così, non riuscire a maltrattare un pezzo di storia su ruote del genere. Molto meglio quindi qualcosa di più economico ed accessibile, qualcosa che, magari, si può tenere assieme a fascette e bestemmie, qualcosa… tipo così:
IL SUZUKI SAMURAI!
Esatto ragaz, il Suzuki Samurai, nonno del moderno e nevogliouno Jimny è la risposta definitiva a chiunque si voglia affacciare al mondo del fuoristrada (quello vero eh, non quello da bar, per quello va benissimo un suv). Introdotto nel 1989, il Samurai con il tempo è diventato un vero oggetto del desiderio, una macchina-simbolo al punto che Suzuki, con il nuovo Jimny, ne ha ripreso le forme e, a giudicare dalle liste di attesa per averne uno, ha fatto bene (liste di attesa chiuse, mi dicono dalla regia che a causa delle emissioni il Jimny non è più omologabile in Europa). Un po’ come la Mazda MX-5, il successo del Suzuki Samurai è nascosto in tutto quello che non c’è: la semplicità premia quasi sempre, e questa macchina ne è la dimostrazione: prima di tutto perché quello che non c’è non può rompersi e, grazie a dimensioni e peso ridicoli, questa macchina riesce a spremere da un ridicolo mille-e-tre da 64 cv un atteggiamento e una capacità in fuoristrada che molte altre macchine, più grosse e pesanti, si scordano.
Dall’esperienza del Jeep Camp, quando vidi delle Jeep venire su da quei dirupi come se robette tipo gravità, attrito, massa, peso e buonsenso non esistessero, la mia curiosità verso i fuoristrada è aumentata, al punto da farmi accettare di buon grado l’idea di togliermi le Vans per infilarmi le scomode Timberland e passare così un pomeriggio intero a scorrazzare per i boschi dell’Appennino bolognese.
Vista da vicino, alta sulle tassellate e con i passaruota allargati, questa Samurai spacca i culi, un po’ trasandata a pronta a infangarsi senza alcun timore, è piccola e cattiva. Pensate che l’attuale proprietario, un regaz molto più giovane di me che ha scelto questo piccolo Samurai come prima auto (evidentemente di trombare in macchina qui non se ne parla), ha comprato il ferro dal prete del paese che la usava per andare a caccia (!) e ci ha speso sopra i pochi soldi rimasti per trasformarla nel piccolo bolide che vedete nelle foto.
Così era quando è stata comprata:
Ed è rimasto anche il rosario nel portaoggetti, pensa te quel prete con che ferro girava!
Pochi soldi per portare a casa un assetto rialzato di 5 cm della Raptor a cui sono stati aggiunti dei finecorsa ottenuti ritagliando un tagliere da cucina (!!), utili per limitare l’escursione di un lato del ponte quando l’altro lato va in compressione: in questo modo quando un lato va tutto in compressione, il ponte tocca il finecorsa in modo da non mandare a fine corsa l’altro ammortizzatore che è in estensione. Per farvi capire la razza di approccio che richiedono queste auto – motivo in più per amarle – vi ripeto che questi spessori sono ritagliati da un tagliere da cucina, vi metto anche una foto qui sotto che poi non ci credete.
Fatto l’acquisto dell’assetto (meno di 600 euro, montato in garage a cucci e bestemmie), è stato il momento delle gomme 235/75 R15 su cerchi Tyrex da 15″ (canale 7 et-20), circondati da dei grintosi parafanghi allargati di 10 cm imbullonati direttamente sulla carrozzeria. Completa il quadro un piccolo Volante OMP, una coppia di sedili FK, una barra a LED anteriore anticinghiale, un faro da lavoro LED posteriore e un CB Midland Mini con antenna sigma, ideale per comunicare con i propri amici, chiamare eventuali soccorsi o, semplicemente, molestare i radioamatori che ancora girano per l’Appennino non consapevoli che la guerra fredda è finita da un pezzo.
Insomma, se fosse una Civic sarebbe messa giù da trackday, è una Samurai e quindi è messa giù da fuoritrackday o giù di lì.
È bastato questo e qualche punto di saldatura per recuperare della ruggine nascente per trasformare la macchina del prete in un fuoristrada inarrestabile. Abbiamo fatto un giro piuttosto lungo, circa 2 ore, dopo una notte di pioggia assieme ad un regaz con un Nissan Patrol tr (un 3.3 turbo diesel, ma… aspetta… da dietro le quinte mi dicono che i contrabbandieri di sigarette in Puglia usavano Patrol come questo… corazzati e elaborati, ah bene.) e non c’è stato modo di rallentare il piccolo Samurai anzi, ha fatto molta meno fatica questa rispetto al grosso e pesante Patrol, bisogna solo stare attenti a non fare troppo i coglioni perché il passo corto è tanto comodo da un lato, ma può rivelarsi un infame su salite troppo ripide: le storie di gente che con il Samurai si è ribaltata all’indietro si sprecano. Siamo andati praticamente ovunque senza alcuna paura.
Poi mi fa morire un dettaglio: la piccola Suzuki ha i silent block in gomma del riduttore che sono “sacrificali”, sono fatti appositamente per rompersi loro piuttosto che gli attacchi di metallo del telaio o del riduttore e, pur di tenerne qualcuno nel cruscotto, li si può cambiare anche sul campo con giusto qualche canchero e un paio di chiavi, che figata!
ATTENZIONE: non fatevi venire la strana idea di togliere i silent block e di mettere, che ne so, un bullone passante… il carter del riduttore non è fatto per reggere lo sforzo e poi succede questo.
Per il resto la macchina da veramente l’idea di essere inarrestabile: l’ho anche guidata e l’impressione è che lei possa andare molto più in la di quanto la tua testa ti faccia credere possibile. Potrei parlare del volante, senza servosterzo e duro come la morte, specie con la trazione inserita, del cambio, rapido, preciso e sensibile o anche dell’acceleratore, piacevolmente contrastato e diretto ma la verità è che queste macchine, per essere capite, vanno provate. Qui si entra in un nuovo mondo nel quale l’auto è solo parte di un’esperienza di vita diversa, più spartana, più rude, nella quale non si ha paura di sporcarsi di fango o di olio, nella quale la macchina è veramente un giocattolo, una specie di Gig Nikko in scala 1:1. Una macchina grazie alla quale ritrovare anche una dimensione andata perduta, fatta di serate chiusi in garage con gli amici a smanettare il più possibili, ad abusare di fascette e di fil di ferro a tutto gas, mangiando pizze appoggiate sul motore, tutti assieme, divertendosi alla vecchia maniera, carburatore in una mano e chiave del 10 in un altra e paura di sporcarsi… mai!
Grazie a Francesco ho passato una giornata diversa, non solo in giro per boschi, ma ritrovando uno spirito e un approccio che non vivevo dal 2004, quando con gli amici passavamo i pomeriggi in garage a limare i travasi anche al Gratì di mamma. Siete dei grandi regaz, duri, puri e tanto gas, mi avete fatto venire una gran voglia di Samurai, tanto amici ambientalisti non ne ho!
Attenzione, nessuna alce o renna è stata maltrattata per questo articolo.
Disclaimer: Questo prova è stata realizzata prima dell’entrata in vigore del dpcm 11/3/2020, #stayparcheggiato
Concordo con te!
Io ho un samurai 1900 diesel aspirato
Mi diverto come un matto !
Sfortunatamente non vivo in aperta campagna e quindi le mie uscite si limitano molto !
Ma quando ho un attimo ci monto sopra anche solo per andare a prendere un caffè sotto casa!
Incredibile ma vero !
Suzuki samurai UNO STILE DI VITA!
io ho un samurai 1300 iniezione, di special ha giusto le gomme furbe, però lo adoro. Su strada normale ho visto la madonna andando a 100 all’ora, e non parliamo dello sterzo che in pratica ha la reazione del timone di un vaporetto del 900. Però una volta che metti le gomme nella fanga allora la musica cambia e tutto ha un senso!
Bel pezzo! avrei solo aggiunto qualche cenno in più alla storia del mezzo, direi che la merita…
Oltre ad essere un’icona da decenni, è una delle -credo- poche derivate keicar venduta (e con che successo!!!) anche in Europa
Magari potreste fare un altro pezzo sul Jimny e recuperare 😉
continuate così!!