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Di Comet, finestrini rettangolari e rotture a fatica

Prima di parlare di cricche, dislocazioni e tau di Nabarro-Peierls, vi invito a salire in sella alla vostra nuovissima Lambretta 125 D e fare un salto all’aeroporto di Ciampino. È una fresca mattinata della primavera del 1952, alla radio suona Vola Colomba di Nilla Pizzi, vincitrice di Sanremo.

Vi affacciate alle vetrate che danno sulla pista, e vedete questo:

Sono i nuovissimi Lockheed Super Constellation della TWA, l’ultimo grido in fatto di aviazione civile. Certo, ci sono anche i Douglas DC-6 a ronzare sopra i cieli italiani da qualche anno mentre il resto, probabilmente, sono DC-3.

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, l’aviazione civile è praticamente monopolio americano. Nessuno in Occidente è riuscito a rimettere abbastanza in piedi la propria industria aeronautica per fare concorrenza allo zio Sam, e mentre noi aspettiamo (da due anni) i quattro Bristol Centaurus da montare sul Breda-Zappata 308, i nostri amici britannici si divertono a svolazzare qua e là sui loro De Havilland Vampire.

Vampiri nei cieli d’Egitto, aprile 1952

Gli inglesi vogliono tornare sul mercato, ma per recuperare il terreno perso devono fare qualcosa di clamoroso.

I Super Constellation che vediamo dalle vetrate di Ciampino viaggiano a poco più di 300 miglia orarie (500 km/h), ma la cifra media da considerare per gli aerei di linea dei primi anni ’50 è di 250 miglia orarie (400 km/h).

Alla De Havilland, dopo diverse pinte di birra e bottiglie di whisky, hanno le idee chiarissime: 500 miglia orarie (800 km/h), pur mantenendo abbastanza autonomia per sorvolare l’atlantico. Si chiamerà Comet.

I motori a pistoni hanno (quasi) raggiunto il limite tecnologico, bisogna usare quelli a reazione. Nel ’48 i Vampire hanno trasvolato l’Atlantico, la tecnologia è abbastanza matura ed affidabile per essere usata in ambito civile.

Problema: a basse quote consumano troppo. Bisogna volare più in alto.

Quanto più in alto?

Sì.

Il Super Constellation vola a poco più di 6.500 metri; il Comet viene progettato per volare a 11.000 metri.

Dopo qualche altra birra, un po’ di lamiera e qualche rivetto, il 27 luglio 1949 il primo De Havilland DH.106 Comet spicca il volo, primo aero di linea con motore a reazione ad entrare in servizio, papà dei moderni aeroplani che vi fanno fare i weekend a Londra e spinto in volo da 4 Rolls-Royce Avon a flusso assiale (stesso motore che, con il postbruciatore ovviamente, poi equipaggerà il Lightning), vanto tecnologico di Sua Maestà grazie agli studi di sir Frank Whittle durante la Seconda guerra mondiale.

NOTA IMPORTANTE: Viste le quote raggiunte, sul Comet venne installato un sistema di pressurizzazione della cabina che per quanto non fosse una novità (ad esempio il compartimento equipaggio del B-29 era pressurizzato), per la prima volta veniva utilizzato su un aereo di queste dimensioni e, per non farci mancare nulla, in questo caso raggiungeva pressioni doppie rispetto a qualsiasi altro impianto di pressurizzazione mai installato prima, sottoponendo così la fusoliera (come vedremo fra poco) a sforzi e stress che ancora non erano del tutto noti.

Il 2 maggio 1952 il primo volo di linea da Londra a Johannesburg.

Il 10 gennaio 1954 siete di nuovo affacciati alle vetrate di Ciampino. Vedete un bellissimo Comet della BOAC rullare e decollare verso Londra: non ci arriverà mai. Esploderà in cielo dopo 20 minuti; viene recuperata parte dell’aereo, vengono individuate 7 possibili cause, vengono effettuate delle ispezioni e delle modifiche, il 23 marzo i Comet tornano in aria. L’8 aprile la tragedia si ripete, questa volta al largo di Napoli.

A terra tutti i Comet: ora bisogna capire davvero cos’è successo.

Viene avviata una delle indagini più difficili e costose della storia dell’aviazione: nasce il “Cohen Committee”.

Il Comet di Ciampino portava matricola G-ALYP, per gli amici “Yoke Peter”.

Quello di Napoli (decollato anche lui da Ciampino) era il G-ALYY, soprannome “Yoke Yoke”.

Churchill manda la Royal Navy a dare supporto, e Yoke Peter viene recuperato al 70%. I rottami sono ricomposti in un hangar della Royal Aircraft Enstablishment (RAE) a Farnborough.

Mentre alcuni giocano con i puzzle, altri giocano con l’acqua.

Sir Arnold Hall, a capo della RAE, decide di indirizzare le prove tecniche verso lo studio della resistenza a fatica della fusoliera del Comet. Perché? Perché le condizioni degli incidenti di Yoke Peter e Yoke Yoke sono simili, entrambi gli aerei avevano effettuato circa 1000 voli (rispettivamente 1290 e 900), eppure tra i due incidenti ci sono state tutte le verifiche e modifiche apportate dopo Yoke Peter, che quindi permettono di eliminare molte variabili.

Nello specifico, dopo Yoke Peter sono state verificate tutte le superfici di controllo (una delle ipotesi era il flutter), tutti i sistemi di attuazione e relativi circuiti idraulici e meccanici, la resistenza a fatica delle ali (al tempo erano l’unica componente notoriamente problematica a fatica), la qualità dei finestrini e possibili difetti, le procedure di carico e scarico dell’aeroplano, le procedure di montaggio dei motori. Il sospetto principale, comunque, erano proprio i motori. Per questo si era deciso di installare delle piastre di acciaio altoresistenziale attorno alle zone che potevano essere colpite da frammenti delle pale delle turbine. Altre precauzioni erano state prese per evitare e limitare i danni da incendio.

Tornando a signor Hall, questi aveva notato che De Havilland aveva già effettuato prove a fatica su ali ed altre parti della struttura, ma mai sulla fusoliera intera. Dunque viene preso in ostaggio Yoke Uncle, un Comet matricola G-ALYU che aveva già effettuato 1230 voli pressurizzati.

La rottura a fatica – tranquilli, il pippone arriva dopo – avviene quando il pezzo è sottoposto ad un carico ciclico: prendete una graffetta, apritela e iniziate a fare su e giù piegandola in un punto preciso. Quando si romperà (e si scalderà facendolo) avrete ottenuto una rottura a fatica.

Torniamo all’aereo: proprio come una graffetta, pressurizzando (andando in quota) e depressurizzando (scendendo) la cabina succede che questa, per quanto possa essere impercettibile, si gonfia e si sgonfia, sottoponendo il metallo e le strutture ad un carico ciclico. Gonfia – sgonfia, gonfia – sgonfia, gonfia e sgonfia di nuovo. Per effettuare gli esperimenti la fusoliera va quindi pressurizzata e depressurizzata un bel po’ di volte. Se si facesse in aria, arrivati al momento critico, la fusoliera esploderebbe e non sarebbe possibile analizzare l’origine della cricca, obbligando inoltre il riconoscimento dei piloti tramite i denti. Per ovvie ragioni si decide quindi di fare i test in acqua, che essendo più o meno incomprimibile, permette di controllare meglio l’evoluzione della rottura.

Serve una vasca enorme:

Per simulare il più fedelmente possibile lo stress nelle condizioni di volo, viene applicato anche un carico (dinamico) sulle ali, controllato tramite martinetti idraulici.

Yoke Uncle, già provato da 1230 voli reali, sopravvive per altri 1830 voli simulati, prima che la fusoliera venga divelta da un’enorme crepa.

Un buon tabacco da pipa non può che aiutare le indagini

La cricca ha origine nell’area dello spigolo del finestrino, più precisamente nell’intaglio di un rivetto in quella zona:

Sempre più sospettosi che la colpa sia della fatica, i nostri amici aguzzano lo sguardo tra i rottami di Yoke Peter, e notano questo:

L’indagine conclude che la fusoliera di Yoke Peter è ceduta sotto l’effetto della fatica, e l’origine della cricca è nella zona della finestra dell’ADF (Automatic Direction Finder), probabilmente allo spigolo di un foro svasato attraverso cui passava un bullone.

Yoke Yoke rimarrà a riposo sui fondali mediterranei, ma data la similitudine delle condizioni, la Corte concluderà che la causa sia la stessa di Yoke Peter: rottura a fatica della fusoliera.

In un successivo studio pubblicato dall’Aeronautical Research Council nel 1962, si riempiono di estensimetri le zone critiche della fusoliera di un Comet (matricola G-ALYR), e viene eseguito un test simile a quello del ’54 effettuato su Yoke Uncle.

L’esperimento ci fornisce dati interessanti:

La De Havilland corresse il tiro e l’aereo venne riprogettato: i finestrini diventarono di forma ovale (e sono ancora lì), cambiò il metodo di rivetttura e, a seguito di molte altre modifiche l’aereo tornò in servizio come Comet 2. Certo la fiducia nei confronti di questo aereo era segnata – aprendo così la strada ai grandi costruttori americani guidati dal Boeing 707 – ma non si può dimenticare che il Comet, problemi di gioventù a parte, fosse un buon aviogetto tanto che un Comet prototipale pilotato da John Cunningham registrò un po’ di record – il primo aereo di linea a reazione in Australia, il primo ad attraversare Atlantico e Pacifico ed a fare il giro in mondo in meno di 53 ore.

Il Comet 4 (con le sue varianti) vide impiego commerciale ed ebbe vita tranquilla, ma ormai il danno era fatto, e nel 1964 la produzione terminò.

Il Comet si rifece una vita nella Royal Air Force, come aereo da pattugliamento marittimo (Hawker Siddeley Nimrod). Venne costruito in una cinquantina di esemplari e rimasto in servizio fino al 2011(!).

Carino il nostro Nimrod

Ma tornando alle cose brutte, l’infida rottura a fatica tornerà a colpire.

28 aprile 1988, avete il Walkman che vi spara a cannone Pour Some Sugar on Me dei Def Leppard (uscita da meno di due settimane), e state viaggiando sul Boeing 737-297 della Aloha Airlines. Ad un tratto un rumore infernale ed un’esplosione.

Le circostanze sono diverse, ma le conclusioni dell’NTSB ci suonano familiari: la fusoliera si è rotta a fatica, e la cricca si è originata allo spigolo dello svaso del foro di un rivetto.

Bene.

*scrocchio tutte e 10 le dita*

Ora vediamo cos’è questa benedetta rottura a fatica.

Si parla di fatica quando il pezzo è sottoposto ad un carico variabile nel tempo, non necessariamente ciclico. La caratteristica di questa modalità di rottura è che avviene ad un carico molto più basso del teorico sforzo di rottura del materiale.

Prendiamo il nostro Comet. Prendiamo la pressione a cui era sottoposta la struttura (ovvero la differenza di pressione tra la cabina e l’atmosfera a 11.000 metri) P=57kPa. La De Havilland aveva dimensionato la fusoliera a 2.5P e l’aveva testata a 2P. Eppure, Yoke Peter è esploso a circa 0.75P, Yoke Yoke a P, Yoke Uncle a 1.3P. Ben al di sotto di 2P.

Nel caso tipico di un perno rotto a fatica, come quello rappresentato sotto, vedete due aree ben distinte: una lucida, apparentemente liscia, ed una opaca e ruvida. Se guardate al microscopio, noterete che quella liscia è completamente deformata, mentre quella ruvida è una classica rottura duttile.

Questo avviene perché una cricca nuclea in superficie, si propaga nel tempo con la variazione del carico, la sezione resistente diminuisce, quella che rimane è sottoposta ad uno sforzo sempre maggiore fino a quando il materiale supera lo sforzo di rottura ed il pezzo salta.

L’area di propagazione della cricca è liscia perché severamente deformata, ed è deformata perché il pezzo – essendo sottoposto ad un carico variabile – continua ad “aprirsi e chiudersi”; le marcature sono linee di riposo, tracce che rimangono quando la sollecitazione è annullata.

Restano due concetti da affrontare per avere un’idea di cosa sia successo al Comet e dove abbiano sbagliato gli ingegneri della De Havilland: le curve di Wöhler e la concentrazione degli sforzi.

Partiamo dal primo. Qualunque pezzo è destinato a rompersi, è l’ineluttabile destino di qualunque pezzo. Quando si sa che qualcosa si dovrà rompere, si stima quanto possa durare e quindi si stima quando tale componente dovrà essere sostituito.

Per dimensionare a fatica, lo strumentopolo magico è il diagramma di Wöhler, che gli inglesi poco filotedeschi chiamano invece “S-N curve”.

Si ottiene interpolando i dati sperimentali di uno specifico materiale:

Diagramma di Wöhler della lega Ti6Al4V. Accontentatevi, non ho trovato quello della D.T.D.546B (a.k.a. AL-P2014A) di cui era fatto il Comet.

Convenzionalmente si distinguono due comportamenti, i materiali che hanno “limite a fatica” (acciai) e quelli che non lo hanno (alluminio):

Il nostro prof di metallurgia c’ha fatto un culo quadro per spiegarci che questa (del limite a fatica) è solo una convenzione nata in tempi in cui le prove venivano fatte a 20Hz e quindi dopo 10 milioni di cicli la gente si rompeva i cogl le prove venivano fermate. Nella realtà, alla (molto) lunga, l’acciaio cede.

I nostri amici alla De Havilland, comunque, sapevano cos’era la fatica, avevano i diagrammi di Wöhler ed avevano stimato la vita della fusoliera superiore a 10.000 voli/10 anni.

Ma quindi? Dov’è che hanno fatto casino?

E qui si apre il magico e terribile mondo della triassialità.

Abbiamo detto che la cricca nuclea da qualche parte. Di solito nuclea in superficie, ed è per questo che i pezzi che devono resistere a fatica hanno un’elevata finitura superficiale (rettifica, lucidatura).

Perché nuclea in superficie? Perché la superficie è irregolare, e le irregolarità accentuano gli sforzi.

Avvengono scorrimenti tra piani cristallografici, che a fine sollecitazione non tornano dov’erano, e questo porta alla formazione intrusioni ed estrusioni, che si accumulano per formare una cricca, che non vede l’ora di propagarsi.

Piano. Cosa sono questi scorrimenti tra piani cristallografici?

Qua si parla di slip: lo slip è uno dei meccanismi della deformazione plastica, per spiegarvelo con l’accetta immaginate di avere un bellissimo reticolo cristallino (i metalli, come ben sapete, hanno una struttura cristallina):

Come dice la nota dell’immagine, un cristallo perfetto (A) subisce uno sforzo di taglio, tutti i legami atomici si “rompono” e si “riformano” un atomo più in là. Avete formato una dislocazione a spigolo tramite il meccanismo dello slip. Avete dovuto impiegare molta energia, in teoria vi è servito uno sforzo di taglio pari a

τ=G/2

ovvero la metà del modulo elastico a taglio.

Ma così sarebbe troppo semplice, non ci sarebbe divertimento. Infatti questa formula non funziona; nella realtà i reticoli hanno già qualche bella dislocazione, come questo:

e come potete intuitivamente notare dalla foto, in questa condizione il movimento richiede molta meno “strada”. Lo sforzo di taglio che vi serve ora, largamente inferiore a quello appena visto, è

Dove τ_NP sta per sforzo di taglio di Nabarro-Peierls, G è il modulo elastico a taglio, ν il coefficiente di Poisson, a la distanza fra piani di scorrimento e b la distanza degli atomi nella direzione di scorrimento.

So che non frega niente a nessuno dello sforzo di taglio di Nabarro-Peierls, ma vi prego fatemi credere che questi 2 anni fuoricorso ad ingegneria siano serviti a qualcosa ora arriviamo velocemente al punto in cui hanno fatto casino i nostri amici della de Havilland.

Nel reticolo cristallino, qualsiasi sforzo può essere ricondotto ad uno sforzo di taglio (sforzo di taglio risolto), facilmente paragonabile alla nostra bellissima τ_NP. Semplicemente, se questo sforzo di taglio risolto supera la τ_NP di quel materiale in quelle condizioni, il materiale subisce una deformazione plastica permanente.

Tra i disegni tecnici, nel buio, negli angoli e negli spigoli, c’è un mostro oscuro, una bestia nera che si aggira. È una condizione di sforzo, spesso indotta dalla geometria del pezzo. Senza tirare in ballo il criterio di Rice & Tracey, vi basti sapere che in un punto fortemente soggetto a sforzo triassiale, lo sforzo di taglio risolto arriva molto in fretta a superare la τ_NP, quindi ad indurre deformazione plastica.

Cioè gli spigoli sono delle puttane e se c’è uno spigolo vivo il pezzo probabilmente si spacca lì. Verstanden?

Torniamo al 1952, torniamo alla porta dell’A.D.F. di Yoke Peter, decollato venti minuti fa da Ciampino. Torniamo a quel maledetto bullone, allo svaso del foro di quel maledetto bullone.

In tutta quell’area, a causa della geometria della porta dell’A.D.F., gli sforzi sono più elevati che nel resto della struttura. Lo spigolo dello svaso del foro del bullone è proprio uno di quei mostri oscuri che favoriscono la triassialità appena citata.

De Havilland aveva stimato che nella zona degli angoli dei finestrini, la fusoliera avrebbe dovuto supportare uno sforzo di 28.000 lb/sq.in (193 MPa). Misurando con degli estensimetri le deformazioni di quella zona su Yoke Uncle, ed estrapolando poi i dati sperimentali, la RAE aveva stimato, nel punto di massimo sforzo, 43.000 lb/sq.in (296 MPa). Lo sforzo a rottura della lega D.T.D.546B era dato per 58.240 lb/sq.in (358 MPa), quindi apparentemente tutto bene, ma il problema è che nelle curve di Wöhler il punto sulla linea dei quasi 300 MPa cade molto prima dei 200 MPa stimati. Qualche bell’ordine di grandezza prima.

Cioè se a 200 MPa regge 100.000 cicli, a 300 MPa ne regge 100.

Analisi FEM degli sforzi su un foro svasato di diversa profondità. Notare come la deformazione (e quindi gli sforzi) si concentrino proprio allo spigolo.

Lo spigolo dello svaso del foro del bullone è una superficie imperfetta (le cricche si fregano le mani), e lì c’è un’elevata concentrazione degli sforzi (triassialità).

Lo sforzo di taglio risolto, in quel punto, supera la τ_NP del materiale, i piani cristallografici si muovono dando vita a “slip lines”, che col cambio di verso dello sforzo si accumulano in “slip bands”…

Fig.(A): slip lines in un provino sottoposto a trazione. Fig.(B) sempre trazione, ma questa volta a verso alternato: le slip lines si accumulano in slip bands

…che crescono e si espandono e si deformano, creando intrusioni ed estrusioni al metallico ritmo dell’enorme struttura che si espande e si contrae, e si torce e si flette, in un tripudio di sforzi e rumori e vibrazioni

fino a quando, finalmente, la fatal cricca prende vita:

La cricca nasce, cresce piano piano, volo dopo volo, pressurizzazione dopo pressurizzazione, lei cammina e nessuno se ne accorge.

Quel 10 gennaio 1954, durante la pressurizzazione della cabina, ecco che lo sforzo torna a far camminare la cricca che lenta, furtiva ma inesorabile, adagio adagio come delle note di pianoforte cresce fino ad una lunghezza critica, oltre la quale la falce della morte squarcia la fusoliera lungo la linea dei finestrini, e di lì tutto si spezza si disintegra s’incendia s’accartoccia e precipita sgraziato in mare.

 I due voli dei Comet considerati in questo articolo sono costati la vita ad un totale di 56 persone. Una storia di errori, una storia di 56 anime disperse tra equazioni figlie di una metallurgia di quasi 80 anni fa, primordiale rispetto a quella di oggi. Un tentativo dell’Uomo di superare sé stesso, un tentativo di fare la cosa che sa fare meglio, il pioniere.

“The pioneer learns the hard way.”

Bibliografia:

– Civil Aircraft Accident, Report of the Court of Inquiry into the Accidents to Comet G-ALYP on 10th January, 1954 and Comet G-ALYY on 8th April, 1954, Her Majesty’s Stationery Office, 1954

– Behaviour of Skin Fatigue Cracks at the Corners of Windows in a Comet I Fuselage, R. J. Atkinson, W. J. Winkworth, G. M. Norris, Her Majesty’s Stationery Office, 1962

– Fatigue Failure of the De Havilland Comet I, P. A. Withey, Engineering Failure Analysis, Vol.4, No.2, pp. 147-154, Elsevier, 1997

– Physical Metallurgy Principles, Fourth Edition, R. Abbaschian, L. Abbaschian, R.E. Reed-Hill, Cengage Learning, 2009

– History De Havilland Comet, YouTube: https://youtu.be/54xd0rWJ2cY?si=d7pHZTsHOCbmxzxI

– Miei appunti di metallurgia, 2019 :3

 

Fotografie:

1. www.meherbabatravels.com

2. Wikipedia, Imperial War Museum

3. www.mediastorehouse.com

4. 5. 6. 8. 9. 10. 11.: Civil Aircraft Accident, Report of the Court of Inquiry into the Accidents to Comet G-ALYP on 10th January, 1954 and Comet G-ALYY on 8th April, 1954, Her Majesty’s Stationery Office, 1954

7. History De Havilland Comet, YouTube: https://youtu.be/54xd0rWJ2cY?si=d7pHZTsHOCbmxzxI

12. 13. 14. 15. 16.: Behaviour of Skin Fatigue Cracks at the Corners of Windows in a Comet I Fuselage, R. J. Atkinson, W. J. Winkworth, G. M. Norris, Her Majesty’s Stationery Office, 1962

17. forum.warthunder.com

18. www.fmkorea.com

19. 24. 25. 27. 28. 29.: Physical Metallurgy Principles, Fourth Edition, R. Abbaschian, L. Abbaschian, R.E. Reed-Hill, Cengage Learning, 2009

20. www.me.iitb.ac.in, Fatigue Failure in Variable Loading, Ramesh Singh.

21. https://www.youtube.com/watch?v=U9GbhHFaTmk&ab_channel=FraazTahir

22. Janeček, Miloš & Novy, Frantisek & Harcuba, Petr & Stráský, Josef & Trško, Libor & Mhaede, Mansour & Wagner, Lothar. (2015). The Very High Cycle Fatigue Behaviour of Ti-6Al-4V Alloy. Acta Physica Polonica A. 128. 497-503.

23. Samatham, Madhukar & Naik, Ramawath & Reddy, Birudala & Kumar, Gyara. (2018). A Study on Improvement of Fatigue Life of materials by Surface Coatings. International Journal of Current Engineering and Technology. 8.

26. Sen Tian, Changyou Li, Weibing Dai, Dawei Jia, Hongzhuang Zhang, Mengtao Xu, Yumeng Yuan, Yuzhuo Liu, Yimin Zhang,
Effect of the countersunk hole depth on tensile-tensile fatigue behavior of riveted specimens of AA2024-T3 alloy, Engineering Failure Analysis, Volume 115, 2020, 104639, ISSN 1350-6307,

30.(copertina). postergroup.com

Articolo del 21 Febbraio 2024 / a cura di Diego Nardelli

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  • Roy

    Una cricca passante del fusello dell’assise (si appurerà mai controllata con ultrasuoni o magnetoscopie) è la causa scatenante dell’ incidente ferroviario di Viareggio. 32 morti e la magistratura che deve fare un nuovo processo per stabilire le pene da comminare.

  • Lucio Tropea

    Sei un poeta. E lo sai. Però ti andava detto lo stesso. Grazie.

  • Marco

    Bravissimo, mi ci sono davvero immerso durante la lettura, grazie.

  • Giuseppe De Chiara

    Articolo affascinante e ben scritto.

  • max

    bellissimo articolo….ma troppo pippone per me !

  • Filippo

    Abito su un’isola dell’Arcipelago Toscano, il primo Comet è caduto nel nostro mare. Nel cimitero del mio paesino ancora è affissa una lapide commemorativa che riporta i nomi di coloro che sono scomparsi nel disastro. Sono contento che abbiate parlato di questo evento e di come sia successo, col solito tatto che dimostrate. Davvero ben fatto. Bravi.

  • Matteo

    Complimenti per l’articolo! Il tema e il caso, messo così, sono sicuramente più sexy che al tempo degli studi… 🙂

  • Stefano Bottaccio

    Stupendo articolo

  • Marco Lazzari

    Articolo STRAORDINARIO.
    Grazie per aver deciso di condividerlo a beneficio di tutti.

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