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Come trattenere fino all’ultimo un SATURN V: le hold-down clamps

SATURN V

Come si fa a trattenere un branco di ex adolescenti degli anni ’90 di fronte a Selen che raccoglie una cosa da terra?

– Cosa non si trova ai mercatini… –

Questi sono problemi per i quali non abbiamo un risposta, ma che ci danno l’opportunità di una Selen gratuita.

Possiamo invece rispondere ad una domanda ben più nerd ricevuta sulle pagine social di ///RS: come si fa a trattenere un razzo in rampa di lancio prima, durante e dopo che le TURBOPOMPE hanno iniziato a succhiare dai serbatoi come se non ci fosse un domani?

Servono meccanismi di ritenuta importanti, capaci di sostenere un picco di sforzo notevole, in gergo: hold-down clamps, da qui la parte del titolo non in italiano.

Partiamo allora proprio da lui, sua maestà il SATURN V (e si sfonda lo shift) del quale abbiamo diffusamente parlato nell’articolo che non potete non avere letto QUI.

Dio, quanto è bello pure lui

Innanzitutto il razzo va tenuto fermo sulla sua piattaforma, partendo dal VAB dove viene assemblato, fino al pad lungo tutto il percorso in groppa al Crawler (ne parliamo qui). Una volta a destinazione possono passare diversi giorni prima del lancio, anche una settimana, e pertanto va ancorato bene. Ricordiamo che in Florida un po’ d’aria ogni tanto la fa e lo stack completo pesa 180 t a secco (quindi è molto leggero al vento in rapporto alle dimensioni).

C’è poi da gestire un rifornimento di carburante criogenico che lo fa passare in poche ore a 2950 t e si arriva finalmente al momento “ignition sequence start“. I cinque F1 là sotto non passano da 0 a 3400 t di spinta totale istantaneamente e va quindi gestita una transizione non banale, possibilmente senza che il tutto faccia la fine del pad della Starship strappato via fino alle fondamenta (se ne parla QUI).

Ora che avete chiaro con cosa abbiamo a che fare, ripartiamo dall’inizio e andiamo per gradi.

Sapete tutti, immagino, che proprio per non disintegrare la piattaforma di lancio, i due pad principali di Cape Kennedy sono dotati di trincee in cemento armato che durante il lancio incanalano fiamme e vibrazioni, è inoltre presente un enorme getto d’acqua per proteggere le strutture dalle devastanti onde sonore e dal calore. Si tratta di un’opera di ingegneria significativa, anche perché, essendo costruiti in una mezza palude, per evitare cedimenti e allagamenti, non hanno scavato verso il basso, ma tutto il pad è invece rialzato rispetto al terreno circostante (tanto c’è il Crawler che fa la salita…).

-Pad 39A in costruzione rialzata rispetto al terreno. Sulla sinistra le rampe del Crawler, al centro la trincea di scarico-

Insomma, tutto sto giro per dire che ovviamente la piattaforma di supporto del SATURN è bucata al centro per fare passare le fiamme. Del resto anche appoggiare 3000 t sulle campane dei motori non sarebbe un’idea astutissima, anche se comunque sono più solide di quel che si immagina, visto che sostengono una piccola frazione della spinta.

DVIDS - Images - Saturn V Vehicle for Apollo 4 at the Launch Complex 39A at the Kennedy Space Center

Nella foto sopra si nota quindi la buca al centro e, se prestate attenzione, anche tre oggetti bianchi che ricordano vagamente un trabucco (sorta di catapulta). In questo momento però ci interessano quei quattro “cosi verdi” disposti al centro di ogni lato a intervalli di 90°. Segue foto di dettaglio.

Sono i “cosi verdi” a SX che fanno tutto il lavoro sporco di sostegno del SATURN e, come tutto quello che c’è lì, sono meccanismi complessi (e costosi, azzardo).

Il compito di questi sostegni non è solo di sostegno verticale, ma “pinzano” letteralmente apposite piastre alla base del I° stadio in modo da tenere il razzo in posizione per contrastare il vento o le vibrazioni iniziali del lancio.

In tutto questo il contributo dato dalla torre laterale, fintanto che connessa, è molto modesto e certamente non strutturale.

Se visti in dettaglio, il concetto è chiarissimo.

Notate il martelletto in alto a sinistra? Ecco, si chiama “hold-down clamp” (lo si trova citato anche come “arm”) e ha il compito di tenere bloccato il SATURN sulla piattaforma fintanto che il tempo è maturo per il rilascio. Il secondo cilindro che si vede sotto il martelletto viene invece inserito in un’apposita fessura del fondo del SATURN.

Nell’immagine sotto il concetto è più chiaro:

-Credits: apollo11space.com-

Il corpo verde è la sezione di SATURN appoggiata sui supporti, mentre quello interno è un meccanismo fatto per aprirsi solamente raggiunte le 700.000 lbs di trazione, 315 t nell’unico sistema di misura degno di questo nome.

Tutto il meccanismo è quindi progettato per dare tempo alle TURBOPOMPE di mettere in pressione gli F1 e consentire a questi ultimi di raggiungere una spinta stabile. Se qualcosa va storto, il computer ha così il tempo di chiudere tutto e abortire il lancio.

Schematic of hold-down arm

launch - What do hold-down clamps... clamp exactly? - Space Exploration Stack Exchange

-Questa è una mia foto fatta a Cape Kennedy, il supporto blu si infila proprio nei buchi che sostenevano il SATURN-

Se gli F1 fanno il loro lavoro (e l’hanno sempre fatto), il meccanismo si rilascia automaticamente utilizzando un sistema idraulico. Esiste comunque un back-up per evitare di ritrovarsi con un SATURN a tutto gas bloccato in rampa; se qualcosa si incastra c’è un giunto esplosivo che fa collassare tutta la struttura interna liberando comunque la morsa.

A quel punto il SATURN è sostenuto solo dai motori e si potrebbe scrivere un articolo anche solo per capire come non lo attraversino da parte a parte. Poi, visto che già di tutta la baracca rientrano solo 3 m non riutilizzabili, alla NASA hanno pensato bene di fare economia salvando almeno i supporti, pertanto li hanno provvisti di un “blast hood” che ruota per evitare che i 3200 °C allo scarico degli F1 facciano cose brutte.

Intanto anche i “trabucchi bianchi” hanno fatto il loro lavoro.

– Sì,’ ma se io li chiamo “trabucchi bianchi” e poi nell’unica foto decente sono neri…-

Quelli che sono noti come “tail service mast” sono in realtà dei connettori per portare carburante, connessioni elettriche e telemetria, simili per ruolo a quelli che si protendono dalla torre laterale. Anche questi sono dotati di un elegante meccanismo che li riporta nel loro “blast hood” per evitare di finire carbonizzati.

Se tutto va bene il materiale sarà riutilizzabile dopo tutto questo.

– video più bello che vedrete oggi –

Chiarito il Saturn V, vediamo come funziona tutto questo meccanismo sullo STS (Space Transportation System), il nome corretto di quello che tutti chiamiamo Space Shuttle (ne abbiamo parlato QUI).

Per quanto riguarda il pad di lancio e la piattaforma con tanto di buca, vale quanto detto per il SATURN, anche perché, in un raro momento di lungimiranza della NASA, non hanno buttato via tutto, ma hanno riutilizzato e adattato il materiale SATURN, Crawler compreso. A dirla tutta ci sono riusciti persino con Artemis (Articolo QUI, ma di cosa non abbiamo parlato su RS?).

La chicca più interessante è che l’intero STS è tenuto fermo con quattro ritenute disposte a 90° intorno ai booster.

Eh sì, sebbene il cervello ci dica che questa struttura non è bilanciata e dovrebbe rovesciarsi all’indietro, è tenuta solamente da collegamenti sui booster.

La cosa è accettabile se realizziamo che a vuoto gli unici oggetti davvero pesanti sono proprio i booster a combustibile solido e, quando viene fatto “il pieno” di 1.600.000 litri di liquidi criogenici, il peso è comunque tutto in asse all’interno del serbatoio arancione.

Per quanto mi riguarda, per anni ho pensato che le ali fossero infilate in quelle protuberanze grigie che si vedono ai lati nella foto sotto.

Atlantis: The Grand Finale Photo Special at Launch Pad 39A Part 2 - SpaceRef

Eppure niente, vi assicuro che non è così e la foto sotto lo prova.

Roba da non dormirci la notte eh?

Ok, ma allora che servono quegli affari? Ne parliamo tra poco.

Torniamo invece ai nostri booster che sono invece montati su dei supporti e bloccati ciascuno da un bel bullone esplosivo che ha lo scopo di tenere il tutto fermo fintanto che i computer non danno il GO per il lancio. O almeno ci provano.

La cosa si vede bene nell’immagine qui sotto.

Perché se cerchi abbastanza su Internet c’è davvero tutto (Credits prima foto: Galtham.org… te li meriti)

Dentro i coni verdi c’è il meccanismo esplosivo

Di seguito pure il dettaglio del bullone in sé, ché tutti ci siamo sempre chiesti come è fatto un bullone esplosivo. O almeno io l’ho fatto.

È cosa nota agli addetti ai lavori che almeno in un’occasione un paio di bulloni non hanno funzionato, ma il fatto non ha destato troppe preoccupazioni e i booster hanno strappato via tutto con l’arroganza di un Turbostar V8 in salita.

Il dettaglio di tutta questa storia è visibile in un video che ovviamente ho trovato solo dopo essermi sbattuto a trovare tutto il resto del materiale.

Torniamo quindi agli “affari grigi” posti ai lati delle ali. A che servono?

Ricordate i “trabucchi bianchi” [o neri] del SATURN? Stessa cosa. All’interno delle protezioni grigie si nascondono dei service mast con collegamenti che portano allo Shuttle carburante, elettricità e telemetria. La cosa si vede perfettamente in questa foto sotto.

La placca gialla è il connettore che va a infilarsi negli attacchi visibili nella foto riportata sotto dello Shuttle sotto gli OMS (Orbital Maneuvering System) posti ai lati della deriva.

Per capirci si inseriscono nei 3 buchi in verticale uno sull’altro e in quelli più piccoli accanto. La letteratura che ho trovato indica che in questo meccanismo non c’è portanza strutturale.

Anche in questo caso tutta la baracca rientra nella sua protezione per evitare di fare una brutta fine. Ed ecco spiegato cosa sono gli “affari grigi” davanti alle ali: protezioni dagli scarichi dei motori.

Se siete arrivati fin qui vi meritate una piccola curiosità.

Quando lo Shuttle accende i suoi tre motori principali, il fatto che esso sia montato sopra il serbatoio fa sì che ci sia un discreto momento di coppia e tutto lo stack oscilli un pochino quando arriva la botta, si intuisce anche nella gif sotto. A pochi istanti dall’accensione i motori vengono orientati (stavo per scrivere “gimballati”) per compensare la cosa e da lì si sale “quasi dritti”.

Ma questa è un’altra storia per nerd.

Space Shuttle Main Engine start gif : r/Damnthatsinteresting

PS una sequenza di lancio piuttosto precisa la trovate QUI nel mio primo libro.

Articolo del 10 Ottobre 2023 / a cura di Paolo Broccolino

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  • Enrico

    Bentornato, era ora di un po’ di roba turbopompa friendly!
    Grande Paolo!!

    • Paolo Broccolino

      Ahahah Enrico, sei hai articoli da suggerire in tema turbopompa sono qui!

  • Flavio

    Scusate il fuori tema, ma su quella foto di selen ci ho perso molte diottrie, ma in compenso avevo un braccio da culturista….

  • Simone

    Splendido articolo come sempre! Grande Paolo!

    Mi permetto di consigliare la visione di questo video: https://www.youtube.com/watch?v=v2t-lEoN2HM e subito dopo questo: https://www.youtube.com/watch?v=jl5yQ6RX_eE in cui si parla delle riprese video dei lanci (engineering footage). Nel secondo, in descrizione, ci sono i link dei video originali NASA del lancio di Artemis. Goduria.

  • Stefano

    Bellissimo articolo, però rimane la mia domanda di fondo che mi sorgeva spontanea ogni volta che vedevo un lancio.
    Come fa a non collassare tutto l’ambaradan una volta pieno di carburante?

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