“CHI È TATIANA?”
“Tatiana è l’amica mia grassa , ma tarmente grassa che ci metti meno tempo a saltarla che a girarle intorno”
Settembre è quel periodo dell’anno in cui si riconoscono due tipi di persone: quelli che dopo essersi fatti il mazzo un anno al lavoro sono riusciti a permettersi addirittura il lusso di una vacanza, e quelli che nonostante il mazzo sono rimasti a casa. L’inflazione, le guerre, le pestilenze, le cavallette e quant’altro tendono a portare sempre più gente nella seconda categoria, ma chi di voi ha la fortuna di appartenere alla prima e, potendo scegliere, è riuscito a permettersi almeno un weekend in montagna è possibile che abbia viaggiato su mezzi di trasporti ai quali RollingSteel è totalmente nuovo, le funivie; non ne abbiamo mai parlato, ma ora rimediamo subito.
Durante questi articoli sarà infatti nostra cura presentarvi qualche pillola di storia, ma soprattutto di tecnica, dei trasporti su fune. Torneremo ancora una volta sui tecnigrafi di chi la storia l’ha disegnata a colpi di Rapidograph, vedremo tanti successi, ma anche tanti fallimenti. Vedremo come l’invenzione di una piccola azienda torinese cambiò per sempre questo mondo con una tecnologia utilizzata ancora oggi.
E vedremo anche qualche bel panorama. Perlomeno in foto.
Tanto per cominciare: i cinesi. Questi si sa, hanno inventato tante belle cose: la stampa, la carta, la polvere da sparo, gli spaghetti. Alla lunga lista delle loro invenzioni va aggiunta questa, che ha reso le montagne più piccole, i fiumi più stretti, la natura un po’ meno meno ostica e difficile per l’esistenza umana.
Le prime tracce degli impianti a fune risalgono al VII secolo d.C. sotto forma di teleferiche a propulsione animale che nel paese asiatico venivano sfruttate per il trasporto di persone, merci e alimenti, adatte a superare ostacoli naturali come burroni e fiumi. Il principio è esattamente quello della frase introduttiva: se non puoi saltare l’ostacolo, aggiralo.
Per vedere qualche applicazione “seria” di questo nuovo mezzo di trasporto promiscuo bisogna attendere almeno lo sviluppo del motore elettrico, con il quale il trasporto su fune è diventato concorrenziale anche rispetto a strade e ferrovie per tragitti brevi. Per fare un esempio, la tristemente nota funivia Stresa-Alpino-Mottarone rimpiazzò una ferrovia a scartamento ridotto e con cremagliera, ed è a tutti gli effetti un mezzo pubblico per spostarsi tra i due paesi e la cima del monte: che non si creda che la funivia sia soluzione buona solo per andare a sciare.
Quando il trasporto privato ancora non era alla portata delle masse era facile vedere soluzioni del genere anche nei centri abitati. Se andate a Bologna e prendete l’autobus 20 in direzione Casalecchio, superato l’arco del Meloncello sulla Porrettana trovate una fermata che si chiama “Funivia”. Dal 1932 e fino al 1975 era ivi presente un impianto a fune che collegava la strada al santuario di San Luca, quella chiesona rosa enorme in cima a un cocuzzolo che subito si nota dall’autostrada A1 venendo da giù, tipo Statua della Libertà. Oggi chiunque voglia andare là in cima risparmiandosi 4 chilometri di scalini basta che abbia un’automobile, ma una volta una soluzione del genere faceva comodo.
Il bello è che gli impianti a fune presentano una grossa efficienza energetica in rapporto al numero di passeggeri trasportati. Una caratteristica comune a tutti i sistemi esistenti (funivia, cabinovia, funicolare… poi ci torniamo) è che in qualunque istante della marcia di un veicolo, trainato da o sospeso su di una fune, ce n’è uno che procede in direzione uguale e contraria con lo stesso sistema (con un’eccezione riguardo alla quale vi lasciamo con il beneficio del dubbio fino alla prossima puntata). Vi sarete sicuramente accorti, usando un ascensore con le pareti in vetro, che se vi muovete di qualche piano prima o poi incrociate per strada un blocco di cemento più o meno grande. Questo perché se la cabina pesa una tonnellata e voi 70 chili il motore non deve tirarsi su 1070 chili ma solo la vostra massa perché il contrappeso va a bilanciare il peso della cabina. Ridurre il carico di diversi ordini di grandezza significa anche ridurre la coppia richiesta all’argano che aziona l’impianto, con due conseguenze: la prima, siccome il costo dei motori elettrici varia principalmente in funzione della coppia nominale, è un risparmio economico, e fin lì ci siamo; la seconda, una proporzionale riduzione della potenza richiesta con un conseguente risparmio di energia elettrica. Ecco quindi spiegato perché un ascensore condominiale trasporta in verticale 4-6 persone con un motore nell’ordine dei 5-15 kW, in pratica uno scooter. (C’è da dire che in determinate zone geografiche le 4-6 persone si trasportano sullo scooter direttamente, ma sorvoliamo).
Se parliamo di funivie importanti i numeri ovviamente cambiano, ma rimangono a favore di questa tecnologia. Esempio: Bolzano, Austria del Sud (dopo aver ricevuto email di minacce varie ci teniamo a precisa che questa è una battuta, non è nostra intenzione offendere nessuno – Nachdem wir diverse Droh-E-Mails erhalten haben, möchten wir darauf hinweisen, dass dies ein Scherz ist und es nicht unsere Absicht ist, jemanden zu beleidigen), impianto trifune coi controc… molto valido che collega il centro all’altopiano del Renon costruito da Leitner.
Con un motore dalla modica potenza massima di 900 kW, che sembrano (sono) tanti, si riescono a smuovere la bellezza di 726 passeggeri all’ora, che è più o meno come avere un autobus urbano ogni 5 minuti per ognuna delle due direzioni: l’autobus può essere elettrico, a idrogeno, a uranio impoverito o all’accidente che ci pare, ma il confronto non regge.
È proprio alle pendici del Monte Pozza, a sud di Bolzano, che nel 1908 compare la prima funivia per trasporto di passeggeri dell’intero globo terracqueo pianeta. Era ed è nota con il nome di Kohlerer Bahn per due ragioni, la prima che da quelle parti non si sono rassegnati ad avere la cittadinanza italiana e la seconda che il monte viene chiamato dalla popolazione locale il “Colle”. I monti Berici, invece, li chiamiamo monti anche se sono alti un terzo. Mondo alla rovescia. La cosa interessante è che quell’impianto, più volte ammodernato, è tutt’ora in esercizio; la soluzione adottata è quella della classica funivia “va e vieni”, con due cabine, una che sale e una che scende, e due funi, una portante fissa e una traente. A fine corsa le cabine non si girano all’interno della stazione, ma si fermano e, a imbarco passeggeri concluso, ripartono in direzione contraria. Si tratta della soluzione che permette di utilizzare il minor numero di piloni intermedi, semplificando l’installazione dell’infrastruttura, rispetto ad altre tipologie, in presenza di forti pendii o terreno cedevole.
Se l’argomento vi gasa, a QUESTO link la Provincia Autonoma di Bolzano spande un po’ di cultura funicolare.
Questa soluzione è anche la più veloce: le leggi italiane prescrivono un limite di 12 m/s, cioè 43 chilometri all’ora, che per una cosa che sta appesa a un filo, per quanto grosso, c’è da togliersi il cappello. Le cabine della “funivia del Colle” erano costruite in legno, come suggeriva all’epoca lo scarso istinto di autoconservazione della gente e ospitavano 6 persone; oggi i tempi sono cambiati e la capacità può superare i 200 posti, in qualche caso estremo addirittura su due piani.
Naturalmente, esistono decine di tipologie di impianti a fune. Quasi sicuramente, se siete mai stati a sciare avete utilizzato quello che andiamo ora ad esaminare; trattasi delle cabinovie, dove le vetture, solitamente ben più di due, non si fermano alla fine del percorso ma seguono un tragitto chiuso girandosi all’interno delle stazioni e tornando indietro.
C’è un problema: i passeggeri devono salire e scendere con la vettura in movimento, e quindi la velocità non dev’essere eccessiva per non rischiare di fare la fine di Fantozzi che prende l’autobus al volo (secondo la legge italiana, limitata a 1,5 m/s, quindi molto più bassa rispetto alle funivie propriamente dette): dunque, per non rendere i tempi di viaggio insostenibili (tipo quello che si può provare a bordo dell’ovovia del Demetz sotto il Passo Sella) e contemporaneamente per permettere la salita a bordo senza rompersi una gamba occorre un sistema in grado di rendere indipendente la marcia delle cabine dalla circolazione della fune all’interno delle stazioni.
Detta soluzione venne sviluppata nel 1949 dalla ditta Carlevaro & Savio, produttore di impianti di risalita rilevato poi da Agudio che a sua volta si è fuso con la bolzanina Leitner, che al mercato mio padre comprò, oggi uno dei due principali produttori al mondo (l’altro è Doppelmayr-Garaventa). Si chiama “ammorsamento automatico” e consta nella possibilità di aprire la morsa che ha il compito di fissare il telaio della cabina alla fune (traente se l’impianto è bi o trifune, l’unica che c’è nei monofune), in modo da sganciare la vettura dal cavo e instradarla su un binario a parte in stazione, dove viene fatta viaggiare a velocità molto bassa (0,5 m/s): in questa maniera il solito cavo con le altre cabine può viaggiare tranquillamente a una velocità superiore (6 m/s) riducendo il tempo di percorrenza di un bel po’. Con questa tecnologia le cabinovie (o ovovie) diventarono concorrenziali rispetto alle funivie tradizionali quanto a portata oraria.
Tuttavia la prima applicazione di questo sistema, risalente al 1949, non ebbe un epilogo felice. L’applicazione in oggetto è l’ovovia Alagna-Albergo Belvedere. Per l’epoca, una meraviglia della tecnologia. Per gli standard di oggi, a confronto una NSU Prinz è un inno alla sicurezza. Basti pensare che nessuna delle due stazioni era dotata di un dispositivo in grado di controllare a bassa velocità la marcia delle cabine, che una volta sganciate dalla fune principale andavano rallentate con una tecnica all’avanguardia, cioè a mano, e spostate nella stessa maniera. Pare che ai ragazzini del paese l’operazione piacesse da morire. Dopodiché il manovratore, una volta sbarcato e imbarcato il carico pagante, prendeva la cabina e la spingeva fuori dalla stazione dove un nastro trasportatore, mosso o da un motore elettrico o da uno a scoppio Lancia in caso di guasto, si occupava di darle lo slancio durante la chiusura della morsa. La distanza tra una cabina e l’altra era controllata con un’altra tecnica altrettanto all’avanguardia, cioè “a occhio”. Alla luce di questo ci si chiede come abbia fatto a non succedere niente in vent’anni, vent’anni durante i quali comunque l’impianto, vista la sua connotazione avveniristica, venne tenuto d’occhio e aggiornato più volte.
Era il 1 agosto 1971, ore 10.30, quando la morsa della cabina 8 perdeva la presa sulla fune e cominciava a scivolare lungo la stessa; la vettura travolgeva la 9, posta più a valle. I quattro occupanti delle due cabine biposto morivano sul colpo. Nessuno è ancora riuscito a trovare la causa, ma solo perché non ci si sono mai messi di buzzo buono, come invece accadrà decenni dopo nel disastro della funivia del Mottarone. Le moderne tecniche di metallografia ancora non esistevano; un’ipotesi è che la cabina si fosse agganciata sull’impalmatura della fune. Altri dicono che la fune con gli anni si fosse consumata. Qualcun altro ancora che fossero eccessivamente usurate e quindi fuori tolleranza le bronzine che fungevano da guarnizioni d’attrito della morsa. A chi scrive questa sembra la versione più plausibile. La morsa della cabina è a tutti gli effetti un innesto a frizione, solo a sviluppo lineare; in qualsiasi accoppiamento meccanico per attrito c’è sempre un elemento che si usura più dell’altro. Nel caso della vostra automobile, il disco frizione è realizzato in materiale ad elevato attrito e ha una durata limitata a tot chilometri, in base alle condizioni di funzionamento, mentre il volano, che è in duro e puro acciaio, potenzialmente dura quanto il motore se non è un bimassa. Quindi, è più facile che si siano consumate le bronzine prima che il cavo.
Se qualcuno sopravvissuto al pippone ingegneristico vuole buttare un occhio e levarsi il dubbio, le bianche ossa della funivia sono ancora lì, ferme da quel primo agosto, con le cabine ancora parcheggiate nelle stazioni, a parte le due infortunate i cui rottami giacciono ancora nel bosco.
Le attuali tecnologie di agganciamento automatico, comunque, derivano da un sistema ideato negli anni ’80 dalla Agamatic, parte del gruppo Doppelmayr, “un po’” più moderno e sicuro. Quindi al giorno d’oggi, ammesso e concesso che un impianto sia mantenuto con il dovuto rigore, non avete proprio nulla da temere e lungi da noi farvi terrorismo psicologico. Anzi, per rimediare vi mostriamo una statistica proveniente dal sito Leitner che classifica gli impianti a fune al secondo posto come sicurezza globale, prendendo come metro di paragone i chilometri percorsi mediamente tra un incidente e l’altro:
- Aereo: 113 milioni
- Impianti a fune: 17,1 milioni
- Automobile: 1,46 milioni
- Treno: 1,31 milioni*
- Autobus: 616.000
- Tram: 225.000
*probabilmente nella statistica dei treni sono inclusi anche gli investimenti.
Vale un po’ lo stesso discorso che si può fare per gli aerei: sono mezzi che in caso di incidente diventano facilmente mortali, ma proprio per questo, per dormire tranquilli la notte, qualcuno ci ha studiato parecchio sopra, e alla fine sono finiti in testa alla classifica. Ed è incredibile come una cosa che segue il principio di un’invenzione cinese di secoli fa, ovvero viaggiare appesi a una corda tipo Tarzan, abbia fatto tutta questa strada e si sia evoluta. Sono cambiate le tecnologie, i sistemi di sicurezza, qualche volta il numero di funi è aumentato (ops), ma non è mai cambiato il principio; l’uomo vede un ostacolo, realizza che lo sbattimento per aggirarlo è eccessivo e si ingegna per scavalcarlo. O semplicemente vuole arrivare in cima. Che in montagna è sempre una soddisfazione, sia che ti chiami Messner o che stai già ansimando dopo 600m di dislivello. Qualsiasi pezzo di tecnologia che ti dia una mano in quel senso è un’invenzione geniale, preferibilmente con l’ausilio di un motore, che in questo caso, in via del tutto eccezionale, possiamo accettare anche se elettrico, alla stessa maniera dei treni.
E dopo avervi fatto passare il panico per le funivie (e fatto venire quello per i tram, però oh ognuno arriva dove arriva), senza farvi troppi spoiler per la prossima puntata vi diciamo solo che ne vedrete ancora delle belle. Ancora una volta, qualche successo e qualche fallimento. E qualche cartolina.
P.S.: sempre in puro stile Urbex vi lasciamo il link di questo filmato un po’ inquietante dell’ovovia Alagna-Belvedere. Sconsigliato a persone facilmente impressionabili, ma consigliato a quelle curiose. Include alcuni video d’epoca della cabinovia funzionante.
Bolzano – Austria del Sud non si puo sentire pero……………….
Ed ecco perche’ ADORO Rolling Steel.
Se volete qualcosa di veramente ferroso …
https://youtu.be/qQH9FamGzK8?si=1FoB1zyF-VVSoEJ6
PS : tecnologia anni ‘60 ancora ineguagliata per prestazioni..
Ma porca miseria, è un flusso di coscienza?!?
Fai vedere la foto di una morsa automatica monofune e sotto il disegno di un carrello bifune?!?
Il cinematismo è completamente diverso. Nella monofune il rullo di manovra è spinto verso il basso, nel bifune verso l’alto.
La chiarezza espositiva non è più di questo sito?
Alzi la mano chi pensa che questo articolo sia scritto bene.
E comunque, questa te la potevi risparmiare:
“Nessuno è ancora riuscito a trovare la causa, ma solo perché non ci si sono mai messi di buzzo buono, come nel caso della funivia del Mottarone.”
https://digifema.mit.gov.it/pubblicata-la-relazione-finale-dindagine-relativa-allincidente-sulla-funivia-bifune-alpino-mottarone-nel-comune-di-stresa-vb-avvenuto-il-23-05-2021/
https://www.funivie.org/web/pubblicata-la-relazione-finale-dindagine-digifema-relativa-allincidente-sulla-funivia-bifune-alpino-mottarone/
Una nota: internet è un posto piccolissimo su certi temi.
Vi è la seria possibilità che ti stiano leggendo dall’Austria del Sud, molto vicino al Brennero.
Il motore elettrico va benissimo se è alimentato dalla rete (come in questo caso o nel caso dei treni…) e non da una batteria… lì sta l’inghippo…
Bellissimo articolo, che i pignoli stiano zitti o ne scrivano uno migliore