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BMW K100, la rivoluzione della sogliola

Tutto inizia con l’ottobre del 1968, quando al salone di Tokyo la Honda cambia – per sempre – le regole del motociclismo presentando la fantastica CB 750 Four.

(questa ha cambiato il mondo)

Un salto nell’iperspazio che al volo distanzia di 1.000 leghe intergalattiche quelle colabrodi classiche delle inglesi, quei trattori motoroni delle Guzzi e quelle mietitrebbia longeve delle BMW. Ognuna delle tre Case reagì con una capacità al cambiamento degna di un bradipo: gli inglesi terminarono (come al solito) di accorpare le loro marche sotto un’unica società (Triumph era già finita sotto BSA e pochi anni dopo entrambe finirono accorpate con la Norton) così che andare a gambe all’aria fu anche più semplice per tutti, gli Italiani, che già dall’anno prima della presentazione della CB 750 erano entrati nell’orbita del carrozzone statale della SEIMM, ebbero la bella idea di vendere tutto ad un argentino iperattivo senza una lira, ma con un cervello grande come il suo ego (smisurato), Alejandro De Tomaso – non prima però di aver creato un mito come la V7 Sport – e proseguirono per altri 50 anni costruendo modelli con lo-stesso-motore, pur se affinato di decennio in  decennio. I tedeschi furono i più lenti tosti. Forti delle vendite delle loro monolitiche mietitrebbie alle Polizie di tutto il mondo (pensavate restassero in piedi con le vendite ai privati della R 69 S eh?? E invece no, oltre il 50% della produzione andava alle forze armate sparse per il mondo), nel ’69 lanciarono la serie 5, moto che pur profondamente riviste dalle serie precedenti – avevano anche l’avviamento elettrico, ma si tennero i freni a tamburo – restavano dei mezzi carciofi agli occhi di chi cercava un minimo di sportività. Le varie serie “barra” si evolvono sino alle /7, quando nel 1976 viene presentata la R100RS, prima moto al mondo dotata di carenatura integrale, ben (ben…) 70 cv, doppio disco anteriore… 200 km/h di velocità massima… insomma una moto per turisti …sportivi. Ed è proprio in quel frangente che BMW si rende conto che esiste un mercato che loro, con le asfittiche pacifiche bicilindriche in produzione, non riusciranno mai a conquistare.

(R 100 RS, disegnata nella galleria del vento di Pininfarina)

Al che una malefica coppia di teutonici ingegneri inizia a spremersi il cervello per capire come ideare un prodotto che rispecchi le seguenti caratteristiche: A) sia diverso da quelli della concorrenza, B) mantenga l’handling tipico dei loro bicilindrici (che grazie al baricentro rasoterra, bisogna ammettere, era – ed è – ottimo) C) dia al mercato uno scossone.

Her Stefan Pachernegg (il Projektleiter) inizia nel ’79 ipotizzando un 4 cilindri fronte marcia con i cilindri praticamente orizzontali ma, oltre ad assumere la forma di uno squalo sdentato, la lunghezza del motore, basamento e cambio compreso, avrebbe implicato un interasse da TIR. Allora il nostro projektleiter si ricorda di una moto dell’inizio del secolo, la Nimbus, che oltre a montare un 4 cilindri in linea posto longitudinalmente e verticale, era pure dotata della trasmissione a cardano.

(in origine la Nimbus produceva aspirapolveri: evidenti i richiami stilistici al simpatico elettrodomestico)

Ovviamente la Nimbus fu solo la scintilla che fece scaturire l’idea del motore longitudinale (quello della moto danese era raffreddato ad aria… provate ad immaginare quanta ne arrivasse all’ultimo della fila…). Ora, i cilindri li puoi mettere: verticali, inclinati, pure rovesciati (vogliamo parlare di quel monumento all’ ingegneria che è il Daimler-Benz DB 605?) e, volendo, pure piatti (vogliamo parlare del mitico Porsche Flat Six?) ma questi ultimi, di solito, sono contrapposti, siano essi boxer o a V a 180°, ma mai tutti dallo stesso lato! In realtà Peugeot ci aveva provato con un piccolo 4 cilindri automobilistico posto – quasi – orizzontalmente. I prodi ingegneri della BMW ne trafugano un paio e iniziano a tentare di infilarci quello, in un telaio da moto. Con risultati poco apprezzabili.

Però i crucchi germanici sono testardi come dei tedeschi e quindi si strumentano nel realizzare quello che sarà il motore definitivo del K 100 e lo mettono lì, come una sogliola sbattuta sul banco del pescivendolo. Dall’altra parte ci ficcano l’albero motore con la coppa e tutto il resto, nonché il cardano.

(bel motorino con le masse “leggermente” spostato verso destra, la linea gialla è la mezzeria della moto)

E qui inizierebbero i problemini, perché così configurata, fra motore e cardano la moto ha un dislocamento fortemente indirizzato sulla destra (insomma, pesa più a destra che a sinistra). Vabbeh, machissenefrega. Va dritta? Allora va bene così. In realtà tanto bene non andrebbe, provate a farvi la chicane Ascari gomito a terra e ve ne rendete conto. Gli ingegneri teutonici però non sono dei fessi e si strumentano per trovare una soluzione che non ti faccia automaticamente entrare nell’area di servizio quando molli il manubrio in autostrada. Siccome oltre al leggero decentramento dei pesi abbiamo anche il problema della coppia di rovesciamento dovuta all’albero motore che è longitudinale (avete presente quando accelerate da fermo con una bella Moto Guzzi Le Mans e questa tenta di buttarvi per terra? Ecco quella si chiama inerzia dovuta alla coppia di rovesciamento, ovvero quando l’effetto giroscopico dell’albero che gira, prima di stabilizzarsi, tende a spostare le masse che vi sono collegate nel senso in cui gira), ‘sti ingegneracci si inventano di far girare al contrario rispetto all’albero motore la frizione e il cardano, così che le forze si annullino. L’idea funziona e alla fine, per quanto il problema dello sbilanciamento verso destra permanga, l’effetto non è così drammatico e per il target a cui si rivolge la moto va benissimo. D’altronde chi ha cavalcato le bicilindriche sino ad allora ha viaggiato con un piede più avanti dell’altro……

A parte questi noiosi dettagli tecnici, la moto è realmente rivoluzionaria, sia per BMW, sia per il resto del mondo. Un 4 cilindri 2 valvole per cilindro raffreddato ad acqua con un baricentro basso, l’iniezione elettronica e, pochi anni dopo, l’ABS (prima al mondo) e il forcellone monobraccio (Monolever lo chiamarono). Sin da subito la possibilità di scegliere tra vari modelli, quella che oggi chiameremmo “naked” (naked, ma che c…o di nome è !?!?), la RS dalla semicarenatura integrale, la RT e la LT versioni da GranTurismo, ed infine c’è pure il 3 cilindri da 750 cc. Il cruscotto è….automobilistico, nel senso che è ampio, squadrato e pieno di spie.

(c’ha proprio tutto, ma tutto)

(le 2 versioni più vendute: la “naked” e la RS)

La moto con i suoi 90 CV era godibile, e se evitavi di tentare di farti il salto di Mountin Hill a Cadwell Park (saltavi dritto, atterravi spiattellato sulla destra, garantito al limone) ti potevi fare Milano-Roma a 180 130 km/h con il cupolino con il suo spoilerino regolabile che, se ben posizionato, ti permetteva una posizione a braccia appoggiate sul manubrio (sembrano dei semimanubri, ma è uno solo a “corna”) con la giusta pressione dell’aria per evitare di addormentarsi. (che poi addormentarsi a 180 km/h non è tanto tragico, è il risveglio che potrebbe esserlo….).

Il motore non gira tantissimo (8.000 giri) ma grazie soprattutto all’iniezione elettronica è fluido come un motore elettrico (no, chiedo scusa, giuro, non userò più la parola “elettrico” su Rollingsteel, giuro…) e, come da tradizione BMW, promette l’eternità. Gli spagnoli lo usano addirittura per partecipare al campionato Superbike, montandolo su un telaio Cobas (la decenza ha un limite, va bene partecipare ad un campionato con il motore del K 100, ma pure il telaio no, quello no…). All’inizio non fu un tripudio di vittorie, non perché la moto non girasse, ma perché gli amati crucchi tedeschi non rilasciarono i codici per cambiare le mappature della centralina, al che il motore non superava gli 8.400 giri, limite ove scattava il limitatore delle moto di serie. Però dopo averle viste partecipare, pur senza successo ma con onore alla 24 di Montjuich (un circuito dove oggi vieterebbero di correre anche ai kart), il deutsche Ordnung venne meno e mollarono i codici. Al che Cobas riuscì a far arrivare il motore a 122 cv a 9.400 giri, pur facendogli mantenere le citate virtù elet….. di fluidità di marcia. Cosicché, colui che in futuro diventerà per 2 volte Campione del Mondo della 250, tal Sito Pons, si aggiudicherà il campionato Spagnolo Superbike del 1984.

Nel 1988 viene presentata la K1, una rivoluzione nella rivoluzione. Dotata di carenatura integrale, questa sì dal disegno avveniristico (moolto avveniristico….) e un importante upgrade dell’iniezione elettronica, ora integrata con l’accensione; debutta anche il Paralever (di fatto un’asta di reazione fissata sotto il braccio del cardano, con la funzione – funzionante – di limitare l’escursione durante le accelerazioni e le decelerazioni) mentre le 4 valvole per cilindro che portano la potenza all’albero a 105 cv – ma ne vengono dichiarati 100 per motivi dettati dalle normative presenti in Germania all’epoca. Infine arrivano le ruote con pneumatici da 120 davanti e 160 dietro, consentendo l’accesso al mondo delle gomme ad alte prestazioni.

(roba da Tron)

Rimangono le pecche di un manubrio troppo stretto, di un interasse chilometrico (1.565 mm) e di un prezzo orbitale; il 40% in più di una Honda CBR1000F (una sport tourer completamente carenata) e anche di quel gioiello della Yamaha FZR 1000. Certo, la K1 aveva l’ABS (un paio di milioni) ed era esclusiva. Pure troppo, infatti non si vendeva. Ne hanno prodotte meno di 7.000 contro le oltre 100.000 delle varie versioni delle K 100 . Oggi, se bella, la paghi il doppio della FZR e con la stessa cifra ti compri cinque CBR1000F.

Ma veniamo alla star del nostro articolo: la K 100 RS 16 Valvole

(qua in versione “gran routière”)

Evoluzione diretta della K1 (non della precedente RS 2 Valvole, dalla quale si distacca nettamente), monta lo stesso motore, lo stesso sistema di iniezione, il telaio, i pneumatici, i freni… insomma sotto il vestito della K100 c’è una K1; però è più “umana” nella linea e molto più fruibile (e finalmente le montano un manubrio che non sia stato preso da una Graziella) e quindi si vende bene. Disponibile in un’unica versione, la RS, quella semicarenata, vi aggiungono anche di serie il puntale sottocoppa che ha il suo perché.

In Moto e Motociclismo la provano nell’agosto del 1990 certificandone una velocità massima di 232 km/h, con 3,8 sec  da 0 a 100 e un prezzo, borse e ABS compreso, di circa 20 milioni di lire, ovvero sempre un bel 30 % più di mezzi anche più prestanti come la Yamaha FJ 1.200 e la Suzuki GSX 1100 F.

Pur cambiando dalla prima serie a 2 valvole anche l’impianto frenante – si passa da 2 dischi anteriori da 285 fissi a dei 305 flottanti, mentre il posteriore rimane fisso da 285 – il K 100 prosegue sulla linea della tradizione: non frena, al massimo rallenta. Va anche considerato che sulla bilancia, complice un ABS che da solo pesa UNDICI chili, più borse e magari strumenti aggiuntivi come livello carburante e temperatura acqua (optional di fatto obbligatori) il mezzo ferma l’ago a 262 chili. Senza benzina.

Viaggiando dimostra virtù inaspettate; ha una frizione (monodisco) morbida ma resistente, una fluidità di marca eccezionale – riprende in 5° da 800 giri, mica scherzo, praticamente su un tratto come la Valtrebbia usi solo 3° e 4° – è particolarmente comoda e anche in città, nonostante il peso pachidermico si muove agile, grazie al motore assogliolato cacciato in basso. Quello che stupisce è il cambio di passo raggiunti i 6.750 giri (6.900 di strumento), ovvero quando il 4 cilindri entra in coppia. Tra le moto che ho provato, solo i primi modelli della Honda VFR 800 V-Tec ti davano una sensazione da turbo anni ’80 (a dire il vero anche la Honda CB 500 Turbo mi ha dato la stessa sensazione, ma quella, appunto, era una turbo anni ’80). Il contagiri schizza letteralmente da 6.900 ai 9.000 (sarebbero 8.800 reali) quando entra in azione il limitatore, e solo grazie al Paralever non te la metti per cappello se sei in prima marcia.

Sui curvoni autostradali poi è una lama (beh, mica come una 916, però sicuramente più stabile delle coeve Kawasaki ZX-10 oppure Honda CBR 1000F). Con pochi accorgimenti, come ad esempio la sostituzione dell’ammo posteriore con uno più decente – leggi Ohlins -, il cambio delle molle delle forche – White Power – e magari sfilare le forcelle di 15 millimetri per ridurre l’avancorsa e di riflesso chiudere di più l’angolo di sterzo, diventa un oggetto che ancora oggi, a più di 30 anni dalla presentazione, resta un oggetto daily user e molto godibile.

(un buon ammortizzatore ti migliora la vita, sappilo)

(bastano 15 mm a volte per essere felici)

Resterebbe il fatto che dopo molti chilometri ti ritrovi le gomme più usurate da un lato (il destro) per la citata disposizione della meccanica. Però è un problema che un vero motociclista non dovrebbe porsi per 2 motivi: primo perché se superi i 7/8.000 km senza dover cambiare le gomme con una moto con il cardano la stai usando a velocità indegne, e secondo farti la pallostrada autostrada in moto godi come tentare di fumarsi un Habana mentre cambi il pannolino a tuo figlio.

La Famiglia del K 100 si evolve nel 1993 con la K 1100 RS, con motore da 1.093 cc, stesso telaio, componentistica, etc etc, ma con la carenatura integrale. Aspetto, questo, che se da un lato aiuta a rendere le sgroppate autostradali ancora più godibili (o meno insopportabili, dipende dai punti di vista), fa diventare la marcia estiva in città un vero calvario. L’aumento di cilindrata non comporta anche un aumento della potenza che però viene raggiunta a 7.500 g/min contro gli 8.400, mentre la coppia sale a 10,9 kgm raggiunta per di più a 1.250 giri in meno. Però, non si capisce perché, aumentano di una decina i chili (e non è che prima fosse proprio una piuma).

(sembra uguale, ma pesa di più)

Nel 1997 viene presentata la K 1200 RS, che del progetto originale di fatto mantiene solo la posizione del motore, ma cambia il cardano, il cambio, la frizione (che le darà non pochi problemi, soprattutto sui primi modelli), la ciclistica… e l’ESTETICA !! (sono stato lì lì un paio di volte per comperarne una, ma il mio senso del bello me lo ha sempre impedito, ma so che prima o poi cederò). Insomma, di fatto è un’altra moto.

(c’entra poco con la precedente serie K…. ma va bene lo stesso)

Dal punto di vista dell’investimento una K 100 RS 16 V potrebbe essere un buon affare, a condizione che sia in ordine – anche se reperibili in molti siti teutonici, i ricambi costano una fucilata – che non abbia una caterva di chilometri (cosa probabile visto il target a cui si rivolgeva) e che abbia subito una manutenzione regolare. Tra l’altro la disposizione del motore aiuta molto nella manutenzione ordinaria, dal cambio candele alla registrazione delle punterie, mentre l’iniezione non va tarata praticamente mai. Un cambio olio motore ogni 10.000 km, cambio e cardano ogni 20.000 e fai il giro del mondo una decina di volte. Il K 100 era una di quelle moto il cui libretto di “uso e manutenzione” ti dava le indicazione per praticamente smontare tutta la moto (oggi, al massimo, di consigliano di usare “una guida prudente” e di mettere il casco….). Ne hanno prodotte tantissime, ma la moda di trasformare una moto decente in orripilanti “special” ha colto il filone delle K 100, riducendone migliaia in brutte caricature di moto stile anni ’70; moda che imperversa tuttora e quindi quelle originali calano in continuazione. Il bello è che, oltre ad arricchirti la collezione di moto d’epoca, un K 100 lo puoi anche usare tutti i giorni.

Articolo di Marco Cesare Canella, che sin dalla nascita viene educato a suon di Motociclismo e Quattroruote e non si riprenderà più; resterà un petrolhead per tutta la vita.

Articolo del 25 Ottobre 2021 / a cura di La redazione

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  • Federico

    Pensa che io ho iniziato a leggere l’articolo pensando che avresti sfoderato una lunga serie di bellissime specials che si possono ricavare da quella bruttura della K.
    Mi sono sbagliato…

    • L'autore

      Caro Federico, sarei d’accordo con te se le special a cui ti riferisci fossero come quella della foto a fondo articolo; ma purtroppo la maggior parte delle “realizzazioni” sono degli accrocchi messe insieme che alla fine sembrano più dei Frankenstein a motore che moto.

      • Francesco

        Parole sante! Di migliaia di Special ricavate dal K100 ne ho viste solo due dichiarativi “belle” le altre proprio no.

  • Patty

    Bell’articolo. Il mio papà aveva una K1; gliela ammiravano tutti. Averla tenuta……..

  • Laura

    Si capisce chi nasce motociclista e chi guarda le moto che passano in strada. Benvenuto nella prima che ho detto

    • L'autore

      Cara Patty, prima o poi ne troverò una che entrerà a far parte della mia piccola collezione; poi pubblico ilibretto e se scopriamo che è quella appartenuta al tuo Papà, ti inviterò a fare un giro

    • L'autore

      Cara Laura, grazie, d’altronde per gente come me la moto non è un hobby; è una scelta di vita.

      • Bigliettaio

        Fine anni ‘80: alla bisogna, una telefonata ed una sgroppata in auto a Garching (centro ricambi) per far scorta di pezzi della mia R100RS (conservo ancora il sellone carenato), alla fine venduta per le paure della moglie.

        • L'Autore

          Caro Bigliettaio,
          combatto da tempo la battaglia per cui un povero maschio debba possedere una propria BatCaverna, il cui accesso sia vietato a Mogli, Suocere, Madri, etc etc… e questo solo per mantenere una relazione di coppia sana e duratura….(ps, almeno il sellone carenato no, quello non lo vendere…)

  • Samuele

    Vista questa estate, qui nella Riviera del Conero una bellissima K1 gialla.

    • L'autore

      Caro Samuele, bella gialla; bella e particolare.

  • Luciano

    Ho iniziato ad andare in moto nel 1957 a 12 anni e tutt’ora continuo…Tra le tante due ruote possedute quelle più amate sono state BMW 75/6 con carenatura RS e R100/S.
    Bellissimo articolo…!! Bravo e grazie per il ricordare un tempo che non c’è più…Un abbraccio sentito.

  • L'autore

    Caro Luciano, grazie, fa sempre molto piacere ricevere dei commenti positivi da chi ha esperienza da vendere. Anch’io ho avuto una R 100 RS e concordo con te; una moto indimenticabile. Continua così, la moto mantiene giovani.

  • Francesco

    Posseggo un K100RS del 1987 che ho portato divertendomi fino a 312.000 km, moto “strana e difficile” ma nello stesso tempo “unica”. Ora posseggo una K1200RS con cui ho già percorso 48.000, più facile, più bella da guidare, ma senza anima, un bell’elettrodomestico.

    • L'autore

      Caro Francesco, 300.000 km sono un piccolo record, complimenti. Non venderla, mi raccomando, ormai è un pezzo della tua storia.

      • Francesco

        Non la mollo neanche per sogno! La uso meno ma la uso ancora, prima o poi arriveremo a 500.000 km

  • Paolo Alfredo Cutrera

    Ottimo articolo, adoro la seri k, le ho quasi tutte
    2 8v Rs
    2 16 v Rs
    4 K1
    1 k1100 Rs
    2 k 1200Rs
    1 K 1200 S
    non potrei farne a meno mi piace usarle e gurdarle

  • Franco Geronutti

    L’ho comprata Lorenzo!!! L’ho comprata!!!! 🙂 !!
    K100 RS 16 v 1992 !! Fu la prima 4 cilindri che guidai quando fu presentata!! Ero un giovane motociclista e mi colpì molto….
    Dopo qualche moto e tanti anni sulle due ruote! Me la son comprata, un pò vissuta, ma è mia!!!
    Ora è in garage smontata in via di cure e qualche piccola modifica
    Se un giorno passerai per la Valle d’Aosta e se ti fa piacere fammi sapere che ci si berrà una birra chiacchierando di ingranaggi!!!

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