Quando c’era talento nelle berline: Peugeot 405 Mi16 e T16

de La redazione

A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, mentre negli Stati Uniti, inspirandosi a concept spaziali di fine anni ’60 come l’Alfa Romeo Carabo, si mettevano in strada aeronautiche supercar biturbo da 350 km/h, anche se con cambio automatico a tre marce (!) – sì, stiamo parlando della Vector W8 –, nella vecchia Europa andavano ancora di moda le classiche berline tre volumi.

– La Vector W8 disegnata da Jerry Wiegert, l’Alfa Romeo 33 Bertone Carabo da Marcello Gandini –

In Italia nella top ten delle auto più vendute del 1990 – più di 2,3 milioni in tutto, una cifra che, anche grazie alle appreZZatissime auto elettriche, non vedremo mai più – al nono e decimo posto c’erano la Tempra e Dedra. Oggi non c’è una berlina neanche nelle prime 50 posizioni. I marchi italiani, cioè Mamma Fiat, vendevano ancora più di tutti quelli stranieri. (L’intro lunga è per ricordare che qui non si pubblicano comunicati stampa: si fa cultura, DI BRUTTO).

Quasi tutte le berline, oltre ad avere una versione famigliare ne avevano anche una sportiva. Non una versione con un allestimento sportivo letteraacaso-Line, ma proprio una sportiva vera più o meno arrabbiata. E anche scartando i ferri più cattivi, come Sierra Cosworth e BMW 320is (sì, c’era anche la 4 porte), non ci si poteva per nulla lamentare: a trazione anteriore, posteriore, integrali, turbo o aspirate, con spoiler e alettoncino posteriore.

Su quale soffermarci in particolare? Per rapporto peso/potenza, successi sportivi e perché si comprava spesso bianca, quando il bianco non andava di moda: la Peugeot 405 Mi 16, dove Mi stava per multipoint injection.

Il Cx della 405 a seconda delle versioni variava da 0,29 a 0,31, quello della Mi16 si fermava a 0,30, non male

Un paio di curiosità, a dimostrazione della bontà del progetto 405, sulla linea e sulla longevità: la prima è frutto del lavoro di Pininfarina e di Gérard Welter, allora a capo del centro stile Peugeot, nonché disegnatore della 205 e voi siete liberi di non farlo, ma io sulla 205 mi alzo in piedi e già che lo sono diamo un ripasso a un ufo: la OXIA, Salone di Parigi 1988, V6 biturbo 2,8 litri, 680 CV quattro ruote motrici e sterzanti, Cx 0,30 accessoriata di tutto punto, anche con i pannellini solari per il condizionatore, 350 all’ora a Nardò in souplesse.

Sì, i fari posteriori della Oxia, progettata da Gérard Welter, sono proprio quelli della 405

Sulla seconda, altro che resilienza, vediamo di essere concisi: la produzione è iniziata a Sochaux (il leone deriva dallo stemma dell’omonimo comune) nel 1987 dov’è terminata dieci anni dopo, ma la nostra tre volumi è stata prodotta anche in Inghilterra, Indonesia, Argentina, Indonesia, Polonia, Taiwan, Cile, Zimbabwe, Egitto fino al 2013, Iran fino al 2020 e da lì in Azerbaijan dove un’altra decina d’anni di produzione paiono assicurati. Non male per un’auto che è stata auto dell’anno nel 1988.

in Iran volano ancora gli F-14 e vendono questa, non male

Comunque, lo sfoggio di stabilimenti produttivi, 9 contemporaneamente attivi intorno al 1990, l’abbiamo riportato perché c’è una casa “automobilistica” con due stabilimenti attivi e uno, che è lì lì per essere completato (ormai da mesi) che viene considerata come se fosse davvero la nuova Ford, il cui nome inizia per T, come telefono…

Ma stiamo sulla nostra Mi 16, con il suo 1.900 bialbero da 160 CV (non tappati), montato anche sulla Citroen BX e sulla 309, che senza difficoltà supera i 7.000 giri in un crescendo di spinta e rombosità (neologismo di cui Rollingsteel è proprietario), ma senza l’effetto buco nel serbatoio, per esempio, della contemporanea Delta (più potente, a trazione integrale, certo un’altra macchina, ma anche con un’aerodinamica da televisore).

E infatti con l’Mi 16 si facevano (e si fanno tuttora) 10 km/l a 140 km/h e ancora 7 a 180 all’ora. Il tutto con un’erogazione vecchio stampo, senza eguali tra le due litri aspirate dell’epoca, un po’ vuota sotto i 3.000 giri, ma eccellente sopra i 5.000, con una spinta solo leggermente inferiore alle turbocompresse. Un solo decimo in più sul km da fermo rispetto Renault 21 turbo, con 15 CV in più.

Nel misto stretto, poi, si riuscivano a fare curve che avevano ben poco da inviare alle indiavolate piccole e piccolissime bombe dell’epoca.

Notare la posteriore interna sollevata, come una Mini Turbo De Tomaso

Tanto i consumi, quanto la dinamica di guida non peggiorano più di tanto nemmeno con la più pesante (1.240 kg contro i 1.110) e un po’ meno veloce Mi 16 x4 con la trazione integrale permanente, differenziale centrale con giunto viscoso e Torsen al posteriore.

La 405 Mi 16 x4 in azione e lo spaccato del differenziale centrale con giunto viscoso

Nel 1992 il fido 1.9 viene sassato via e al suo posto arriva un 2 litri 16v (con misure caratteristiche quadre, alesaggio e corsa entrambi di 84 mm) che porta le Mi16 a 152 cv e attorno a cui venne costruita la rara T16 (solo 1.046 in quasi tre anni di produzione), che oltre a sfoggiare una sigla mitica ed avere un alettone più grande, aveva numeri (e prezzo) adeguati: 200 cv con turbo a 1,1 bar che arrivano a 220 con overboost per 45 secondi con la turbina spinta a 1,3 bar. Sessanta esemplari furono anche consegnati alla polizia francese. Sui mezzacci (dalla Citroen SM all’ultima Alpine) in dotazione alle BRI (Brigade d’Intervention Rapide) scriveremo un articolo appena possibile.

Ah, aggiunta dell’ultim’ora prima che ci scordiamo: la 405 T16 fu per diversi decenni la prima ed unica vettura europea dotata di un turbocompressore a geometria variabile che, anche se era un po’ fragile e tendeva a grippare, è una figata incredibile.

Ne aveva una anche Rubens Barrichello quando correva con la Jordan Grand Prix.

La 405 T16 in dotazione alla polizia francese (notare il Bleu de France) e non per essere usata in manifestazioni…

La T16 ci porta subito alle imprese sportive, ma prima va ricordato che a differenza dell’erede 406 – di cui al di là dei vari Taxxi ci piace ricordarla protagonista di un epico inseguimento a Parigi contro una M5 (o una 535i?) in Ronin, penultimo film del grande Jhon  Frankenheimer, già regista di Grand Prix –, la 405 non ha avuto una grande popolarità cinematografica. Probabilmente perché non ne aveva bisogno. Già a luglio del 1989, infatti, con il lancio della versione 1990 della Mi16, cerchi passati da 14 a 15 pollici e ABS di serie, si festeggiava il milionesimo esemplare uscito dalle catene di montaggio. Oggi siamo oltre a cinque volte tanto, roba da Panda, con tre modelli diversi però…

Nello sport invece c’è davvero l’imbarazzo della scelta: dai vari campionati turismo, all’insegna di sportellate e bussate, in giro per l’Europa alla partecipazione nei rally, specie in Italia, con uno scatenato Andrea Aghini

Allontanandoci dalla vettura stradale, non possiamo che chiudere con il deserto, dove, si sa, le Peugeot menano forte e con la “Salita alle nuvole”. La Peugeot 405 Turbo 16, raccolse infatti il testimone della 205 Turbo 16 Grand Raid, a sua volta derivata dalla Gruppo B, ormai fuori legge, alla Parigi Dakar del 1988 (vinta dalla 205), dove è arrivata prima nell’89 e ’90 con Ari Vatanen.

– Peugeot – DAF: 0 – 1 –

Il campione finlandese è stato anche protagonista dell’assalto alla Pikes Peak, la più famosa cronoscalata del mondo, battendo di 63 centesimi (!) il record stabilito da Walter Röhrl, fatto con l’Audi Sport Quattro nel 1987, con una 405 Turbo 16 appositamente preparata: tolti i mega serbatoi  da raid (da 435 litri a soli 35), super carico aerodinamico (con un alettone che avrebbe sfigurato come ala di un Bristol Scout), assetto ribassato e ruote posteriori sterzanti, cavalli passati da 400 a 600, massa ferma a 880 kg.

Ma qui cediamo il passo alle immagini della Climb Dance, il memorabile, pluripremiato, insuperato e insuperabile cortometraggio dell’ascesa al cielo del Colorado, che dal 2012 si corre su tracciato interamente asfaltato.

Il filmato oltre a rendere il giusto tributo al gran manico di Vatanen, che combatte anche contro il sole (occhio alle braccia e al manometro del turbo), come qualcuno ricorderà, era anche il premio per chi arrivava in fondo a V-Rally 2. 

Articolo di Antonio Sileo, da sempre appassionato d’auto, tanto più ora che quelle vere vanno difese

https://twitter.com/ilFrancoTirator

https://www.linkedin.com/in/antonio-sileo-9228652a/

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2 commenti

Giuseppe 26 Gennaio 2022 - 13:45

Caro o cara Rollingsteel, ogni tuo articolo è un’opera d’arte a maggior ragione quando parli delle leonesse, mi troverai sempre d’accordo, la 405 t16 un missile, ne vidi una nel ’95, una bomba sotto mentite spoglie.

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Marco Allori 9 Febbraio 2022 - 9:32

Ce l’ho avuta! Favolosa nelle “S” e comoda in viaggio. Sull’affidabilità si poteva fare un po’ meglio…

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