La community di RollingSteel.it nel giro di 4 anni è diventata una famiglia allargata di appassionati legati dall’apnea che viviamo nell’odierno mondo dell’auto. Può succedere, incontrando le persone giuste anche grazie al nostro progetto, di toccare con mano dei piccoli unicorni dell’automobilismo, in questo caso Italiani. In Veneto la passione scorre a fiumi, nei calici pieni di bianchi frizzanti e nelle strade dove sfrecciano ferri d’annata e non. In tutto questo fermento diffuso ci siamo recati in pellegrinaggio nella “tana” di uno dei fan più carichi di RollingSteel: al Ferro del Day 2019 abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchere e di parlare dei vari assi che ha in garage. Presto arriveranno tutti, perciò non disperate.
Non troverete nessuna foto della tana. Se vi rivelassimo la lochescion, dovremmo uccidervi.
Tornando a noi. Ci sono auto che sono talmente rare e introvabili da sentirne parlare solo da chi c’era allora ed è già tanto vederle nelle poche foto disponibili sul web. E’ il caso di questa Alfa Romeo Giulietta. Ma quelle che vedrete nelle foto in questo articolo non è una Giulietta qualunque, è la “TurboDelta”, l’ultimo assolo dei tecnici diretti da Carlo Chiti nell’interpretare un modello stradale del Biscione.
La Giulietta Turbo Autodelta, spesso abbreviata in TurboDelta, è il vero sogno proibito degli appassionati Alfa in tutto il mondo. Averne una nel 1983, il primo anno di produzione, significava essere il vero padrone della strada. Le sfide da bar erano una formalità per questo bialbero Alfa turbizzato, primo e unico della sua specie (certo, c’è la Giulia GTA SovrAlimentata ma aveva due compressori volumetrici centrifughi (errata corrige per gli ingegnerini che si divertono a trovare i refusi), niente turbo!). Senza scomodare le supercar dell’epoca, la Giulietta Turbo Autodelta vedeva le rivali sparire nello specchietto retrovisore.
– I vostri avversari non potevano fare altro se non abituarsi alla vista di questo posteriore –
Realizzata tra l’83 e l’84, queste Giulietta nascevano dalla linea di montaggio come semplici 2.0 bialbero di colore nero metallizzato ed ogni esemplare (ne erano stati previste 500) veniva poi portato alle sede dell’AutoDelta (magari, Covid permettendo, potreste presto scoprire meglio dov’è questo posto), smontato e rimontato un’altra volta per essere curato secondo le prerogative previste data la tiratura limitatissima del modello.
– Due ferri di tutto rilievo qua –
In realtà l’idea iniziale era quella di realizzare il numero richiesto per ottenere l’omologazione al Gruppo A nella categoria Turismo. Così non fu, perché gli esemplari si fermarono a soli 361, vanificando così gli sforzi dei tecnici che vennero successivamente rispolverati magicamente per la successiva 75, nella sua versione Turbo Evoluzione.
– Non ve la ricordate? Ne abbiamo parlato QUI! –
Quindi la Giulietta Turbo Autodelta rimase solo un interessante esercizio tecnico che avrebbe dovuto anche riavvicinare la clientela sportiva per vetture a 4 porte Alfa Romeo. E ci riuscì, più o meno.
Questo perché la maggior parte di questi esemplari finì in Germania, forse i compaesani di Pasquale Ametrano non erano spaventati dal prezzo leggermente salato di 26 milioni di lire dell’epoca (equivalenti a circa 40.000 euro attuali).
Tutto quest’insieme di fattori, “magistralmente” coordinati dalle decisioni dell’allora I.R.I, decretò l’insuccesso della Giulietta Turbo Autodelta, potenzialmente valido ma sparito presto dalla circolazione per diventare solo recentemente (che caso) un pezzo ricercato e potenzialmente redditizio per chi ne possiede una. Speculazione Uber Alles. Questo perché conserva in sé tutto “l’heritage” (come piace dire alle case automobilistiche oggigiorno) delle sue antenate. La piccola e graditissima “intrusa” Rosso Alfa che vedete in qualche foto non è molto distante da questa Giulietta, tanto esagerata quanto conservatrice.
– Ehi ehi che combini piccola Alfa rossa? No powersliding allowed –
Il motore era il classico duemila bialbero 4 cilindri in linea con basamento e testata in lega leggera, ma grazie alla sovralimentazione tramite turbocompressore e carburatori “soffiati” sviluppava una potenza di 175 CV nella prima versione. Successivamente si optò per una nuova turbina KKK, infatti pare che la precedente fornita dalla AVIO desse alcuni problemi di affidabilità. É interessante notare che questa nuova turbina veniva lasciata nel baule dell’auto, pronta per essere sostituita successivamente nelle officine autorizzate delle varie concessionarie Alfa Romeo. Questa nuova versione, diciamo la “MKII”, pesava 1140 Kg, 105 in più rispetto alla pre-serie o “MKI” e perdeva 5 cavalli.
La Giuletta TurboDelta era riconoscibile per l’unico colore che era disponibile, cioè nero metallizzato, e per la striscia rossa tutta intorno alla carrozzeria, senza ovviamente dimenticare il logo Autodelta. Poco tempo dopo, venne sostituita con un “filetto” sempre rosso, e furono cambiati i cerchi in lega con dei nuovi Speedline e gomme specifiche fornite dalla Michelin, le micidiali ed ora introvabili TRX con misura del cerchio in millimetri anziché in pollici, come anche su Ferrari Testarossa e Renault 5 Turbo. Sul cruscotto trovò posto finalmente il manometro della turbina. L’assetto era in origine il raffinatissimo e collaudato sistema sospensivo derivato dall’Alfetta, aggiornato successivamente da componenti forniti da Koni.
Allora? Com’è?
La prima impressione è quella di una classica Giulietta. Se non fosse per i cerchi e quella righina rossa, potremmo essere tranquillamente al cospetto di una ex auto civetta della Polizia di Stato.
– Manca solo il lampeggiante –
Aperto lo sportello però ci si trova davanti un interno dove è sempre il rosso a dominare la scena.
Qua c’è la prima vera differenza con tutte le Giulietta “di serie”. Partendo dal meraviglioso volante a tre razze sportivo MOMO con logo Alfa Romeo, fino alla stupenda tappezzeria rossa e dai sedili in vera pelle (indovinate il colore) questo interno è davvero speciale. Sembra incredibile, ma già questo dona alla Giulietta TurboDelta un tocco di classe pazzesco, paragonabile solo ad alcune costosissime (e pensate per altri utilizzi) ammiraglie tedesche.
Aperto il cofano è pero il motore ad essere qualcosa di mai più visto, che regala emozioni anche da fermo. E’ senza dubbio il vero pezzo forte dell’auto e forse l’aspetto più rilevante della vettura stessa. Possiamo dire di aver davanti a noi la più inusuale e arrogante versione del bialbero del Biscione. Per definire il carattere dell’Alfetta in gergo provinciale potremmo dire che è un calcinculo con la targa. Certo ha 170 cavalli e non è una Veyron intendiamoci, però tutto quello che ha da dare lo dà senza particolari esitazioni.
Il pedale del gas è il dosatore di Aperol o Campari che state mettendo nel vostro Spritz, perciò se volete finire a terra come nei migliori “bacari tour”, basta solo affondare di più il piede destro e otterrete la tipica spinta nella schiena da giostra rionale. Molte auto di quel periodo sono così, ma questa è capace di farlo anche con quattro persone a bordo e senza trucchi particolari sotto il cofano, tutto questo effetto è solo amplificato dal fatto che non te lo aspetti da una vetturetta dall’aspetto dimesso, anonimo quasi.
Per il resto la sua “non pesantezza” le regala, come è facile intuire, una certa vivacità, che le permette una buona tenuta di strada e perché no, anche un certo coinvolgimento. Diciamo che una volta fatta conoscenza col leggero turbo-lag ci si diverte a usarlo a proprio piacimento praticamente in tutte le ripartenze dalle basse percorrenze, un po’ come quando si impara un nuovo trucchetto da piccolo mago in erba. Dolcemente sfogare.
Difetti?
Come comportamento generale della vettura, no. Occorre solo fare amicizia con la doppia frenata, potente ma non assistita. Si, perchè la Giulietta “TurboDelta” montava un impianto con doppie pinze Lockheed sull’anteriore che garantiscono una certa solidità anche oggi, quando se ne richiede l’intervento.
– Vedete le due pinze? Tanta roba! –
Col cambio, invece, basta solo tenere a mente di essere su un’Alfa dei primi anni ’80 con schema transaxle. Devi saperci fare per tirarne fuori il meglio per non sembrare uno che fa scuola guida. Ciò non è nulla di grave, anzi.
Da segnalare l’assenza di un differenziale autobloccante, che ti fa “cadere” un po’ il resto della macchina. Non è che la mancanza rovina l’esperienza, però gli toglie quel fondamentale passaggio che la renderebbe una vera auto da “rapina” in tutto e per tutto.
– Prima che ci riempiate la casella di posta: SI, quella rossa arriverà su RollingSteel. –
Finito? No. Come già detto la vera rottura di scatole di questa vettura sono le gomme Michelin TRX da 200/60 R365 millimetri (poco più di un 14 pollici), la stessa tipologia di pneumatici che montavano le auto di grossa cilindrata in quegli anni. E dove sarebbe il problema? Semplice, hanno una misura specifica, che le rende praticamente introvabili o insostituibili con un modello più nuovo, in quanto Michelin non le produce più. Perciò a meno che non abbiate A: un treno di cerchi con gomme a misura standard (non in regola) o B: doniate il sangue per comprare delle moderne equivalenti prodotte da altre marche o fondi di magazzino non potrete avere delle gomme nuove sulla vostra TurboDelta.
– Parliamo di fondi di magazzino di oltre 35 anni fa… –
La Giulietta Turbo Autodelta è un’esperienza a sé, ma lascia un po’ di amaro in bocca, non certo per le prestazioni. È come se incontraste una bellissima principessa ma con un terribile incantesimo che la condanna ad un’esistenza un po’ solitaria, rifiutata da cavalieri troppo fighetti, questo almeno fino all’arrivo del principe azzurro che se ne frega dei difetti e sbadila gas come si faceva nei campi tanto tempo fa.
Solo applausi!!!
Scusa l ignoranza….ma quindi x cambiare le gomme come si fa??anche se trovi un fondo di magazzino, saranno cotte
Questo è il bello, avrà tenuta pari a 0… quindi impossibile circolare tranne per raduni, ma senza strafare, credo che si guidi sulle uova
Si tutto bellissimo, ma io attendo il sogno della mia vita, mi sta guardando in foto! Eccola! La rossa che è li dietro! Attendo l’articolo!!!
Ho avuto il piacere di ammirarne una di proprietà di un meccanico che ai tempi era autorizzato Alfa Romeo. Credo che l’essere “Dr Jekill e Mr Hyde” sia la cosa più bella di questa vettura. Notevoli le doppie pinze anteriori, che in quell’occasione notai con piacere. Per inciso ero in un paesino in provincia di Torino, mi auguro che l’abbia conservata anche se mi disse che era parecchio che non la usava più.