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Il micidiale Focke-Wulf FW-190D

Estate 1942, 30 luglio. La missione è di quelle da averci un pizzico d’ansia: scortare un gruppo di bombardieri leggeri Douglas Boston sul territorio francese per andare a bombardare la base del JG-26 di Abbeville-Drucat. JG26, Jagdgeschwader 26, i Top Gun nazisti. La scorta è composta da un gran numero di Spitfire, sia dei vecchi V che alcuni dei più nuovi IX, questi ultimi finalmente in grado di competere con i temibili BF-109 Gustav.

Ma oggi a questi ragazzi andrà storta. Oggi non incontreranno nessun BF-109.

Un attimo prima la tranquillità dell’azzurro cielo francese, un istante dopo il caos, il ferro, il rumore la polvere. Arrivarono attaccando controsole, erano quattro. Quattro aerei mai visti prima, con prestazioni fuori dal comune. Piccoli, manovrabili, veloci e letali, nel giro di pochi minuti tre Spitfire finiscono in fiamme schiantati a terra senza potersi difendere. Solo Donald Kingaby, pilota dal manico rilevante, riuscì a lanciarsi dietro uno di quegli strani aerei e a tirarlo giù. Non sapeva nemmeno lui cosa avesse abbattuto, sapeva solo che aveva motore radiale e che gli rese la vita difficile.

Arrivarono arroganti, abbatterono tre Spitfire e se andarono. Quei pochi che tornarono a casa raccontarono di quattro H-75 francesi pilotati da tedeschi… nulla di più sbagliato, lo stesso asso della RAF Jonnie Johnson dirà che “nessuna macchina prebellica aveva prestazioni paragonabili a queste bestiacce”, difficile che fossero dei modesti H-75.

Bestiacce, mai parola fu più giusta.

Estate 1941, 30 luglio: per la prima volta gli inglesi iniziano a fare i conti con una delle macchine più micidiali della seconda guerra mondiale, il Focke-Wulf FW-190.

– minchia guardi –

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Disegnato e progettato da Kurt Tank per rispondere ad una specifica del 1937, il Focke-Wulf FW-190 era costruito attorno ad un grosso motore stellare (14 cilindri a doppia stella) BMW 801. Con una cilindrata di oltre 41 litri ed una potenza di circa 1.750 cv, il motore garantiva al neonato caccia prestazioni fuori del comune e incontrarne uno negli anni compresi fra il ’41 e il ’43 poteva mettere in discussione il tornare per cena. Il FW-190 infatti era più veloce degli Spitfire della serie precedenti alla IX, era molto manovrabile, armato fino ai denti e particolarmente robusto; lo stesso asso americano Kit Carson racconta che una volta sopra Parigi incontrò un FW-190 e, nonostante gli avesse scaricato addosso tutte le mitragliatrici del suo Mustang (circa 200 colpi da 12,7 mm), il caccia tedesco riuscì a filarsela lasciandosi dietro una grossa scia di fumo nero. Un po’ stronzetto a causa del suo elevato carico alare – caratteristica che tendeva a farlo andare in stallo senza preavviso con conseguente vite alle velocità e quote più basse – l’unico vero limite del 190 era dato da un importante crollo delle prestazioni del motore una volta superati i 5.550 metri di quota.

– pregasi notare la sezione “exhaust thrust”: le marmitte del BMW 801D generavano una spinta di circa 120 kg –

Seppure dotato di un compressore centrifugo a singolo stadio e due velocità, il BMW 801 non era stato progettato come motore ad alta quota e questo divenne un problema importante quando gli americani iniziarono a riversare sulla Germania tutta la loro democrazia. Come già spiegato in questo articolo – se ve lo siete persi, male, molto male, rimediate ADESSO -, l’introduzione del turbocompressore (sviluppato in segreto dalla General Electric) consentiva ai bombardieri americani di operare a quote inarrivabili per molti, sopratutto dalla caccia tedesca. In Germania sapevano che gli americani stavano lavorando sui turbo e sapevano anche che, presto o tardi, avrebbero avuto bisogno di un caccia d‘alta quota, capace di intercettare i bombardieri americani e di mettere alla prova il loro nome, fortezze volanti.

– le scie ghimigheh!!!11! –

Fu per rispondere a questo disperato bisogno che iniziarono gli studi che portarono ad uno degli aeroplani più loschi e minacciosi di tutta la guerra, il mitico FW-190D. Caratterizzato da un muso più lungo necessario per ospitare un nuovo motore V12 Junkers Jumo 213 raffreddato a liquido, il FW-190 langnasen (naso lungo in tedesco) è sgraziato, visivamente minaccioso e si vede da lontano che è un aeroplano deciso e un po’ incazzereccio. Più slanciato e cattivo, messo accanto ad un tozzo P-47, un FW-190 D sembra una macchina da Formula 1 a confronto con una muscle car americana. Una volta in combattimento, questi aerei si dimostrarono molto migliori rispetto agli FW-190 “base”, guadagnandosi senza troppi problemi un posto d’onore fra i migliori aeroplani della loro epoca. Se ne fossero arrivati di più e un po’ prima, queste macchine avrebbero avuto la capacità di rimescolare le carte in tavola, ridando alla Luftwaffe quelle capacità che avevano impressionato il mondo nei primi anni della guerra.

Ora però viene la figata: per sviluppare le versioni da alta quota del FW-190, gli FW-190 D prima e i Ta-152 poi, i tecnici della Focke-Wulf diedero fondo a tutte le loro fantasie, sviluppando una serie di congegni e sistemi che tutt’ora fanno venire the water in the mouth. 

I primi tentativi per rendere l’FW-190 abile ad alta quota vennero fatti cercando di pimpare il BMW 801 per diminuire le gravi perdite di potenza all’aumentare della rarefazione dell’aria: all’inizio si pensò di installare sull’aereo il famoso dispositivo GM-1 (Göring Mischung-1, Miscela Göring-1): questo dispositivo iniettava protossido d’azoto nel motore ed innalzava – temporaneamente – la potenza e le prestazioni, specialmente alle quote critiche. Grazie al dispositivo GM-1, il BMW 801 riceveva un bonus di 135 CV alla normale pressione di alimentazione fino a 225 CV con quella massima. E fu così che i nazi si sono inventati pure il NOS.

Il dispositivo GM-1 tuttavia aveva dei problemi: principalmente il peso delle bombole e la scarsa autonomia del sistema stesso che, una volta esaurito il NOS, siamo al punto di partenza e il problema non è risolto, solo rimandato. Fu a questo punto che Tank – che attraverso il servizio di intelligence nazi sapeva cosa stavano sviluppando gli americani – venne colpito dall’incantesimo della fata turbina e capì che l’unica soluzione era il turbo. Iniziò così il progetto Hochleistungsjäger, letteralmente “caccia ad alte prestazioni”. All’inizio si pensò di dotare il classico motore stellare BMW 801 di un turbocompressore (per un eventuale FW-190B di serie) ma i numerosi problemi stroncarono il progetto sul nascere. Si iniziò quindi a lavorare su un ipotetico FW-190C, dotato di motore Daimler DB603 (lo stesso V12 invertito raffreddato a liquido dei cattivissimi zerstörer Messerschmitt Me-410) sovralimentato con un innovativo turbocompressore azionato dai gas di scarico (vennero provati un Hirth 9-2281 e un DVL TK 11): in questa configurazione l’FW-190 era capace di oltre 1.600 CV ad una altitudine di 10.600 metri, un risultato ottimo ma vanificato dalla cronica inaffidabilità del sistema, che non permise all’aereo di superare le fasi di test. In Germania infatti non erano ancora riusciti a trovare i metalli giusti capaci di resistere agli imponenti stress termici a cui un turbo è sottoposto e, inoltre, gran parte delle scorte di nickel – fondamentale per le leghe ad alta temperatura – erano state riversate per la produzione delle turbine.

– prototipo del FW-190 C, con motore DB 603 e turbo, quest’ultimo posizionato sotto la fusoliera  –

Compreso che il turbo non sarebbe mai stato disponibile, Kurt Tank tornò sui suoi passi e dotò l’aeroplano di un motore V12 Junkers Jumo 213. L’aereo venne ridisegnato per ospitare il nuovo motore e la fusoliera subì un importante allungamento della coda per ripristinare l’equilibrio dell’aeroplano (alla fine l’aereo era un metro e mezzo più lungo rispetto ad un FW-190 kurtznase). Nasceva così l’FW-190 definitivo, finalmente ottimo sia alle quote medio basse quanto efficace ad alta quota: il primo prototipo venne completato nell’ottobre del 1942 e fu pronto per entrare in servizio nel settembre del 1944. Una volta in volo, l’FW-190 D surclassava in tutto il classico FW-190 con motore BMW, rimanendo indietro solo nel rateo di rollio, rallentato dalla maggiore apertura alare del “muso lungo”. La cosa curiosa è che, nonostante le sue ottime prestazioni, il FW-190 D veniva guardato con scetticismo dai piloti della Luftwaffe, che vedevano in lui un aereo messo assieme alla bell’e meglio e inoltre la vera superstar dell’epoca era il Me-262 a reazione, vero beniamino di tutti i piloti tedeschi dell’epoca.

Senza il turbocompressore, le grandi capacità di questi strepitosi apparecchi venivano garantite da alcune soluzioni particolari, specialmente a livello del motore. Sugli FW-190 D veniva infatti utilizzato il motore Junkers Jumo 213, profonda evoluzione dello Jumo 211 utilizzato sui vecchi e lenti Ju-87, gli ululanti Stukas. Il 213 venne rivisto rispetto alle sue umili origini proprio per finire sui caccia più prestanti e nelle versioni più spinte tracannava avidamente la nuova – per l’epoca – benzina a 100 ottani (la mitica C3 Kraftstoff 100 Oktan), producendo così una potenza di oltre 2.000 CV. Oltre alla possibilità di bruciare la benzina C3, le ultime versioni del Jumo 213 avevano un compressore a due stadi e due velocità e un intercooler, necessario per mantenere l’aria più fresca anche alle pressioni di sovralimentazione più spinte.

Non potendo contare sul tanto agognato Turbo, l’FW-190 D (come il gemello diverso Ta-152) nascondeva quindi qualche asso nella manica utile per spremere quanto più potenza possibile. Fra le varie soluzioni, la più curiosa è la famigerata miscela leone MW-50: testata per la prima volta sui BMW 801D ma poi eliminata perché causava dei criccaggi nelle testate, il sistema permetteva di iniettare una miscela 50:50 di metanolo e acqua (M-Methanol, W-Wasser) direttamente in aspirazione. Questo trucchetto – conosciuto oggigiorno come “iniezione ad acqua” e presente, attenzione, sulla BMW M4 GTS – consentiva di aumentare la pressione di sovralimentazione sfruttando due fenomeni distinti che però portavano a grossi incrementi di potenza. L’evaporazione della miscela MW50 raffreddava l’aria in aspirazione, aumentandone la densità e quindi migliorando il riempimento dei cilindri. Questo raffreddamento inoltre aumentava le capacità antidetonanti della benzina che quindi riusciva a bruciare meglio e a generare più energia. Sembra una sciocchezza ma un giochino del genere permetteva aumenti di potenza importanti, sul Jumo 213 la potenza al decollo passava da 1.770 CV a 2.240 CV, 470 cavalli in più, slegati attraverso un pulsante elettrico presente in cabina di pilotaggio. Pulsante che mi immagino rosso con sopra la scritta “go-baby-go”.

Ovviamente non sono tutte rose e fuori, il MW-50 andava usato con cautela per evitare di mandare in pezzi il motore, non più di 10 minuti alla volta e, in caso di utilizzi ripetuti, si era obbligati ad una pausa di almeno 5 minuti tra una botta e l’altra. Come se non bastasse questo sistema accorciava la vita alle candele, no buono quando sei su un aeroplano. Ad ogni modo l’uso della miscela leone ha dato vita ad aerei dalle capacità assurde: alcune versioni del FW-190 D con motore Jumo 213 erano capaci di raggiungere i 730 km/h a 11.000 metri, un valore di tutto rispetto, praticamente ai limiti massimi di quanto possibile da un aeroplano ad elica con motore a pistoni (anche se in Italia ci eravamo andati vicini quasi 15 anni prima, ma QUESTA, è un’altra storia).

Veloci anzi velocissimi, pesantemente armati e dotati di grandissime capacità in volo, gli ultimi FW-190 D erano aeroplani eccezionali, migliorati solo dal fantastico Ta-152H (come Höhenjäger), ultima evoluzione del progetto di Kurt Tank, somma di tutto il know-how appreso con gli anni di lavoro sul 190 e uno dei migliori aeroplani ad elica ad aver mai volato: dotato di ala a grande allungamento proprio per le quote più alte, su questo apparecchio vennero concentrati tutti gli ultimi ritrovati tecnologici dell’ingegneria nazi, fra cui un avanzato sistema di pilota automatico, la cabina pressurizzata e un sistema di stabilizzazione automatica realizzato dalla Siemens.

Arrivato anche lui troppo tardi per poter dare un serio contributo all’andamento della guerra, il Ta-152 – come il FW-190D – venne relegato ad un ruolo difensivo delle basi dei Me-262, tanto abili in combattimento quanto facili bersagli nelle fasi di atterraggio, dove dovevano venire pilotati con le pinze. Lo stesso Chuck Yeager – primo uomo ad aver superato la barriera del suono nel 1947 a bordo di un Bell X-1 – disse: “la prima volta che vidi un aereo a reazione… lo abbattei” riferendosi a quella volta che con il suo P-51 sorprese una piccola formazione di Me-262 in fase di atterraggio e li tirò giù come piccioni.

– Yeager è quello in mezzo –

Le cose sarebbero andate diversamente con il Ta-152: circola infatti da anni una leggenda secondo la quale Kurt Tank, che per tradizione e abitudine soleva pilotare personalmente i suoi aeroplani, un giorno stava collaudando un Ta-152 quando venne intercettato da una formazione di P-51D Mustang americani. Kurt aveva diverse opzioni ma fra tutte scelse l’MW-50.

Non appena l’elettrovalvola si è spalancata e la pozione magica è stata aspirata dal grosso V12 da 35 litri, il Ta-152 di Tank ha accelerato vistosamente lasciandosi alle spalle i P-51, incapaci anche solo di pensare di andare a prendere quel formidabile apparecchio.

Leggenda? Verità? Non lo sappiamo, sappiamo solo che, sia il FW-190D che il Ta-152 (come i vari Me-262 e He-162 e Me-264 Amerika Bomber – un nome, un programma) arrivarono troppo in pochi, troppo tardi. Troppo pochi e troppo tardi per cambiare il destino di un conflitto che era segnato già dal tardo 1943 e che, anche se chi scrive non è un filoamericano, forse è anche meglio sia andata così.

Articolo del 29 Maggio 2020 / a cura di Il direttore

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  • Jarno dagostino

    Very nice description. I read harleys magazines and the explanetion style is the same. Cool style man! Keep it going.

  • Gianfranco Defrancesco

    Articolo decisamente interessante e prosa anche molto accattivante. Unico dubbio, forse il termine “Hochleistungjäger”, potrebbe essere tradotto con “caccia ad alte prestazioni ” e non ” caccia per alta quota”. Cordialmente

  • Adriano

    Articolo bello divertente preciso per quanto ne so grazie.
    Buono come quelli che scriveva su Aerei un pilota collaudatore inglese(dimenticato nome)

  • Sandro

    Complimenti per l’articolo. Per completare le informazioni sul FW190 citerei che era dotato di un vero ‘computer analogico’, il Kommandogeraet che si prendeva cura di aggiustare automaticamente miscela, pressione di sovralimentazione, passo dell’elica e anticipo d’accensione col solo movimento della manetta. Un gadget non da poco quando magari dovevi aggiustare tutti quei parametri mentre eri in virata con dietro un hooligan con istinto omicida tipo Jack Nicholson in Shining.
    Oltretutto con quell’accrocchio non potevi commettere errori nel settaggio dei parametri, cosa non rara.

  • Antonio Bossi

    Articoli mooolto interessanti. Ho imparato un sacco di cose nuove. Complimenti!
    Antonio

    • Billy Bunker

      articolo tecnicamente interessante ed istruttivo, per il quale meriti più di un complimento.
      tuttavia la prosa di genere adolescenziale rende la lettura fastidiosa quanto un sabato pomeriggio in un centro commerciale.. abbandonala quanto prima, davvero non ne hai bisogno.

  • Daniele

    Interessante, precoso e dettagliato. Lettura davvero scorrevole e divertente. Grazie!

  • Ricardo

    Bellissimo articolo. Seguivo Kurt Tank sia per il fw190 sia per la sua storia legata al pulqui e le mie origine…grazie

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