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Tyrrell P34: Sei ruote is mei che quattro

C’è stata un’epoca in cui la Formula 1 era diversa. C’è stata un epoca in cui il regolamento della massima serie automobilistica era semplicemente questo:

“regaz, vedete di non ammazzarvi per favore”

Viene quindi da se che c’è stata un epoca in cui gli ingegneri erano senza guinzaglio e museruola ed anzi venivano incoraggiati a dare sfoggio delle loro fantasie più turbolente. La cosa ancora più incredibile è che c’erano piloti disponibili a mettere il loro prezioso culetto su quelle follie a quattro – e spesso più – ruote.

Proprio da questo nasce questa rubrica che ha l’obiettivo di andare a raccontare le auto da F1 tecnicamente più folli, da pazzi, da TSO immediato. Come al solito su rollingsteel non si premiano le vittorie quanto la follia e la faccia da culo nel presentarsi sulla griglia di partenza con delle vere e proprie robe da matti.

Tyrrell P34 ma non solo

Si parla di Formula 1 a sei ruote e immediatamente la mente scappa alla Tyrrell ed alla sua incredibile P34, dotata di quattro ruotini anteriori sterzanti. Ma quello che forse non tutti sanno è che la Tyrrell non fu l’unica a sperimentare i tre assi – o comunque le sei ruote – nella massima serie automobilistica.

Se infatti alla Tyrrell bisogna riconoscere il merito di esser stata la prima – nonché l’unica competitiva e vincente – vettura a sei ruote, non si può far finta di nulla di fronte a progetti portati avanti da altre case automobilistiche.

Visto quindi che sono buono ed altruista e voglio offrirvi qualche spunto in più per far gli sboroni con i vostri amici al bar (si fa ancora?), ecco che vi presento non una, non due ma bensì un po’ di alternative alla classica Tyrrell P34.

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Sei ruote, la droga o la furbizia?

Prima di addentrarci nel racconto delle varie auto, vediamo un attimo in breve per quale motivo, negli anni ’70 (anni in cui spopolavano cose carine come l’eroina e i karftwerk) a qualcuno venne l’idea di stravolgere la Formula 1.

In cerca di maggior grip e stabilità in curva, al progettista inglese Derek Gardner – dipendente Tyrrell – venne il trip di costruire una macchina dalla particolare linea a cuneo, in cui l’asse anteriore classico era sostituito da un complesso sistema di quattro ruote da 10 pollici – tutte e quattro sterzanti – carenate dietro un alettone anteriore, grande abbastanza da coprirle, ma comunque più piccolo rispetto a quelli presenti sulle altre auto.

La maggiore impronta e la carreggiata più stretta consentivano un migliorato inserimento in curva della vettura senza però andare ad inficiare l’aerodinamica dell’intero corpo vettura. Insomma, a parole un vero colpo di genio. Colpo di genio premiato sull’asfalto; la Tyrrell P34, unica macchina da Formula 1 a sei ruote che abbia mai disputato un GP valido per il campionato del mondo (ne corse 12, a partire dal GP del Belgio del ’76, il quarto del calendario), conquistò ad Anderstorp, il 13 Giugno del ’76, una doppietta con Jody Scheckter al primo posto seguito a ruota da Patrick Depailler. A fine anno la macchina si classificò terza nella classifica totale, mica male questo trip eh!

A questo punto ci sta una bella gallery dedicata a questo ferro. Foto via.

Si può quindi affermare che la scommessa della Tyrrell P34 si rivelò un successo? Uhm, non proprio. La macchina infatti soffriva di gravissimi problemi di surriscaldamento alle ruote anteriori (c’è da dire che ruote molto più piccole, a parità di velocità, ruotano molto ma molto più veloce, non dando il tempo allo pneumatico di raffreddarsi a dovere) e di fatti l’unica vittoria avvenne in una pista dal clima piuttosto fresco. La Good Year, che produceva le gomme della P34, si disinteressò in fretta al progetto P34 e interruppe lo sviluppo delle coperture.

A quel punto agli inge della Tyrrell altro non rimase da fare se non allargare la carreggiata anteriore facendo quindi uscire dal loro nido le ruote (e quindi farle investire dal flusso d’aria fresca) vanificando però la motivazione stessa del progetto.

Botte piena e moglie ubriaca? Nein.

Nonostante tutto, visto il relativo successo di questa macchina, alcune squadre avversarie della Tyrrell P34 si fecero trasportare ed iniziarono a sviluppare le proprie auto a sei ruote. Vediamole quindi, una ad una.

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Ragazzo, non lasciarti influenzare.

Quante volte, da bimbo, mia madre mi ha ripetuto questa frase? Tante, sicuramente più di quanto l’abbiano detto i genitori degli ingegneri della March ai proprio figlioletti. Questi ultimi, galvanizzati dalle vittorie della Tyrrell P34, presero spunto per una propria versione di una macchina da F1 a sei ruote, questa volta però con quattro ruote posteriori piuttosto che anteriori.

In questo caso particolare l’idea degli inge era quella di creare un veicolo capace di scaricare a terra in maniera efficiente ed efficace i quasi 500CV del classico motore V8 Cosworth DFV grazie alla maggior impronta a terra. Tuttavia (ah che belli questi tuttavia) per trasferire la potenza del motore alle quattro ruote posteriori è necessario – ovviamente – un complesso sistema di trasmissione (dicesi cambio) con però lo scotto di un maggiore assorbimento di potenza.

Provate a seguirmi: che senso ha fare una macchina con due ruote motrici in più per sfruttare tutta la potenza del motore se poi sono quelle due ruote in più a mangiarti la potenza che quindi non ci sarà bisogno di scaricare a terra?

Ecco quindi la necessità di progettare un complesso sistema di trasmissione capace di risolvere tutti questi problemi. Gli ingegneri della March, capitanati da un certo Robin Herd, disegnarono quindi una nuova scatola del cambio che permetteva di sfruttare appieno la potenza del glorioso V8 senza inutili sprechi di energia. Ma le ristrettezze economiche con cui la scuderia doveva fare i conti quotidianamente, rese impossibile farsi costruire un nuovo cambio (con ingranaggi, fusioni e quant’altro) ex-novo solo per loro. Ecco quindi il colpo da barbone da pezze al culo da McGyver di genio: prendere il classico cambio Hewland e attaccarlo ad una seconda scatola del cambio come se fosse un prolungamento della prima attraverso un albero, un pignone ed una corona. Robe da matti.

L’idea poteva anche funzionare, almeno sarebbero riusciti a provarla in pista e vedere se sto accrocchio funzionava. Purtroppo la provarono a Silverstone e, guarda un po’, pioveva. Ecco quindi che, con al volante un certo Howden Ganley, la macchina scese in pista e, fra una sgommata e l’altra, le sollecitazioni meccaniche, specialmente le torsioni indotte sul cambio dalle ruote, sbriciolarono il sistema di collegamento tra le due scatole. A quel punto, impossibilitati a sistemare il problema così, al volo, tra una bestemmia ed una paglia, semplicemente aprirono il differenziale posteriore, tolsero la corona rendendo le ruote libere, e la macchina tornò in pista come una semplice e tradizionale auto a due ruote motrici (ma con sei ruote, di cui quindi quattro libere).

In questa rarissima e preziossima fotografia vediamo il buon Howden lamentarsi con il suo meccanico:

“ma rega, ma che me state a smontà er cambio?”

“l’omme ca po’ fa a men’ ‘e tutt’ cos’, nun tene paura ‘e niente”

Insomma, lo sappiamo, il motorsport richiede finanze di un certo tipo, specialmente se vuoi fare il figo con soluzioni da sborone come le sei ruote. Peccato per la March, ma l’era delle six wheeler non era ancora finita…

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Rega, ci pensa Patrick Head!

…di fatti nel 1983, in piena era effetto suolo, il mitico ing. della Williams progettò e fece scendere in pista la meravigliosa FW08, ultima vettura a sei ruote della storia della massima formula.

Come nel caso della March alla Williams costruirono un ferro dotato di quattro ruote posteriori spingenti, dello stesso diametro e larghezza di quelle comunemente utilizzate all’anteriore, con il fine di ridurre il drag aerodinamico dato dalle enormi gomme posteriori  e di generare un maggiore effetto suolo grazie alla maggior larghezza del corpo vettura al posteriore.

La macchina venne testata in pista e si dice che fosse veramente molto competitiva (i tempi sul giro rimarranno – e sono tuttora – un mistero) prima che la FIA, sulla scia del tremendo incidente che ci portò via Gilles, mise mano al regolamento vietando, una volta per tutte, macchine dotate di più di quattro ruote. Peccato davvero, questa era un ferro del Dio, grazie al serbatoio montato in posizione rialzata al fine di mantenere la lunghezza del corpo vettura (era solamente 250mm più lunga rispetto all’analoga a quattro ruote) entro limiti accettabili, era veramente bella, molto meno grottesca rispetto alla March.

E gli altri?

Dici sei ruote e pensi a Tyrrell. Poi leggi RollingSteel e ti ricordi della March e della Williams. Potrebbe essere abbastanza ma anche no. Ecco allora che vi raccontiamo di quella volta in cui la Ferrari chiese all’ing. Forghieri di portare in pista la sua versione di una macchina a sei ruote. Anche a Maranello volevano trovare un modo per ridurre la resistenza aerodinamica data dalle enormi (all’epoca erano grosse davvero) gomme posteriori. Ecco allora l’idea di prendere una 313 T2 e di montare al posteriore quattro ruote anteriori però, in questo caso, gemellate.

Sì, come i camion.

Con al volante Niki Lauda e Carlos Reutemann la macchina venne testata sia a Fiorano che a Nardò, in Puglia. Se il pilota austriaco si trovò bene con lei lo stesso non si può dire per Reutemann. Quest’ultimo la criticò apertamente, specialmente dopo averne schiantata una. Comunque vada non fu un grosso problema, la macchina aveva una carreggiata posteriore superiore a quanto ammesso dal regolamento e quindi non si potè portare in gara.

A parte questo, quei burloni della Ferrari si divertirono facendo girare a Fiorano con al volante Clay Regazzoni, un prototipo di 312, denominato T8, dotata di otto ruote, quattro avanti e quattro dietro. Non si seppe mai che tipo di droga avevano assunto, la versione ufficiale è che la Ferrari lo fece per fare uno “scherzetto” alla stampa ed attirare un po’ di attenzione su di lei.

Non solo Formula 1

Infine, per concludere in bellezza, voglio raccontarvi della Alfa Romeo. Tempo fa ho scritto della 33/3 TT, ebbene, alla Alfa ne fecero anche una versione a sei ruote, quattro posteriori spingenti che, nemmeno a farlo apposta, venne testata in segreto il primo Aprile del 1970 a Sebring (all’indomani della 12 ore).

Denominata T33/6/12, venne disegnata per dare la paga alle varie Porsche 917 e Ferrari 512 e probabilmente ci sarebbe anche riuscita se non fosse successo che la macchina, durante la notte, venne rubata da un gruppo di simpatici regazzini di un college locale. La macchina (il telaio, senza motore) verrà ritrovata solo due settimane dopo in un bosco. Successivamente a questo infausto evento, per parecchi anni, si raccontò di una hot rod, stranamente dotata di motore V12, che seminava panico e paura nell’area di Sebring.

Articolo del 6 Luglio 2017 / a cura di Il direttore

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