Ormai quando Space X lancia mi sento un po’ come gli amici di Grace nel film “L’erba di Grace”, quando ogni sera lei accende la serra. Avete presente l’immagine in cui tutti si mettono gli occhiali da sole all’unisono per non restare abbagliati?
E anche questa volta Space X “non ci ha deluso” riservandoci un discreto botto.
-Credits Space X-
Prima del botto però ci siamo potuti godere delle belle immagini dei 120 m di razzo che proietta scie di metano bruciato lunghe indicativamente quasi mezzo chilometro.
– Tutti i motori accesi, ma mancano piastrelle. Questo potrebbe esser un problema in futuro-
Per chi si fosse perso il commento al primo lancio, lo trovate QUI, riporto comunque la tabella si sintesi di Wikipedia sugli obiettivi raggiunti da quel volo RISPETTO AL PROGRAMMA DI LANCIO.
Questa è la stessa tabella per quello che è successo ieri.
Sostanzialmente il passo avanti più visibile è stato fatto nella stage separation, se ben ricordate l’altra volta qualcosa non ha funzionato, gli stage si sono incastrati è poi è stato RUD (Rapid Unscheduled Dissassembly), un modo carino e un po’ paraculo per dire “si è sbragato”.
A questo giro non solo la separazione è andata alla grande, ma era stata introdotta anche un novità per Space X, cioè la “hot-stage separation”. Spendiamole due paroline su questo.
In una separazione normale in genere i motori del primo stadio si spengono, i due vengono disconnessi, il primo stadio si allontana con dei retrorazzi e il secondo accende i motori e riparte. Nella “hot-stage” di Space X invece le cose vanno così: il primo stadio spegne 30 motori e ne tiene 3, il secondo accende i suoi, gli stadi sono separati e a questo punto il primo se ne va.
Si capisce che pertanto ci sono due chiari vantaggi: la spinta non si interrompe (non del tutto) e soprattutto si risparmia un bel peso in meccanismi di sgancio e retrorazzi, Zio Elon dice che questo aumenta il payload del 10% e gli crediamo ciecamente.
Questa scelta è un buon segno sullo stato di salute del progetto: Space X ha ancora in mente obiettivi di lungo termine, non banalmente funzionare…
-Hot-stage. Credits: Space X –
Interessante riguardo all’hot-staging notare come sia cambiato l’anello di congiunzione tra gli stadi: ora è dotato di griglie di sfogo dei motori per poterli accendere prima.
-Credits: Space X –
Dopo la separazione Starship ha continuato la sua ascensione più o meno regolarmente, mentre il Super Heavy (il primo stadio) “ha tentato” il rientro eseguendo la manovra standard di Space X: giro un mostro di 70 m, accendo dei motori, rallento, mi rigiro, atterro. Qui le cose hanno iniziato ad andare male, uno dei 10 motori previsti per questa fase non si è riacceso e anche gli altri sono andati in crisi e si sono spenti uno dopo l’altro. Il Super Heavy è uscito di traiettoria e lo FTS (Flight Termination System) ha dichiarato abbandono. Secondo altre fonti lo stadio è esploso di suo per perdite, ma per ora questo poco importa perché il Super Heavy in questa missione ha fatto il suo, farlo riatterrare sarebbe stato grasso che cola.
Là in alto la Starship ha continuato ad andare con l’obiettivo di un volo sub-orbitale fin quasi alle Hawaii. In prossimità dei 25.000 km/h (che sono parenti dei 27.6000 della ISS in orbita) confesso che pensavo le cose fossero fatte, tutto sembrava procedere per il meglio, poi la telemetria è scomparsa e nelle immagini si vede una sorta di nuvoletta.
Al momento in cui scrivo la versione più accreditata è che ci fossero delle perdite di carburante, avendo il computer di bordo determinato l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi di lancio, lo FTS ha fatto ancora una volta il suo. Le perdite di carburante sono da sempre un problema per il volo spaziale e in questo caso un brutto segno di inaffidabilità strutturale (si sospettano anche sul Super Heavy).
Questa la cronaca dei fatti, buttiamoci ora nello sport preferito dell’Internet: successo o fallimento?
Partiamo da questa immagine:
Stesso momento, primo e secondo volo. Non serve essere ingegneri aerospaziali per capire che nel primo caso la situazione è molto migliore: tutti i motori vanno, velocità doppia, altezza doppia e assetto molto più sano.
Questa è prima di tutto la testimonianza che i Raptor fanno il loro lavoro (ne abbiam parlato nell’articolo base su Starship QUI) sdoganando i fenomeni che accusavano Elon di non avere imparato la lezione del N1 sovietico.
Tanti motori non sono un punto debole di un razzo, ma un punto di forza. C’è ridondanza e c’è soprattutto una maggiore efficienza, ricordiamo un’altra volta che il piatto di iniezione cresce in due dimensioni, mentre la campana del razzo in tre: ergo più grande è il motore più è complesso sfamarlo (e poi le turbolenze, le vibrazioni…) .
Merito di questa performance dei motori è soprattutto la riuscita mitigazione dell’onda d’urto sullo “Stage 0” cioè la rampa di lancio. Se l’altra volta la potenza dei 33 Raptors aveva scavato un cratere proiettando cemento ovunque e danneggiando i motori stessi, questa volta la piastra d’acciaio con tanto di getti d’acqua ad alta pressione ha tamponato il problema.
Dico tamponato perché, come vedete nella seconda immagine sotto, lo “Stage 0” non è esattamente intonso, notate le piastre mancanti?
Sotto un confronto tra i due lanci.
– Primo giro-
– Secondo giro-
Space X parla di successo, ci spiega per l’ennesima volta la metodologia dei prototipi (presa dall’AGILE* dell’informatica, ne parliamo in coda) e come abbiano fatto incontrovertibili passi avanti.
Internet è ormai piena di sedicenti ingegneri aerospaziali (presente!) che si affannano a spiegare agli altri che Elon lavora così, anzi la sensazione diffusa è quasi che sia da sfigati che non capiscono nulla criticare i lanci.
Quella del bicchiere mezzo pieno è comunque l’interpretazione ufficiale e se volete potete anche fermarvi qui. Io con la redazione di un RS mi sono giocato una batteria esausta che in due giri Space X ce la fa e ne sono convinto, quindi significa che del buono sicuramente ce lo vedo.
Però c’è un “però”.
Siamo lenti, terribilmente lenti. Io non ci credo che Elon è soddisfatto di questa roba qua.
Prendiamo il SATURN V, progetto comparabile più immediato che viene in mente. Le prime avvisaglie della commessa degli F1 sono del ’55, i primi progetti del razzo si collocano tra il 60 e 62.
SA-501 il primo volo (Apollo 4) è del settembre 67, quindi tra concept e primo volo riuscito ci sono dai 5 ai 12 anni secondo come li contiamo. Se aggiungiamo un anno siamo al primo test con uomini a bordo (Apollo 8).
Ora prendiamo lo STS Shuttle che forse è più centrato come obiettivi: riuso ed elevato payload. Qui andiamo da 1968 al 1980 per il primo volo con uomini a bordo: sono 12 anni, ancora.
La dichiarazione di Elon Musk per la costruzione della Starship è dell’ottobre 2012, sono passati 11 anni da allora e certamente manca oltre un anno al primo volo con uomini a bordo. Insomma inutile girarci intorno: i tempi non battono, per fare il SATURN V ci è voluto meno che per fare la Starship, AGILE o non AGILE.
Ci sono attenuanti per carità, la prima è che Elon non investe il 4% del budget governativo, ma è un privato. E infatti le Starship costano poco, pochissimo rispetto a lentissimo e costoso Artemis, per esempio (ne abbiamo parlato QUI).
La seconda è che il progetto è parecchio ambizioso: Starship è enorme, porta 100 persone non 3, e a questo si aggiunge la riusabilità di tutte le componenti.
Ma è anche vero che sono passati 60 anni da allora, ci sono capacità di calcolo incomparabili ed esperienza aerospaziale a pacchi: STS (Shuttle), ISS, la stessa Space X. Non è che siamo stati con le mani in mano per sessant’anni.
Personalmente per me il bicchiere è mezzo vuoto, io avrei ritenuto accettabile un volo dove almeno la Starship (secondo stadio) raggiungeva l’obiettivo. Comunque impresa privata: contento Elon (contento?), contenti tutti e grazie per lo show.
*Pippone® informatico:
La metodologia Agile è un approccio iterativo e incrementale concepito per lo sviluppo del software, focalizzato sulla flessibilità e sulla risposta rapida ai cambiamenti. Le principali caratteristiche includono la collaborazione continua con il committente, la consegna frequente di piccoli incrementi di prodotto, l’auto-organizzazione dei team di lavoro, e la capacità di adattarsi ai requisiti.