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I russi alla conquista di Venere

Se non fosse Rollingsteel, leggendo il titolo verrebbe soprattutto da pensare a qualcosa di connesso al meraviglioso mondo della patata femminile, i più eruditi potrebbero sfoggiare la dea romana o una “Venere del Botticelli”. Ma questo è Rollingsteel, quindi donne soprattutto nei nostri sogni, ma tantissimo ferro invece quando ne volete.

Aspettate ad essere delusi perché, ancora una volta, parliamo di ferro sovietico e possiamo mettere su il nostro 33 giri con l’inno cantato dal coro dell’Armata Rossa mentre combattiamo “con il nostro nemico di sempre” (cit. Ramius).

Siamo nella metà degli anni ’60 e USA e URSS sono in piena corsa alla Luna (parliamo delle missioni Apollo qui), in mezzo a tutto questo, un po’ per puro spirito di esplorazione, un po’ per testare i missili e la navigazione spaziale, ma soprattutto per far vedere al resto del mondo chi ce l’ha più lungo (il missile)… ecco, esattamente lì in mezzo, si infila il missile una corsa a chi piazza per primo più bandierine più sonde sui pianeti del sistema solare.

Spoiler: alla fine di questa battagli ci saranno due pianeti rossi:

  • Marte, il pianeta rosso per antonomasia, con tante bandierine a stelle e strisce;
  • Venere, tutto di un altro colore (avorio), dove invece sventolano falce e martello in campo rosso.

Solleviamo un attimo la testina del 33 giri, perché per capire la portata dell’opera sovietica occorre mettere in chiaro un paio di elementi su Venere.

Il secondo pianeta, oltre ad essere per dimensioni molto simile alla Terra, è l’astro più brillante nel nostro cielo dopo il Sole e non a caso gli antichi lo identificavano con la dea della bellezza. Purtroppo, a dispetto delle aspettative, Venere è un postaccio, c’è un aria pesante e nessuno ha voglia divertirsi molto laggiù.

-Su Venere fendinebbia sempre accesi, anche di giorno-

L’aria pesante non è dovuta tanto al fatto che qualcuno ne ha mollata una colossale o è uscito con una battuta infelice su un ekranoplano, quanto al fatto che il pianeta è piagato da un colossale effetto serra, secondo qualcuno stesso destino riservato alla Terra.

Al suolo ci sono 92 atmosfere (NOVANTADUE, AL SUOLO), piove acido solforico e il termometro segna quei 470°C-480°C che fanno passare la voglia di fare beach volley come in Top Gun.

 -Siccome sappiamo tutti che nessuno sano di mente scriverebbe mai un articolo su ferraglia sovietica senza una foto di ekranoplano, ce lo giochiamo subito, così de botto. E sì, vi amiamo anche noi –

Insomma, per dirle in parole semplici, se negli anni ’60 era un delirio arrivare fino a Venere, quasi impensabile atterrarci, pensate cosa significa ancora oggi costruire un qualcosa che resista più di 5 minuti in quell’inferno.

Riabbassiamo la testina del 33 giri e torniamo all’inizio dei mitici anni ’60, per la precisione al 1961 quando viene lanciata Venera 1, un salto quantico nel volo spaziale; si tratta infatti della prima vera sonda interplanetaria capace di stabilizzazione rotazionale e primo oggetto spaziale costruito per correggere la propria angolazione su tre assi in volo sfruttando l’osservazione del Sole e della stella Canopo. Tutto bellissimo, ma la sonda perde i contatti in orbita eliocentrica a 100.000 km da Venere, probabilmente surriscaldata. A lei e Luna 2 (sempre CCCP) si deve di fatto la scoperta del vento solare (un flusso di plasma proveniente dal sole).

-Venera 1-

Anche Venera 2 si perde per strada, anche se arriva sicuramente più vicino, passando senza più segnali a soli 24.000 km da Venere.

Finalmente nel 1967 due sonde giungono quasi in contemporanea sul pianeta, la sovietica Venera 4 e l’americana Mariner 5. Venera 4 si compone di due parti fondamentali: il “bus” che guida la sonda fino a destinazione e una capsula di discesa da 400kg da rilasciare in atmosfera. L’ingresso di quest’ultima è turbolento e ai limiti dell’ingegneria, vengono registrati 300 G di decelerazione (era testata per 450) e lo scudo termico raggiunge la mostruosa temperatura di 11.000°C. In qualche modo la sonda sopravvive, apre un doppio paracadute e, raffreddata con un sistema a gas, trasmette dati sull’atmosfera fino a 25km di quota prima di gettare la spugna sciolta dai simpatici acidi atmosferici. È la prima volta che raccogliamo i dati atmosferici di un altro pianeta.

Mariner 5 si infila in orbita eliocentrica, sorvola Venere e aiuta ulteriormente a fare chiarezza sui dati di pressione e temperatura di Venere, ben superiori a quelli previsti fin lì. Mariner 5, grazie di avere partecipato, ma sei fuori, torniamo in CCCP-landia.

-Modello di Venera 4, la parte bassa è quella che si sgancia in atmosfera –

Gasatissimi dal risultato ottenuto i nostri amici sovietici partono con un programma di doppie missioni per raddoppiare le probabilità di riuscita, inviano così Venera 5 e 6, ma l’entusiasmo cala rapidamente perché nessuna delle due riesce a fare molto meglio della 4.

-Sequenza della missione in un’immagine d’epoca-

Le cose cambiano con Venera 7 decollata dal Baykonur il 7 agosto del 1970 e la successiva Venera 8 del 1972.

Occhio alle date: qui l’URSS ha già bello che perso la sfida alla Luna (20/7/1969) e raddoppia gli sforzi sugli altri campi.

Per entrambe si cambia tattica, tenendo collegato il “bus” che fornisce energia per raffreddarle fintanto che è possibile, grazie alla loro corazzatura e all’isolamento sopravvivono in qualche modo fino al contatto col suolo trasmettendo informazioni importanti sull’atmosfera di Venere. Si scopre così che la spessa coltre di nubi non arriva a terra e che i mostruosi venti atmosferici sono praticamente inesistenti al suolo (1-4m/s). Resta invece confermato che è un postaccio senza acqua allo stato liquido e con un’atmosfera pesante come quella che si respirava sul sommergibile di Tupolev mentre spingeva il reattore nucleare a piombo e bismuto al 105%.

-Capsula Venera 7, si notano i paracadute da aprirsi con una sequenza ben programmata-

I ragazzi del CCCP prendono coraggio e per il 1975 preparano una cosa in grande stile: Venera 9 e 10 sono due colossi da quasi 5 tonnellate il cui lander ne pesa da solo una e mezza. Per lanciarle serve un vettore potente e usano il Proton il lanciatore che sta facendo la storia della cosmonautica portando in orbita le stazioni Salijut, nonne della ISS.

– Razzo Proton K: un ICBM da 50 m che ha preso steroidi e servito dal 1967 al 2012, ha all’attivo 310 lanci (di cui 24 andati male)-

Il lander era una sfera di metallo destinata ad aprirsi una volta superata la fase più complessa dell’ingresso in atmosfera, all’interno si celava la sorpresa kinder una sofisticatissima sonda, almeno per gli standard degli ’70 e dintorni.

L’aspetto più critico per i sovietici è sempre stato quello di farla sopravvivere all’ingresso in atmosfera, tutti voi avete presente che genere di scudi termici hanno le capsule e gli Shuttle che rientrano a Terra, ora immaginatevi di farlo in un’atmosfera il cui unico scopo di esistenza sembra essere quello di incenerire qualsiasi cosa voglia entrare (o uscire, come per il caldo) da Venere. Parliamo di un’aria 90 volte più densa di quella terrestre, con nuvole di acido solforico e venti a 3/400 km/h in quota tali da fare girare l’intera atmosfera di Venere intorno al pianeta ogni 4 giorni, quando il giorno venusiano ne dura ben 243.

I sovietici le provano tutte, prima raffreddano la capsula intorno a -14°C usando sempre l’energia del “bus”, poi le fanno fare il pezzo difficile avvolta nella sua sfera protettiva. Superato l’ingresso aprono dei paracadute, non troppo grandi che l’aria è densa e soprattutto non si può perdere tempo a scaldarsi troppo in quota. Il fatto che i paracadute si sciolgano nell’acido fa parte del progetto e vengono rimpiazzati strada facendo con un altro set. Superata la fase più critica, via i paracadute e si ricorre ad un semplice disco aerodinamico, tanto l’aria ormai ha la densità del taleggio (e puzza pure di zolfo), il “freno a disco” aerodinamico basta per rallentare a soli 7 m/s lasciando agli ammortizzatori del ciambellone un compito relativamente facile.

-La sonda intera, in alto la sfera di protezione del lander-

-Un lander della serie Venera 9-12 su piedistallo, si nota in basso la “ciambella” per ammortizzare –

Lo sappiamo, quando si tratta di ferraglia che deve resistere a tutto i sovietici sono i “numeri uni”, entrambe le Venera 9 e 10 raggiungono la superficie e restano in funzione per circa 50 minuti.

Venera 9 è la prima sonda a darci un’immagine ripresa dalla superficie di un altro pianeta:

Venera 10 fa anche lei il suo lavoro e trasmette questo

Sotto le stesse immagini con la correzione della distorsione

C’è un’altra finestra di lancio nel 1978 e i sovietici che ormai sono talmente tanto gasati da avere nel sangue più CO2 di Venere (bruttissima lo so), cacciano quindi fuori Venera 11 e 12, sostanzialmente simili alle due precedenti.

Atterrano il giorno di Natale e operano rispettivamente per 95 e 110 minuti.

Il bello arriva però con le sonde Venera 13 e 14 nel 1981, per capirci siamo intanto passati praticamente da Gagarin (1961) all’anno del primo volo dello Shuttle (ne parliamo qui).

Venera 13 e 14 hanno una camera a colori e ci regalano un’immagine cruda, terrificante e meravigliosa di un pianeta infernale.

-Venera 13: Immagine con distorsione compensata-

-Venera 14, immagine rettificata-

Ormai l’altro pianeta rosso l’abbiamo visto in lungo e in largo, ma questi pochi scorci di Venere restano a mio avviso ancora più spettacolari.

Venera 15 e 16 sono missioni orbitanti senza lander, mappano via radar un bel pezzo della superficie del pianeta, rivelando come sia mediamente pianeggiante con rilevi in genere non superiori agli 800 m, si distingue solo un altopiano nel Nord chiamato “Terra di Ishtar” con monti più alti dell’Everest. La temperatura media del pianeta è 462 °C, ma si toccano i 700 in certe zone: consigliato bere molto e non uscire nelle ore più calde della giornata, soprattutto gli anziani.

-La zona della Terra di Ishtar-

Concludiamo l’epica avventura dell’incredibile serie Venera con la missione (sempre gemella) Vega-Halley lanciata nel 1984.

Questa volta le sonde scaricano due lander nella notte venusiana (niente foto qui) e vengono liberati due palloni sonda che viaggeranno a lungo nell’atmosfera fornendo preziosissime informazioni. Sfruttando l’effetto fionda gravitazionale di Venere le sonde continuano verso un incontro del tutto speciale con la Cometa di Halley il cui periodo di rivoluzione di 76 anni metteva a dura prova i piani quinquennali CCCP.

Le sonde scoprono la dimensione del nucleo (circa 15×8 km), la temperatura superficiale (più calda del previsto) e altre informazioni importanti sulla Cometa di Natale, ma soprattutto ci regalano foto come questa di Vega 2

Giusto per ingolosirvi ve ne metto anche una della sonda Giotto che nello stesso periodo si avvicinava a soli 596 km

Nonostante tutti i progressi fatti con i lander non siamo più atterrati su Venere, ci siamo limitati a sbirciarlo da lontano con sonde radar come Magellan. I Russi stanno progettando una Venera-D per il 2026, anche questa sarà orbitale. Quindi, ahimè, le immagini Venera restano l’unica vista della superficie dell’altro pianeta “rosso”, ma proprio per questo ancora preziosissime e meravigliose.

-Comunque, diciamocelo, anche Magellan tanto male non ha fatto-

Se volete un romanzo dove dove si parli di concetti come la fionda gravitazionale delle Vega/Halley e siete appassionati di fenomeni orbitali, potete contribuire ad aiutare Rollingsteel acquistando il libro del sottoscritto a questo link.

-Sono un Rollingsteeler semplice: vedo un Buran, lo clikko-

Articolo del 18 Ottobre 2021 / a cura di Paolo Broccolino

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  • firuzza63

    E compratevi il libro di Paolo se non l’avete ancora fatto!!! (caro Babbo Natale, io aspetto un ”volume 2″ se possibile…)

  • Sandro

    Ma perché andare a rompersi tanto le palle per un pianeta così schifoso?

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