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Quella bomba totale che fu Test Drive Le Mans (per Dreamcast)

Test Drive Le Mans

Prima che arrivassero i vari Assetto Corsa, Assetto Corsa Competizione, iRacing, RFactor e il loro esercito di 16enni con i riflessi di un puma e postazioni di guida da 6000 euro c’è stato un tempo in cui bastava un joypad dalla dubbia ergonomia per fomentare gli animi di noi giovani amanti delle corse. Niente direct drive, niente pedaliere con celle di carico, niente tripli schermi curvi o visori VR, tutta l’esperienza di guida passava attraverso quattro bottoni di plastica e un selettore a croce. Dannata nostalgia.

– Nella gara a chi ce l’ha più grosso (il simulatore) vince Dallara a mani basse –

Tra i miliardi di giochi di guida usciti tra il 1990 e i primi anni del 2000 ce n’è stato uno in particolare che mi ha tenuto compagnia per una quantità spropositata di tempo e no, non sto parlando classico e stra-abusato Gran Turismo. PS1 e PSone in quel periodo dominavano incontrastate la scena videoludica globale (oltre 100 milioni di unità vendute dal 1994 al 2006, tanto per dire) schiaffeggiando malamente la concorrenza con mosse di marketing aggressive e prezzi in costante ribasso.

A leccarsi le ferite più di tutti gli altri ci fu SEGA, acronimo di Service Games (pervertiti), e la sua SEGA Saturn  (che in giapponese si pronuncia Sega Satan) commercializzata a partire da novembre 1994, console più avanzata rispetto alla macchina di Sony ma molto più complessa per via del suo developer kit in linguaggio assembly e dei suoi due processori necessari per elaborare gli ambienti 3D dei giochi. La cosa fu talmente frustrante che alcune case di sviluppo decisero di sfanculare allegramente la piattaforma di SEGA mentre altre scelsero di produrre videogiochi utilizzando solo uno dei due processori, annullando di fatto il vantaggio competitivo del Saturn.

Economia aziendale ci insegna che complessità + paciughi marchettari = costi; come da manuale questo assicurò alla multinazionale di Tokyo un flop mega galattico in tutti i mercati occidentali, oltre che una penuria di titoli sviluppati per i mercati extra Giappone. Aggiungeteci poi che oltre al danno c’è stata anche una beffa colossale: giusto qualche giorno fa sono state rese pubbliche più di 300 email interne a SEGA datate 1995-1996 in cui i dirigenti si trastullavano coi numeri di vendita in Giappone quando in realtà il mercato più importante, quello Nord Americano, riportava numeri scandalosi. E loro festeggiavano, gli scemi, senza sapere che da li a non molto Sony li avrebbe arrotolati come un calzino sporco.
♫Volevano vincere ma l’hanno presa nel…♫

Dopo lo schiaffone incassato SEGA non si diede per vinta e nel 1998 si ributtò sul ring con quella che io considerò una delle console videoludiche più fighe mai sviluppate: la Dreamcast.

Senza scendere troppo nei dettagli vi basti sapere che memore della brutta parentesi Saturn il team interno capitanato Hideki Sato scelse di sviluppare la Dreamcast (nome in codice “Katana”) con componenti off-the-shelf per ridurre sensibilmente i costi, cioè pezzi non proprietari di SEGA ma acquistati da aziende di esterne interessate a utilizzarli nei loro progetti.

Dalla fabbrica uscì un giocattolino con 32 MB di RAM, processore SuperH 4 prodotto da Hitachi, modem integrabile (gran figata per l’epoca) e una GPU PowerVR in grado di renderizzare fino a 6 milioni di poligoni al secondo. Ah e nel gamepad c’era anche una sorta di Tamagotchi estraibile chiamato VMU dotato di memoria 128 KB per circa 200 salvataggi e passa. Non so se rendo l’idea del “ferro” che era questa console. Se vi interessa su questo sito abbiamo trovato un bel resoconto di quel che fu il Dreamcast, problemi che ne portarono alla morte prematura compresi.

Insomma per farla breve SEGA tornò sul mercato sparando col bazooka, incassò un discreto successo in Giappone e dopo aver speso una fortuna in marketing per il mercato nord americano strappò anche lì qualche numero interessante. Purtroppo però il disastro del Saturn e i data-leak sulla nuova PS2 non diedero scampo alla Dreamcast e dopo appena 3 anni di servizio uscì tristemente di produzione, regalandoci però giochi pazzeschi come Jet Set Radio, Crazy Taxi, Toy Commander e Soulcalibur.

Ma non stavamo parlando di giochi di guida? 

Effettivamente tra gli oltre 600 titoli usciti per questa console uno in particolare – e guarda caso proprio con le automobili, che strano – ha segnato profondamente la mia infanzia.

Parlo del gioco Test Drive Le Mans – conosciuto in Italia con il nome “La 24 Ore di Le Mans” – pubblicato dalla Infogrames e sviluppato dal loro studio Melbourne House. Prima di calarci nel racconto di quello che fu, a mio avviso, uno dei giochi di corse più fighi ed esaltanti di sempre vorrei che vi calaste nel mood giusto.

Siamo nei primissimi anni 2000, durante una umida e schifosa giornata grigia che solo Novembre in Lombardia è in grado di regalare tutto procede regolare come sempre. Le scuole medie fanno schifo, la ragazzina che ti piace non ti fila manco per sbaglio e l’Inter di Hector Cuper è un disastro ogni dannato weekend.  Dopo aver finito i compiti di matematica ecco che arriva il premio della giornata, e sticazzi di quella maledetta al primo banco che ti apostrofa “cicciottello”, la tua Dreamcast nuova di pacca è pronta per essere abusata per almeno un paio d’ore. Alitata sul CD-ROM, sfregata vigorosa con il bordo della la maglietta e si parte. Dopo qualche secondo di attesa (e fischio assordante all’avvio) ecco apparire sullo schermo della TV l’intro più tamarra dell’universo: 

Il video dice già tutto: prototipi, GT, gare notturne, meteo variabile, tette ombrelline e pit stop, il tutto su un hardware in grado di regalare performance davvero croccanti.

La filosofia dietro a Test Drive Le Mans era semplice: 42 vetture e 10 circuiti con licenza ufficiale ACO da sbloccare (o dovrei dire “grindare” come dicono i gamer moderni) alla vecchia maniera attraverso 5 modalità di gioco. Niente DLC, niente microtransazioni, niente pass annuali e porcate di questo calibro. Ma anche niente di nuovo sotto la luce del sole, a dirla tutta.

Il titolo infatti non brillava certo per originalità: eccoti qualche macchina per iniziare e daje forte con Gara Veloce, Campionato, Multiplayer, Le Mans (endurance) o Time Trial. Test Drive Le Mans – e ripeto, siamo nel 2000 – prendeva il pacchetto base dei simcade (arcade simulator) e senza stravolgerlo lo affinava tirandolo a lucido, portando sullo schermo un’esperienza godereccia fatta di gameplay cazzuto e di sostanza. A differenza di Gran Turismo non c’erano Mazda RX-7, Nissan Skyline, Suzuki Escudo o stradali di alcun genere ma si trovavano invece robette gustose di altro calibro. Si partiva dalle Porsche 911 GT2 dei team Roock Racing, Larbre Competition e Konrad Motorsport, passando dalle tamarrissime Viper GTS-R, Marcos Mantara LM 600 e Panoz Esperante GTR-1 finendo poi con le più famose GT1 come Toyota GT-One, Mercedes-Benz CLK-LM e Nissan R390 GT1.

– Brutta e ignorante. Dio quanto mi mancano le Panoz –

Il gioco pescava modelli che corsero la 24 Ore di Le Mans tra il 1998 e il 2000 (anacronisticamente potevate far correre insieme una CLK-LM con una BMW V12 LMR) e li separava in tre categorie, GTS, GTP e P, per semplificare un po’ le cose dato che dopo Le Mans ‘98 la FIA stravolse i regolamenti per fermare il dominio assoluto delle GT1, creando un bordello tra le classi e facendo incazzare pure Porsche che scelse di non correre la Le Mans ‘99. Severa ma giusta.

– La canzone menù più bella della storia, non scherziamo –

Test Drive Le Mans non aveva il blasone della serie TOCA né tanto meno era in grado di portare un brand importante come F1 sullo schermo, tuttavia la scelta di concentrarsi totalmente sul gameplay piuttosto che su trovate esotiche pagò alla grande. Anche rigiocando il titolo a 20 anni di distanza ci si gusta la bontà del progetto, i tre livelli di difficoltà per esempio erano progressivi e offrivano un bel livello di sfida anche ai veterani dei giochi di guida, il setup delle auto era semplice e intuitivo mentre il meteo variabile e l’alternanza giorno/notte erano una figata pazzesca. Basta guardare un vecchio filmato di gioco per rendersi conto che la cura dei dettagli era impressionante, e aggiungiamoci poi una fisica di guida talmente solida che avrebbe messo i paletti per i simcade del futuro.

Chiaramente non tutto era perfetto, la guidabilità a velocità sopra i 300 km/h, per esempio, era fin troppo semplice, la fisica degli incidenti era inesistente al punto da poter usare gli avversari come freno d’emergenza e il consumo delle gomme seguiva una logica bizzarra tutta sua. Ma i pro superavano i contro di 10 a 1, tutte le cagatine grafiche (dischi dei freni incandescenti, riflessi sulla carrozzeria, fumo, scintille, sfiammate dagli scarichi) unite a un audio immersivo e super realistico – i V8 suonavano da V8, i V12 da V12 – creavano un’atmosfera esaltante e sboronissma.

E poi vogliamo parlare della colonna sonora originale? Due album devastanti composti da Gavin Parker, il primo denominato C-Breeze (elettronica ed acid jazz) e il secondo K-Rock. Ascoltare per credere.

Oltre a Gara Veloce e Time Trial, autoesplicative, Melbourne House metteva a disposizione anche la Championship Series – un tot di campionati per classe utili a sbloccare un po’ delle 42 vetture presenti nel roster – e la modalità Le Mans. Quest’ultima è l’evento principale dove i giocatori potevano prendere parte alla 24 Ore di Le Mans insieme ad altre 23 vetture CPU nel formato 10 minuti, 30 minuti, 1 ora, 6 ore o 24 ore. E quando dico 24 ore sono 24 ore vere, dalle 16 alle 16 con rifornimenti, cambi gomme e modifiche aerodinamiche.

Inutile dire che cimentarsi in una prova del genere giocando in modalità difficile e magari alla guida di una sfigata Lister Storm GTL è tanto arduo quanto veder vincere un Gran Premio dalla Ferrari, ma grazie ad una IA non proprio sveglissima (e abbastanza criminale) tutto era possibile con un po’ di pazienza e un pizzico di culo (ma io per evitare bestemmiette scelsi di farla con una Panoz LMP-1 Roadster S per onorare il Team Leader del film “Adrenalina Blu”).

– Alla Le Mans 2002, per promuovere il film, il team DAMS dipinse la sua Panoz coi colori del team Leader –

1440 minuti da passare ininterrottamente davanti allo schermo sono un botto, per evitare attacchi epilettici e fusioni dell’hardware il team di sviluppo inserì la possibilità di salvare la partita ad ogni pit-stop. Cosa scontata direte voi… e invece no, dato che i pochi giochi che fino a quell’epoca avevano approcciato le gare endurance non avevano introdotto questa opzione.

– Vincendo la 24 ore di Le Mans – quella di 24 ore – si sbloccava la Lancia LC2. Ora immaginatevi nella vostra cameretta, nel 2000, senza YouTube e compagnia cantante e vi ritrovate per le mani questa. Ecco, avete avuto un assaggio di felicità –

Alla fine Test Drive Le Mans non fece altro che prendere un genere già esistente, e trasformò ogni singolo pixel di quell’esperienza in una figata pazzesca, tracciando un solco talmente profondo nel mondo dei simcade da essere visto dallo spazio ed essere ricordato nella storia. Il gioco stesso, grazie alla sua grafica pazzesca, divenne vetrina per la Dreamcast anche se questo non aiutò in alcun modo a fermare il collasso di SEGA nel mondo dell’home entertainment. 20 anni fa venne definito dalla critica internazionale una ventata di aria fresca in grado di far conoscere il mondo delle gare endurance anche a chi non aveva idea di cosa fosse Le Mans. E con me ci riuscì alla grande dato che oggi, dopo aver spento 30 candeline sulla torta, andare a vedere la corsa più importante del mondo è ancora un sogno che intendo realizzare il prima possibile.

NOTA FINALE: il gioco di cui vi abbiamo appena parlato non va confuso con l’omonimo “Test Drive Le Mans” reso disponibile per PlayStation 1 nel 1999. Prodotto dalla Eutechnyx (e distribuito sempre dalla Infogrames), TDLM per PS1 differiva con quello per Dreamcast sotto diversi aspetti: il modello di guida era più semplice e meno raffinato, mancavano diverse modalità di gioco e, ovviamente data la diversa console a cui era destinato, l’intero comparto grafico (e audio) era molto semplificato rispetto a quanto sarà poi possibile vedere su Dreamcast a partire dal 2000 (o su PS2 a partire dal 2001). L’unica cosa degna di nota del primissimo Test Drive Le Mans per PS1 era il commento alle gare con la voce di Tiff Needell, completamente assente sulla versione sviluppata da Melbourne House per Dreamcast.

Articolo del 6 Luglio 2023 / a cura di Edoardo Curioni

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  • Simone

    Innanzitutto bell’articolo . Ho avuto modo di provare entrambi i giochi descritti. Sia la versione PS2 a cui è dedicato l’articolo stesso (che a differenza della versione Sega non aveva nella lineup delle vettura la Toyota GT-One ) e sia la versione pc del gioco di Eutechnyx con nome analogo. Personalmente ho sempre trovato molto più interessante il secondo dei due per la maggior complessità delle gare di campionato e 24 ore in modalità esperto. Era presente una gestione dei giri motore, molto semplificata, per non finire la gara anzitempo a bordo pista e dei danni estetici che non erano nulla di che ma parliamo sempre di un gioco di fine ’90. La guidabilità delle auto è molto più divertente sul gioco ps2-dreamcast ma alla lunga diventa anche troppo semplice. Sarebbe carino un articolo dedicato a questo gioco, ingiustamente poco conosciuto e snobbato.

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