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Alettoni e arroganza: Cesa 1882, la barca più vincente di sempre

La nitroglicerina, “nitro” per gli amici, fu inventata a metà ottocento da un piemontese, tale Ascanio Sobrero che, per sbaglio, scaldò troppo una provetta e fece saltare per aria il suo laboratorio. Poi venne uno svedese, tale Alfred Nobel, che studiando gli scritti del primo riuscì a fare ancora meglio e fece saltare la sua intera fabbrica, la Nobel… poi venne un certo Fabio Buzzi, originario di quel ramo del lago di Como tanto caro al Manzoni, che con il progetto “Nitro” fece letteralmente saltare tanti motori e, questa volta solo figuratamente, fece brillare i campionati mondiali di motonautica per molti anni…

– 1960, un sedicenne Fabio Buzzi alle prese con la sua più grande passione –

Bene, cosa ha in comune il progetto “Nitro” del “nostro” Buzzi con la nitroglicerina? Semplice, il proprietario. Tutto nacque quando un introverso e glaciale Svedese (che di nome faceva Len Bylock e che della Nobel ne era il CEO), appassionato di offshore e tenuto a distanza da tutti per il suo “strano” carattere, riuscì a diventare amico di un altro che era tanto famoso per il suo carattere “dolce e remissivo” quanto lo era Marty Feldman per il suo affascinante sguardo… l’ing. Fabio Buzzi Appunto. Buzzi e Bylock, insieme erano un po’ come uranio e plutonio (tanto per rimanere in tema), in poche parole un duo veramente esplosivo.

– l’affascinante sguardo sciupafemmine di Marty Feldman –

Ma prima di raccontare il progetto “Nitro”, è doveroso, è doveroso raccontare chi era Fabio Buzzi. Scriverlo è già impresa ardua, in poche righe è ancora più difficile e farlo in maniera più ironica di quanto lo fosse lui, impossibile. Nasce nel 1943 a Lecco, da sempre appassionato di barche, a 14 anni comincia a partecipare alle prime gare di motonautica e ne rimane folgorato. Con fatica (la sua testa era altrove) si laurea in ingegneria meccanica con una tesi su un fuoristrada 4×2 su base Fiat 500 che addirittura realizza da solo. Nel frattempo costruisce anche una famosa hot rod su base Lancia Aurelia.

 

– oh bella sta Lancia Aureli… ah. –

Dopo qualche anno decide di fondare la FB design con la quale diverrà un mito assoluto della motonautica. Buzzi fu un vero genio, tanto cecato nella vita (gli mancavano 9 decimi) quanto lungimirante nella tecnologia, tanto invidiato dai suoi rivali quanto osteggiato dai comitati di gara. Uno dei pochi che le barche le progettava, le costruiva e le pilotava. Probabilmente nessuno ha mai vinto tanto quanto lui (per gli amanti delle pippe numeriche, vinse 52 titoli mondiali, 22 titoli europei, 27 titoli italiani e detiene ancora 40 record mondiali….). Scusate lo stile un po’ troppo serioso per i miei gusti, ma, visto il carattere del buonanima, non vorrei che un fulmine colpisse proprio casa mia…

Ma torniamo alla nostra barca “esplosiva”. Era il lontano 1985, Buzzi, già mattatore dei campionati offshore, con i soldi (tanti, tantissimi) dello svedese, decise di fare un progetto tutto nuovo che era una sintesi di tutte le genialate che finora si era inventato. Lo scafo era importante per lunghezza e stazza, 47 piedi (le barche si misurano in piedi, fatevene una ragione – comunque sono circa 14 metri) ed era equipaggiato con ben 4 motori diesel ed altrettante eliche di superficie, proprio quelle eliche di cui abbiamo parlato nello scorso articolo sul Dart di Sonny Levi. Sopra al pozzetto poi campeggiava un’ala che più che una barca sembrava un idrovolante. Il Nitro venne varato per la prima volta per la gara di Montecarlo (mica pizza e fichi…), la linea era mozzafiato e sin da subito scatenò paura pura nei concorrenti.

Presente le solite barchette da debosciato?

Ecco cosa intendiamo noi di Rollingsteel per barche, SBADABEM.

– il Nitro, il precursore obeso del mitico CESA –

Prima gara, mare mosso, la creatura di Buzzi fu subito velocissima ma dopo poco i motori diedero forfait… qualche suo simpatico “ammiratore”, nella speranza di togliere di mezzo un sicuro vincitore, gli mise un po’ di acqua nel serbatoio. Da quel giorno, durante le gare, ogni notte qualcuno dormiva a bordo delle sue barche, molto probabilmente armato (leggenda narra che durante gli anni successivi, siano misteriosamente scomparsi 7 meccanici, 2 team manager ed un eunuco di uno sceicco…). La belva comunque dimostrò di andare bene ma il problema era la velocità: stimata in ben 100 mph (oltre centosessanta all’ora), in realtà non passava i 75 mph (80 nelle notti di luna piena come diceva Buzzi). Le certezze del buon Fabio stavano per crollare, la sua infallibile formula non poteva sbagliare così clamorosamente. 6.000 kg di scafo, più 800 fra combustibile ed equipaggio facevano un rapporto peso potenza di 3,4 Kg/hp che davano, secondo i suoi segretissimi calcoli, una velocità massima di 100 mph. Come era possibile che la velocità era di sole 75? Lo scafo era 6.000 kg esatti, preciso al grammo secondo il progetto iniziale, pesato addirittura con una bilancia elettronica. Peccato che durante una seconda pesata, un operaio imbragò anche l’invaso d’acciaio ed il peso, invaso compreso, era sempre 6.000 kg… qualcosa non andava… infatti 6.000 kg era il fondo scala della bilancia, la barca in realtà ne pesava 8.500.

Niente, bisognava rifare tutto da capo… quindi (con i soldi delle bombe) ecco una nuova barca.

Per la nuova creatura bisognò tagliare il peso ovunque, ogni singolo grammo doveva essere limato, segato, motosegato, fatto brillare… poco importa, bastava che fosse dannatamente leggera. Alla fine lo scafo venne accorciato di un metro, la coperta abbassata, gli spessori dei laminati ridotti all’osso, i posti a sedere ridotti a soli 3 ed i cambi a due velocità in cui tante speranze erano stati riposte, eliminati sull’altare del dio peso.


– il ferro più vincente di sempre è varato: all’inizio si chiamava Rolly Go –

Se non abbiamo ancora scritto dei motori, una ragione ci sarà. In precedenza mi sono eccitato parlando di motori sexy come quelli della Alfa Romeo 33 stradale, roba da letture soft porno. Però, a muovere questa barca erano ahimè 4 motori diesel a 6 cilindri della Iveco, motori derivati da quelli spingevano a stento l’OM tigrotto su per le strade collinari, quegli stessi motori che non si sapeva se facevano più casino loro oppure le imprecazioni degli automobilisti mentre erano costretti a stare dietro a quei mefitici camion. In poche parole, quanto di meno sexy ci potesse essere sul pianeta.

– da bimbo ricordo di questi camion e del rumore di ribollita che usciva dai loro scarichi –

Ma Buzzi non era uno stupido, sapeva che un brutto anatroccolo poteva diventare uno splendido cigno, così da convinto sostenitore del diesel, forte del matrimonio con la IVECO e con l’aiuto del suo inseparabile motorista Romeo Ferraris (il nome è già tutto un programma) riuscì a spremere tanti (tantissimi) cavalli da quei muli, un po’ come chi ha la moglie cessa (ma ricca) e non divorzia (ma la ritocca…).

Il nuovo Nitro venne varato con il nome dell’allora sponsor, Rolly Go. Velocissima ed imprendibile, La velocità massima faceva finalmente intravedere l’agognato muro dei 100 mph. Aveva un sacco di assi nella manica, soprattutto ne aveva uno imbattibile, era rossa! e come tutto ciò che di quel colore è dipinto, era ancora più veloce (questa è una assoluta convinzione del buonanima, quindi, per la vostra incolumità, accettatela senza criticare). Ogni gara partiva in testa, imprendibile, era la barca da battere, peccato che a metà gara, puntualmente, uno dei motori esplodeva, non per colpa della nitroglicerina ma forse per colpa della sfiga che quel prodotto portava (infatti il signor Nobel, per pulirsi la coscienza, devolse i suoi averi per istituire il premio Nobel). Ma era la sfiga il vero problema? Se prendi dei muli e li fai correre come dei purosangue da corsa, vedi cosa succede… quei poveri motori che in origine erano montati sul Tigrotto, erano stati portati ad oltre 600 cavalli (il mitico tigrotto aveva un centinaio di muli), vi ricordo che siamo negli anni 80, vi ricordo che in quegli anni un diesel automobilistico super tirato aveva a stento 50 cv/litro, qui eravamo oltre i 100 cv/litro… altro che nitroglicerina!

Lo stesso Buzzi, durante un’intervista disse: “Era una barca bellissima e vincente, peccato che a ogni gara si spaccava sempre l’albero a gomiti di qualche motore. Come mai gli affidabilissimi Aifo erano diventati così fragili? Molto semplice, Romeo Ferraris a furia di pompare cavalli era arrivato al capolinea. Aumentando comburente e combustibile avevamo ottenuto una grande potenza, ma con una pressione di combustione così alta che il pistone riusciva a spaccare l’albero a gomito e più di una volta abbiamo trovato bielle e colli d’oca in sentina”.

Tuttavia queste continue ed ormai tradizionali “esplosioni” non fecero desistere il buon Fabio, lui era abituato a tirare fuori conigli dai cappelli (e cavalli dai muli). Lui sapeva sin dall’inizio che quei motori erano solo 5.900 cc di cilindrata, mentre il limite del regolamento diceva 8.200 cc; in poche parole quei motori erano dannatamente piccoli ma purtroppo in Iveco quello avevano. Quindi gli balzò in testa una idea malsana, preso da una crisi di mezza età, divorziò dalla matura signora per farsi una ragazza nuova, ovvero concepì un motore da zero, tutto nuovo, come lo voleva lui… la più bella delle perversioni!

Ovviamente gli servivano dei soldi, tanti, quindi confidò l’idea ad un amico (anche) pilota di offshore, un poverissimo senzatetto milanese (non ci credete che fosse povero e senzatetto vero? Fate bene…), Carlo Bonomi, discendente di quella famiglia che causò la cecità di molti di voi fondando la postalmarket, oggi famosa per  Ducati prima e Aston Martin poi, che si offrì per metterci un miliardo delle vecchie lire. Così nacque la SeaTek.

-Carlo Bonomi con ancora evidenti i traumi provocati dalla sua attività di revisore del catalogo di famiglia, il Postalmarket-

Il motore SeaTek doveva essere rivoluzionario, sempre 6 cilindri in linea ma con 4 valvole per cilindro per un totale di 700 cv a motore (duemilaottocento cavalli in totale), pensato per essere il primo motore diesel progettato per le corse, un vero primato. In un anno esatto misero a punto il primo prototipo funzionante, secondo Buzzi fu l’anno più bello della sua vita. Il motore era un prodigio della tecnologia per rapporto peso/potenza, potentissimo ma anche robusto per subire le peggiori accelerazioni verticali (leggasi schianti sulle onde a velocità aeronautiche). Incominciarono i primi test in acqua: con il primo motore fecero ben 3 chilometri e poi grippò, col secondo ne fecero 6 e poi grippò, e via così finché non riuscirono a sistemare tutti i difetti, anche se nessuno capì mai come. Non posso dire che era sexy come quello della 33 stradale, ma per chi è cresciuto a precamere e candelette, era il massimo dell’estasi orgasmica.

 

Nonostante tutto, la prima stagione, quella del 1987, andò male, molto male perdio!!! (cit.)

Battezzata ora “Luchaire”, ogni gara per lei era un ritiro “per noie all’impianto elettrico” (tattica per evitare di dire che i motori ne avevano sempre una). Ad un certo punto, alla vigilia dell’ultima gara, il glaciale svedese decise di ritirarsi dall’impresa e da gran signore donò la barca a Buzzi. Come d’incanto la sfiga, eh… volevo dire i problemi tecnici svanirono e all’ultima gara, quella di Sanremo, la barca arrivò prima dimostrando in tutto e per tutto la sua assoluta superiorità.


– 1987, ora rinominato Luchaire, questa bomba era spinta da 4 fighissimi SeaTek che la facevano volare ad oltre 100 mph –

Finalmente il “monoscafo rosso”, così chiamava Buzzi la sua (ora sua a tutti gli effetti) creatura, era competitivo ma durante l’inverno bisognava risolvere qualche problemino. Il primo fra tutti era che si dimostrava dannatamente instabile sul piano trasversale alle alte velocità, ad ogni rollata “pucciavano” le orecchie in acqua. Prima provò ad aumentare ancora di più la superficie alare ma sconfinò presto nella denominazione di ekranoplano, così alla fine risolse nel più semplice dei modi, semplicemente cambiando di senso di rotazione delle eliche, facendo così svolgere una azione stabilizzante a quelle esterne. L’altro difetto era la difficoltà di entrare in planata. Un problema comune a tutte le eliche di superficie in quanto quando sono tutte immerse assorbono il doppio della potenza e quindi i motori stentano a prendere giri. L’ideona del vulcanico ingegnere fu quella di posizionare un flap proprio davanti alle eliche interne, quelle più profonde, collegato ad una presa d’aria in coperta. Abbassando questo flap, si toglieva acqua alle eliche e si immetteva aria al suo posto, così esse si ventilavano (leggasi slittavano) ed il motore prendeva giri. In quel modo la barca planava in maniera istantanea e per i successivi anni, tutti cercarono di capire il perché ci riuscisse così velocemente (spy stories che 007 levati… chissà quanti meccanici finirono con una chiave inglese fra capo e collo mentre erano intenti a sbirciare).

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Edoardo Polli (un ricco imprenditore e pilota di offshore), acerrimo nemico del Buzzi, pensando che utilizzasse addirittura il vietato protossido d’azoto, gli mandò una verifica tecnica. Smontarono tutto il motore, non trovarono traccia del protossido d’azoto e ad orecchie basse dovettero rimontare a loro spese. Buzzi, che non era per niente veniale (era per metà genovese) aggiunse alle spese anche molte fatture “ad cazzum”, così… per rifarsi qualche soldino. Ed i soldini li ebbe, e tanti! Polli volle che Buzzi li andasse a prendere di persona con un furgone. Ma l’ingegnere, che era molto malfidato, ci mandò un dipendente che lo chiamò dicendo che non riusciva a contare tutti i soldi in quanto si trattava di 960 kg di monetine da 5 lire… Buzzi chiese di passargli Polli al telefono e gli disse che se lo aspettava che avrebbe pagato così, in quanto, dalla sua attività di accattonaggio altro non poteva uscirne… simpatici vero? Che bei tempi, che nostalgia. Uomini d’altri tempi.

Dopo i lavori invernali la barca era pronta per la stagione 1988. Questa volta con il primo vero grande sponsor, quello che consacrò il nome di quella barca nella storia: “CESA 1882”. Per guadagnare spazio per gli sponsor, il Buzzi (che probabilmente oltre ad avere una madre genovese aveva anche dei nonni scozzesi) si inventò di richiedere il numero 1882 (che era l’anno di fondazione della casa argentiera CESA) come numero di gara così evitò di sprecare (lucroso) spazio per un inutile numero di gara.

– il CESA 1882, il mito assoluto della motonautica d’altura –

La prima gara? Primi classificati. la seconda gara? Ancora primi. La terza? Solito copione… per farla breve dopo poche gare aveva già preso tanti punti che aveva già messo in tasca il campionato europeo, ma decisero ugualmente di partecipare anche alla famosa Cowes – Turquay – Cowes. Tutto tronfio come pochi, il baldo ingegnere Lecchese (quel ramo del lago di Como tanto caro al Manzoni era la parte lecchese del lago e non il ramo di un albero, capre!) partì primo come al solito (grazie alla sua arma segreta, il planatore) poi sempre in testa finché non gli si spense un motore, poi un secondo, poi un terzo… niente, aveva fatto casino con i rubinetti dei serbatoi e i motori pescavano da quello vuoto. Ripartirono dopo aver perso un quarto d’ora ed essersi fatti superare da molti, quindi, per rimontare, bisognava avere un piano geniale, degno di Hannibal Smith (se non vi ricordati chi era, avete i risvoltini e guidate un monopattino elettrico). La trovata geniale si attuò alla fine della prima tappa, ovvero fece durare il rifornimento (che doveva essere esattamente di un’ora) un quarto d’ora di più per “gravi motivi tecnici” così partì differito di 15 minuti. Chi era in testa, non vedendolo arrivare, andò piano per non prendersi ulteriori rischi sapendo di avere la vittoria in tasca. Ma nel frattempo il simpatico Fabio, buttò giù tutte le manette come se non ci fosse un domani ed arrivò al traguardo un minuto dopo il primo, ma essendo partito 15 minuti dopo, arrivò ben 14 minuti prima… un trionfo (di tattica)!

Poi venne il mondiale di Guernsey, ove Buzzi stava simpatico alla giuria come il contribuente sta simpatico alla Agenzia delle entrate. Gli diedero penalizzazioni su penalizzazioni, fece due ricorsi e li perse entrambi (perdendoci anche i soldi per i ricorsi, ben 1.500 sterle) ma nonostante tutti i minuti di penalizzazione, si impose a mani basse, anzi bassissime, vincendolo ai punti già al termine del secondo giorno di prove. Insomma, che Buzzi fosse un mezzo pirata si sapeva, ma qui diede il meglio di se in quanto dopo aver ormeggiato da vincitore, con i media ed il pubblico che lo acclamava a gran voce, si rinchiuse nel suo motorhome e spedì una missiva ove richiedeva la restituzione dei soldi dei suoi ricorsi e l’attribuzione del premio in denaro a lui “rubato”, altrimenti avrebbe fatto un comunicato stampa ove li avrebbe fatti vergognare di esistere. Il comitato alla fine cedette e ridiede i soldi a Buzzi ma il premio di 10.000 sterline venne devoluto di comune accordo alla locale scuola di vela dei bambini.

Per la cronaca, nel 1988 il CESA 1882 vinse anche il mondiale americano APBA, questa volta con a bordo Stefano Casiraghi, marito della principessa Carolina di Monaco, poi in seguito tristemente famoso. Vinse anche la Miami – Nassau – Miami con al timone il rampollo di casa Bonomi, Carlo Umberto. Tutte le gare del 1988 furono ad esclusivo appannaggio del CESA 1882, per tutte le altre barche il nulla assoluto. Il Buzzi era sempre più amato ed osannato, no, non è vero, lo odiavano ed invidiavano tutti.

Anno Domini 1989, tale quale al precedente, il CESA 1882 ora ribattezzato “Gancia dei Gancia” diventa la prima barca al mondo a vincere due volte il campionato mondiale, ma questa volta il protagonista era il giovane Casiraghi al timone.

– Fine 1988, con Casiraghi al timone era diventato “Gancia dei Gancia”, qui alla Key West –

– Romeo Ferraris, il guru dei motori; Stefano Casiraghi, il pilota; Fabio Buzzi, la mano pesante delle manette –

Infine venne 1990, il CESA venne venduto ad un giapponese che con “tatto diplomatico” (vedi Pearl Harbor) la rinominò Super Hawaii. Con essa provò ripetutamente a rinverdire i fasti dei suoi avi contro la flotta americana al grido Tora! Tora! Tora! ma ebbe poco successo e finì presto per essere abbandonata. Dopo molti anni il relitto venne ritrovato in Florida e Buzzi decise di ricomprarla per metterla nel suo museo personale annesso al suo cantiere.


– Yoshiro Kitami la rinominò Super Hawaii – Pearl Harbor is nothing (semi cit.) –

Se pensate che la storia sia finita qui, però vi sbagliate di grosso. Il “dolce e remissivo” ingegnere, preso da una grave crisi, questa volta di terza età, decise di togliere da appeso al chiodo il vecchio e glorioso CESA (lo teneva veramente appeso al soffitto…), in quanto gli era venuta voglia di correre con quella barca come ai vecchi tempi: era il 2008, la barca aveva 22 anni e lui ne aveva 65.

La restaurò come era all’origine, gli mise 4 nuovi motori FPT (ex iveco) da 650 hp l’uno la rinominò “Red FPT”. Con lei si presentò alla massacrante gara del giro d’Inghilterra. Secondo voi come andò a finire!? Una vecchietta (ed un vecchietto) fra le modernissime barche in carbonio? Era sempre primo ma un errore della giuria li fece transitare su un bassofondo che gli fece rompere le eliche e perdere la gara. Per onore della cronaca (e per buona pace dei figli della perfida Albione) la gara fu comunque vinta da un’altra barca di Buzzi, il “Blue FPT”.


– 2008, quando Buzzi insegnò al mondo che una sua creatura vecchia di 22 anni era ben superiore a tutti gli altri offshore moderni in fibra di carbonio. E gli altri muti… –

– Il vecchio (genio) ed il mare, anzi, il suo lago –

Ma l’ingegnere non demorde, non si arrende, la sua rivincita la vuole in questo mondo (o nell’altro)! Quindi in quello stesso anno si iscrisse a quella stessa gara che con quella barca vinse 21 anni prima, la Cowes – Turquay – Cowes, la più importante e blasonata corsa per offshore al mondo.

Sono aperte le scommesse, secondo voi come andò? Stravinse!

Il Rolly Go, alias Luchair, alias CESA 1882, alias Gancia dei Gancia, alias Super hawai ed infine Red FPT rappresenta alla perfezione lo spirito e la tempra del suo ideatore. Buzzi come il CESA vinse per tutta la vita ma lui, superando anche se stesso, riuscì pure finire in paradiso vincendo, un secondo dopo aver tagliato il suo ultimo traguardo, quello dell’ennesimo record, proprio oggi di un anno fa.

Quella maledetta notte del 17 Settembre 2019, subito dopo aver tagliato il traguardo del della Montecarlo – Venezia e battendone il record, Buzzi si schiantò contro la diga di Venezia. Con lui morì il fido Luca Nicolini, copilota dai tempi della prima vittoria con il Cesa ed un meccanico IVECO. A 76 anni non aveva ancora perso la voglia di correre e di innovare. Morì da eroe, facendo quello per cui era venuto al mondo, correre sull’acqua.

In memoria dell’Ing.  Fabio Buzzi, Lecco 1943 – Venezia 17 Settembre 2019

Bibliografia e foto:
Progettare per vincere – Fabio Buzzi – Mursia editore – 1994
www.fbdesign.it

Testo di Francesco Foppiano, io nostro lupo di mare yo-ho beviamoci su!

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Articolo del 17 Settembre 2020 / a cura di Francesco Foppiano

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  • Gianni

    Un triste epilogo ma una storia bellissima

  • Carlo

    Molto bello. Grazie Ho la pelle doca!

  • VINCENZO

    Bella storia anche se breve, mancano le partecipazioni alla PAVIA-VENEZIA oltre ai record -anche se li avete citati- un personaggio unico – alla prima edizione 1990 VE-MONTECARLO, le noie meccaniche furono protagoniste privando un successo . I prodotti odierni sono apprezzati in tutto il mondo ……….e se vado avanti così aggiungo un capitolo.saluti a tutti i MOTONAUTICI !

  • Davide Gobbo

    Vorrei dire qualcosa di romantico, di gusto e che abbia senso.
    Poi però mi ricordo che sto commentando un articolo di RollingSteel e che anche i protagonisti della storia ne sarebbero felici.
    Cazzoduro…cazzodurissimo.
    Sempre.
    Uomini così dovrebbero essere considerati patrimonio mondiale.

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