Home / / Nat Herreshoff e l’incredibile storia della Coppa America

Nat Herreshoff e l’incredibile storia della Coppa America

È semplice parlare di ignoranza quando ci sono migliaia di cavalli, decine di pistoni e carburante che scorre in fiumi tanto profondi che un ecologista ci potrebbe annegare, ma per la prima volta su Rollingsteel non si parlerà di qualcosa genialmente ignorante ma di qualcosa di geniale e basta, di qualcosa che si sposta veloce solo con la forza del vento, anzi, di qualcuno tanto geniale da essere nominato “il mago”, “il mago di Bristol”.

Parliamo di Nathanael Green Herreshoff, colui che sta alla nautica come Leonardo da Vinci sta al rinascimento.

Captain Nat, come in confidenza tutti lo chiamavano, nacque nel 1848 in una ridente cittadina costiera del Rhode Island, nel New England (per le capre, si trova nel Nord Est degli USA), da una famiglia dell’alta borghesia locale, in origine immigrati dalla “crucconia”. Sin dalla tenera età si dimostrò molto incline alle barche ed un suo fratello maggiore, John Brown, cieco da un occhio sin da bambino, cominciò addirittura a costruirne prima per la famiglia e poi per gli amici. Un bel giorno, un terzo fratello pensò bene di accecare definitivamente John Brown all’occhio rimasto, così il poveretto si trovò con un cantiere avviato ma impossibilitato a lavorare. In soccorso arrivò il fratello minore Nat, all’epoca di neanche 10 anni, che vista la sua abilità, venne presto schiavizzato a costruire per il fratello. In breve Nat divenne i suoi occhi e le sue mani e per diversi anni costruirono piccole barche costiere in società, fra le migliori se non le migliori della zona.

Ad appena sedici anni Nat cominciò a frequentare privatamente le lezioni del MIT, Massachusetts Institute of Technology, mica pizza e fichi… e durante una lezione, in mezzo a studenti ben più grandi e preparati di lui, stupì tutti descrivendo una rivoluzionaria macchina a vapore di sua concezione: i professori gli chiesero se poteva provare le sue teorie e lui disse che non c’era problema… dopo qualche giorno si fece spedire dalla sua famiglia quella macchina e la fece funzionare davanti alle mascelle slogate dei professoroni dell’Emmaittì, la aveva costruita quando aveva 15 anni.

Dopo aver studiato ingegneria al MIT ma senza laurearsi, Nat andò a lavorare per una grossa compagnia ferroviaria occupandosi di macchine a vapore. Quel lavoro non gli piaceva per niente e all’età di 25 anni era prossimo ad una grave depressione. Così la famiglia lo mandò a trovare un altro fratello, anche lui cieco, che studiava a Parigi. Arrivato dal fratello, dopo pochi giorni si stufò della vita parigina e i due decisero di fare un viaggio fino a Nizza dai cugini (cechi anche loro, no dai, scherziamo). Dopo pochi giorni quel pesantone di Nat si stufò anche di Nizza ma almeno li c’era il mare. I due notarono in un caruggio, (proprio caruggio perché Nizza era una citta genovese, allora da poco svenduta dai Savoia ai Francesi) una piccola bottega di un vecchio mastro d’ascia… navigare necesse est… quindi in poche settimane si costruirono da soli con i pochi attrezzi e risorse a disposizione una barca a vela di 5 metri chiamata “Riviera”, con la quale intrapresero un pazzesco viaggio per i canali che da Marsiglia li portò su per la Francia, poi un pezzo in treno fino ad arrivare vicino al Reno e poi giù per il Reno fino all’Olanda attraversando tutta la Germania. Doveroso ricordare che siamo nel 1874 e tutto ciò avvenne fra il mese di Luglio e quello di Agosto… ed infine arrivarono a Londra e si imbarcarono tutti, barca compresa, su un transatlantico diretto a casa. Della serie… no barca, no party! 

Nat aveva capito che l’unica cosa che gli dava felicità era costruire barche, così dopo poco si licenziò e si dedicò alla sua passione. Nel 1876 ricorrevano i 100 anni dalla fondazione degli Stati Uniti così ci fu una immensa esposizione universale con annessa importante regata velica. Nat pensò bene di parteciparvi e concepì qualcosa di assolutamente unico ed all’avanguardia, un catamarano chiamato “Amaryllis”.

– L’elegantissima Amaryllis –

Era estremamente moderno per l’epoca e presentava addirittura gli scafi montati su snodi in modo da beccheggiare indipendentemente. Lo squalificarono ancora prima di partire perché gli contestarono che non era uno yacht in quanto non aveva posto per dormirci. Nat fece in fretta e furia una tenda sopra al pozzetto e dimostrò che ci poteva comodamente dormire.

Grazie a questa trovata Nat riuscì a partecipare a quella importantissima regata dove tutti i più blasonati yacht americani si contendevano la vittoria. Amaryllis partì male sfavorita da un vento troppo leggero per poter sviluppare le sue doti velocistiche, poi però Eolo diede una mano al nostro Nat, il vento crebbe in intensità ed in un men che non si dica Amaryllis cominciò a sviluppare velocità “trenistiche” (si, perché le automobili non esistevano ancora, gli aerei erano ancora lungi da venire ed all’epoca il treno era quanto di più veloce potesse esistere). La barca era anche equipaggiata con uno speedometro meccanico che però si accorsero in fretta che poteva leggere velocità fino a 19,5 miglia orarie (!!!), oltre quella velocità, l’elichetta attaccata alla corda saltava sull’acqua come un sasso lanciato sullo stagno. A mirabolanti velocità superiori ai venti nodi, Amaryllis superava gli yacht dei magnati americani al triplo della loro velocità, ricordo che siamo negli anni settanta dell’ottocento… la barca venne squalificata per “eccesso di umiliazione di magnate”, ed il concetto stesso del catamarano venne bandito dai campi di regata di tutto il mondo per addirittura cento anni (rivedremo un catamarano vincere una regata alturiera solo nel 1972). 

Nat, dopo aver stupito il mondo intero così come lo fece Davide battendo Golia, decise di rientrare in affari con suo fratello John Brown, ottimo manager, fondando la Herreshoff manufacturing & Co. e, grazie alla sua esperienza con i treni, si misero a fare barche a vapore. Dopo 7-8 anni di continui successi commerciali, l’anima da sborone del capitano Nat prese di nuovo il sopravvento e decise di dimostrare a tutto il mondo che lui ce l’aveva più… veloce di tutti. Così, nel 1885, costruì Stiletto, uno yacht a vapore di quasi 30 metri dove carbone e vapore la facevano da padroni.

no, non questo Stiletto

– Stiletto, circa 30 maggio 1885 –

Per dimostrare a tutto il mondo la sua “virilità”, portò la sua creatura sul fiume Hudson dove navigava il Mary Powell che allora era la nave più veloce al mondo. Una volta affiancato il Mary Powell che correva a tutta forza, con un gesto poi reso celebre in tempi moderni da Paul Walker, portò con la mano destra il telegrafo di macchine su “tutta forza” e si divertì a fare dei giri intorno alla nave più veloce al mondo.

– il Mary Powell –

Pare che abbia provato anche un volo rovescio per scattare una foto al comandante del Mary Powell ma questo stranamente non gli riuscì… comunque lo Stiletto riuscì a diventare ufficialmente la barca più veloce al mondo con i suoi quasi 25 nodi.

La sboronata, o meglio… l’episodio, ebbe ampio eco su tutti i giornali del mondo ed in men che non si dica i fratelli Herreshoff furono subissati da domande di tutte le marine militari del mondo per farsi costruire veloci unità da guerra ed in un lampo si trovarono ad essere i leader al mondo nelle barche veloci.

– la torpediniera USS Porter (TB-6), varata nel settembre del 1896. L’uomo visibile più a prua è il progettista dell’imbarcazione, il “nostro” Nathaniel Herreshoff. Foto di proprietà di John Palmieri, Curatore del Herreshoff Marine Museum/America’s Cup Hall of Fame –

Tutto andò a gonfie vele fino al 1889 quando durante le prove di consegna di una unità militare una caldaia esplose perché il capitano Nat aveva ordinato di chiudere una valvola di sicurezza, ed un fuochista rimase ucciso. Il tribunale sentenziò la revoca al capitano Nat della licenza di conduzione di navi a vapore e lui, per ripicca, smise di occuparsi personalmente di quel tipo di barche… era stato uno sgarro troppo grande per lui, tanto lui amava umiliare, tanto soffriva se veniva umiliato.

Così si trovò ad essere (quasi) disoccupato, ma alla stazione del suo paesello si fermò un treno privato (i ricchi allora si spostavano così…) dal quale scese un certo Edwin D. Morgan III, uno di quelli della famiglia di J.P. Morgan, uno di quelli “pesanti”, uno destinato ad essere ricordato fra i più grandi yachtsman di tutti i tempi. Il buon Morgan chiese a Herreshoff di progettargli una barca a vela, lui rispose che in tutta la sua vita ne fece al massimo una dozzina e tutte per familiari ed amici, ma lui insistette e Nat, neo disoccupato, accettò.

Ne venne fuori “Gloriana”, la prima barca al mondo pensata per barare (legalmente) sull’abbuono (le barche a vela regatano spesso in tempo compensato, non in reale, tempo che tiene conto della velocità teorica e mette sullo stesso piano barche di dimensioni diverse).

– in alto la Gloriana in azione, qui sopra i profili del suo bellissimo scafo –

La barca fu talmente un successo che vinse tutte – e dico tutte – le regate a cui partecipò quell’anno. Quello stesso anno, Nat, re-innamoratosi delle barche a vela, progettò anche “Dilemma”, la quale ridefinì completamente il concetto di barca, introducendo per primo in assoluto il concetto di lama di deriva con bulbo esterno. Per fare un esempio automobilistico, sarebbe stato come se qualcuno avesse tirato fuori la Miura nel bel mezzo degli anni ’10…

– qui sopra, Dilemma, la prima imbarcazione dotata di lama di deriva con bulbo esterno –

Nel 1893, dopo soli 3 anni di esperienza nella progettazione e costruzione di barche a vela, gli venne commissionata la sua prima barca per difendere la Coppa America, la “Vigilant”. Herreshoff, la cui sboronaggine era seconda solo al suo genio, non solo progettò, costruì ed allestì il Vigilant, ma pretese anche di starne al timone per tutte e 3 le regate… il risultato fu nel suo perfetto stile, 3-0, senza appello. Come debuttante direi niente male.

Anche nel 1895 gli venne chiesto di difendere la coppa America, questa volta con “Vigliant”, ma una febbre tifoide costrinse a letto il capitano e che non potè stare al timone, il risultato fu un 2-1 poi modificato in 3-0 dalla giuria per via di una collisione.

Ovviamente anche per la Coppa America del 1899 fu lui il prescelto per tenere sempre alto l’onore a stelle e strisce. Per quell’occasione fu varato “Columbia” mentre dall’altra parte dell’oceano fu varato “Shamrock” di un certo Sir Thomas Lipton, quello del te. Ve la faccio breve… anche qui il risultato fu un secco 3-0…

– Columbia e Shamrock testa a testa –

 Nel 1901 Lipton volle ritentare di vincere la “brocca”, cambiò progettista passando da William Fife III a Charles Nicholson. Gli USA si presentarono con la stessa barca della scorsa edizione, sempre con “captain Nat” con il coltello fra i denti ed incollato al timone ed il risultato non cambiò, un altro terrificante 3-0.

Nat aveva dimostrato al mondo di essere l’uomo da battere, di essere il genio assoluto. La sua brillantezza ha dato alla nautica quasi tutto quello che ancora oggi ha. Sua è l’invenzione dei ferzi orizzontali nelle vele, suoi sono i bozzelli moderni su rulli, sue sono le gallocce che ancora oggi portano il suo nome, la canalina per la vela è una sua genialata così come l’elica a pale abbattibili o i winch. Per non parlare del bulbo con la zavorra esterna ed il timone separato. Nel suo cantiere si produceva tutto in casa, dalle macchine a vapore alle vele, dalle barche in legno a quelle in metalli (e dico metalli perché poi capirete…), dai bozzelli all’antivegetativa e alle pitture. Ogni cosa era meticolosamente pensata, progettata e costruita sotto la sua attenta supervisione, nulla era lasciato al caso.

– l’incredibile eleganza senza tempo del Westward, costruito nel 1910 da Nat herreshoff –

E venne il 1903, Nat oramai era un uomo anziano che si avvicinava alla sessantina, con qualche acciacco e stanco di una vita fatta di sboronate pazzesche. Il New York Yacht Club, il più importante Yacht Club al mondo e quello che deteneva da sempre la Coppa America, gli chiese un ultimo sforzo, quello di progettare un altro defender per la famosa regata. Ma questa volta non un semplice defender, ma la barca più estrema di sempre, una barca che al confronto apparisse al flyer 1 dei fratelli Wright (che nel dicembre di quell’anno spiccò il primo volo) come la nave stellare Enterprise. Nat disse che era vecchio e che non poteva occuparsene, ma bastò insistere non più di tanto che si mise al lavoro per concepire quanto di più assurdo abbia mai solcato i mari, “Reliance”.

Sull’altra sponda dell’atlantico arrivò voce che Herreshoff aveva in mente qualcosa di ancor più letale, così Lipton, terrorizzato come Hitler nel suo bunker nell’Aprile del ‘45, chiamò a raccolta tutti i più grandi architetti navali inglesi e li obbligò a lavorare in team. Immense risorse, anche auree, furono spese per infinite sessioni di test idrodinamici in vasca per trovare la migliore forma dello scafo, tutti i geni inglesi dell’epoca erano a studiare e progettare come riportare la coppa a casa.

Dalle parti di Bristol invece si lavorava alacremente alla costruzione del “Reliance”, il cui varo avvenne l’11 Aprile 1903. Con i suoi oltre 60 (sessanta) metri fuori armo, era semplicemente mostruoso. Per lo scafo si pensò ad un mix di leghe (in parte già introdotto con il Vigilant) caratterizzato dal fasciame dello scafo in bronzo, il ponte in alluminio, le ordinate e la struttura geodetica all’interno in acciaio al nichel e per finire la zavorra, di oltre 100 tonnellate, in piombo. Una volta immersa in acqua di mare, tutta quella quantità di metalli creavano una reazione elettrolitica che ci si potevano accendere le lampadine e forse dare corrente ad un isolato…

– oh falle due pieghe –

L’albero in acciaio svettava a ben 61 metri di altezza e per la prima volta si pensò ad una sua ultima parte addirittura telescopica che poteva essere retratta se il vento soffiava troppo. La superficie velica era di oltre 1500 mq e la randa, la vela principale, con i suoi 1000 mq era la più grande vela al mondo mai cucita fino ad allora (e anche dopo allora, in quanto è stata la più grande di sempre): solo quella pesava quasi 2 tonnellate. Il boma era lungo 33 metri per 3 tonnellate di peso e la scotta per manovrarlo era lunga ben 300 (trecento) metri. La drizza per issare la randa aveva un diametro record di 4” ovvero 101 mm. La genialità di Nat portò a concepire pure dei verricelli appositi, i primi su una barca da regata, chiamati d’ora in poi winch. Gran parte dell’equipaggio, per ridurre la resistenza al vento che causavano quando erano in coperta, operavano direttamente da sottocoperta a mezzo di giganteschi tamburi che raccoglievano le lunghissime ed enormi cime. Per facilitare chi stava al timone, si inventò persino una sorta di vescica natatoria inserita dentro la pala del timone che grazie ad una pompa a pedale operata dal timoniere, poteva riempirsi d’aria o d’acqua agevolando così, per gravità, la sua manovra, come un servosterzo ante litteram.

L’equipaggio di questa meraviglia della tecnologia era di 66 persone, scelti fra i migliori marinai al mondo. 

Sotto vela era quanto di più veloce potesse esistere, già nei primi test superò i 20 nodi ed ora lo posso dire, viaggiava a velocità aeronautiche, anzi ancora più veloce di quel primo flyer 1 dei fratelli Wright, una barca a vela più veloce di un aereo.

Il mondo non aveva mai visto e mai più vedrà qualcosa di così azzardato e tecnologicamente avanzato come lo è stato “Reliance” e non solo in termini relativi ma anche in termini assoluti. Per vedere quelle velocità in Coppa America, avremmo dovuto aspettare ben oltre 100 anni ed un tale concentrato tecnologico forse non si vedrà mai più.

La coppa America del 1903, sempre con l’inossidabile Nat al timone e sempre con il mitico Charlie Bar come skipper, vide un ennesimo e categorico 3-0 a favore di Nat e del N.Y.Y.C. con un povero Sir Thomas Lipton che se in pubblico ostentava il miglior fairplay, in privato cazziò duramente i suoi geniali architetti che nonostante migliaia di progetti e di calcoli, nulla poterono contro il mago di Bristol. Nicholson, il capo degli architetti, infine disse: “avrei augurato anche a Herreshoff di avere una vasca navale…” 

Ah, mi ero dimenticato… Herreshoff non ha mai progettato su carta alcuna sua barca, nessuno scafo è mai stato concepito con matita alla mano. Tutte le sue barche venivano da lui scolpite a mano da un blocco di legno di cirmolo, la sua “vasca navale” erano i suoi polpastrelli che scorrevano su quei mezzi scafi in scala, i suoi calcoli erano i suoi occhi sapienti che tutto sapevano e tutto prevedevano.

Per onor di cronaca gli venne chiesto anche di progettare il defender per la coppa del 1914, lui che a suo dire già era vecchio 11 anni prima, non si tirò indietro e concepì il “Resolute”, questa volta disegnato su un’altra stazza, la universal rule, stazza da lui nientemeno che concepita.

Per via della guerra, la coppa si corse nel 1920 quando lui aveva ben 72 anni. Lui era anziano e per la prima volta lo convinsero a stare a terra. Le prime due regate furono due sconfitte, ad un Lipton felicissimo bastava ancora una vittoria per portarsi (finalmente) a casa la coppa. Herreshoff non era mai stato sconfitto in Coppa America, era imbattuto da 27 anni, lui non poteva perdere, così pretese di tornare a bordo, pretese di riprendere in mano il timone e con lui a bordo furono tre vittorie di fila e la Coppa America fu salva. 

Bibliografia e Foto:

Herreshoff of Bristol- M. Bray, C. Pinheiro – Herreshoff Marine museum
Temple to the wind – C. Pastore – The Lyons Press
Herreshoff Yachts – R.V. Simpson –History Press
The common sense of yacht design – L.F. Herreshoff – Caravan

Articolo del 25 Gennaio 2021 / a cura di Francesco Foppiano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

  • Riccardo Margheri

    Bellissimo articolo.
    Comunque, senza con questo voler sminuire il mito di Herreshoff e delle splendide barche da lui progettate, merita ricordare che il regolamento della Coppa America allora imponeva che i contenders dovessero raggiungere il campo di regata negli States con i propri mezzi, ovvero navigando attraverso l’Atlantico: il che imponeva loro un disegno che necessariamente doveva ricercare anche qualità ‘marine’ per superare le insidie delle condizioni meteo nell’oceano, e non solo volto a conseguire la maggior velocità possibile (come invece poteva avvenire per i defenders, con ovvio vantaggio).

    • Paolo Broccolino

      Estremamente interessante!

    • Paolo

      Buongiorno,
      per precisare, è vero che il contender doveva raggiungere l’America con mezzi propri ma è anche vero che arrivati negli Stati Uniti queste barche venivano private di tutti gli arredi, paratie, accessori e parti inutili per le gare, praticamente venivano smontate. un’altra verità è che se conosci il campo di regata, i venti, le correnti lo stato del mare, ecc. di dove ti sei allenato e da dove sei partito per la progettazione, sei un bel po’ avvantaggiato. In questo Herreshof “giocava in casa”.

  • manlio

    La vela è molto bella, una cosa interessante molto diversa dagli sport motoristici è che una piccola barca a vela, con un rapporto tra parte immersa (opera viva in gergo) e metri quadri di vela estremamente performante con la quale si potrebbe partecipare alle olimpiade costa (usata) poche decine di euro e pesa 58kg, per cui è trasportabile sul portapacchi di un’auto normale. Come se si potesse comprare una macchina da formula uno usata a 100 €. Ergo si possono provare emozioni veramente intense con una spesa alla portata di tutti.

  • manlio

    Dimenticavo che ci sono piccole barche sportive che virano così bruscamente da poter misurare l’accelerazione centrifuga con valori prossimi a 2 g, cose quasi areonautiche

  • michele

    commento buono

Altre cose da leggere