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Suzuki GSX-R 1000 Lucchinelli (e non solo) Special

Stasera lo Zecchino d’Oro presenta: Il valzer del mosceri… splat

Il moscerino dei piccoli frutti è un piccolo insetto tipico del Giappone. Il dottor Matsumura, che gli diede il nome nel 1932, dovette addirittura utilizzare il genitivo latino su una parola giapponese. Quel simpatico insettino che fa le uova nelle mele marce, si chiama, scientificamente… Drosophila di Suzuki. E sebbene non abbia la minima intenzione di scoprire perché si chiami così, ho deciso di farmi un’idea tutta mia.

– Buonasera… –

Spotify (o YouTube, quel che volete) -> Aria sulla quarta corda, veloci.

E’ estate e il sole inizia ad abbassarsi all’orizzonte ed il nostro bel moscerino sta volando da una pesca spiaccicata a terra dall’altra parte della strada… ma ecco, che in lontananza appare il suo nemico giurato. Il verso del GSX-R, conosciuto dagli ammerigani come Gixxer, è urlo con una frequenza di 13200 giri al minuto, sparati attraverso la cassa di risonanza di uno scarico in carbonio scorpionato Akra. In pochi secondi, la Drosophila di Suzuki non è altro che uno splat ed una macchietta gialla sulla meravigliosa livrea Legends della Suzukona.

Scegliete poi voi quella che preferite, vanno bene tutte

– c’è l’imbarazzo della scelta, si possono avere tutte? –

Perché il predatore che ha appena trasformato l’insettino in un ricordo è una delle più meglio riuscite orge tra ingegneria, design, ignoranza e pura figaggine. L’ultima incarnazione della millona infatti ha un simpatico rapporto peso/potenza di 1:1 (ed i Giappi sono stati modesti, visto che questo rapporto è a serbatoio pieno fino all’orlo). E si, vabbè, sono dieci anni che si è arrivato a questo rapporto sulle moto… ma la GSX-R 2020 non solo ha questa potenza mostruosa, roba che un fan di automobili a caso che si spaventa su una Monster, si cagherebbe addosso (prima di accendere la moto), ma ha anche tutte le chicche elettroniche che vi impediranno di fare splat e diventare una macchietta sul muro della casa dietro al tornante.

Insomma, un tripudio di elettronica, di quella bella, di quella che devi avere le palle che non ti entrano dietro al serbatoio quando spalanchi il gas e ti aggrappi al traction control con 10 livelli, che tanto il collegamento cervello-acceleratore-motore è più veloce della luce grazie al sistema Ride-by-Wire (si, si, ce l’hanno gli F-14, lo sappiamo, lo sappiamo), per poi pinzare duro, lasciare che l’ABS faccia il suo lavoro silenzioso ed il telaio a doppia trave d’alluminio non faccia una cazzo di piega, quando l’inerzia vorrebbe chiudere la moto come una fisarmonica. Capiamoci, gli ingegneri nipponici hanno ficcato tanta di quella tecnologia rubata direttamente dalla moto campione del mondo con Mir quest’anno, che non sapevano che nome dargli e propongono lo SRAD, il CLD, SR-VVT, il SET-A, l’S-TFI e l’immancabile, fondamentale per pavoneggiarsi con gli altri motobaristi, lo SCEM, che sta per Suzuki Composite Electrochemical Material… e che ripensandoci bene forse è meglio non citare per non fare la figura dello scem…

Si vabbè, veloce in pista eh, ma poi al bar arriva il Giangi con la tuta color Biancaneve e la Bmw con le valigie piene di mutandine bagnate e reggiseni (attenzione: il contenuto delle valigie potrebbe essere diverso da quanto dichiarato dal motociclista) ed io ho tutta la moto piena di sticazzo di moscerini, ma fra, che figura ci faccio?

– Metti che nel tragitto casa-bar mi dà noie il navigatore e mi trovo a Ouaguagadougou –

E invece no, perché quei geniacci della Suzuki quest’anno si sono inventati di sbatterti sulle carene i miti del motociclismo che hanno fatto la storia del marchio di Hamamatsu, con le livree di Barry Sheene, Franco Uncini, Kenny Roberts Jr, Mr vinco il mondiale che se ci puntavo un euro a inizio stagione chiamavano la neuro Joan Mir, il DiodellaMoto Kevin Schwantz e quel cavallo pazzo di Lucchinelli.

E proprio su quest’ultimo vogliamo spendere due parole, perché? Perché se lo merita, ecco perché.

Lucchinelli chi? E allora dillo che sei uno sfigato, perché la pelush che ha visto quel vecchio rompipalle di un commentatore della motogippì che ha i capelli lunghi ed almeno cent’anni, non la vedi neanche con una laurea in Ginecologia.

– Scusa mi raccogli il trofeo del mondiale che mi è caduto? –

Perché con il team Gallina (cazzo ridi?) questo bolanese ha vinto il mondiale, ai tempi in cui le moto erano private, i team quattro gatti, gli sponsor tabaccai li avevi sulla moto o direttamente in bocca, che il politically correct non l’avevano ancora inventato e non dovevi scrivere ” attenzione: non mangiare” sulle confezioni del sapone.

– La bravura sta nell’evitare che lo spumante la spenga –

Un pilota letteralmente di altri tempi, bad boy, pazzo scatenato e vittima degli eccessi, che da una parte l’hanno reso un personaggio mitico, dall’altro gli hanno impedito di vincere più di un mondiale.  Ma quelli erano altri tempi, i piloti correvano in più categorie contemporaneamente, i meccanici erano meccanici e gli ingegneri di pista comuni quanto gli unicorni e le misure di sicurezza… uhm, misure di sicurezza?

-Quello a sinistra non è Chewbacca, ma Graziano Rossi, padre di Vale. Giuro, non sto scherzando –

Ogni gara era una sfida contro la morte, le balle di fieno proteggevano zero e si incendiavano facile e gli spettatori si vedevano arrivare addosso i pezzi roventi delle moto. Ed il nostro Marco ci andò vicino, uscendo praticamente illeso nel corpo da un incidente che però lo lascerà segnato, un pilota diverso.

Eppure, oramai era diventato un personaggio, tanto da arrivare al festival di San Remo (che per i Boomer deve essere qualcosa di più dello strazio attuale)… insomma, un cavallo pazzo che aveva assaporato i successo, la fama, il pubblico, le attenzioni delle più belle donne dell’epoca  e che non poteva farne più a meno. Drogato di velocità, tentò di trovare nuovi orizzonti, nuove categorie in cui correre, addirittura ci provò con le 4 ruote, senza successo, fin quando non si rivolse a quella falsa amica, che ti dà la sensazione di essere invincibile, come quando sei sul gradino più alto.

– Siamo sicuri sia la stessa persona? –

L’arresto per possesso di droga fu il punto più basso per lui, ma riuscì a rialzarsi, tornare in sella… riprovando a correre in moto, quando oramai la casella degli anni mostrava un numero troppo grande, provando a fare il team manager e, negli ultimi anni, fare il vecchio che la sa lunga nei commenti post gara della MotoGP. Un personaggio forse dimenticato, ma figlio di un’epoca più feroce, più verace, forse più crudele.

Un’epoca di moto tozze ma con livree ignorantissime, spesso pacchetti di sigarette su due ruote. Moto guidate da gente come Franco Uncini, che dopo un incidente che purtroppo a molti ricorderà qualcosa di più triste e recente, dopo giorni di coma si riprese ed oggi si occupa della sicurezza dei piloti, di cercare di sfidare e sconfiggere il destino beffardo che gioca ed ha sempre giocato con le vite dei piloti.

E quelle livree di un tempo, su di un mostro di tecnologia moderno, riescono a riconciliare il polso, gli occhi ed il cuore di chi vede la moto come una bestia fantastica e feroce, una nemica ed un’amica, l’unica che davvero non vuoi che ti tradisca mai.

E qui chiudiamo con Schwantz. Perché? Perché si.

Testo del nostro Werner, che non c’entra nulla con l’altro Werner e di fatti non si intende di razzi ma di moto.

Articolo del 26 Gennaio 2021 / a cura di La redazione

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  • Simone

    Bell’articolo, complimenti.
    Però fu immediatamente dopo l’esperienza nei GP con la Honda e la Cagiva che provò la F.3000, poi corse e vinse in SBK, da pilota e da Team Manager di Roche, Campione del Mondo nel ’90.
    Nel 91 venne arrestato e condannato e le successive (poche) apparizioni in moto furono solo frutto di una grande passione e senza reali pretese di successo.
    My two cents.

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