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La mitica Monaco-Trossi, la GP con motore stellare

Fin dagli albori dell’aviazione il motore stellare (o radiale, scegliete voi la definizione che preferite) ha sempre riscosso un grande successo. Il motivo è presto detto: la disposizione frontemarcia dei cilindri permette un efficiente raffreddamento del propulsore senza complessi e fragili sistemi ad acqua (ricordatevi, ciò che non c’è non si rompe e su un aereo da combattimento è sempre meglio evitare di avere punti deboli o potenzialmente critici) e, cosa anche questa importante, un motore radiale è meno sensibile ad eventuali danneggiamenti in combattimento perché, se colpito direttamente, un motore di questo tipo può continuare a funzionare anche con un cilindro (o più d’uno) fuori uso.

Ovviamente non sono tutte rose e fiori e, per quanto più economici, semplici (sia da aggiustare che da manutenere) e leggeri, anche i motori radiali hanno i loro limiti ma, nel campo dell’applicazione del classico motore a pistoni alla propulsione aeronautica, questi propulsori hanno sempre dimostrato il loro indubbio valore (oltre ad un certo fascino, cosa che non guasta mai), sia in combattimento quanto in ambito civile.

– Un F-4U Corsair mette n mostra il suo possente Pratt & Whitney R-2800 Double Wasp, radiale a 18 cilindri a doppia stella da 46 litri di cilindrata e capace di scaricare sull’elica la bellezza di 2.100 cv –

Ora, fra le varie persone che nella storia hanno subito l’irresistibile fascino di questi motori, oltre a quegli sciamannati che usano un vecchio stellare preso giù da un Boeing B-29 per correre nel tractor pulling

non possiamo non citare il mitico Augusto Monaco, autore di una delle più bizzarre e curiose auto della storia.

Siamo nei primi anni ’30, in un epoca nella quale attorno all’automobile si respira una verve ed un fermento tecnico-culturale che ha avuto pochi altri pari nella storia di questo mezzo di trasporto. Era un’epoca pionieristica nella quale c’erano fantasia, curiosità e libertà, cose che spinsero il signor Monaco, un argentino trapiantato a Torino, ad inventarsi una particolarissima auto, nata con l’idea di unire il meglio di due mondi, quello dell’automobilismo a quello dell’aviazione, con lo scopo di creare un accrocco pericolos la migliore macchina da corsa del suo tempo e di iscriverla nel campionato Formula Grand Prix, di fatto il nonno della moderna Formula 1 e che negli anni che andarono dal 1934 al 1937 aveva il regolamento composto da una riga sola:

“fate un po’ il cazzo che vi pare, basta che state sotto ai 750 kg”.

– tre ingegneri in una rara immagine dell’epoca –

Prendendo il non-regolamento alla lettera, il sig. Monaco decise di costruire un’innovativa vettura dotata di motore radiale posto a sbalzo all’anteriore, esattamente come se fosse un aereo… senza ali. La scelta di questo tipo di propulsore da parte di Monaco è da ricercarsi nello stesso motivo per cui i radiali venivano utilizzati negli aerei: più compatto (in profondità) e leggero di un tradizionale motore in linea, un motore stellare è infatti comunque in grado di generare una buona dose di potenza. La scelta ricadde quindi su un 16 cilindri due tempi (ed ecco spiegato il numero pari di cilindri, che su uno stellare 4T invece sono sempre dispari) a doppia stella da 3,982 litri di cilindrata totale raffreddato ad aria con un alesaggio di 65 mm e una corsa di 75 mm per un totale di 250 cv a 6.000 giri/minuto, ottenuti grazie a due compressori meccanici (non turbocompressori, quelli sarebbero arrivati anni dopo grazie ai lavori della General Electric) Zoller M160 che, alimentati da un carburatore Zenith ciascuno, fornivano una sovrapressione di 0,68 atm.

Fin qui le cose sono ancora relativamente semplici ma al sig. Monaco, fra poco risulterà evidente, le cose facili non dovevano piacere molto: a differenza dei motori stellari aeronautici le cui stelle – se più d’una – sono disposte in maniera da avere i cilindri sfalsati, il motore che Monaco fece costruire per la sua auto aveva le due stelle esattamente coincidenti, questo perché i cilindri anteriori e quelli posteriori di ogni stella erano accoppiati a due a due. In breve, ognuna di queste coppie aveva la camera di combustione e la candela in comune, le luci di immissione erano nei cilindri posteriori mentre quelle di scarico erano in quelli anteriori, dai quali si diramava un curioso impianto di scarico di tipo 4-in-1 con i collettori in bella vista guardando l’auto da davanti.

– dettaglio dei collettori di scarico e della singola candela di accensione per ogni copia di cilindri –

Questa particolare configurazione, conosciuta anche come “single-split engine” venne introdotta nel 1918 e in seguito utilizzata su diverse moto e automobili fino al 1970. L’idea alla base di questa particolare configurazione rispetto ad un due tempi tradizionale è quella di ottenere un migliore lavaggio dei gas di scarico riducendo al minimo le perdite di miscela fresca attraverso la luce di scarico, dato che la miscela in ingresso deve compiere un giro più tortuoso prima di arrivare alla luce di scarico posizionata nel cilindro adiacente.

In questo modo, migliorando i lavaggi e riducendo le perdite di carica vitale, il motore risulterà più efficiente, specialmente alle piccole aperture del comando del gas, da sempre momento un po’ critico nei motori a due tempi, sicuramente più a loro agio a pieni giri e imballati che con il gas parzializzato. Ovviamente, come al solito, non è tutto oro quel che luccica e i miglioramenti che un motore di tipo single-split mostra rispetto ad un analogo tradizionale di pari cilindrata sono solo marginali a discapito di un maggiore peso, una maggiore complicazione e il doppio di organi che si possono rompere o danneggiare (adesso hai il doppio di possibilità di grippare, non male).

– dettagli del motore Puch 250cc, un “monocilindrico” utilizzato in Germania su alcune moto da strada negli anni ’70 –

Ora, visto che lo so che vi state infuocando, andiamo avanti e torniamo agli esperimenti del nostro amico Augusto Monaco perché le sorprese, con questo bellissimo viaggio mentale esempio di ingegneria e tecnica motoristica, sono solo all’inizio: per complicarsi la vita un altro pochino, a Monaco venne l’idea di fare la macchina a trazione anteriore, con la potenza del grosso motore radiale scaricata sulle sole ruote anteriori attraverso un cambio a quattro velocità e facendo affidamento su un complesso sistema nel quale un albero attraversava la trasmissione fino alla frizione per poi tornare indietro verso il cambio.

Tutta questa meccanica era montata su un telaio di tipo aeronautico a traliccio di tubi tubi in acciaio al molibdeno di 4 cm di diametro rivestito da pannelli in lega leggera di alluminio. Particolari erano anche le sospensioni, indipendenti per ciascuna ruota con l’avantreno a doppi bracci trasversali con molle elicoidali orizzontali e ammortizzatori idraulici regolabili. Infine, per rallentare questo proiettile che non credo oggi passerebbe un crash test, erano presenti quattro grandi freni a tamburo idraulici su ogni ruota, soluzione molto avanzata per l’epoca. L’auto infine poggiava a terra su grossi pneumatici anteriori da 5,25×31” e posteriori da 4,40×27” per un peso totale di circa 710 kg.

Per lo sviluppo della vettura, Monaco – che evidentemente aveva gli agganci giusti – coinvolse nel suo progetto l’ingegnere-pilota Giulio Aymini e il Senatore Agnelli (fondatore della FIAT e nonno di Gianni), con quest’ultimo che fornì a quel mattacchione di Monaco attrezzi e officine per lo sviluppo e il collaudo del motore stellare. Monaco iniziò a dedicarsi alla costruzione dell’auto che però, fin da subito, mostrò grossi e costosi problemi, al punto che Agnelli stesso abbandonò il progetto dandosela a gambe. Il suo posto venne preso dal famoso Conte Carlo Felice Trossi, nobile gentleman driver piemontese diventato famoso grazie alle sue prodezze al volante delle Alfa Romeo; Trossi, da vero filantropo amante delle corse e delle emozioni forti, si lanciò con entusiasmo nel progetto, mettendo a disposizione i modesti locali del castello in cui viveva – a Gaglianico, alle porte di Biella – da adibire ad officina, gli stessi locali che qualche anno dopo Trossi concesse alla Piaggio per lo sviluppo del Paperino MP-5 (il nonno della Vespa), dopo che l’azienda toscana aveva dovuto momentaneamente abbandonare gli stabilimenti di Pontedera per sottrarsi ai bombardamenti alleati.

– Piaggio Paperino MP-5: senza Trossi, forse, non avremmo mai avuto la Vespa –

Il Trossi, come ultima richiesta ad Augusto Monaco, avanzò la proposta di inserire il suo nome in quello della vettura che, una volta finita, verrà battezzata Monaco-Trossi Mod. Competizione.

– avrai la forma di un proiettile… al contrario –

Una volta completata, l’auto venne iscritta al Gran Premio di Monza del 1935 nella categoria vetture monoposto da Grand Prix tuttavia già durante i primi test ufficiali – condotti sia da Aymini che dall’avventuroso Trossi – l’auto si dimostrò un disastro assoluto. La fisica infatti non perdonò questa strana vettura che, con oltre il 75% del peso gravante sulle sole ruote anteriori, era tremendamente sottosterzante, cosa che rendeva la Monaco-Trossi non solo inguidabile ma, anche, pericolosa. A questo si aggiunsero gravi problemi di raffreddamento, con il grosso motore radiale che non riusciva a dissipare il calore che generava, finendo per surriscaldarsi e con la particolare tendenza a distruggere le candele.

– rara foto della Monaco-Trossi in occasione delle prove per il GP di Monza del 1935. Si nota la mancanza della cappottatura del motore, rimossa per migliorare il raffreddamento del propulsore –

Insomma, nonostante l’ambizioso progetto che sulla carta sembrava promettere bene, la Monaco-Trossi era afflitta da problemi insormontabili causati proprio dal modo in cui era stata pensata e costruita. Per sistemarli si sarebbe dovuto ripartire da zero, motivo per il quale, dopo le prime prove in pista l’auto venne abbandonata a sé stessa non partecipando nemmeno alla corsa alla quale era stata iscritta. Dopo questo fallimento, Augusto Monaco venne contattato dalla Fiat che gli offrì un posto di lavoro come ingegnere ma lui rinunciò, finendo per venire coinvolto in diversi progetti più o meno particolari tra cui quello relativo alla sintesi dei diamanti artificiali, probabilmente meno grezzi della vettura costruita assieme al mitico Conte Trossi.

Ah, nota a margine: a pensare alla Monaco-Trossi a trazione anteriore, mi viene in mente la Nissan GT-R LM Nismo, vettura a trazione anteriore che nel 2015 partecipò alla famosa 24h di Le Mans con risultati altrettanto disastrosi.

Nota di colore (marrone): le foto della Monaco-Trossi presenti nell’articolo sono state scattate in occasione dell’ultimo leggendario Motor Show di Bologna.

Articolo del 10 Gennaio 2022 / a cura di Il direttore

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