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Hawker Typhoon, il cavallo pazzo di sua maestà

È il 2 settembre del 1998 e quello che fino a ieri era conosciuto come EFA 2000 ha bisogno di un nome ufficiale. Le nazioni che partecipano a questo ambizioso progetto, ricordiamolo, fino a 50 anni anni prima si tiravano bombe e saracche a non finire. Ora invece tutti amici amici, fino a che non si sfiora il caso diplomatico:

Inglesi: “Ce l’ho! Chiamiamolo Spitfire II!”

Tedeschi: “DerMinkien [traduzione letterale di stocazzo!]”

Italiani: “Chi ha fatto gol?”

Va bene, l’idea di chiamarlo Spitfire II era decisamente troppo inglese ma anche la decisione finale di chiamarlo Eurofighter Typhoon causò qualche malumore di troppo in Germania. Nonostante infatti fosse il 1998, lassù qualcuno non si era ancora dimenticato di quando il vecchio Hawker Typhoon, a partire dal 1944, iniziò a scaricare fitti acquazzoni di metallo su tutto quello che si muoveva sul territorio occupato dai nazi, devastando e mettendo definitivamente in ginocchio quello che restava della Heer Wermacht, dei suoi tanto potenti Panzer e delle sue armate di terra. È un po’ come se gli ammeregani si mettessero a costruire un aereo con il Giappone per poi chiamarlo, che ne so, Little Boy. Ecco, se io fossi giappo, mi sentirei un attimo preso per il culo.

Le polemiche tuttavia non andarono a finire da nessuna parte e, continuando così il trend lanciato a suo tempo con il Tornado (per chi no lo sapesse, typhoon = tifone, un tipo di tempesta, come il tornado), Eurofighter Typhoon sia che comunque è un bel ferro.

Ma vediamo da vicino il “vero” Hawker Typhoon.

Per quanto in pochi se lo ricordino, l’Hawker Typhoon era un aereo esagerato: brutto, sgraziato, più simile ad un camion con le ali che ad un piccolo, agile, leggiadro e veloce aereo da caccia, il Typhoon è uno dei più clamorosi underdog della seconda guerra mondiale. Dimenticato, bistrattato, relegato a comprimario di aerei ben più eleganti e famosi, la bestia progettata da Sydney Camm doveva essere – stando alle volontà della Hawker – il caccia più grande, potente, veloce e pesantemente armato che avesse mai solcato i cieli.

La realtà fu ben diversa e il Typhoon, non solo non mantenne queste promesse ma, nel provarci, ammazzò anche parecchi suoi piloti. Parte dei problemi partirono dal grosso motore attorno al quale l’aereo era stato costruito: il 24 cilindri ad H Napier Sabre è infatti passato alla storia per il suo brutto caratteraccio e per la sua cronica inaffidabilità. Queste caratteristiche finirono per mettere in secondo piano l’incredibile potenza che era in grado di erogare, una delle più elevate mai raggiunte da un motore a pistoni e superato, solo verso la fine della guerra, da bestie come l’americano Pratt & Whitney R-4360, il più grosso motore a pistoni da aviazione mai costruito (e qui merita di essere ricordato il Fiat Aviazione Spinto 6, il mostro da oltre 3.000 CV sviluppato nel 1931 a Torino).

Caratterizzato da prestazioni fuori categoria e da un elevato numero di giri, il Napier Sabre è un motore che è degno di essere raccontato, tanto per le sue strambe soluzioni tecniche – che dopo la guerra sarebbero praticamente sparite – che per l’aereo sul quale finì montato, tanto veloce quanto pericoloso e voglioso di ammazzare il suo sventurato pilota.

– ridi poco che te la fa pagare –

Napier Sabre, famolo strano

Tutto iniziò dopo i successi ottenuti dal Napier Lion, un motore 12 cilindri a W (tre bancate da 4 cilindri) sviluppato negli anni ’20 e utilizzato con successo sugli idrocorsa inglesi destinati alla famosa Coppa Schneider (la che? fa ‘na cosa, clicca QUI). Con l’arrivo dei motori di nuova generazione – tipo il Rolls Royce Merlin, a sua volta sviluppato dal Rolls Royce R che equipaggiava il Supermarine S.6, ultimo vincitore della Schneider – il Lion diventò obsoleto e la Napier si trovò a dover progettare un nuovo motore per rimanere parte del gioco. I tecnici della casa inglese, per cercare di creare qualcosa di diverso rispetto ai motori già in produzione – d’altronde la Rolls Royce aveva il monopolio dei motori in linea raffreddati a liquido e la Bristol aveva quello degli stellari – cercarono di mettersi al lavoro per costruire un “supermotore” capace di sviluppare una potenza specifica di 50 kW/L (68 cv/L) e almeno 2000 cv. Per raggiungere tale potenza mantenendo le dimensioni del motore compatte, i tecnici della Napier – in anticipo di quasi 50 anni rispetto alla moderna mania del downsizing – capirono che la via da perseguire era quella dell’efficienza termodinamica. Per migliorare quindi le prestazioni del motore sfruttando al meglio l’energia generata dalla combustione, alla Napier presero spunto da alcuni studi pubblicati nel 1927 da Harry Ricardo. Questo signore dichiarava che utilizzando le classiche valvole a fungo non sarebbe mai stato possibile superare la soglia dei 1.500 cv e che per andare oltre sarebbe stato necessario affidarsi alle famigerate valvole a fodero.

Bene, valvole a fodero, vediamo cosa sono così capite in che razza di casino si stavano infilando questi qui: le valvole a fungo sono quelle che avete tutti nelle vostre auto (a meno che non guidiate una Trabant, quella ha un motore due tempi e quindi niente valvole) e che vengono azionate attraverso uno – o più – alberi a camme. In un motore a valvole a fodero il pistone si muove all’interno di un cilindro, il quale ha sulle sue pareti ricavati dei fori tipo quelli un motore a due tempi che in gergo tecnico si chiamano luci. Ora, proprio come in un motore a due tempi, da alcune di queste luci entra la miscela di aria e benzina mentre da altre escono i gas di scarico.

Fin qui ci siamo, bene: ora, visto che noi vogliamo un quattro tempi, dobbiamo far si che queste luci vengano aperte e chiuse nella giusta sequenza per rispettare il ciclo del motore e il movimento del pistone. Per far questo, in un sistema a valvole a fodero, fra il pistone e il cilindro con le sue luci di ammissione c’è una intercapedine all’interno della quale si muove un secondo cilindro – una sottile camicia metallica, chiamato anche manicotto – che, mentre il pistone va su e giù, si muove anch’esso sia su e giù che attorno al proprio asse, andando, man mano che il motore procede nelle sue fasi, a scoprire o coprire le luci.

Il pistone scende, la camicia scende e gira scoprendo le valvole di aspirazione, mentre il pistone raggiunge il PMI e si prepara a risalire, la camicia gira di nuovo, risale e chiude tutto; il pistone sale, PMS, scoppio, discesa, PMI e, mentre risale, la camicia di prima si rigira, adesso scoprendo le valvole di scarico per poi, una volta con il pistone al PMS, richiudersi e permettendo all’intero ciclo di ricominciare.

L’idea non è affatto male, anzi, con le valvole a fodero si riescono ad evitare numerosi problemi tipici dei motori “tradizionali” e tutte le perdite di energia legare alla distribuzione. Sì, sì, proprio una bella idea, SE SOLO non esistesse l’ATTRITO. In un sistema di questo tipo si genera attrito fra il pistone sulla camicia in movimento relativo rispetto a lui, la quale a sua volta genera attrito sul cilindro vero e proprio. A questo si deve aggiungere l’infinità di piccole parti in movimento per sincronizzare quello che in realtà è un grosso e complesso e potente orologio meccanico sputafuoco. Se tutto questo non bastasse, ora dovete immaginare di implementare questo “complesso” sistema meccanico per 24 cilindri, disposti in quattro bancate di sei sovrapposte a due a due e raffreddati a liquido.

Voi affidereste la vostra vita ad un accrocco del genere? Io no.

Alla Napier però non vollero sentire ragioni e, dopo anni di esperimenti, nel gennaio 1938 il Sabre era pronto per girare al banco: al termine della prima prova il motore erogava già 1.350 CV ma a marzo questi erano già diventati 2.050 CV. Entro la fine del 1940 il motore era capace di sviluppare 2.400 CV a 3.700 giri con “soli” 37 litri di cilindrata (alesaggio 127mm, corsa 120,65mm, era quindi un motore superquadro), un bel risultato se consideriamo che all’epoca sia il Merlin che il Daimler DB601 arrivavano a pelare i 1.200 CV e ringraziare.

Ehi, un momento, per mollare tutto e affidarsi a rollingsteel.it ci è voluto più coraggio che quello necessario a pilotare un Typhoon. Se il progetto ti piace e vuoi che continui imperterrito, ti chiediamo di cliccare qui sotto, ci aiuterai a restare in volo!

Torniamo a noi:

Lo scotto di tanta complicazione e di così tanta potenza veniva ripagato da una affidabilità praticamente inesistente: nelle sue prime versioni il motore durava 5 ore prima di dover venir revisionato. Consumava quantità d’olio che se fosse stato Wankel ne consumava meno e, nonostante questo, soffriva di cronici episodi di surriscaldamento e di grippaggi. Un vero disastro, al punto che il pupillo della Napier richiese quasi 6 anni per raggiungere una affidabilità sufficiente a non ammazzare i suoi piloti. Lo sviluppo del motore infatti necessitò di uno sforzo immane anche solo per trovare i metalli e le tolleranze giuste con cui costruire le delicate valvole a fodero, al punto che la Napier – che non ne veniva a capo – dovette chiedere aiuto alla concorrente Bristol. Quest’ultima, complici gli anni di lavori ed incazzature sul Bristol Centaurus – anche lui con valvole a fodero – cedette alla Napier il suo know how e una cospicua fornitura di valvole di altissima qualità (si dice che avessero tolleranze 10 volte migliori rispetto a quanto fatto dai tecnici Napier) grazie anche ad una spintarella del governo inglese.

Una volta maturo, il motore trasformò l’aeroplano sul quale era installato nell’anello debole della catena: questo esagerato 24 cilindri era infatti talmente sovradimensionato rispetto alla struttura dell’aeroplano che si verificarono numerosi incidenti, in cui richiamando l’aereo dopo una picchiata ad altissima velocità (il Typhoon poteva superare gli 800 orari in picchiata), la coda si staccava di netto dall’aeroplano, lasciando al pilota giusto il tempo di pensare “and now are diks (without sugar)” prima di fare un buco per terra. Lo stesso collaudatore della Hawker Philip Lucas, una volta ritornò alla base con la fusoliera del suo Typhoon quasi spezzata in due. Questo problema (a cui andarono incontro anche i primi BF-109 F-1) venne prontamente risolto alla brutta, ovvero con semplici piastre di acciaio rivettate nella parte finale della fusoliera, sufficienti per evitare che l’aereo andasse in pezzi, ma senza mai risolvere veramente il problema.

– i famosi listelli di rinforzo, visibili nella parte finale della banda bianca –

Il problema della fusoliera che si spezzava in due era poi solo la punta dell’iceberg e nel biennio 1941-1942 i Typhoon seminarono rottami e piloti su tutta la Gran Bretagna. Il motore, come già detto, era inaffidabile e, in caso di piantata, il pesante e tozzo aereo era praticamente impossibile da far planare e si trasformava in un ferro da stiro con la mimetica. A questo si aggiungevano delle fastidiose infiltrazioni di monossido di carbonio in cabina di pilotaggio, problema mai risolto e che ammazzò ben più di qualche pilota. Alla fine alla Hawker chiusero la faccenda obbligando i piloti ad usare la mascherina per l’ossigeno dal decollo all’atterraggio e ricavando due fori di aerazione dietro all’abitacolo, utili anche per tenere a bada l’enorme calore sviluppato dal motore.

Impegnativo, costoso e inaffidabile, se oggi siamo qua a raccontare del Typhoon è solo grazie all’apparizione del Focke-Wulf FW-190, aereo che inizialmente surclassò sia lo Spitfire V che il vecchio Hurricane. L’arrivo del 190 infatti impedì l’abbandono del Typhoon che, per quanto era maggior causa di preoccupazione fra i suoi piloti che per il nemico, a bassa quota era più veloce di qualunque altro aereo.

Finché non si smontava, il Typhoon poteva competere con il potente caccia tedesco, mettendolo alla frusta e dando vita ad inseguimenti a velocità folli tra due veri campioni delle basse quote. L’unica cosa a cui bisognava stare in orecchia erano i fenomeni di compressibilità a cui andava incontro la tozza ala del Typhoon a velocità prossime agli 800 km orari, con conseguente inversione dei comandi e vibrazioni capaci di mandare in pezzi l’aereo e il suo coraggioso occupante. Lo abbiamo già scritto che il Typhoon era pericoloso?

Le grandi doti a bassa quota del Typhoon divennero leggendarie quando entrarono in servizio le ultime e più aggiornate versioni di Spitfire, finalmente capace di competere con gli ultimi caccia tedeschi e liberando così il Typhoon da un ruolo che non gli apparteneva e anzi rendendolo libero di scaricare tutta la sua furia e il suo armamento verso il terreno, dimostrandosi l’eccellente cacciabombardiere che verrà poi consegnato alla storia, specialmente quando si evolse negli esuberanti Hawker Tempest (uno dei pochi aerei capaci di volare a fianco delle V1 tedesche e di mandarle fuori rotta con un colpetto d’ala) e Hawker Fury. Gli episodi che hanno visto i Typhoon demolire le truppe tedesche a partire dal 1944 sono numerosissime, alcune leggendarie (come la celebre caccia notturna al treno del comandante Beaumont), noi ci limiteremo a farvi notare che nel 1998 ai tedeschi stava sulle palle che chiamassero il neonato EFA come quel cacciabombardiere, e questo la dice abbastanza lunga.

Fragile, esuberante, prepotente e rozzo, il Typhoon ha sempre suscitato parecchio timore, tanto nei suoi nemici quanto nei piloti che hanno avuto la fortuna il coraggio di pilotarlo e di sopravvivere a lui e al suo Napier Sabre. Anticipando di circa 20 anni il disastro degli F-104G tedeschi, gli incidenti che videro coinvolti il Typhoon furono tantissimi – almeno 135 aerei andarono persi per il distacco della coda in volo – sopratutto per cause esterne a vicende di guerra e, dei circa 3.300 “Tiffy” prodotti, oggi ne rimane solo uno. Ora si trova in Gran Bretagna ma, a quanto pare, nessuno ha mai avuto abbastanza fegato per confrontarsi con lui.

P.S. Da qualche tempo un consorzio italo-inglese e svedese sta lavorando per un nuovo caccia europeo che, udite udite, si chiamerà Tempest e che, a quanto pare, dovrà sostituire l’Eurofighter per affiancare l’F-35

Articolo del 22 Giugno 2020 / a cura di Il direttore

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  • Bruno

    E bravo Direttore, sai scrivere,sai raccontare la Storia ,non c’è bisogno di rileggere quello che hai scritto perché si capisce al “volo” e soprattutto ‘si Ricorda” quello che scrivi . Avevo letto un tuo post sul FW190 e pensavo fosse un articolo fortunato, invece ho capito che è proprio l’autore ad avere avuto un “gran cu…o” quando ha avuto questa capacità in dono .
    Insomma non so se sono più inca….to o felice quando ti leggo.
    Vabbè ‘ dai : Bravo!.
    Ti debbo però un racconto e consideralo un “dovuto piccolo omaggio” alle tue performance.
    Da ragazzo Ho frequentato la scuola per costruzioni aeronautiche , vittima purtroppo di questa strana passione che costringe tanti giovani ad appassionarsi senza un perché a dei trabiccoli rumorosi e puzzolenti , quali sono appunto gli aerei.
    Come professore di aerotecnica e quindi di dinamica dei fluidi, avevamo il “corvo maledetto” detto anche all’anagrafe ing. Pasquali.
    Tra i suoi sport preferiti , c’era quello dello sputtanamento dello studente che non aveva studiato.
    Quando capito’ il mio turno mi trovavo come al solito , di fronte alla immensa lavagna , in piedi sulla grande pedana di legno dove troneggiava la cattedra del giudice imperatore, dietro la quale c’era il suo “sedile sacro” . Su questo si accovacciava il piccolo Professore. Sguardo fisso , occhi.a fessura , capelli neri . Poggiato su questa come un volatile su un ramo , quasi arrivava con i gomiti sul tavolo che usava per sostenere gli avambracci con il quali si teneva la testa ogni qual volta rispondevamo alle sue domande quando interrogati.

    Nero nei capelli come nei vestiti, come nella montatura dei occhiali e con un naso a punta che sembrava un becco : da lì il suo vero nome ” Il corvo maledetto”.
    Tornando alla mia interrogazione ( era il mio primo anno di superiori) si rivolse verso di me e vedendomi decisamente confuso nella trasformazione da metri cubi a litri , mi fece la domanda ” ..A Delmo’ ( abbreviativo del mio cognome) ma secondo te, in 1 metro cubo , quanti litri ce vanno ?”.
    Non sapendo proprio da che parte cominciare ed avendo ormai quasi esaurito il mio tempo massimo , la buttai la’ e …..come un eroe della Folgore che urla il nome del reparto al momento del lancio , risposi ” Un litro!”.
    Attimo di silenzio tombale e subito dopo
    il bastardo pennuto cominciò una sonora risata alla quale fece ovviamente eco quella di tutta la classe che , pur non sapendo la risposta , non trovò nulla di più solidale che sostenere il sadismo dell’insegnante.
    Al termine della risata che per me durò un’eternità, il Corvide pronunciò la sua sentenza :
    ” Allora a Delmo’ quando vai a prende 25litri di vino ai castelli…ce vai con l’autobotte?”
    Il paradosso era corretto !
    Se per un litro ci voleva un metro cubo per 25 litri ci voleva un TIR.!
    Il corvo maledetto aveva colpito ancora .

  • Mm

    Grande articolo! (ma Wehrmacht si scrive con l’h)

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