Gli pseudo-collezionisti/speculatori avranno avuto un infarto a leggere questo titolo (lo abbiamo forse fatto apposta? ah, vallo a sapere). Comunque, che storia è questa? Davvero qualche pazzo scatenato ha convertito una preziosissima Ferrari F40 per correre la Parigi-Dakar? Come è possibile? Come si sono permessi di rovinare un capolavoro incredibile dell’automobilismo mondiale?
La risposta alla fatidica domanda è NI, nel senso che una vettura con la forma di una F40 ha partecipato alla Parigi-Dakar nel 1989, ma non era una Ferrari F40. Potete mettervi il cuore in pace amici ma, aspettate a chiudere, leggetevi la storia di sto ferro che è una figata.
La famigerata Red Typhoon
Tutto nacque tanti anni fa, quando il mondo dell’auto e del motorsport era un po’ più frizzantello, dall’intraprendenza di Franco De Paoli. Prima titolare di un’industria tessile e poi proprietario di un’officina a Milano, De Paoli è uno dei grandi pionieri Italiani dei Rally Raid, con ben 24 Parigi-Dakar sulle spalle oltre a una buona dozzina di altre gare corse per tutta l’Africa. Da un folle incontro in mezzo al deserto con Thierry Sabine nel 1979 alle prime partecipazioni sin dal 1980, c’è sempre stato un grande obiettivo nella carriera Sahariana del nostro Franco: portare in gara i mezzi più fuori di testa in assoluto, perché dai, sti fuoristrada che sembrano disegnati da un bambino delle elementari hanno un po’ rotto le palle.
E così, dalla passione per il deserto, per le auto inglesi e per quel baraccone gran ferro di fuoristrada che è il Range Rover, nacque il primo “proto” da Dakar, ovvero un Range Rover V8 vestito da Rover SD1, era il 1983.
Dall’esperienza fatta con il prototipo Rover, a Franco venne l’ideuzza di sfruttare un blasone che all’epoca era molto in voga: quello della Audi Quattro. La leggendaria cruccona che ha rivoluzionato il mondo dei rally con la trazione integrale e che ha lottato ha preso la paga dalla leggendaria Lancia Rally 037, grazie a De Paoli arriva anche tra le sabbie insidiose del Sahara destando sicuramente più di un’occhiata, sempre sotto forma di “proto” su base Range Rover travestito a dovere (beccatevi quei mega gommoni, sembra un monster truck. Che figata).
Nel 1987 però dai cancelli di Maranello esce una vettura che lascia tutti a bocca aperta, con la mascella che tocca per terra. Una vettura destinata a cambiare per sempre il concetto di supercar, che verrà ricordata nell’olimpo delle vetture più iconiche di sempre. Nata per il quarantesimo anniversario del Cavallino Rampante, la Ferrari F40 fu il mostro sputafiamme che fece passare le notti insonni ai residenti di Fiorano Modenese e a tutti i regazzini dell’epoca, che si dividevano tra lei e l’altra (e no, non parlo della Jaguar XJ220…). Estasiato da quella linea destinata a entrare nella leggenda, nel 1989 a De Paoli viene l’idea definitiva: portare il mega ferro del Cavallino Rampante tra le dune del deserto. Per fare un mezzo del genere ci voleva però qualcosa di veramente robusto, e una Ferrari F40 naturalmente non era l’animale giusto per questa gara, così prese vita il progetto Red Typhoon.
Un breve momento di durello per tutti quelli nati negli anni ’80, sicuramente vittime delle pubblicità Saratoga dell’epoca
Torniamo alla macchina, please: l’idea era facile, si doveva adattare una meccanica da 4×4 dura e pura a una carrozzeria simil-F40, per cui la scelta cadde non più sulle tanto amate e inglesissime Range Rover V8, ma sulla collaudatissima meccanica della Mitsubishi Pajero, della quale venne preso quasi tutta la parte anteriore del telaio a cui venne aggiunto un semi-telaio posteriore ex-novo per eliminare lo schema sospensivo a balestre. La trasmissione posteriore originale del Pajero è così finita nel rusco, in favore di un differenziale posteriore ad-hoc saldato direttamente al telaio. Sassate via le sospensioni originali, queste sono state sostituite da triangoli sovrapposti con molle ad aria e doppi ammortizzatori Bilstein, sia all’anteriore che al posteriore. Tutto ciò per ridurre i pezzi da portarsi dietro, in quanto su tutte e quattro le ruote erano presenti i medesimi componenti, per una massima intercambiabilità in caso di problemi in mezzo al deserto.
Inoltre questa “Mitsubishi F40” era dotata di un raffinato sistema di regolazione dell’assetto, tramite delle molle ad aria posizionate su tutte e quattro le ruote e con un compressore per la regolazione in tempo reale della pressione e no, non è roba da lowrider ammerigane.
Sotto il cofano sfortunatamente non c’è il V8 biturbo made in Maranello, ma un quattro cilindri turbo-benzina derivato dalla Starion e montato in posizione anteriore longitudinale come gradito alla meccanica Pajero: il piccolo 2 litri Mitsubishi è poi finito sotto le grinfie di Nocentini (Mauro Nocentini, noto preparatore dell’epoca) che l’ha portato a 2,6 litri e 240 cv, sufficienti per scalare tutte le dune possibili e immaginabili. Ma più che la potenza, alla Red Typhoon serviva coppia e quel nevrotico quattro cilindri riusciva a fornirne oltre 330 Nm, il tutto a spingere circa 1700 kg a vuoto. Non certo un peso piuma, ma per il deserto ci vuole robustezza.
Grazie alla silhouette filante della Ferrari F40, la Red Typhoon volava sulla sabbia africana a quasi 210 km/h e con 280 litri di benzina trasportabili nell’immenso serbatoio, si riuscivano a portare a termine anche le tappe più pazzesche senza problemi, cercando di rimanere al passo con i ferri più incredibili che presero il via alla Parigi-Dakar 1989, come le Peugeot 405 e 205 T16 ufficiali Peugeot.
Nonostante tutto, Red Typhoon però non fu molto fortunata, e nel 1989 non finì la gara per un problema tecnico a metà di una tappa durissima, dove non fu possibile ottenere assistenza. Ad ogni modo, per quanto un po’ sfigata in gara, la Red Typhoon divenne famosissima tra gli appassionati, soprattutto grazie al fatto che sembrava una cattivissima F40 messa giù per fare fuoristrada. Ne fu anche fatto un fantastico modellino, dai regaz che facciamo la colletta e lo regaliamo al Direttore.
Però regaz… Che ferro!
Dopo la Dakar del 1989, per la Red Typhoon era in programma un ulteriore upgrade per renderla il ferro definitivo da rally raid. Sfortunatamente il progetto si arenò e la vettura fu messa in disparte, per un eventuale nuovo utilizzo futuro. Tuttavia la sfiga – infame – era in agguato e qualche anno dopo un tremendo incendio colpì il deposito dove era rimessata, distruggendo per sempre la Red Typhoon, rimasta viva solo nei racconti degli appassionati nell’epoca e nelle leggende metropolitane legate alla Dakar. Ma non disperate, un altro mega ferro realizzato da De Paoli sta tornando alla luce e al suo antico splendore. Chissà, forse ne parleremo proprio qui, su RollingSteel… quindi, chi cambia canale è un gibbone!
Un grazie di cuore a Franco De Paoli per averci raccontato la sua storia!
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Bellissimo. E sempre un grande piacere avere un riscontro del proprio lavoro. Grazie Mattia