Quando l’uomo si è reso conto che si potevano progettare macchine capaci di volare, il primo pensiero fu: “Fico, adesso ci facciamo la guerra”, seguito immediatamente da “Fico, adesso ci facciamo le garette”. È la semplice logica del cervello maschile nell’impeto della rapida evoluzione dell’umanità di inizio ‘900
Mettendo da parte l’evoluzione i velivoli da guerra, un ruolo importantissimo nello sviluppo degli aeroplani lo ebbero le competizioni. A cavallo delle due guerre vennero sperimentate tantissime formule nelle quali arditi aviatori rischiavano la vita per portare a casa una prestigiosa coppa o un riconoscimento.
Esistevano gare (come ad esempio la Coppa Schneider per idrovolanti) nelle quali gli stati erano impegnati ufficialmente con aeroplani costruiti in rappresentanza della nazione. L’uomo futurista e tecnologico era devoto alla gloria della patria e affrontava sfide estreme come traversate oceaniche e record di velocità su mezzi che dire sperimentali è poco.
È questo il contesto nel quale si inserisce il Bugatti 100P. Un aereo con una storia incredibile, pensato per essere il velivolo più veloce di sempre, ma destinato a non staccare mai le ruote dalla pista e rimanere soltanto il sogno nel cuore di uno dei più grandi personaggi che i motori abbiano mai avuto, Ettore Bugatti.
E partiamo proprio da lui, il nostro Ettore, genio assoluto nato a Milano che ancora minorenne fu capace di costruirsi da sè le prime automobili (Tipo 1 e Tipo 2), per poi finire in Alsazia sotto l’ala protettrice del Conte Dietrich e iniziare una carriera di costruttore con i fiocchi.
Nel 1938, con un blasone ormai consolidato alle spalle, Bugatti decise di buttarsi in una sfida tutta nuova: costruire un aeroplano da record per partecipare alla Coupe Deutsch de la Meurthe, una competizione di velocità per aeroplani istituita nel 1906 che nella sua ultima evoluzione prevedeva due stage andata-ritorno da 1000 km intervallati da un rifornimento di carburante. Lo scopo ovviamente era completare il percorso nel minor tempo possibile.
Per questa sfida, Bugatti applicò alla lettera la sua regola di vita: passione e creatività sono la massima manifestazione della personalità e l’esaltazione della gioia di vivere. Basta guardare il 100P per capire che questo aeroplano arrivava direttamente dal mondo dei sogni e non da un semplice foglio bianco sul tavolo tecnico di Louise de Monge, designer del progetto.
Aveva la forma del vento, le ali a freccia leggermente negativa facevano strabuzzare gli occhi e il piano di coda a Y arrivava dritto dai libri di fantascienza. All’interno di questa idea del 1938 – millenovecentotrentotto – troviamo l’aviazione del futuro, con l’abitacolo all’interno della carlinga in posizione più avanzata possibile e un posteriore che – se rovesciato – ricordava quello dell’F-4 Phantom II. I flap avevano un innovativo sistema di posizionamento automatico al decollo e in atterraggio, così come automatica era l’apertura e chiusura del carrello retrattile (triciclo con ruotino di coda annegato nel piano verticale rovesciato).
Era piccolo, compatto e leggero, studiato per ospitare giusto un pilota e due motori Bugatti, presi paro paro dalla granturismo sportiva Type 50, quindi architettura a 8 cilindri in linea con compressore volumetrico Roots, quasi 5000cc di cilindrata e una potenza di 225 cv l’uno, che moltiplicato per due dovrebbe fare 450 cv (in matematica avevo sempre il debito). Su un pezzo di legno che pesa come una Clio e con un’apertura alare di appena 8,2 metri, era un gran bel risultato.
Sulla carta, questa suppostona blu avrebbe dovuto superare agilmente i 700 km/h, in un’epoca nella quale i migliori Caudron francesi (motorizzati Renault e sviluppati anch’essi per la Coppa Deutsch de la Meurthe) faticavano a superare i 500 km/h di punta. Un progetto del genere faceva gola anche all’aviazione militare francese che avanzò a Bugatti la proposta di realizzare anche una versione per l’aeronautica in vista dell’imminente conflitto.
Ogni motore comandava un suo albero di trasmissione che girava ai lati della cabina di pilotaggio seguendone la forma utilizzando dei giunti cardanici e infine si collegava alla rispettiva elica. Entrambe sul muso a filo di carlinga, quella del motore posteriore girava in senso antiorario e stava davanti a quella del motore anteriore, che girava in senso orario, realizzando di fatto una coppia di eliche controrotanti, la soluzione ideale per massimizzare le performance e minimizzare i fastidiosi effetti di coppia, il tutto, però, a scapito della complicazione meccanica (vi raccontiamo qualcosa sull’argomento QUI). Nella parte finale del muso, molto stretto, l’albero del motore posteriore passava dentro quello del motore anteriore.
Nell’impennaggio di coda a Y di 12° erano ricavate delle feritoie che pescavano aria fresca per il raffreddamento dei motori, una soluzione bizzarra che in teoria andava a “succhiare via” aria necessaria per la stabilità ma che in futuro si scoprì funzionare. L’aereo fu progettato per avere numerose parti in magnesio, ma la maggior parte della carlinga fu realizzata in balsa, come il vitello inventore di una storia falsa.
È un peccato arrivare alla parte in cui vi racconto che questo aeroplano non vide mai il cielo. Il ritardo nello sviluppo del progetto ha costretto a saltare l’edizione della Coppa nel 1939 e al momento dell’invasione della Francia da parte tedesca, il 100P ancora senza motori fu portato in un luogo sicuro nella campagna francese, dove rimase fino alla fine della Guerra. La tragedia del conflitto e la morte di Ettore nel 1947 hanno messo definitivamente fine a un progetto che non venne dimenticato facilmente.
L’esemplare incompleto fu recuperato e mai terminato, ma venduto più volte e privato dei motori 50P che vennero riutilizzati per restauri di altre vetture. Agli inizi degli anni ’70 finì finalmente nelle mani del museo nazionale dell’USAF che iniziò la procedura di restauro, che venne poi completata dal museo EAA dove ora ancora oggi si può osservare in mostra.
Fine? No.
Qualcuno si mise in testa che un progetto del genere non poteva rimanere a terra, doveva assolutamente volare, e questo qualcuno rispondeva al nome di Scotty Wilson. Assieme a un team di nerdissimi appassionati, nel 2011 Scotty iniziò a costruire una replica basandosi sui progetti originali ma utilizzando anche materiali di concezione moderna e due motori Suzuki 4 cilindri di derivazione GSX-R 1300 Hayabusa al posto degli 8 cilindri Bugatti.
Una soluzione cheap e sottodimensionata, sicuramente non definitiva, che avrebbe dovuto testare principalmente la capacità dell’aerodinamica di sollevare il corpo macchina da terra. Nel 2015 il Blue Dream (questo è il nome che gli fu dato) venne completato e portato in pista per il primo volo di test, che vide il fratello giovane del 100P sollevarsi davvero compiendo un volo breve a 30 metri e raggiungendo i 200 all’ora.
In fase di atterraggio un effetto suolo accentuato (e non previsto) ha spinto l’aereo fino al limite della pista e i freni non sono bastati a fermarlo prima del termine dell’asfalto. Risultato: aereo impuntato sull’erba a velocità bassa e necessità di ricostruire muso ed eliche.
Poteva anche finire peggio.
E infatti è finita peggio.
Dopo il ripristino del 2015, al terzo tentativo nell’aeroporto Clinton Sherman, in Oklahoma, la catena di trasmissione di uno dei due motori si spaccò in fase di decollo e causando una perdita di velocità così esagerata da mandare in stallo l’aereo, che si schiantò al suolo finendo completamente distrutto portandosi dietro anche il povero Scotty.
Abbiamo perso una vita e un aereo meraviglioso, ma gli sforzi non sono stati vani. Il team dietro il progetto Blue Dream ha dimostrato che il 100P poteva realmente volare e si presume che il sottodimensionamento dei motori sia la principale causa del fallimento dell’operazione. Non sapremo mai se questa meraviglia volante avrebbe davvero potuto raggiungere e superare i 700 km/h ipotizzati sulla carta, e non ci sono simulatori virtuali che ci possano togliere la soddisfazione di scoprirlo.
Il mistero contribuisce di certo all’aura di leggenda che questo prodigio futurista si porta dietro, e forse è giusto che rimanga così, incompleto come la vita di Scotty Wilson. È come i film d’autore col finale aperto, che ti lasciano da una parte insoddisfatto e dall’altra felice di poter dare il senso che preferisci… nel mio, il 100P vola a 750 all’ora davanti alla folla festante della Coupe Deutsch de la Meurthe, per poi attaccare in picchiata i Messerschmitt della Luftwaffe, facendoli esplodere uno a uno senza mai fallire un colpo.
Ottimo articolo!
Bellissimo articolo e bellissimo aereo
gande articolo per noi sognatori, grazie
Non posso fare a meno di essere bombardato di deja vu…per le proporzioni e diversi aspetti mi fa pensare al rivoluzionario Do-335.
Anzi, mi immagino il franco-tedesco Claude Dornier che nel ’44 si spreme le meningi tipo: “…aspe’, com’era quel coso che quell’italiano disegnava in segreto per le gare? 2 motori per 2 eliche?..ce li mettiamo, ce li mettiamo. E la coda con le superfici tutte strane? Si, sì…se po’ fa, se po’ fa… Daje!!”
bellissimo articolo su un aereo che non conoscevo. In tema di aereonautica avrei due suggerimenti: GEE BEE e Piaggio P180 Avanti
Esistono dei bei modelli di questo splendido aereo da stampare in 3d e da fare volare come aeromodelli. Almeno questi volano ancora!
https://cults3d.com/en/3d-model/various/assembly-manual-bugatti-100p-racer-spirit
https://m.youtube.com/watch?v=fnxQQgVu3Gw&feature=youtu.be
Ammetto però che mi interesserebbe di più provare a fare un Mattone Do335 poiché ha un posizionamento delle doppie eliche più facilmente realizzabile con i materiali reperibili per il modellismo dinamico.