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Gli alianti, perché (a volte) si può godere anche senza motore

Lo so che vi eccitate solo quando i pistoni sono grossi come i pugni di Mike Tyson o quando il nome comincia con “Pratt” o “Rolls”, ma oggi vi parlerò di qualcosa che sta all’estremo opposto, che non puzza, non inquina e non usa carburante fossile per muoversi in tutte le direzioni facendo un sacco di baccano.

La premessa sembra pessima per le pagine di questo sito, ma cari miei vi assicuro che arriverete a fine articolo con i peli delle braccia più ritti di quanto possiate immaginare. Perché questo è RollingSteel, non c’è spazio per ambientalismo o greenwashing, e quando parliamo di aerei senza motore lo facciamo per raccontarvi cos’è il volo in purezza e quali sono i principi che rendono l’aliante l’esempio più nobile di aerodinamica applicata al volo.

– Ciao Greta, tu puoi smettere di leggere qui, non è un articolo per te. Grazie.
Ora parliamo seriamente di emozioni e sentimenti –

Parte tutto dalla solita storia di Icaro, del sogno dell’uomo di volare come un uccello e della voglia di dominare il pianeta non solo su terra e mare, ma anche in aria. Dopo leggende, miti, tentativi e parecchi esseri umani spiaccicati al suolo, nel 1853 un tale George Cayley d’Inghilterra lanciò il suo cocchiere da un pendio a bordo di un rudimentale uccellone fatto di tela e legno.

Lo scopo non era sbarazzarsi del cocchiere in modo divertente, ma provare a dimostrare che l’uomo poteva in effetti volare in cielo. Il trabiccolo che somigliava a una vasca da bagno compresa di tendina a fare da vela, riuscì a scendere verso la vallata in modo più o meno dolce, schiantandosi a terra ma permettendo al cocchiere di sopravvivere. Il tizio, con la cacca nelle mutande e pronto a piantare una roncola nel cranio di George, non poteva sapere che sarebbe diventato il primo uomo a compiere una planata a bordo di un velivolo, parecchi anni prima dei fratelli Wright e del loro aeroplanino a motore.

Questo fu anche il primo volo di un aliante nel senso tecnico del termine: “aeromobile il cui volo libero non dipende da un motore”.

– L’imbarazzante aggeggio volante di George Cayley del 1853, una via di mezzo fra un deltaplano, una vasca da bagno e una Morgan 3 Wheeler –

Certo, c’era qualche lavoro di affinamento molto importante da fare, per esempio applicare concetti base come aerodinamica e portanza per consentire all’oggetto di stare in volo il più possibile, ma con il tempo questa scienza venne scoperta e affinata, passando per gli esperimenti del tedesco Otto Lilienthal e di altri pionieri che per la prima volta studiarono anche un sistema efficiente di comandi e una struttura alare più vicina all’idea moderna di velivolo, con ali e timone di coda.

– Otto Lilienthal realizzò il Derwitzer Apparat nel 1891, fa un po’ ridere ma vediamo già le forme di un aereo vero con impennaggio in coda e bilanciamento pesi più ricercato –

Uno dei passaggi più importanti nello sviluppo dell’aliante (e del paragliding) è legato all’osservazione della natura: certi uccelli di grosse dimensioni, con aperture alari importanti, non sbattevano le ali per rimanere in quota e lo studio di questi esemplari fu la chiave per sviluppare finalmente glider efficaci e prestazionali che fossero capaci di stare in aria sfruttando le correnti ascensionali e le masse di aria calda che dal suolo salgono verso il cielo.

– Falchi, aquile e altri uccelloni potenti volano per la maggior parte del tempo così. Notate le ali ferme in planata costante e la coda che stabilizza l’assetto –

Il principio fisico è elementare: l’aria calda è meno densa dell’aria fredda (pesa meno a parità di volume). Il sole scalda il suolo che a sua volta scalda l’aria con cui viene a contatto, perciò quest’ultima sale verso l’alto e pur raffreddandosi mentre sale, è sempre più calda dell’aria che incontra formando una colonna ascendente. Questa è una corrente ascensionale che sale a tot metri al secondo. Volendo semplificare ancora, immaginate le lanterne cinesi che salgono verso il cielo senza alcun aggeggio aerodinamico ma solo grazie alla spinta dell’aria riscaldata da una fiamma, proprio come le mongolfiere.

Una volta afferrato questo concetto, la sfida dei progettisti divenne quella di realizzare un oggetto volante capace di avere un’efficienza tale da essere più leggero dell’aria. Paradossale, ma se un oggetto scende a X metri al secondo e l’aria sale a X+1 metri al secondo, questa spinge l’oggetto verso l’alto mantenendolo in quota.

E cosa fare per avere un oggetto che scenda meno velocemente di quanto stia salendo l’aria? Semplicemente lavorare sull’aerodinamica per avere un rapporto distanza percorsa/perdita di quota (detto efficienza) il più basso possibile. Tradotto, studiare l’apparecchio meccanico volante più aerodinamico di sempre.

– Qualcuno su internet ha fatto un disegnino per farvi capire di cosa sto parlando qui sopra –

Adesso il racconto si fa figo, perché grazie a queste intuizioni abbiamo visto concetti di macchina volante meravigliosi. Il fatto di non avere il motore è il vantaggio più grande, perché sia dimensioni che peso possono rimanere contenuti e contribuire all’efficienza assoluta. La pulizia di linee e la regolarità delle superfici è il secondo aspetto curato al massimo in questi velivoli, fatti per avere una resistenza all’avanzamento ridicola, basti pensare che prima del decollo di un aliante vi capiterà di vedere il pilota (o chi per lui) togliere i moscerini spiaccicati sul profilo alate perché anche loro, per quanto minuscoli, vanno ad inficiare l’efficienza aerodinamica dell’ala. Per intenderci un aeromobile a motore sta a livelli di efficienza fra il 10 e il 20 (10-20 metri percorsi per ogni metro di quota persa), mentre gli alianti partono da 30 e possono arrivare fino a 70.

Tra gli anni ’30 e ’40 è stato sviluppato forse uno degli alianti più belli di sempre: si chiama Horten H IV ed è un concetto di ala volante con pilota in posizione semiprona che occupa praticamente tutta la lunghezza della carlinga sviluppato dai fratelli Horten, gli stessi del misterioso Horten Ho IX, uno degli aerei nazi più seducenti e affascinanti che esistano. Senza impennaggi di coda e con due ali a freccia lunghe così, fu pensato per utilizzo militare dalla Luftwaffe (non si sa per quali tipi di operazioni) e sequestrato dagli americani subito dopo la WW2… e sentilo, sentilo salire dentro di te il B-2 Spirit.

– L’H IV (o Ho IV) è uno degli alianti più belli mai realizzati e non è il B-2 della Peg Perego –

Dopo un po’ di esperimenti del dopoguerra con vari concetti di mono e biposto ad ala bassa e ala alta, la ricerca dell’efficienza assoluta ha forzato tutti i progettisti a rimanere ancorati a forme ben precise con carlinga sottilissima, sezione frontale ristretta, abitacolo sfuggente “a supposta” e apertura alare infinita.

Eccezione alla regola furono gli alianti sviluppati durante la Seconda Guerra Mondiale come soluzione economica per il trasporto di truppe in cielo. Questi non avevano capacità di “navigare fra le termiche” perché grossi e pesanti, ma solo un’aerodinamica di base per poter planare in sicurezza. Per esempio l’inglese Airspeed Horsa fatto in metallo e legno veniva trainato in cielo e poi lasciato planare giù fino al target, dove le truppe venivano rilasciate e l’aereo abbandonato al suo destino, sperando di ritrovarlo in futuro ancora tutto intero.

– Senza motori, senza benzina, l’Horsa era capace di planare e basta. Il fatto che fu un discreto successo strategico ci sorprende. Ne furono costruiti circa 3000 –

Un aliante moderno può arrivare fino a 20 metri di apertura e questo è dovuto principalmente alla necessita di avere una superficie di contatto con le correnti ascensionali abbastanza ampia da spingere efficientemente il mezzo verso l’alto. Ovviamente non potendo fare le ali troppo grandi per questioni di resistenza aerodinamica, l’unica soluzione è avere lunghissime e sottili appendici che rendono inconfondibile la forma di questi velivoli.

Oggi l’aliante più diffuso nel mondo è lo Schleicher ASK21, un bell’uccellone fatto di vetroresina e carbonio, mono o biposto, che è da tutti riconosciuto come il miglior compromesso fra semplicità d’uso e versatilità (pesa solo 386kg con un limite massimo di peso al decollo di 600kg), utilizzato sia come addestratore per le scuole di volo che come modello da diporto dagli appassionati, che possono apprezzare anche discrete capacità acrobatiche.

Tecnica a parte, che cazzo c’è di bello nel pilotare un aereo senza un motore, senza rumore e senza spinta? Beh, è proprio quello il bello, mio giovane padawan.

– Lo Schneider ES-60 Boomerang è un esempio di glider monoposto di successo, costruito principalmente in legno con ala alta. Ha un’aspetto amichevole e simpatico, era in uso negli anni ’60 –

– Schleicher ASK-21, ovvero l’aliante più amato e diffuso del pianeta, sul quale anche chi scrive ha volato – 

L’aliante è un’esperienza a sé e richiede conoscenze accurate di meteorologia e di aerodinamica applicata. Il fatto stesso di non avere alcun comando che possa far accelerare il mezzo, obbliga a resettare il cervello e mettersi in una dimensione di volo completamente diversa, dove il brivido non è dato dalla prestazione pura ma dalla capacita di diventare un tutt’uno con l’ambiente cielo nel quale si è immersi.

A differenza di un volo in aeroplano, l’aria non è più qualcosa a cui opponiamo resistenza grazie alla spinta di un motore, ma è un fluido all’interno del quale ci spostiamo per trovare le miglior condizioni per stare “a galla”. Con gli occhi seguiamo le nuvole, i cumuli chiari che colorano di bianco il cielo terso rappresentano il punto in cui le umide correnti di aria calda raggiungono il punto di rugiada e si condensano a contatto con gli strati di aria più fredda.

È sotto quelle nuvolette che troviamo le “termiche” più intense, e il nostro scopo è sfruttarle ricevendo una spinta costante in volo circolare ad assetto più piatto possibile, senza perdere efficienza con manovre ad angoli troppo elevati che ci porterebbero giù di quota. Una volta saliti al limite della termica, ci prepariamo al “salto” che ci porta alla termica successiva, che a sua volta ci farà salire di nuovo… è una danza nel mare azzurro fatto d’aria. Questo è il concetto di “volo a vela” ed è una delle esperienze più belle che si possano mai fare in cielo.

– Osservando il suolo e le nuvole in cielo, possiamo riconoscere la presenza di termiche più o meno potenti che sfrutteremo per salire, scendere e risalire saltando da una colonna di aria calda ascendente all’altra. Aiutati dal vento e dal clima –

Quelli cazzuti, piuttosto che sfruttare le termiche da pianura e da afa estiva, si fanno dare un passaggio in cielo da un puzzolente e volgarissimo Cessna per poi sganciare il traino e virare sui pendii delle montagne a ridosso delle pianure o del mare. In questi particolari ambienti montani a ridosso di aree dove i venti scorrono liberi, l’aria sale sul costone fino alle cime creando un’onda d’aria che gli alianti possono sfruttare come cuscinetto per volare come se stessero surfando sul mare della California ascoltando i Beach Boys.

– Esempio di onda che gli alianti sfruttano in montagna. L’onda di vento sollevata dal pendio permette di volare in quota a cuscinetto fra gli strati d’aria fredda in alto (generalmente identificati da nuvole lenticolari) e la turbolenza che si crea nelle valli. Con queste correnti si possono coprire lunghe distanze e raggiungere velocità discrete –

Cavalcando questo tipo di correnti, sulle Ande è possibile portare all’estremo l’utilizzo di un mezzo del genere. Grazie alle correnti forti del Pacifico e alle alture che superano i 5.000 metri, le correnti che scavalcano i pendii sono così forti e persistenti che possono far volare un aliante in modo costante e stabile per migliaia di chilometri a velocità triple rispetto a quella di massima efficienza in contesto atmosferico normale, che in genere sono tra gli 80 e 100 all’ora. Il record di distanza percorsa – proprio sulle Ande – è di 3.008 km (fatto da un certo Klaus Ohlmann nel 2003) e le velocità massime raggiunte in questi contesti sono spesso superiori ai 300 km/h. In Italia i piloti esperti difficilmente si spingono oltre i 500 km in un volo singolo.

Tecnicismi, aerodinamicismi e record a parte, il vero succo del volo a vela è la capacità di generare emozioni che non si possono paragonare a nessun altro tipo di oggetto volante. Queste suppostone alate sono capaci di far sentire il pilota parte integrante del cielo, ci si sente uccelli e dèi. Il silenzio assoluto che circonda l’abitacolo è sferzato solo dal sibilo delle estremità delle ali che fendono l’aria. Il bianco delle nuvole, le creste dei monti e il suolo lontano, sembrano più veri e vicini, che quasi si possono toccare con un dito.

Pur godendo del controllo di un mezzo meccanico con tecnica da aeroplano (flaps, timone, diruttori e strumenti sono tutti nelle nostre mani), è difficile non sentirsi parte dell’ambiente esterno. È l’unione perfetta fra meccanica e organica, il mezzo diventa estensione del corpo ed è come se le ali fossero le nostre braccia e il timone i nostri piedi che si muovono per dare direzione. Una sensazione che i fanatici di aerei non potrebbero mai trovare su un parapendio o un deltaplano.

– Il silenzio del cielo, la pace in quota, l’avanzata lenta e il fruscio dell’oggetto più aerodinamico che l’uomo abbia mai realizzato –

Se vogliamo, possiamo anche smettere di giocare a fare i meteorologi o i surfisti, e diventare degli aerei acrobatici capaci di manovre a G elevati. Una virata stretta con barra tutta indietro e aliante a 90° può raggiungere i 4-5 G, il volo rovesciato non fa perdere così tanta efficienza e può essere mantenuto per lungo tempo. Si può anche andare in stallo controllato con una manovra hammerhead da cuore in gola, salendo in verticale fino a fermarsi e “cadendo” col muso in giù riprendendo velocità e recuperando l’assetto. Certo, in questo caso il volo dura davvero pochi minuti, perché basta fare due o tre ragazzate che ci si trova di nuovo a quota di atterraggio.

– Abbiamo un asso in casa, si chiama Luca Bertossio ed è uno dei piloti più esperti di aerobatics con gli alianti –

Qui su ///RS è facile ritrovarsi fra cervelli bacati dalla velocità, dal fumo, dalla gloria, dal rischio e dall’adrenalina, ma avete mai sperimentato il piacere che sta all’opposto?

Un lungo viaggio senza meta precisa con un mezzo lento, un giro in barca a vela con amici fidati, una camminata in solitaria dove non c’è niente e nessuno… o un volo a 90 all’ora su un aeroplano senza motore.

Se non avete mai fatto una di queste cose, fatevi una coccola e regalatevi un momento di puro reset mentale. Fra una smarmittata e l’altra è importante ricordarci che siamo figli di questa terra, fatti della stessa sostanza di tutto quello che ci circonda, e non serve a un cazzo comprare un’auto elettrica o un packaging 100% riciclabile per sentirci in pace col mondo, se prima non siamo capaci di connetterci intimamente con esso.

Articolo del 11 Aprile 2023 / a cura di Michele Lallai

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  • Franco

    bello e basta. volevo fare il brevetto nel 2019 ma ho avuto l’insana idea di comprare un tetto.
    quest’anno si fa.

  • Stefano

    Ci sono numerose inesattezze ma apprezzabile il tentativo di far conoscere a molti un mondo che, almeno in Italia, è per pochi praticanti.

  • Antonio

    Bellissimo articolo! Anche io abituato ad usare sempre mezzi a motore mi sono stupito nel piacere di utilizzare una bici sfruttando curve e pendii pennellando la strada! Ecco quando leggevo mi venivano in mente quelle sensazioni!

  • Mauro

    Grazie per l’articolo, ringrazio da parte mia e di tutta la comunità dei volovelisti (così si chiamano i piloti di aliante) di cui ho l’onore di fare parte.. Mauro, AeroClub Valle d’Aosta

  • Andrea Ghidini

    Bell’articolo, essendo io di parte ho mal digerito solo il confronto con il deltaplano, che in merito a piacere di volo trovo insuperabile 😉
    Sempre complimenti per il grande lavoro

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