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Alfa Romeo come non ne fanno più.

Fin da bimbo questa Alfa, che all’epoca avevo sulle mitiche cartine Top Quartetto, mi ha incuriosito. Ammetto di non essere mai stato un grande appassionato e nemmeno un intenditore di Alfa e che tutte le cose che rendono questo marchio degno di venir ricordato fra i grandi della storia le ho imparate in tempi relativamente recenti.

Solo adesso che sono grande riesco a godere nel vedere una Giulietta correre in pista ed è proprio nel sentire il grido rauco e metallico del suo bialbero che capisco che tragedia sia stata l’aver fatto diventare l’Alfa quel che è oggi, mannaggiallaglobalizzazione.

Come dicevo, per me all’epoca la SZ era solo questo: una carta fra qualche altra decina con cui ammazzare la noia nel tragitto casa-scuola-casa.

C’è però da dire che mi ha sempre affascinato e quando, grazie a tutto il lavoro fatto con questo sito, mi è capitata l’occasione di averne una sotto le manacce, non mi son fatto scappare l’occasione. Vi dico già che non l’ho guidata (figuratevi, non la guida nemmeno il proprietario, che la tiene al sicuro sotto un lenzuolo) ma l’ho studiata, l’ho osservata e l’ho  analizzata quel tanto da permettermi di fare un po’ lo sborone e di raccontarvi alcune cose che, probabilmente, non sapete su questa “bellezza” tutta italiana.

Poi oh, se volete la prova, su youtube la troverete. Per me l’importante è regalarvi qualcosa di diverso, di non visto, detto e sentito. Che noia altrimenti.

Ecco quindi una piccola serie di argomenti che vi permetteranno di conquistare la vostra prossima bella.

È stato il canto del cigno delle “vere” Alfa Romeo

Presentata per la prima volta al Salone dell’automobile di Ginevra nel 1989 con il nome ES30 (Experimental Sportscar) con il 30 che rimanda alla cilindrata dell’unità motrice, sto ferro aveva un duplice scopo: far vedere che Alfa Romeo era in grado di sfornare ancora auto sportive dopo la sua discussa acquisizione da parte di Fiat, e far parlare di sé. Gli scopi furono entrambi raggiunti con una produzione limitata a 1000 esemplari e se volevi averne una, non solo dovevi prenotarti, ma dovevi anche essere selezionato e versare una certa somma per sicurezza. Insomma, no perditempo e no sognatori per favore.

Tuttavia fu un mezzo flop. Era una vettura strana, dalle linee squadrate e particolari. Per questo non fu capita, moltissimi esemplari rimasero invenduti nei concessionari per decenni e il valore della vettura si abbassò drasticamente.

Coloro che la comprarono in anteprima subito dopo l’uscita si ritrovarono con l’amaro in bocca. Con quello che avevano pagato la loro SZ all’epoca, ne potevano comprare 3 tanto il prezzo era sceso. Un po’ come chi ha comperato casa nel 2007.

Questa parabola discendente accomunò molti altri modelli sportivi, come la Stratos e la Renault 5 Maxi Turbo, vetture che nessuno voleva e che rimasero per anni invendute nei concessionari. La gente pensava  (giustamente, ndr) al motivo per cui avrebbe dovuto comprare una Lancia o una Renault quando allo stesso prezzo avrebbe potuto prendere una Ferrari (208/308). Nulla da ridire, io per andare in giro con una 308 in stile Magnum P.I. farei carte false.

I 1036 esemplari di Alfa Romeo SZ e i 278 esemplari di Alfa Romeo RZ vennero venduti in un lasso di tempo davvero enorme, ma ora la maggior parte di essi dimora in Giappone. La leggenda vuole che, durante la costruzione dell’ultima dozzina di RZ presso gli stabilimenti Zagato, un fantomatico collezionista Giapponese si presentò davanti agli uffici della Fiat Auto spa con un’offerta stratosferica per l’acquisto di tutti i modelli e i pezzi di ricambio di RZ presenti nello stabilimento. Ovviamente i dirigenti fiat accettarono, lasciando partire le RZ alla volta del paese del Sol Levante nel quale furono completate e rivendute ad altri collezionisti.

Questa però è una storia un po’ triste, che evidenzia quanto tutti amino i prodotti e le vetture italiane di pregio, tranne noi.

Fu l’ultima Alfa a trazione posteriore prima dell’era “moderna”.

Ebbene sì, se c’è una cosa che ha sempre accomunato tutte le persone che conosco appassionate di Alfa è il loro rimpianto di “ah quando le Alfa erano a trazione posteriore”. Se nel 2017 finalmente siete stati tutti accontentati, ci sono stati però molti, troppi anni, in cui questo tipo di trazione ve la siete scordata. È infatti vero che, prima della meravigliosa 8C, l’ultima Alfa Romeo stradale dotata della trazione posteriore (con schema transaxle) fu proprio l’SZ che, di fatti, ereditava la meccanica dalla 75 Turbo Evoluzione, roba buona insomma.

Fu una delle prime auto disegnate al CAD.

Ebbene sì, se ad oggi non andiamo nemmeno al cesso senza un device in mano, c’è stata un’epoca nella quale si usavano ancora matite, fogli di carta e gomma (bianca per la matita, azzurra per la biro, ovviamente). Ma era un’epoca destinata a concludersi e con l’avvento di computer sempre più potenti e di programmi creati ad hoc, il disegno meccanico su carta sarebbe stato, di lì a poco, solo un nostalgico ricordo.

L’SZ, figlia di quegli anni di cambiamenti ed innovazioni, fu quindi una delle prime macchine completamente disegnata al computer mediante il vecchio caro CAD. C’è poi da dire che, visto il risultato non proprio aggraziato (al punto che venne rinominata “il mostro”), qualche maligno all’epoca avanzò il sospetto che il computer utilizzato aveva il mouse rotto, simpaticoni.

Evidentemente queste persone non avevano mai usato il CAD e non sapevano che disegnare qualsiasi oggetto non riconducibile ad una combinazione di forme geometriche di base sul computer è maledettamente difficile, al punto che in Lamborghini hanno mascherato il semplificarsi la vita disegnando macchine spigolose come una scelta di stile, furbetti.

Uno dei tratti distintivi della SZ sono sicuramente i fari anteriori costituiti da 3 gruppi quadrati e freccia per lato. Questa scelta anticipava in qualche modo ciò che abbiamo poi visto sulla 159 e fu sicuramente uno degli aspetti più discussi della SZ. In realtà il proiettore quadrato è stato utilizzato su auto che, qualora le definiste brutte, rischiereste di essere linciati. Vogliamo parlare ad esempio di quella strana vettura nata non lontano da Bologna, linea a cuneo da capogiro e scissor doors quale è la Diablo? Oppure quella supercar rossa, con delle gomme esageratamente larghe con l’alettone su cui è scritto F40? Ancora sicuri che fari quadri = brutta auto?

Nelle mani giuste poteva metterne dietro parecchie.

Senza mezze misure la SZ era una macchina da corsa costruita per l’utilizzo stradale, sotto la carrozzeria Zagato in materiale termo-plastico troviamo la stessa meccanica della Alfa Romeo 75 IMSA in accoppiata con il leggendario V6 Busso preso direttamente dalla Alfa 75 Quadrifoglio Verde. I 210 cv sprigionati dal V6 a 60° del biscione spingevano un peso – non piuma – di 1256kg, permettendole lo stacco 0-100 in 7 secondi e di raggiungere i 245 km/h di velocità massima.

Anche a livello telaistico era stato svolto un lavoro eccezionale: pensate che in curva riusciva a generare accelerazioni laterali di quasi 1,3 g che all’epoca erano superiori a quanto possibile per auto del calibro di Lamborghini Diablo,  Porsche 911 e Lotus Esprit. Insomma, per una piccola sportiva di quasi 1300Kg poteva andare peggio.

Grande attenzione fu rivolta anche al reparto sospensioni: pensate che la SZ montava, al posto dei classici silent block in gomma che i nostri lettori possessori di 147 sicuramente avranno maledetto almeno una volta ogni 20000 km, dei silent block in politetrafluorqualcosa (PTFE) che riducevano il rollio dell’auto e miglioravano l’handling. Purtroppo non erano viola e quindi chi la comprava non poteva postare una loro foto su Instagram con vari hashtags (suggeriamo #becauseracecar #tracklife e #trackday), ma questo non era un grande problema visto che i social network ancora non esistevano.

Altra chicca della SZ sicuramente era il sistema idraulico di sollevamento dell’auto che permetteva ai fortunati proprietari di non impattare contro i dossi o le rampe dei garage.

Gli interni erano spartani, pensati per 2 e soprattutto per il guidatore, non c’era posto per gli amici o i bimbi, i sedili molto avvolgenti ed in pelle a contrasto con il colore esterno. La seduta era bassa, da sportiva, con i 3 pedali che ogni auto da uomo dovrebbe avere. La plancia era molto semplice, essenziale e rivolta verso il guidatore con tutti gli strumenti necessari rigorosamente analogici, senza led per il cambio marcia ne sistemi che chiamano da soli i soccorsi in caso di incidente.

Insomma, era una macchina di altri tempi, era un Alfa come ai bei tempi.

Ringrazio immensamente Andrea Galassi e Mattia Limonta per avermi aiutato a scrivere questo articolone, ringrazio la cara Francesca Martinelli per le splendide foto che vorrei imparare da lei.

Articolo del 10 Aprile 2017 / a cura di Il direttore

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  • Ironia della sorte mi è stato regalato giusto questo weekend questo quattroruote del 1989 in cui c’è un articolo proprio su di lei!(http://i.ebayimg.com/00/s/MTU5OVgxMTk5/z/1vMAAOSwEK9TtXC7/$_35.JPG). Posto che non la trovo affatto così “brutta”, (sicuramente singolare rispetto alle forme Alfa dell’epoca), ci sono due cose che mi fanno letteralmente arrapare: il posteriore (globalmente sembra una versione più squadrata della GTV anni ’90, e i gruppi ottici bruniti tutti orizzontali sono uno spettacolo) e… I CERCHI. Buondio sono più belli di quelli del deltone EVO2. Unica cosa che mi lascia perplesso, i “soli” 245cv tirati fuori dal 3.0 V6 turbo. Insomma, si poteva fare abbondantemente di più, a maggior ragione se si voleva far gridare alla sportssscarrr

  • (mi correggo, non era turbo… ma i cavalli eran 210!)

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