Tutto comincia nel 2005 o giù di lì, con una Elise R a noleggio e un viaggio in Svizzera francese: volevo capire di che cosa diavolo parlasse questo mio amico “sposato” da tempo ad una magnifica Elise prima serie del 1996, neanche fosse, a sentir lui, l’automobile definitiva. Così facciamo su e giù per le Alpi per raggiungere l’annuale raduno europeo di vetture inglesi che si tiene a Morges (fateci un salto, non ve ne pentirete). Ma non mi serve che una manciata di chilometri per avere la rivelazione: davvero non avevo ancora provato che cosa significa Guidare.
La mia faccia è un frullato di emozioni. Tutte positive. Stringo fra le mani un volante piccolissimo, che invia messaggi brevi e cristallini a un avantreno leggero ma diretto; sulla destra, una esile leva di alluminio per interagire con il curioso cambio, dalla precisione solo discreta ma irresistibile nella sua semplicità.
Quasi sdraiato in un sottile sedile che mi calza a pennello, perfettamente incapsulato come una pastiglia in un blister, posso quasi contare ogni granellino di asfalto e le mie chiappe sono come saldate al telaio.
Da lì, osservo con sincero stupore le gobbette dei parafanghi anteriori che attirano come sirene la corda di ogni curva. Mai provato nulla del genere. “Ero cieco, ora vedo“, avrebbe detto il buon Giovanni. Guidare liberi, liberi dal peso, dall’inerzia, con una tenuta di strada da kart, solo per il gusto di Guidare. Per chi non ha mai provato l’esperienza, è grosso modo così:
– “E’ fake!” commentavano su YouTube… MA VAAAA??!? –
E va a finire che non ti fermi più. Quella Elise R mi deve aver morso da qualche parte, inoculandomi un virus che non sono più riuscito a debellare: è una malattia che ti porta a paragonare qualsiasi altra auto, ma anche qualsiasi altra cosa – tutto: oggetti, pensieri, cristiani… – alla Lotus che guidi, valutandone il feedback. Di norma, la faccenda del guidare si svolge con l’occhio che identifica una curva, ne valuta il potenziale raggio e invia tali informazioni al cervello, il quale determina una o più opzioni di percorrenza in base alla velocità, al peso e al livello di bramosia che covi nel mordere l’asfalto; ma con una macchina di questo genere tali parametri vanno rivisti, al punto che l’ingresso di curva diventa una sfida personale non molto diversa da quella che vivi in circuito, con il muso che entra sempre più tardi, gli pneumatici che si avvicinano ogni volta di più al loro limite di aderenza e con un livello di fiducia che non puoi raggiungere a bordo di una pesante e “filtrata” automobile “tradizionale”.
– Quasi trent’anni di telaio e non sentirli… –
Da semplice strumento attraverso il quale orientare le ruote anteriori, il volante si trasforma in un pozzo di informazioni: la corona vibra, scarta a destra e a sinistra seguendo gli ordini impartiti dalle ruote, che scandagliano l’asfalto copiandone ogni venatura, ogni variazione.
E’ come liberarsi dei guanti, come se il senso del tatto riprendesse a funzionare al 100% dopo anni.
Certo ci vuole abitudine, perché l’osceno asfalto delle nostre strade può inviare messaggi volgari e gratuiti come lettere di un maleducato corrispondente; tuttavia, anche questo fa parte dell’esperienza e, con un pochino di pratica, si impara a diventare parte di quel filtro, ad assimilare nelle mani e nelle braccia gli scarti e il tremore eccessivi, soffrendo assieme alle sospensioni quando una buca è troppo profonda o quando un dosso è troppo alto. Questo, però, significa anche che non è necessario “indovinare” il livello di aderenza come si farebbe con una normale automobile: il grip disponibile è tutto lì, basta sentirlo. Il che aiuta a recuperare con un accenno di controsterzo una eventuale sbandata del posteriore, a sollevare il piede dal gas quando si è esagerato – eventualità che, data la bassissima inerzia garantita da un peso piuma e da un reparto sospensioni di prim’ordine, puoi archiviare come “routine”. Il risultato? Vai forte con poco impegno e uno sforzo minimo.
– Quella livrea Type 49 sarà anche stata “fasulla”, ma era spettacolare –
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La “lotusite” si aggrava, al punto che, un annetto e mezzo dopo, porto a casa questa signorina qui sopra. La mia Elise R. Mia davvero. Il rientro alla base avviene in mezzo al macello della A4, con un misto di tripudio e terrore: il tetto è alto forse quanto la linea di cintura delle altre auto e preferisco non pensare a cosa accadrebbe se dovessi frenare all’improvviso e il camion che mi segue andasse lungo… ma lei è stupenda, rossa e bianca nella livrea storica Type 49 – benché si trattasse di una seconda serie, pertanto mai prodotta ufficialmente, ma riverniciata dal vecchio proprietario – con tanto di cerchi oro. E da quello scarico esce un casino che sembra Capodanno, perché, non contento, ne ho comprata una già… *cof cof*… “rivista”. Saranno tre anni fantastici, nel corso dei quali scoprirò tante cose e ne capirò meglio altre, tutte le varie questioni legate al possesso di un’auto di questo tipo. Ad esempio, ho scoperto che ci puoi andare in vacanza, sempre che tu ci vada da solo/a o la/il tua/o compagna/o sia molto, molto poco esigente in fatto di bagagli. Guidare una Elise/Exige tutti i giorni? Fattibile, ma molto scomodo e, a mio avviso, poco sensato. Ma in verità mi capita, talvolta, di usarla anche per andare a fare la spesa; alla fine, è un modo come un altro per rendere il tutto meno palloso. Si fa senza problemi, l’importante è posizionare la confezione di acqua in fondo, sul poggiapiedi: questo consente non solo di ottenere una perfetta ripartizione dei pesi di 50:50 (sto scherzando), ma anche di evitare che, alla prima curva presa come si deve, quelle sei bottiglie da un litro e mezzo ti piombino addosso spiaccicandoti sulla fragile portiera di vetroresina.
Qualche anno ancora e l’Elise diventa una Exige. A proposito: per chi ha sempre questo tarlo, fra Elise ed Exige poco cambia; certo non si può più dire lo stesso dal 2013, quando è arrivata quella con il V6. Ma a lei ci arriviamo dopo. La mia prima Exige era una S240 del 2010, quindi già dotata di quelle piccole modifiche estetiche apportate alla S2, con nuovo muso e alettone con le alzate laterali. Ovviamente, aveva il compressore volumetrico. Credetemi: quello vi cambia la vita. Va bene la purezza dell’aspirato, ma quando hai una “schiena” tanto gradevole nell’erogazione e soprattutto sempre presente, ai bassi come agli alti, è difficile tornare indietro. Qui sopra lo sentite “miagolare” mentre faccio brutta figura a FranZacorta.
Ma all’epoca già si parlava di questa “grossa e potente Exige” in arrivo e io non stavo nella pelle, anche se sapevo che, molto probabilmente, non me la sarei potuta permettere. E così fu. Almeno all’inizio. Lei era inarrivabile e io ero comunque indeciso, perché avevo il terrore di fare il passo più lungo della gamba, di portare a casa qualcosa che avrebbe snaturato il concetto di auto sportiva piccola, leggera e relativamente economica.
Il primo impatto con lei lo avevo avuto durante un confronto con uno dei primi esemplari importati in Europa: gialla con stripes verdi, era di proprietà di un appassionato svizzero. Abbiamo fatto un po’ di foto insieme, ci siamo scambiati il volante e ho avuto la conferma che non si tratta di un passaggio epocale, di una cessione di testimone, ma di una evoluzione che puoi abbracciare o meno, a seconda di quel che cerchi, senza rinunciare davvero a nulla. Già, perché la nuova Exige sarà anche più potente e veloce, ma tale superiorità non è sempre così evidente, non in tutte le condizioni. Com’è guidare una Exige con un 3.5 litri a sei cilindri a “V”? Esattamente come sembra: è una Exige (un po’) più grossa e potente, ma le qualità e i difetti rimangono gli stessi. Scendere da una 1.8 e salire sulla V6 non è così sconvolgente: l’abitacolo è identico, cambiano giusto un po’ le misure al di là del parabrezza. La vera differenza la fa il resto: il peso inizia a farsi un po’ troppo elevato e questo, combinato alla velocità con la quale ora entri in curva, all’inizio richiede un minimo di abitudine. Non nascondo di essere andato lungo diverse volte per questo motivo. Prese le misure, però, ti accorgi di quanto efficace sia diventata, di quanto tosta sia nel mettere giù i cavalli in uscita di curva, anche se Lotus si ostina a non dotarla di serie di un differenziale autobloccante meccanico. In generale, ho sempre avuto la sensazione che la vecchia Exige sia meno equilibrata, non meno precisa ma più “nevrotica”, mentre la V6 sembra piazzarsi lì dove la metti senza scomporsi minimamente.
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E poi trovo un usato… vado a vederla, me ne innamoro e svuoto letteralmente il conto in banca, sforando di parecchio (ma parecchio) il budget che di solito riservo alla prossima sportiva. Non era tanto questione di avere l’ultimo grido in fatto di Lotus, non sono mai stato quel tipo di appassionato; quel che volevo era una Exige che fosse un po’ meno giocattolo e un po’ più supercar. Qualcosa con la giusta potenza per star dietro alle solite blasonate e allo stesso tempo ancora abbastanza conservatrice da non perdere il legame con il passato. E credo proprio di averla trovata. E’ una Exige S del 2013, la primissima serie della V6. Se tornerei indietro? Non penso. Fatta l’abitudine, ciò che ti fa rimpiangere la quattro cilindri è solo ciò che spendi fra superbollo e pneumatici maggiorati. Il resto è tutto come lo conosciamo, difetti compresi.
– Ebbene sì: ci fai anche la spesa –
A proposito di difetti: se è vero che le Lotus si smontano a guardarle? Sì e no. Dal punto di vista della meccanica, assolutamente no. Sempre che le teniate d’occhio come si deve. Non sono mica Ducati degli anni ’90, diamine (ho una 916 del 1994, so di cosa parlo…). Ho avuto tre Lotus e non sono mai rimasto a piedi. La meccanica mi è sempre parsa piuttosto affidabile (dopotutto parliamo di motori Toyota e il precedente Rover ha l’unico difetto congenito della guarnizione della testa da risolvere); semmai è tutto il resto che soffre più del dovuto, un po’ perché gli assemblaggi e i materiali sono quello che sono e un po’ perché parliamo di automobili sottoposte ad un uso più gravoso di quello che affronta la vostra utilitaria media. Ho visto manopole del clima staccarsi e rotolare rumorosamente sul pavimento di alluminio; ho visto il tappo del serbatoio smontarsi nelle mie mani durante il rifornimento; ho visto la strumentazione dare i numeri, con le lancette che ballavano e le spie che si spegnevano; ho visto crepe sulle plastiche e qualche fusibile saltare. Ma non ho mai temuto di affrontare un viaggio anche lungo e non conservo gelosamente nel taschino il numero del carro attrezzi.
Le Lotus sono piene, pienissime di rumori e rumorini, che variano, fra l’altro, in funzione del peso che trasporti, della temperatura esterna o, semplicemente… dell’umore con il quale si mettono in moto. Tanti non possono sopportare questo genere di cose, anche perché parliamo di auto che costano comunque tantissimo in rapporto alla qualità e alla tecnologia che offrono (diciamoci la verità: questo telaio l’avranno anche ammortizzato, dato che lo fanno dal 1995 e il resto è vetroresina e plastica..!); ma se sei affetto da lotusite, questi difetti diventano caratteristiche. Impari a riconoscere questi rumori ed archiviarli come innocui; a sfruttare la scarsissima insonorizzazione per sondare l’ambiente esterno, a partire dalle condizioni del fondo stradale. Perché lei ti parla. Eccome. E dice solo la verità. Verità ed emozioni. Parole che dovremmo sempre tenere a mente. In un mondo pieno di menzogne e superficialità, le emozioni arrivano con la verità e la sincerità. Le automobili non sono diverse dagli esseri umani: le abbiamo fatte noi. E quelle che ti emozionano davvero, quelle che ti trasmettono qualcosa, che non filtrano, che non mascherano, sono le figlie di chi davvero voleva farle, di chi davvero ci crede.
Bell’articolo. Complimenti. Descrive proprio quello che è una Lotus e cosa vuol dire prendere la lotussite.
So benissimo di cosa stai parlando avendone avute due. Chissà se un giorno riuscirò a passare anch’io al 3.5 V6?
Mi hai fatto venire voglia di provare una lotus
Fallo. Just do it
Mi presti una delle tue? XD